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Via libera all’indicazione di origine per il latte, Coldiretti presenta l’etichetta Made in Italy

Un’etichetta per il Made in Italy anche per latte e latticini: l’ha presentata la Coldiretti stamattina al tradizionale Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio, dopo il via libera dell’Unione europea alla richiesta italiana di indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari. Sono infatti scaduti senza obiezioni alle ore 24 del 13 ottobre i tre mesi dalla notifica previsti dal regolamento 1169/2011 quale termine per rispondere agli Stati membri che ritengono necessario adottare una nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti. Le confezioni di latte, burro e mozzarella con le nuove etichette hanno lo scopo di aiutare i consumatori a scegliere. Il provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti era stato annunciato dal premier Matteo Renzi e dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina in occasione della Giornata nazionale del latte Italiano a Milano, organizzata proprio dalla maggiore organizzazione degli imprenditori agricoli in Europa.

“Il via libera comunitario – rileva la Coldiretti – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione”.

 

Il provvedimento riguarda l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari che dovrà essere indicata in etichetta con:

a) “paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte”;

b) “paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato”

c) “paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato”;

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte: nome del paese”. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell’Ue, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi UE” per l’operazione di trasformazione. Infine se le operazioni avvengono nel territorio di più Paesi situati al di fuori dell’Unione Europea, possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi non UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi non UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi non UE” per l’operazione di trasformazione.

«Con l’etichettatura di origine si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, così come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – si tratta anche di un importante segnale di cambiamento a livello comunitario sotto la spinta dell’alleanza con la Francia che ha adottato un analogo provvedimento».

Ricchezza Made in Italy da tutelare

Le 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt. garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione. Sono invece 487 i formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale. Sui mercati esteri i formaggi Made in Italy hanno fatturato 2,3 miliardi (+5%) nel 2015. 

Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 – secondo una analisi della Coldiretti – una media di 48 chili di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche a islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.  

Il provvedimento salva 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy. 

L’ entrata in vigore e fissata 60 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e potrebbe partire dal primo gennaio 2017, come è stato previsto per un testo analogo in Francia.

Latte, via libera all’indicazione di provenienza. Il 67% degli italiani pagherebbe di più se italiano

Si gioca sul latte una delle battaglie che in tutta Europa sta impegnando i rapporti tra grande distribuzione e produttori, colpiti dai prezzi troppo bassi. Tanto che in dieci anni si è dimezzato il numero di stalle in Italia , che hanno segnato nel 2015 il minimo storico di 33mila allevamenti. Sullo sfondo, un consumatore disposto a pagare di più per la provenienza nazionale e la garanzia di qualità. Il premier Renzi presenta il decreto al World Milk Day.La soluzione sembra dunque essere l’obbligo dell’indicazione di origine. Una promessa che ha impegnato il premier Matteo Renzi e al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, al World Milk Day di ieri organizzato dalla FAO, che ha visto scendere in piazza a Milano migliaia di allevatori da tutto il Paese. In questa occasione è stato presentato infatti il Decreto sull’etichettatura obbligatoria del latte e dei derivati, come formaggi o yogurt, già inviato a Bruxelles.

 

Nove italiani su 10 vogliono sapere l’origine: per l’italiano di paga il 20% in più

La questione non è secondaria, visto che il 67% dei consumatori pagherebbe fino al 20% in più per un latte italiano, e il 12% spenderebbe anche di più. Il consumatore oggi vuole, pretende trasparenza. Secondo una consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, in oltre 9 casi su 10 gli italiani considerano “molto importante” che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione.

In questo quadro apparentemente favorevole per la produzione nazionale, l’Italia è diventata il maggiore importatore di latte nel mondo con il risultato che oggi tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti nel nostro Paese provengono dall’estero, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o cagliate straniere. Difficile però saperlo, perché non è obbligatorio riportare la provenienza in etichetta. È quanto emerge dallo studio Coldiretti “Il latte italiano, un primato da difendere” presentato alla Giornata del latte italiano a Milano.

 

I numeri del latte in Italia

I consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 una media di 48 litri di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi, con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche da islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.

Sul fronte della produzione, abbiamo 33mila allevamenti e 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia, per una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte dall’estero.

Una produzione quella nazionale, secondo Coldiretti “garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione”. Ma sono ancora di più, 488, i formaggi italiani tradizionali censiti dalle regioni perché ottenuti secondo metodi mantenuti inalterati nel tempo. Il settore impiega 120mila persone nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano.

Una qualità costantemente minacciata: da una parte dagli oltre 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, che sono imbustati o trasformati industrialmente per diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno secondo Coldiretti avrebbero superato il milione di quintali le cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10 per cento dell’intera produzione italiana. Dall’altra all’estero, dove i formaggi Made in Italy hanno fatturato ben 2,3 miliardi (+5%) nel 2015, dove dilaga il fenomeno dell’Italian Sounding e del’agropirateria internazionale.

 

La Ue consente l’etichetta, previa consultazione popolare

Secondo Coldiretti, l’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, dei formaggi o dello yogurt non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali. “In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Anche l’Ue ha dato il feu rouge all’etichettatura d’origine, con il regolamento comunitario N.1169 del 2011, entrato in vigore il 13 dicembre del 2014, che consente ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti, previa con consultazione con parere favorevole da parte dei cittadini.

Un circolo virtuoso che ha visto già impegnati, oltre al ministero, anche alcuni enti locali e insegne della grande distribuzione. Ne son una prova le iniziative, già segnalate, di Carrefour (leggi Carrefour e Regione Piemonte, accordo sul latte a Km zero: nasce “Piemunto”) in Piemonte e Coop in Lombardia (leggi Coop dà sostegno al latte italiano con promozioni e 10mila quintali di acquisti in più).

Coop dà sostegno al latte italiano con promozioni e 10mila quintali di acquisti in più

La presentazione delle iniziative a favore del latte italiano con Marco Pedroni, Presidente Coop Italia, e Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, all’Ipercoop di Mantova insieme ai fornitori e agli allevatori delle filiere Coop della zona.

Dare sostegno a un settore in difficoltà promuovendo il latte italiano: questo il senso delle due iniziative di Coop che partecipa attivamente alla campagna di comunicazione e valorizzazione del latte Made in Italy varata una settimana fa da tutta la grande distribuzione. L’operazione rientra tra gli strumenti di attuazione dell’Accordo di filiera siglato con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali dalle organizzazioni agricole, dall’industria e dalla grande distribuzione a novembre.

In aprile è attiva “Scegli Tu” su prodotti a marchio Coop con il latte al centro, a maggio sarà la volta di una promozione straordinaria con uno sconto importante che va a premiare l’intera linea del latte Coop: un latte che proviene interamente da allevamenti italiani, con la filiera tracciata (38 allevamenti e 10 mangimifici), Ogm-free, sottoposto a controlli rigorosi e a un sistema di garanzie certificato. Coop commercializza nella sua rete vendita 80.000 tonnellate di latte fresco ogni anno, di cui circa il 50% a proprio marchio.

Coop inoltre riconosce da sempre ai propri allevatori condizioni contrattuali vantaggiose a fronte di specifici capitolati che includono una particolare attenzione all’alimentazione degli animali. Mangimi privi di OGM, senza proteine e grassi animali, assieme agli altri alimenti prodotti dagli stessi allevatori (fieno, insilato di mais, ecc..), contribuiscono a produrre un latte crudo dalle caratteristiche microbiologiche di ottima qualità. Per queste peculiarità Coop riconosce un premio ai produttori che supera il 20% del valore del mercato del latte crudo.

Sullo sfondo un comparto, il lattiero caseario, in difficoltà. «Difficoltà acuite dall’eccesso di offerta di queste settimane. Noi diamo un ulteriore sostegno alla valorizzazione di questa importante filiera con azioni di promozione straordinaria sull’intera linea di latte fresco e microfiltrato a marchio Coop che proseguiranno fino a metà maggio – ha commentato Marco Pedroni Presidente Coop Italia -. Nel complesso prevediamo un aumento degli acquisti di Coop di circa 10.000 quintali di latte».

L’iniziativa è stata apprezzata dal ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha dato un quadro della situazione: «L’aumento degli acquisti è un segnale fondamentale per i nostri allevatori, così come è importante che i consumatori possano individuare con facilità i prodotti grazie al logo “100% latte italiano”. Il Governo va avanti nelle politiche di sostegno al settore, dopo aver ottenuto la moratoria per 30 mesi dei debiti degli allevatori e aver ridotto la pressione tributaria del 25%. Non ci fermiamo e chiediamo anche all’Europa di dare risposte strutturali a una crisi che è europea».

 

 

Carrefour e Regione Piemonte, accordo sul latte a Km zero: nasce “Piemunto”

Valorizzare tutti i prodotti realizzati con latte proveniente dagli allevamenti piemontesi: è il senso della campagna della Regione Piemonte “Piemunto”  cui ha aderito, primo tra gli attori della Gdo, Carrefour Italia.

L’insegna francese ha firmato un accordo che prevede che tali prodotti siano contrassegnati dal logoPiemuntonato lo scorso 14 marzo su iniziativa della Regione Piemonte, in più di 100 punti vendita ad insegna Carrefour della regione. Si tratta di più di 150 referenze che spaziano dal latte, allo yogurt, ai formaggi, e che saranno sottoposti a stringenti controlli di qualità da parte degli enti certificatori e della Regione Piemonte.

“Il senso di Piemunto è il forte legame che il marchio crea con il territorio. Vale per il latte e i formaggi, ma in generale anche per il vino, il riso, e tanti altri prodotti. Non siamo per il protezionismo: siamo per iniziative che aumentino la trasparenza della filiera di un prodotto, in modo che il consumatore possa scegliere con maggior consapevolezza. Questo rappresenta anche un elemento di maggior competitività e valorizzazione del Piemonte” ha dichiarato Sergio Chiamparino, Presidente della Giunta della Regione Piemonte.

Un accordo secondo Grégoire Kaufman, Direttore Commerciale e Marketing Carrefour Italia, che “va nella direzione che stiamo perseguendo da tempo, ovvero valorizzare la qualità dei prodotti di filiera italiana, garantendo in questo modo un’offerta di eccellenza per i propri clienti e, nel contempo, sostenendo i piccoli medi produttori italiani nel fronteggiare un momento ancora difficile per molti di loro”.

Sullo sfondo, le grosse difficoltà che in tutta Europa sta vivendo il settore lattiero caseario e in particolare gli allevatori, messi in difficoltà da prezzi bassissimi. “Questa è anche una risposta alle richieste di aiuto avanzate dai produttori di latte e dai trasformatori piemontesi di fronte alle grosse difficoltà in cui versa il settore. Il Piemonte produce 10 milioni di quintali di latte all’anno, di cui due milioni sono trasformati in formaggi Dop. La valorizzazione della qualità del latte piemontese – ha spiegato Giorgio Ferrero, Assessore dell’Agricoltura e promotore dell’iniziativa –  è un passaggio fondamentale per fare fronte alla forte concorrenza che viene anche da tante parti dell’Europa. Con questa campagna la Regione continua nella sua politica di sostegno e valorizzazione delle nostre produzioni e consegna al settore uno strumento di promozione che può dare una mano concreta al mercato lattiero-caseario piemontese”.  

Un sistema virtuoso che potrebbe essere adottato in futuro anche da altre regioni italiane.

Quote latte addio. La competizione è senza rete

Dopo poco più di trent’anni si chiude il capitolo delle quote latte. Da domani primo aprile, infatti, il mercato europeo del latte spariranno le protezioni  di cui hanno goduto molti Paesi e che in Italia ha sollevato le proteste degli agricoltori, di cui si era fatta interprete la Lega di Bossi con le marce, le occupazioni delle strade, le azioni plateali e dall’altro ha alimentato la compravendita di quote tra allevatori, che sono state più volte sanzionate dalla Commissione europea. Alla fine, però ha prevalso la linea di Bruxelles verso l’eliminazione degli aiuti e il dispiegamento del mercato libero.

Introdotto per la prima volta nel 1984, in un momento in cui la produzione dell’UE eccedeva di gran lunga la domanda, il regime delle quote ha rappresentato uno dei primi strumenti creati per superare le eccedenze strutturali. Le successive riforme della politica agricola comune dell’UE hanno orientato il settore sempre più al mercato e, in parallelo, hanno fornito una serie di strumenti più mirati per contribuire a sostenere i produttori in zone vulnerabili, come quelle montuose, dove i costi di produzione sono più elevati. La decisione sulla data ultima per l’abolizione dei contingenti è stata presa per la prima volta nel 2003, in modo da fornire maggior flessibilità ai produttori dell’Unione per soddisfare l’aumento della domanda, soprattutto sul mercato mondiale. La data è stata riconfermata nel 2008, accompagnata da un ventaglio di misure intese a realizzare un cosiddetto «atterraggio morbido».

Per il sistema agricolo italiano, che già ora produce11 milioni di tonnellate di latte e ne importa poco meno di 9 milioni, è un cambiamento importante – ma proprio per i motivi di cui sopra non certamente inaspettato o improvviso – perché il confronto con i produttori degli altri Paesi europei diventa senza rete di protezione e quindi tutto si gioca sulla competitività. Non solo di prezzo, che pure rimane un aspetto  importante, dato che la remunerazione degli agricoltori è un fattore di salvaguardia del sistema agricolo italiano.

Resta il fatto che il prezzo del latte in Italia è superiore alla media Ue e a quello di molti Paesi produttori ed esportatori. Anche sul versante della qualità, se è vero che quello italiano è riconosciuto di altissima qualità,la gran parte del latte prodotto viene venduto come latte fresco o serve per la produzione di formaggi Dop. Ma a sentire alcuni produttori di formaggi non a denominazione, il controllo qualità delle cagliate provenienti dal nord Europa unitamente alla tipologia di allevamenti assicura un prodotto di buon livello. A un prezzo inferiore a quello prodotto in Italia, che attualmente viaggia intorno ai 35 centesimi al litro.

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Per gli agricoltori, peraltro, è un prezzo che non ripaga i costi di produzione e, anche per la dimensione aziendale, non consente di fare investimenti. Si ripete, anche in questo caso, il mantra del nanismo delle imprese italiane che non riescono a competere con quelle estere più grandi, in un mercato dalle porte aperte.

Per contrastare in parte il ribasso dei prezzi, a febbraio Conad aveva annunciato di aver fissato a 38 centesimi al litro il prezzo del latte alla stalla per i prodotti a proprio marchio. «Siamo preoccupati per la crisi che sta affossando il settore – aveva dichiarato l’amministratore delegato Francesco Pugliese -. Conad, nella contrattazione con i fornitori per quanto riguarda il latte, i formaggi e i latticini a proprio marchio, ha ritenuto di fissare il prezzo da pagare per l’acquisto di latte alla stalla a 0,38 euro/litro, prezzo da cui partire per fissare il prezzo del prodotto finito. Una decisione maturata per superare le tensioni che stanno crescendo nel mercato, perché ritiene sia una questione di equità, per valorizzare l’italianità dei prodotti. La nostra è solo una tappa necessaria – aveva poi aggiunto – in attesa che si apra una riflessione generale su tutta la filiera. Ogni attore della filiera deve sentirsi responsabilizzato a garantire il futuro ad un comparto strategico per l’agroalimentare italiano, oggi a rischio di emarginazione, operando di comune accordo per ammodernarlo e migliorarlo».

Sull’altro fronte, Coldiretti denuncia che “solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta al regime delle quote latte lasciando in vita in Italia solo 36mila allevamenti e con il pericolo che il prevedibile aumento della produzione comunitaria possa scatenare una vera invasione straniera in Italia, dove si importa già quasi il 40 per cento dei prodotti lattiero caseari consumati”.

Secondo Coldiretti il prezzo pagato agli allevatori è aumentato di poco più 10 centesimi mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro, a valori correnti. In altre parole oggi gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. Ma soprattutto il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali con effetti sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani.

«Questa situazione è determinata dal fatto che in Italia esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono» ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che «questa situazione rischia di aggravarsi con la fine del regime delle quote latte e non è un caso che nel mese di marzo comportamenti scorretti nel pagamento del latte agli allevatori hanno portato prima in Spagna e poi in Francia alla condanna da parte dell’Antitrust delle principali industrie lattiero casearie, molte delle quali, peraltro, operano anche sul territorio nazionale (il riferimento è a Lactalis, ndr) dove invece c’è  un “silenzio assordante” da parte dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del mercato».

Come corollario non secondario resta la questione della indicazione di provenienza del latte. «In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Ad oggi in Italia – continua la Coldiretti – è obbligatorio indicare la provenienza del latte fresco ma non per quella a lunga conservazione ma l’etichetta è anonima anche per i formaggi non a denominazione di origine, per le mozzarelle e gli yogurt.

Tuttavia l’abolizione del regime delle quote latte può costituire motivo di riorganizzazione della filiera produttiva, favorendo accorpamenti e fusioni tra imprese agricole, per far fronte anche all’aumento della domanda prevista nei prossimi anni.

Phil HoganSecondo il Commissario UE per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan (nella foto) : «L’abolizione delle quote latte è al tempo stesso una sfida e un’opportunità per l’Unione. La possiamo considerare una sfida, in quanto un’intera generazione di produttori di latte dovrà abituarsi a vivere in un ambiente completamente nuovo, segnato sicuramente da una certa volatilità. Ma al tempo stesso rappresenterà indubbiamente un’opportunità in termini di crescita e di posti di lavoro. Grazie a una maggiore attenzione sia ai prodotti a valore aggiunto sia agli ingredienti per alimenti «funzionali», il settore lattiero-caseario ha tutto il potenziale per diventare un motore economico per l’UE. Le zone più vulnerabili, per le quali l’abolizione delle sistema della quote può essere considerata una minaccia, possono beneficiare della gamma di misure di sviluppo rurale legate al principio di sussidiarietà».

Nonostante le quote, negli ultimi 5 anni le esportazioni UE di prodotti lattiero-caseari sono aumentate del 45% in volume e del 95% in valore. Le proiezioni di mercato indicano che le prospettive di crescita per il futuro rimangono forti — in particolare per quanto riguarda i prodotti a valore aggiunto quali i formaggi, ma anche per gli ingredienti utilizzati nei prodotti alimentari, nutrizionali e sportivi.

L’addio alle quote latte, però lascia un’eredità pesante: sono le multe comminate da Bruxelles per 4,5 miliardi di euro che, ha affermato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, sono costate più di 70 euro a ogni cittadino italiano.

Filiale commerciale in Cina per Granarolo

L’apertura della prima filiale commerciale in Cina a Shangai è per Granarolo, il più importante operatore dell’agroalimentare a capitale italiano (993 milioni di euro di fatturato nel 2013), un presidio diretto  in un’area con dinamiche molto interessanti di sviluppo e di crescita. L’azienda già esporta in Cina latte UHT, mascarpone e formaggi (mozzarelle).

Il mercato cinese, infatti, negli ultimi 5 anni ha registrato un tasso medio di crescita delle importazioni di beni alimentari superiore al 20% e si stima che entro il 2018 possa diventare il maggiore mercato di importazione di generi alimentari con un valore di oltre 80 miliardi di dollari.

L’apertura della filiale di Shanghai è inokltre un primo passo verso ulteriori possibilità di investimento e sviluppo sul territorio e si inserisce in un piano di sviluppo commerciale sul mercato cinese, caratterizzato da un’importante domanda di prodotti alimentari (latte e derivati) che rispondano a elevati requisiti, in particolare sotto il profilo della sicurezza alimentare, oltre che sotto il profilo della qualità e della genuinità.

In questi giorni il Gruppo Granarolo espone al World of Food Beijing la fiera internazionale dell’alimentazione, con l’obiettio di accelerare lo sviluppo del business nel Far East.

Cresce il consumo di bevande: tè e acqua in bottiglia al top

chart2-zenithÈ il tè è il liquido più bevuto al mondo, e anche quello con i tassi di crescita maggiori, seguito dall’acqua in bottiglia e dal latte: lo rivela l’analisi sui volumi globali di 24 categorie di bevande, alcoliche e non, stilata da Zenith International, società britannica di consulenza del food and beverage.

Complice la crescita economica globale, negli ultimi dieci anni gli acquisti di bevande in 72 Paesi (bevande alcoliche, latte, bevande calde e fredde) sarebbero aumentati del 42% nel 2013 rispetto al 2003, mentre la popolazione mondiale è aumentata “solo” dell’11%.

I dati, riuniti nel database (a pagamento) globaldrinks.com, parlano in particolare di una crescita negli ultimi cinque anni del consumo di acqua in bottiglia e tè, che da soli coprono più di metà (55%) del consumo totale. Di Camellia sinensis, dalle cui foglie si ricava la bevanda più diffusa in assoluto, se ne sono consumati 62 miliardi di litri in più. Mentre l’acqua in bottiglia in cinque anni ha visto un aumento di 83 miliardi di litri. A sorpresa, al terzo posto spicca il latte, con una crescita di 20 miliardi di litri tanto da superare le bevande gassate. Segue il caffè, con 16 miliardi di litri in più consumati, che gli hanno permesso di scavalcare in questa particolare classifica la più blasonata birra.

L’incremento dei consumi ha riguardato in misura minore anche altre categorie: succhi a basso contenuto di frutta, bevande gassate, birra, succhi di frutta con contenuto tra il 5 e il 25% e tè freddo.

L’andamento dei consumi potrebbero essere spiegato da una maggiore ricerca di salutismo, ad esempio, oppure dalla migrazione da alimenti solidi verso bevande energetiche come il latte.

“Quando si esaminano i dati degli ultimi cinque anni emergono due dati – ha commentato l’Ad di Zenith Richard Hall.  “Il primo è che le bevande gassate sono passate dietro il latte, che è salito al terzo posto. Il secondo che il caffè ha superato la birra. Va poi sottolineata l’ampiezza della scelta a disposizione dei consumatori al giorno d’oggi, con l’aumento di gusti, miscele, formati e dolcificanti, ma anche dei canali di vendita. Per il 2018 prevediamo un aumento ulteriore del 17% e il superamento dei due trilioni di litri di bevande consumate nel mondo”.

 

Anna Muzio

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