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Legumi, quotazioni all’ingrosso raddoppiate nell’ultimo ventennio

Da quanto emerge dalle elaborazioni di BMTI sui dati rilevati nei mercati all’ingrosso della rete Italmercati, nell’ultimo ventennio sono raddoppiati i prezzi all’ingrosso dei legumi principalmente consumati: lenticchie, fagioli borlotti, fave e ceci.


Tra le cause, due fattori: da una parte l’aumento del consumo di questi prodotti a favore di regimi alimentari che prediligono proteine vegetali; dall’altro, un aumento del consumo legato allo stabilizzarsi in Italia di diverse popolazioni che hanno mantenuto le loro tradizioni culinarie in cui è previsto un alto utilizzo di legumi.

Per far fronte all’aumento della domanda, anche la produzione italiana degli ultimi venti anni è nettamente aumentata.

Sebbene quelle dei legumi siano quotazioni piuttosto regolari e non soggette a bruschi cambiamenti, per alcuni di essi i prezzi sono più che raddoppiati negli ultimi venti anni. In particolare quelli delle lenticchie, che nel 2005 erano intorno ai 0,80 euro/Kg, nel 2022 hanno raggiunto quasi i 2,00 euro/Kg. Raddoppiati anche i prezzi dei fagioli borlotti che da 1,10 euro/Kg nel 2005 a quasi 2,00 euro/Kg nel 2022 mentre per i ceci è stato registrato un picco dei prezzi intorno al 2018 a causa di una forte siccità che ha coinvolto il Messico e altri Paesi del Nord America, rientrato negli anni successivi e riconducendo il prezzo da 2,70 euro/Kg ai 2,00 euro/kg.

La distribuzione moderna tutela il potere d’acquisto degli italiani

In un anno caratterizzato da molte criticità – dall’inflazione più alta degli ultimi trent’anni alla guerra in Ucraina, dal caro energia alle problematiche in alcune catene di approvvigionamento – la Distribuzione Moderna ha investito notevoli risorse per tutelare il potere d’acquisto degli italiani, trasferendo solo in parte i rincari della filiera sui consumatori. Le aziende distributive hanno assorbito una parte molto significativa di aumento dei prezzi per un valore di 3,9 miliardi di euro, consentendo un risparmio medio per famiglia fino a 77 euro al mese.

Il dato emerge dal Position Paper L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico della Distribuzione Moderna, realizzato da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna, di cui è stata presentata un’anticipazione ieri a Milano nell’ambito della conferenza stampa dedicata al convegno che aprirà la fiera Marca by BolognaFiere 2023, in programma a Bologna il 18-19 gennaio. Il paper sarà presentato integralmente nel corso del convegno inaugurale di Marca mercoledì 18 gennaio a cui ha già confermato l’intervento in presenza il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, On. Francesco Lollobrigida, e, in videocollegamento, il Viceministro delle Imprese e del Made in Italy, On. Valentino Valentini.

L’analisi del paper delinea l’importanza fondamentale del settore distributivo italiano nella filiera agroalimentare: è responsabile dell’80% degli acquisti attraverso una rete di 25mila punti vendita e sui 600 miliardi di euro di fatturato complessivi della filiera (50 miliardi dei quali derivanti dall’export), 155 miliardi sono generati dalle aziende della Distribuzione Moderna, con un valore aggiunto diretto di 25,6 miliardi.

Nel complesso, la Distribuzione Moderna contribuisce al valore aggiunto italiano per oltre 52 miliardi di euro; questo dato include quello generato direttamente (25,6 miliardi), quello indiretto (21,3 miliardi), cioè derivante dalle filiere di fornitura e subfornitura, e il valore indotto (5,2 miliardi) generato dagli occupati nella Distribuzione Moderna e nelle filiere attivate.

Significativo anche il sostegno del settore all’occupazione in tutte le aree geografiche della Penisola, da Nord a Sud, dalle città ai piccoli centri, grazie alla presenza omogenea dei punti vendita su tutto il territorio nazionale. In particolare, nel Mezzogiorno il settore è al 4° posto per incidenza degli assunti, e in termini di lavoro femminile e giovanile registra rispettivamente un +32% e +67% degli occupati rispetto alla media nazionale. Complessivamente, con un aumento di oltre 58mila occupati dal 2013 al 2021 (6º settore economico su 245 in Italia per crescita occupazionale dal 2013), la Distribuzione Moderna ha circa 440mila occupati diretti (+3,1% vs 2019) e sostiene una rete di 3,3 milioni di addetti, considerando anche le filiere attivate.

“Negli ultimi anni, tra Pandemia e caro vita, la Distribuzione Moderna ha dimostrato di essere un asset strategico dell’economia del Paese, sia per il valore aggiunto che riesce a generare sia per il contributo occupazionale, in particolare di giovani e donne”, afferma Marco Pedroni, Presidente di ADM. “Ha dimostrato inoltre di essere un attore responsabile della filiera: nell’anno appena trascorso ha contribuito significativamente al contenimento della spinta inflattiva sui prodotti alimentari, assorbendo una parte dei rincari e tutelando così il potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito, quelle su cui pesano maggiormente gli aumenti. Un ruolo di calmiere sociale che continua a svolgere per quanto possibile, ma che vista l’impennata inflattiva deve vedere l’impegno non solo di tutta le imprese del largo consumo, ma anche delle istituzioni. E’ innegabile la necessità di un’azione del Governo di sostegno dei consumi, a favore in particolare delle famiglie più fragili. Un Paese che vuole tornare a crescere è necessario adotti una adeguata politica di sostegno dei consumi che rappresentano oltre il 60% del PIL del Paese”.

Il Convegno sarà l’occasione per fare un punto sul mercato della Marca del Distributore (MDD), quest’anno anche grazie a una survey condotta tra alcuni dei principali business leader del settore e delle aziende MDD partner.

Dai dati elaborati emerge il ruolo determinante della MDD nel contenimento dei prezzi al consumo. Secondo le stime di The European House – Ambrosetti, sui dati messi a disposizione da IRI, a fine 2022 il fatturato della Marca del Distributore è pari a 12,8 miliardi di euro (+9,4% rispetto al 2021) con una quota di mercato del 20,8%, quasi raddoppiata rispetto al 2003. La MDD ha anche consentito un effetto di democratizzazione della spesa alimentare, coniugando la convenienza all’elevata qualità e a un approccio sempre più sostenibile, come confermato dal 72% dei consumatori (da survey IPSOS ai consumatori italiani, 2022).

“La MDD ha progressivamente conquistato la fiducia dei consumatori che la percepiscono come una risposta affidabile e soddisfacente alla ricerca di un buon rapporto qualità-prezzo – commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. Il progressivo apprezzamento ha favorito anche la crescita economica di molte medie e anche piccole aziende fornitrici, arrivando a determinare il 60% dell’incremento del fatturato dell’industria alimentare nel mercato domestico”.

Dall’analisi dei bilanci di 651 aziende espositrici a Marca, emerge che tra il 2013 e il 2021 le aziende MDD partner hanno avuto performance migliori rispetto alla media dell’industria alimentare e, secondo la survey realizzata da The European House – Ambrosetti e somministrata, in collaborazione con BolognaFiere, agli MDD partner espositori a Marca 2023, la tendenza si conferma per l’anno appena concluso: 7 aziende su 10 dichiarano un aumento di fatturato, di cui il 27,1% in un range tra il 10-20% e il 24,1% tra il 20-30%. Questo grazie anche alle relazioni di lungo periodo instaurate con le aziende della Distribuzione Moderna: oltre un terzo del campione dichiara di avere contratti di collaborazione superiori agli 8 anni.

La conferenza stampa è stata anche l’occasione per presentare il programma della diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere, organizzata in collaborazione con ADM e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna. Marca by BolognaFiere è l’unica fiera dedicata alla marca commerciale in Italia, la grande vetrina dove si espongono i prodotti food e non food dell’eccellenza italiana a Marca del Distributore. La manifestazione è anche l’unica a livello internazionale a offrire un grande spazio espositivo alle 22 principali insegne della Distribuzione Moderna che siedono nel Comitato Tecnico Scientifico della fiera. Un’occasione importante per andare alla sostanza del business, toccare con mano i prodotti e chiudere i contratti tra aziende di qualità e i retailer interessati a proporre prodotti con il proprio marchio. La diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere si annuncia già in crescita, con oltre 900 espositori e centinaia di buyer di altissima qualità provenienti da tutto il mondo.

“Marca by BolognaFiere è la prima fiera dell’anno – afferma il Presidente di BolognaFiere, Gianpiero Calzolarie si sta ormai affermando come una delle fiere più importanti dell’agroalimentare. La sua formula molto smart e molto veloce, due giorni di business puro, continua a incontrare sempre più interesse nelle catene distributive e nelle aziende che producono. Siamo orgogliosi di offrire ogni anno la sede più autorevole dove stringere accordi tra chi compra e chi vende, favorire la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese grazie ai rapporti con le insegne della Distribuzione Moderna”.

 

Italiani e il Natale, il budget spesa sarà lo stesso del 2021

Nell’analisi “Lo stato del Largo Consumo in Italia” NielsenIQ evidenzia mensilmente lo scenario dei consumi e delle abitudini di acquisto delle famiglie italiane nella Grande Distribuzione Organizzata. I dati relativi ai mesi di settembre e ottobre sono arricchiti da un focus sul Natale, dedicato a budget, prodotti e canali scelti dagli italiani.

Stando alla ricerca realizzata da NielsenIQ, il mese di settembre 2022 registra un fatturato della distribuzione totale in Italia pari a 12,1 miliardi € con un andamento positivo del +9,2%. Nel mese di ottobre invece il fatturato è di 9,5 miliardi € con un trend per il totale Italia Omnichannel pari al +7,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

In questo contesto, nel bimestre considerato l’inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, si attesta al +11,6% per il mese di settembre e sale al +13,7% ad ottobre. L’impatto dell’inflazione sulla scelta delle categorie di prodotti da acquistare è cresciuto tra il mese di settembre e quello di ottobre. Nello specifico, a settembre si è concretizzato in una riduzione pari allo 0,5% del mix del carrello della spesa degli italiani, portando la variazione reale dei prezzi all’11,1%. Un dato in crescita nel mese di ottobre, in cui il mix varia dell’1,2% e i prezzi del 12,5%.

Come si preparano al Natale gli italiani
Anche quest’anno sarà un Natale particolare: allentate le restrizioni dovute alla pandemia, i consumatori si trovano oggi a dover fronteggiare il costante aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari. Ciononostante, stando alla ricerca svolta da NielsenIQ, la maggior parte degli Italiani rimane entusiasta del Natale (67%) e desidera godersi il momento, festeggiando con la famiglia e con gli amici secondo la tradizione.

La spesa prevista per le prossime festività è uguale o più alta rispetto a quella dell’anno scorso. Il 58% delle famiglie dichiara che il proprio budget è rimasto invariato rispetto al 2021, mentre il 33% pensa che spenderà di più. Il 31% dei consumatori invece è più cauto e cercherà di limitare i propri acquisti.

A livello di prodotto, guidano la classifica di Natale i dolci natalizi (65%), il formaggio (57%) e il pane (55%). Il comparto Pescheria, che nell’ultimo bimestre ha registrato un trend negativo con un calo del 6,2% a settembre e del 5,4% ad ottobre, risulta finalmente in ripresa in vista delle festività: il 31% degli intervistati dichiara infatti che, tra i prodotti premium, acquisterà soprattutto pesce fresco e frutti di mare.

Per quanto riguarda i canali distributivi, i consumatori italiani dichiarano che per le festività spenderanno il 21% del proprio budget nei Supermercati, il 18% negli Ipermercati e il 16% nelle Botteghe, sacrificando in parte il Discount, che raccoglierà solo il 9% del favore degli italiani, frenandone il trend di costante crescita registrato sia a settembre (+11,4%) sia ad ottobre (+10,4%).

Inflazione alimentare: +16,6% rispetto al 2021

L’indagine condotta da Unioncamere con la collaborazione di BMTI e REF Ricerche prospetta una crescita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto della GDO all’industria alimentare del +2,2% nel bimestre ottobre-novembre, portando così i prezzi su di un livello atteso pari al +16,6%, rispetto allo stesso bimestre del 2021.

A settembre si è rilevato un aumento del +1,2% per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, con rincari evidenti per il tonno all’olio di oliva (+6,1%), la carne in scatola (+5,1%), la birra nazionale (+4,8%) e i biscotti (+4,0%). Su base annua l’incremento è del +15,3%, con i rialzi maggiori per la farina di grano tenero (+37,0%), il tonno all’olio di oliva (+31,9%), la pasta di semola (+29,1%). Marcata anche la crescita negli oli e grassi per burro (+22,7%) e olio extravergine di oliva (+19,8%).

Le indicazioni fornite dalle Centrali di Acquisto della GDO prospettano significativi aumenti anche per il bimestre ottobre-novembre. Nello specifico, ci si attende un aumento per l’olio extravergine di oliva (+8,2%), su cui pesano anche le attese di una netta contrazione produttiva, tonno all’olio di oliva (+7,6%), birra nazionale (+7,3%) e carne in scatola, cresciuta del +6,7%. In calo solo l’olio di semi vari (-1,7%), complice il rientro, negli ultimi mesi, dai picchi raggiunti dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Su base annua, l’inflazione attesa per il bimestre è pari al +16,6%, con i rincari maggiori previsti per olio di oliva (+43,6%), tonno all’olio di oliva (+37,9%), pasta di semola (+34,2%), farina di grano tenero (+33,8%) e olio extravergine di oliva (+29,0%). Significativi anche gli aumenti annui attesi per i formaggi freschi (+19,8% per la mozzarella di latte vaccino, +21,2% per lo stracchino) e i formaggi molli (+16,3% per il Gorgonzola, +17,4% per il Provolone), sulla scia dei rialzi del costo del latte e dell’energia.

Le anticipazioni raccolte sui prezzi pagati dalle Centrali d’Acquisto della GDO all’industria alimentare suggeriscono che l’inflazione alimentare al consumo, a causa dei rincari delle materie prime energetiche, rimarrà sostenuta su valori superiori al 10% sino alla fine del 2022. Per la media dell’anno 2022 la previsione è ora all’8,4%.

Nei dati preliminari di Istat per il mese di ottobre, l’inflazione alimentare al consumo, rispetto allo scorso anno, ha già raggiunto il +13,1%, in accelerazione dal +11,4% di settembre.

Pressione economica alle stelle, si torna ai comportamenti degli anni ’70/’80

IRI divulga l’aggiornamento dell’analisi semestrale “FMCG Demand Signals”. Il nuovo studio mette in luce alcuni cambiamenti significativi del modo in cui i consumatori stanno affrontando le difficoltà che oggi caratterizzano l’economia globale. Nel corso del 2022, con l’intensificarsi delle pressioni inflazionistiche determinate dalla volatilità dei costi energetici, dalla scarsità di materie prime e dai costi di produzione, il reddito delle famiglie e la fiducia dei consumatori ha oggi raggiunto livelli critici in molti tra i principali mercati europei.

“FMCG Demand Signals” di IRI include informazioni relative a ben oltre 230 categorie del Largo Consumo, per oltre 2000 segmenti di prodotti e più di 10 milioni di referenze vendute negli Stati Uniti e in molti dei più grandi mercati europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi) e dell’Asia del Pacifico. Lo studio – basato sugli acquisti effettuati nei punti di vendita durante l’anno terminante a luglio 2022 e su una ricerca condotta sui consumatori – evidenzia che il deterioramento del reddito disponibile sta affliggendo principalmente le famiglie di fascia medio-bassa in tutti i paesi coinvolti dall’analisi. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti oggi la situazione finanziaria è peggiore di quella rilevata in Slovenia.

Il Largo Consumo Confezionato nel 2022 è cresciuto dell’1,5%, con un aumento di 9 miliardi di euro in termini di spesa; incremento che nel 2021 aveva raggiunto un +3%. Nonostante questo rallentamento della crescita, i dati di inizio anno mostrano uno slancio positivo: le vendite a valore infatti avevano raggiunto il +2,6% nei primi mesi del 2022, trainate principalmente dall’inflazione ma anche dalla ripresa della domanda in seguito all’allentamento delle restrizioni e alla ritrovata mobilità dei consumatori che sono tornati in ufficio (anche se meno rispetto al pre-Covid, come ad esempio in Italia), in vacanza e viaggiano regolarmente.

Andando ad analizzare più nel dettaglio, le categorie che spingono la crescita nel 2022 sono i surgelati, i freschi, gli “ambient”, le bevande e il cura persona; questo incremento però è stato parzialmente compensato dalla flessione delle vendite di alcolici (- 5%) e dei prodotti per la cura della casa (- 0,2%).

“Il continuo calo delle vendite in termini di volumi come risposta all’inflazione è un primo indicatore di debolezza nella domanda di beni di Largo Consumo”, ha commentato Ananda Roy, International Senior Vice President, Strategic Growth Insights di IRI. “I costi produttivi e di filiera sono in aumento, per questo Industria e Distribuzione sono costrette ad esplorare nuove vie per cercare di andare incontro alle famiglie in questo periodo di difficoltà e continuare a stimolare la domanda. Stiamo assistendo al più grande cambiamento del comportamento dei consumatori in oltre cinque decenni: oggi gli shopper acquistano chiedendosi “Ne ho davvero bisogno?”, “Possiamo permetterci di fare una scelta sostenibile?” e con la convinzione che “Ne uso meno, così spreco meno”.

Principali evidenze a livello europeo

• Oltre la metà dei consumatori sta vivendo una situazione di crisi: il 61% dei consumatori intervistati da IRI è preoccupato per l’impatto che questa crisi avrà sul loro stile di vita e il 71% ha già apportato modifiche al modo in cui acquista e utilizza i prodotti di uso quotidiano. Il 58% ha ridotto alcuni elementi essenziali (diminuendo gli spostamenti in macchina, saltando dei pasti e spegnendo il riscaldamento) ed il 35% sta utilizzando i propri risparmi personali e chiedendo prestiti per pagare le bollette.

• Le persone capiscono quello che sta accadendo nel mercato e sanno quali comportamenti adottare in risposta: il 74% dei consumatori è cosciente di quali siano i fattori determinanti il rialzo dei prezzi e il 69% afferma di essere in grado di prevedere l’impatto che l’inflazione avrà sulle proprie finanze.

• I consumatori si stanno adattando – Gli shopper scelgono dove acquistare per moderare gli effetti della crisi, sia cambiando i canali in cui acquistano, sia scegliendo una diversa insegna se il loro marchio di fiducia non è disponibile (26%), non è in promozione (34%) o se il negozio non ha una gamma di offerta sufficientemente ampia (41%).

• Gli shopper devono pensare al futuro per ottenere il miglior rapporto qualità-prezzo e rimanere nei limiti del loro budget – Pianificare la frequenza (è probabile che il 22% riduca le “shopping expeditions”) e la quantità di denaro da spendere (21%) sono cambiamenti che alcuni consumatori adotteranno nel modo di fare la spesa. Il 58% confronta più spesso i prezzi tra brand o prodotti simili e il 49% valuta la quantità di prodotto che deve effettivamente utilizzare (ad es. Detersivo in polvere per ogni lavaggio) per assicurarsi di utilizzarne il meno possibile. Questa ultima tendenza non si riscontra però in Italia dove il consumatore guarda al prezzo per confezione, indipendentemente da “sgrammature” e formulazioni.

• Le etichette svolgono un ruolo fondamentale: il 40% degli shopper cerca prodotti in sconto anche se in scadenza e il 41% legge le etichette sul pack per avere ulteriori informazioni relative ai prodotti. Il 27% cerca anche delle recensioni sui beni che acquista.

• I consumatori creano nuove occasioni, momenti e contesti di consumo: il 29% sta cambiando il luogo in cui consuma determinate referenze (a casa, fuori casa, all’aperto) ad esempio pranzando al sacco, invitando a casa gli amici per l’aperitivo, facendo la doccia in palestra, gustando caffè speciali tra le mura domestiche ed imparando a fare lo styling dei capelli a casa.

• Il luogo in cui mangiamo sta cambiando: poco più della metà degli shopper pensa di ridurre la home delivery di alimentari rispetto al passato (51%) e il 47% prevede di mangiare meno al ristorante o al bar. In aumento però (con il 49%) il numero di consumatori che intende cucinare più spesso cibo fresco a casa. Il 34% prevede anche di cucinare più frequentemente per prepararsi un pasto da consumare fuori casa e il 12% prevede di comprare più piatti pronti freschi da cucinare tra le mura domestiche.

• Più spazio per nuovi prodotti: in generale in molti paesi la scelta di un nuovo marchio per gli shopper diventa spesso una questione di prezzo (62%), di disponibilità immediata (49%) e di offerta promozionale a scaffale (37%). Cala l’importanza di qualità (15%), innovazione (8%) e comodità (8%). In Italia la qualità, per il consumatore, resta un fattore di scelta determinante. Nel nostro paese c’è una grande resistenza a mantenere uno standard qualitativo sufficiente concentrando al limite gli acquisti nel segmento core mainstream, e diminuendo i prodotti premium. Per gli operatori del settore l’obiettivo deve essere quello di offrire prodotti che rispondano alle nuove esigenze dei consumatori: ad esempio, proporre condimenti e ripieni “ambient” per pranzi al sacco, oppure distillati premiscelati e consegne più rapide per chi consuma i pasti in casa, nonchè formati diversi per le confezioni dei prodotti utilizzati in palestra.

• Le opzioni più sane e quelle a base vegetale convincono ancora alcuni consumatori (rispettivamente 24 e 22 percento) – Tuttavia i prodotti di un’azienda socialmente responsabile o un prodotto migliore per l’ambiente non sembrano essere in questo momento fattori principali di scelta (entrambi al 10%).

Ananda Roy ha inoltre commentato: “È evidente che la disponibilità dei consumatori a spendere diminuisce sempre più e la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente – con la prospettiva di ulteriori aumenti probabilmente dati dai costi energetici e produttivi – ma il dato positivo è legato al fatto che i consumatori hanno il controllo delle loro finanze e stanno adottando nuovi comportamenti che gli permettono di far fronte a questa situazione di difficoltà. Per anni sono stati abituati a volere e comprare sempre “di più” , con un’offerta di nuovi prodotti ed innovazioni in continua espansione, ma oggi il contesto è chiaramente cambiato”.

“Sono finiti i giorni in cui si faceva una grande spesa una volta alla settimana. Ci aspettiamo un aumento della frequenza di acquisti di prodotti must-have ma una ricerca di prodotti stagionali a prezzi più bassi. Per i consumatori si prospettano diverse decisioni difficili da prendere, di conseguenza produttori e distributori dovranno individuare delle strategie chiare e ben definite per rispondere alle mutate esigenze dei loro acquirenti”.

I morsi della crisi cambiano la spesa degli italiani

Rincari dei prezzi e delle bollette, inflazione in salita e timori per il futuro pesano sull’approccio degli italiani alla spesa domestica e si traducono in nuove strategie di shopping “saving oriented” in termini di scelta dei prodotti e dei canali distributivi. A delineare lo scenario del largo consumo è stato il workshop online “Largo consumo confezionato: evoluzione tra le rivoluzioni”, tenutosi ieri ed organizzato da GS1 Italy in ambito ECR e in collaborazione con IRI.

«Gli eventi degli ultimi due anni e mezzo hanno generato reazioni e conseguenze transitorie» ha spiegato Ilaria Archientini, ECR project manager di GS1 Italy. «Ma hanno anche evidenziato elementi più stabili nel tempo, a partire dalla grande capacità dei consumatori di affrontare le emergenze modificando il mix dei canali visitati, dei prodotti acquistati e l’adesione alle promozioni».

Diversi sono i fenomeni del 2022 rilevati dall’analisi di GS1 Italy e IRI come il calo del potere d’acquisto delle famiglie. L’esplosione dei prezzi delle materie prime, che si riflette sui prezzi finali dei prodotti (+5,8%) e l’aumento dei costi obbligati stanno determinando una forte diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, su cui pesano anche la salita dell’inflazione (+5,7%) e il minor ricorso della GDO alle promozioni (22,5% di quota sulle vendite, il 4,0% in meno rispetto al 2019).

Per risparmiare si cercano quindi canali commerciali più convenienti. L’e-commerce rallenta però la crescita (2,3% di quota, come nel 2021) in tutte le sue declinazioni, e in particolare nel click & collect (+0,5%). Le strategie di saving del consumatore spostano il mix dei consumi sempre più verso i discount (+12,2% il giro d’affari annuo), verso il libero servizio piccolo (+6,0%) e verso gli specialisti del drug – casa e persona (+4,4%). L’aumento generalizzato dei prezzi in tutti i canali commerciali (e in particolare nel discount) e la necessità di far fronte alle maggiori spese per le utenze domestiche incide pesantemente sulla spesa reale delle famiglie determinando un calo generalizzato e significativo dei volumi, soprattutto in ipermercati (-1,8%), supermercati (-1,3%) e superstore (-0,7%).

Il carrello della spesa è diventato più basic. La ricerca di convenienza da parte del consumatore è visibile anche analizzando la spesa per fascia di prezzo o di posizionamento del prodotto sullo scaffale con le vendite dei primi prezzi in crescita annua di +7,6%, quelle del mainstream di +6,7% e quelle dei prodotti premium in calo di -1,7%. L’aumento dei prezzi ha determinato un rallentamento del trading up del carrello della spesa, anche se i consumatori italiani hanno resistito finanziando gran parte dei rincari sino a fine agosto. È cambiata anche la scelta delle marche, perché i consumatori cercano un equilibrio tra prezzo e qualità. Nella GDO avanzano le private label, di cui cresce anche l’offerta a scaffale (17,4% di quota). I brand industriali, che sono tornati anche a fare innovazione e rinnovare la loro offerta, guadagnano spazio nei discount e negli specialisti casa e persona.

Infine emerge anche il dato degli scaffali più vuoti. Si registra una minor efficienza in termini di on-shelf-availability e, quindi, un aumento del tasso di Out-of-Stock in tutti i canali (3,8%) e in tutti i reparti, in particolare nelle bevande (acque minerali in primis) e nel pet care (+0,4% ciascuno). A causa della mancanza di prodotto a scaffale aumentano anche le vendite perse (5,2%), soprattutto nel cura persona.

MD stanzia per i dipendenti un bonus contro il carovita

Nel mese di ottobre MD ha erogato un bonus straordinario di 100 euro per tutti i suoi oltre 8.000 dipendenti. Un gesto concreto per fronteggiare il carovita dovuto alla forte spinta inflazionistica e al rincaro dei costi energetici che le famiglie italiane stanno affrontando negli ultimi mesi.

La misura una tantum è stata decisa dal Cav. Podini e dal consiglio d’amministrazione per sostenere tutti coloro che lavorano per l’insegna e rendere tangibile la gratitudine di MD per le grandi passione e dedizione che caratterizzano l’impegno quotidiano dei dipendenti.

MD non è nuova a iniziative di welfare: la società è stata tra le prime ad attivare – già a marzo 2020 – un programma di assistenza sanitaria per i dipendenti in caso di positività al Covid-19 e a mettere a disposizione dei Comuni italiani buoni spesa a condizioni scontate per venire incontro alle necessità delle persone più duramente colpite dall’emergenza sanitaria.

Un modo di intendere la sostenibilità a 360 gradi, che si declina in ambito economico e sociale ma anche ambientale. Sono molte le iniziative per favorire la transizione green intraprese da MD, che a questo ha destinato negli ultimi anni importanti investimenti.

Patate, crolla la produzione ed aumentano i prezzi

Nella riunione di venerdì scorso 7 ottobre, i componenti della Commissione Paritetica della Borsa Patate di Bologna hanno analizzato la situazione produttiva e commerciale nazionale ed europea. I dati rilevati nei Paesi in cui le raccolte sono terminate e in quelli Nord Europei, dove le raccolte sono in atto (circa 60% la quantità raccolta), non inducono all’ottimismo relativamente alle rese.

La raccolta dei tuberi dell’attuale campagna sarà probabilmente la più scarsa di sempre. La causa va ricercata nell’andamento climatico anomalo ed in particolare nella mancanza di precipitazioni associate a ondate di caldo estremo che hanno ridotto significativamente, in tutti i paesi del continente, il numero e il calibro dei tuberi.

Ulteriori importanti perdite di prodotto derivano dalla crescente diffusione di parassiti terricoli come il Ferretto (Agriotes spp.), contro il quale non sono disponibili al momento validi mezzi di contrasto. Il forte aumento dei costi di produzione, (energia, fertilizzanti ecc.), l’aggravarsi delle problematiche fitosanitarie per mancanza di presidi sanitari efficaci e la concorrenza di altre specie coltivabili, soprattutto cerealicole come Grano e Mais, i cui prezzi di mercato sono in aumento e la cui coltivazione presenta elementi di rischio e costi molto inferiori, fanno temere anche per il 2023 un’importante riduzione delle superfici investite.

Dopo aver valutato l’andamento del mercato Europeo e quello delle vendite, molto sostenuto a fronte delle scorte limitate, gli Operatori della Borsa hanno innalzato il valore delle patate di prima qualità, a suo tempo conferite in conto deposito come previsto dal Contratto Quadro, al nuovo prezzo di 45 centesimi al Kg per il prodotto di prima categoria certificato GlobalGap/Grasp. Tale valore rappresenta un prezzo franco azienda agricola, con spese di trasporto e conservazione a carico dei cessionari.

In considerazione della situazione commerciale che si sta creando e delle probabili evoluzioni sul fronte dei costi, anche con l’obbiettivo di contenere il calo delle superfici, gli operatori prevedono per le prossime settimane ulteriori nuovi aumenti del prezzo delle patate sia in natura che confezionate.

Caro pasta, botta e risposta tra Coldiretti e Unione Italiana Food

Una recente analisi della Coldiretti su dati Istat ha fotografato gli effetti dell’aumento dei prezzi della pasta, il prodotto alimentare maggiormente presente sulle tavole degli italiani. Il conto salatissimo, pari a quasi 800 milioni di euro in più rispetto al 2021, «grava in primis sulle famiglie povere per cui la pasta ha una incidenza più elevata sulla spesa quotidiana» sottolinea la Coldiretti. «Se a Milano un chilo di pasta di semola può costare fino a 3,18 euro, a Roma si viaggia sui 3,20 euro, a Bologna 3,26 euro, a Palermo 2,48 euro e a Napoli 3,18 euro».

Il conflitto in corso sul fronte russo-ucraino ha indubbiamente moltiplicato manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, appesantendo la situazione dell’Italia, Paese che importa dall’estero il 44% del grano duro destinato alla pasta.

Allo scenario nefasto dipinto da Coldiretti però si contrappone la visione meno pessimistica di Unione Italiana Food che, pur confermando il rincaro medio della pasta, parla di un aumento pari alla metà o persino meno rispetto a quello stimato da Coldiretti. Elaborando una previsione su dati Nielsen, Unione Italiana Food ridimensiona l’allarmismo e porta il rincaro a meno di 7 euro in più all’anno a persona, praticamente un’inezia.

Secondo Unione Italiana Food, «la pasta continuerà ad essere un alimento accessibile a tutti, anche in un momento difficile per gli italiani. Con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti, si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di cinque persone, e questo con meno di due euro».

Si tratta di numeri e visioni parecchio divergenti ma, ad oggi, né Coldiretti né Unione Italiana Food hanno chiarito nel dettaglio le modalità di calcolo del rincaro, pur specificando le fonti dati utilizzate.

Tonno in scatola, in crisi un altro settore strategico dell’industria italiana

La lunga durata e la facilità di conservazione, l’accessibilità, i valori nutrizionali al pari del pesce fresco e la facilità nella ricettazione lo rendono l’alimento immancabile nel carrello della spesa, premiato anche in tempi di pandemia dai consumatori che lo considerano un alimento gratificante nei momenti difficili. Ha, inoltre, il vantaggio di essere pronto all’uso, non richiedendo la cottura e il relativo utilizzo di gas o energia elettrica per la conservazione e la preparazione. Quello del tonno in scatola è tra i comparti più virtuosi e strategici dell’industria alimentare italiana, tanto da fare del nostro Paese il mercato di riferimento mondiale per la qualità delle conserve ittiche.

NEL 2021 +4,35% DI PRODUZIONE: UN COMPARTO STRATEGICO DELL’ALIMENTARE ITALIANO
La produzione nazionale di tonno in scatola nel 2021 si è attestata su 83.861 tonnellate (+4,35% sul 2020), superando addirittura l’eccezionalità di un anno come quello del 2020, che lo ha visto piazzarsi tra gli alimenti preferiti dagli italiani in lockdown. Lo mangiano tutti (99%), nel complesso oltre 1 italiano su 3 (36%) circa 2-3 volte a settimana (Fonte: Doxa 2021), con un consumo pro capite di 2.67 kg annui, per un totale di 158.589 tonnellate di tonno in scatola consumate dagli italiani nel 2021. Dati che confermano l’Italia come uno dei più importanti mercati al mondo per il consumo di questo alimento e come secondo produttore europeo, dopo la Spagna. Nel nostro Paese, il 2021 ha registrato un valore di mercato di circa 1.380 milioni di euro (+6% rispetto al 2019 e solo -1,4% rispetto all’eccezionalità del 2020). Il tonno in scatola guida produzione e consumo ma sono anche acciughe sotto sale e sott’olio, sgombri, sardine, salmone, vongole e antipasti di mare a fare del settore il simbolo della tradizione gastronomica italiana, contribuendo al prestigio del Made in Italy in tutto il mondo. Il totale del comparto conserviero ittico nel 2021 ha registrato un fatturato di circa 1.780 milioni di euro.

CARO PREZZI E INFLAZIONE: SITUAZIONE FUORI CONTROLLO. SERVE IL SOSTEGNO DEL GOVERNO
I costi dell’attività produttiva hanno raggiunto, però, livelli intollerabili, con un crescendo che sta diventando sempre più ingestibile. A fronte di queste difficoltà, le aziende sono preoccupate per quello che potrà accadere nei prossimi mesi. Lo scenario per il futuro è allarmistico e l’inflazione rischia di mettere in ginocchio le aziende. Pur non risultando un settore altamente energivoro, il settore conserviero ittico sta soffrendo oltremodo i rialzi continui della bolletta energetica (aumenti superiori al 60% solo negli ultimi mesi), con previsioni di ulteriori aumenti. Considerando che già alla fine del 2021 i costi energetici erano in forte crescita, nel confronto tra 2022 e 2021 possiamo parlare di costi quasi triplicati, circa +301%. Questa crescita si riverbera a cascata su tutte le materie prime utilizzate dal comparto a partire dal pesce (il costo del tonno è aumentato con picchi di oltre il 30% nell’ultimo anno) fino all’olio ed ai materiali di imballaggio (packaging) che negli ultimi dodici mesi sono cresciuti oltre il 50% e sui pack (lattine, vasetti in vetro, carta che sono prodotte da filiere energivore).

Inoltre, la siccità che ha colpito l’Europa ha determinato un raccolto di olive scarso con ripercussioni sulla disponibilità di olio di oliva usato per la conservazione con conseguente incremento del prezzo (con picchi del +31% per l’olio d’oliva e del +19% per l’extravergine d’oliva rispetto ad un anno fa). Mentre l’invasione dell’Ucraina – principale fornitore al mondo di olio di girasole con il 60% della produzione mondiale e il 75% dell’export – ha fatto registrare un incremento del +41,6% nell’ultimo anno. Un altro pericolo si sta palesando in tutta la sua concretezza: il continuo apprezzamento del dollaro USA nei confronti dell’euro, che ha perso da fine 2021 circa il 18 % del suo valore. Questo ha generato un ulteriore impatto sui costi della materia prima tonno (acquistata principalmente in dollari) che altre filiere “euro based” non hanno.

“Le nostre sono filiere di approvvigionamento lunghe e i costi che influenzeranno almeno tutto il primo semestre del 2023 non lasciano grandi margini di ottimismo – afferma Simone Legnani, presidente ANCIT (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare). Finora le aziende conserviere ittiche italiane hanno fatto il possibile per assorbire i rincari, ma si rischia di compromettere il futuro delle stesse aziende se non si corre ai ripari. Inoltre, sta diventando arduo reperire le materie prime perché alcuni produttori hanno dovuto chiudere per mancanza di finanze, così come già alcune aziende del nostro settore stanno riducendo la produzione.

Non possono ancora fare da ‘ammortizzatore’ economico, schiacciate tra costi crescenti e ricavi non sufficienti a coprire gli stessi costi. L’allarme c’è, da mesi. Auspichiamo che anche la distribuzione riconosca oggettivamente l’adeguamento dei prezzi e che le Autorità di Governo e la classe politica intervengano con dei sostegni atti a favorire la liquidità delle nostre aziende, il superamento dell’attuale crisi energetica e gli investimenti perché sono il nostro plus. Un intervento importante sarebbe la modifica dei massimali negli aiuti di stato che oggi penalizzano le aziende di trasformazione di prodotti ittici equiparandole alla pesca, e la possibilità di avere sulle conserve ittiche una temporanea sospensione di IVA”.

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