CLOSE
Home Tags Sostenibilità

Tag: sostenibilità

Dopo Belgio e Olanda, Lidl vende solo banane sostenibili anche in Uk

Foto: Fairtrade International.

Continua il riposizionamento di Lidl che sempre più intende scrollarsi di dosso l’etichetta del discount e presentarsi come insegna dove trovare prodotti di qualità al giusto prezzo, toccando anche tematiche care al consumatore odierno: come la sostenibilità, ambientale e sociale. Dopo Olanda e Belgio, anche nel Regno Unito il retailer tedesco si è impegnato a vendere entro il 2016 solo banane certificate, da Fairtrade oppure dalla Rainforest Alliance. Una mossa già annunciata da Asdi, discounter “gemello” e compagno d’avventure, anch’esso tedesco, nell’ascesa alla distribuzione britannica.

Se insomma è ormai normale trovare sugli scaffali del discount tedesco pesce pescato con tecniche sostenibili, aragosta e filet mignon, ricette etniche e snack salutari, le certificazioni sembrano il modo migliore per guadagnarsi, una volta per tutte, la fiducia dei consumatori. Tanto che la stessa mossa è stata già annunciata anche per il caffè, che sarà interamente certificato entro il 2017.

Sostenibilità degli allevamenti: Waitrose, M&S, Noble Foods e Coop CH le insegne più virtuose

La nuova edizione del The Business Benchmark on Farm Animal Welfare, il rapporto nato con lo scopo di incentivare un trattamento più equo degli animali negli allevamenti e giunto alla quarta edizione, ha dato le pagelle valutando 90 aziende del settore alimentare. Noble Foods, Marks & Spencer, Waitrose e Coop Group (Svizzera) sono le insegne della GDO che hanno ottenuto il punteggio più alto.
Una problematica sempre più sentita questa delle condizioni estreme in cui versano gli allevamenti di bestiame, che suscitano questioni etiche ma anche sanitarie, tanto da far nascere una nuova categoria di “dietisti etici”, i flexitarians, che scelgono se mangiare o meno carne a seconda della provenienza e delle condizioni cui sono sottoposti gli animali.
Un tema che non sfugge alle aziende, tanto che il rapporto rileva come il 69% di quelle prese in considerazione hanno pubblicato delle linee guida che riguardano il benessere degli animali (erano solo il 46% nel 2012) e il 54% si è posta degli obiettivi che riguardano il benessere animale (il 26% nel 2012). Tra gli aspetti presi in considerazione c’è la reclusione in gabbie, la clonazione o modificazione genetica, l’uso di sostanze che promuovono la crescita e di antibiotici, le mutilazioni, lo stordimento prima della macellazione e i trasporti su lunghe distanze.

Le aziende sul podio
Il direttore esecutivo di BBFAW, Nicky Amos, ha commentato: «I risultati dimostrano come sia realistico per le aziende in tutto il mondo e in tutta la filiera (distributori, grossisti, ristoranti, bar e produttori) aspirare a raggiungere alti voti nel Benchmark e riconoscere la responsabilità che hanno nel benessere degli animali nella loro supply chain».
Sono 11 le aziende che occupano la testa della classifica, avendo dimostrato l’impegno più forte verso il benessere degli animali negli allevamenti. Le 90 aziende sono divise in livelli: piazzarsi nei primi significa avere sviluppato sistemi e processi per gestire la questione.
Al primo livello troviamo le più virtuose, tre insegne britanniche (Marks & Spencer, Waitrose e Noble Foods) e la svizzera, Coop Group.
Al secondo livello ancora UK in primo piano con The Cooperative Food (UK), J Sainsbury e Cranswick, la svizzera Migros ma anche multinazionali come Unilever, Marfrig, McDonald’s (che ha registrato nel quarto trimestre 2015 il miglior risultato trimestrale in quasi quattro anni, anche, secondo gli analisti grazie al “restyling green” cui è stata sottoposta).
Nel terzo livello stazionano Ahold, FrieslandCampina, Danone, JBS, Nestlé, Subway, Tesco e Tyson Foods. Raggiunti quest’anno da Barilla, la prima italiana delle sei prese in esame, BRF, Sodexo, Walmart, Compass Group, Greggs, Kaufland e Whitbread.
La direttrice esecutiva di BBFAW, Nicky Amos, ha commentato: «I risultati dimostrano come sia realistico per le aziende in tutto il mondo e in tutta la filiera (distributori, grossisti, ristoranti, bar e produttori) aspirare a raggiungere alti voti nel Benchmark e riconoscere la responsabilità che hanno nel benessere degli animali nella loro supply chain».

Nonostante i passi avanti compiuti dal 2012, nota il report, circa il 40% delle aziende (tra cui Burger King, Domino’s Pizza Group (UK) e Starbucks) non hanno fornito alcuna informazione sulla loro strategia nei confronti del benessere animale negli allevamenti. Come ha detto Nicky Amos: «Nonostante i progressi è chiaro che c’è ancora molto da fare per mettere il benessere animale degli allevamenti nei programmi di molte grandi aziende globali del settore alimentare».
Il rapporto però sottolinea come vi sia da parte delle società di investimento un interesse crescente sul tema.
«Per la prima volta abbiamo visto investitori a livello globale che si sono impegnati attivamente con le aziende per incoraggiarle a migliorare le pratiche e la comunicazione di ciò che fanno per la sostenibilità degli allevamenti. Il Benchmark annuale fornisce alle aziende un grande incentivo per migliorare la divulgazione e rendere conto della loro prestazione. Con la crescita della consapevolezza da parte degli investitori e la comprensione dei rischi sistemici e delle opportunità posta dal benessere animale negli allevamenti ci aspettiamo di veder crescere nel tempo l’interesse e l’azione degli investitori» ha detto Rory Sullivan, BBFAW Expert Advisor.
Il rapporto è stato compilato in collaborazione con organizzazioni attive nella difesa degli animali e dell’ambiente quali Compassion in World Farming World Animal Protection e con la banca di investimenti Coller Capital.
Sul fronte della sostenibilità la multinazionale Mondelez (ex-Kraft, molto mal piazzata nel rapporto) ha da poco annunciato che entro il 2025 tutte le uova utilizzate per i suoi prodotti venduti in Europa proverranno da allevamenti a terra.

La classifica 2015 del The Business Benchmark on Farm Animal Welfare.
La classifica 2015 del The Business Benchmark on Farm Animal Welfare. Barilla è la meglio piazzata delle italiane, tra le altre Ferrero, Cremonini, Veronesi, Autogrill.

Leggi anche: Carne di maiale contaminata in UK: troppi antibiotici negli allevamenti europei

Maiora apre un nuovo pdv Eurospar a Giovinazzo all’insegna del “green”

Ha un’anima green il nuovo Eurospar aperto a Giovinazzo (Ba) dal partner Despar Maiora. Sviluppato su una superficie di 1.400 mq, il supermercato punta su un assortimento completo con un focus sui freschi.

12417594_459694247556143_2582430754079319141_n L’edificio ha seguito nella costruzione le regole della sostenibilità ambientale: il sistema di aria condizionata e refrigerazione sono a basso consumo e l’illuminazione è a Led, mentre è già prevista l’installazione di 450 pannelli solari sul tetto su una superficie di 2000 mq.

12494954_459694244222810_5976315014297297843_nNon mancano i reparti macelleria, panetteria, l’enoteca e una gastronomia che propone anche piatti caldi, e vi è un’ampio assortimento di prodotti locali e free-from.

«Stiamo lavorando per ridurre il consumo energetico e le emissioni inquinanti – ha commentato il presidente di Maiora Pippo Cannillo – . Oltre all’Eurospar di Giovinazzo, anche gli altri nuovi punti vendita di Maiora sono stati progettati in modo da minimizzare l’impatto ambientale e promuovere la sostenibilità».

Così è stato per la recente apertura di Corato, in cui sono stati utilizzati materiali ecosostenibili e che segue una politica a “Km zero” acquistando il più possibile da produttori locali per ridurre al massimo i costi di trasporto e gli sprechi.

Acqua Minerale San Benedetto e Ministero dell’Ambiente insieme per la sostenibilità

Acqua Minerale San Benedetto e il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare hanno sottoscritto il loro impegno reciproco a lavorare insieme nell’ambito della sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di ridurre e neutralizzare l’impatto che possa avere sul clima il settore delle acque minerali e bevande analcoliche

Oggi tale intesa, dai risultati fino ad oggi estremamente positivi, si arricchisce di un ulteriore importante tassello all’interno della politica ambientale adottata dall’Azienda veneta e prende vita in un nuovo Accordo Volontario stipulato presso la sede di Acqua Minerale San Benedetto, a Scorzè, alla presenza del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e il Presidente di Acqua Minerale San Benedetto, Enrico Zoppas .

L’Accordo, che rappresenta un importante riconoscimento che conferma l’identità dell’azienda totalmente incentrata sui valori della sostenibilità ambientale,  contiene importanti elementi di novità e si pone come valido strumento di   collaborazione per identificare nuovi standard e parametri di tutela ambientale nel mercato delle acque minerali. In particolare il Ministero dell’Ambiente e Acqua Minerale San Benedetto s’impegnano a collaborare, oltre alla continua quantificazione delle emissioni, nelle seguenti innovative attività:

  1. definire i contenuti da esporre nell’ambito dell’attività pilota promossa dalla Commissione Europea con specifici tavoli tecnici, con l’obiettivo di elaborare le linee guida per la Product Environmental Footprint del settore delle acque minerali imbottigliate “Packed Water”.
  1. elaborare una proposta, sulla base degli studi condotti da Acqua Minerale San Benedetto S.p.A., per identificare criteri oggettivi di riferimento per le prestazioni ambientali nel settore acque minerali e definire le possibili strategie di comunicazione al pubblico anche attraverso una specifica etichetta;
  2. promuovere con le modalità previste nelle linee guida per la comunicazione relative al “Programma Nazionale per la Valutazione dell’impronta ambientale”, i miglioramenti delle prestazioni ambientali del prodotto acqua minerale e bevande analcoliche.

“L’unico modello di sviluppo possibile per le imprese – sottolinea il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – passa oggi per la piena sostenibilità ambientale dei processi produttivi. L’Italia e l’Europa si avviano con passo sempre più spedito verso l’economia circolare, quella del riciclo e della rigenerazione: a maggior ragione dopo lo storico accordo di Parigi che ridisegna l’economia mondiale, le imprese che prima delle altre sapranno interpretare questo cambiamento potranno essere competitive e vincenti sul mercato. Il percorso di San Benedetto e Ministero dell’Ambiente per l’impronta ambientale parte da lontano e prosegue con questo grande obiettivo: l’acqua come bene comune e fonte di vita che diventa esempio di innovazione green”.

“Siamo orgogliosi di questo nuovo traguardo raggiunto con il Ministero dell’Ambiente della Tutela del territorio e del mare proprio nell’anno in cui festeggiamo i nostri primi sessant’anni di attività, – ha dichiarato Enrico Zoppas, Presidente del Gruppo Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. – poiché rappresenta un’ attestazione di approvazione per l’impegno che quotidianamente mostriamo e impieghiamo sul tema della sostenibilità, da sempre parte del nostro DNA aziendale”.

 

 

 

 

 

 

 

Lucart Group conferma la sua partnership con CHEP in nome di nuove sinergie

Lucart Group, fra i principali produttori europei di carte monolucide per imballaggi flessibili, carte tissue per uso igienico ed altri prodotti cartacei, ha rinnovato il contratto con CHEP per la distribuzione dei propri prodotti fabbricati nei siti italiani.

L’estensione della collaborazione con CHEP offre a Lucart l’opportunità di realizzare importanti sinergie logistiche e saving in termini di impatto ambientale.

Lucart è sempre stata attenta ad essere eticamente responsabile, promuovendo uno sviluppo equo e sostenibile sia dal punto di vista sociale che ambientale. Proprio in linea con questi valori e con i programmi che Lucart realizza per la riduzione dell’impatto ambientale, rientra la scelta del sistema CHEP. Il modello di pooling CHEP, infatti, permette il riciclo dei materiali e la riduzione delle emissioni di CO2 grazie a ottimizzazioni nei trasporti.

Il legno dei pallet CHEP proviene da foreste controllate: in questo senso, CHEP ha ottenuto le certificazioni rilasciate dalle organizzazioni FSC, Forest Stewardship Council, e PEFC, Programme for the Endorsement of Forest Certification.

Significative sono le riduzioni di impatto ambientale che Lucart realizza grazie al sistema di pooling CHEP rispetto a sistemi alternativi di gestione pallet: con i pallet CHEP si ottiene una diminuzione pari a circa il 50% delle emissioni di CO2, oltre che del 71% in termini di legno utilizzato e del 77% sui rifiuti in discarica.

“L’affidabilità del servizio, il controllo efficiente dei pallet e l’attenzione all’ambiente inclusi nell’offerta CHEP ci hanno convinti a proseguire la collaborazione, anche nell’ottica di lavorare con una logistica sostenibile in linea con i nostri valori” afferma Giovanni Illibato, Supply Chain Director di Lucart Group.

“La rinnovata fiducia di Lucart Group nei nostri confronti conferma la validità del nostro servizio di pallet pooling che assicura alle aziende che lo adottano notevoli miglioramenti nelle azioni di sostenibilità ambientale e nelle gestione della supply chain,” afferma Paola Floris, Country General Manager di CHEP Italia.

Responsabilità sociale d’azienda: chi toglie le microbiglie dai cosmetici? In Australia ci pensa la Gdo

Sono dannosissime per gli ecosistemi marini perché non biodegradabili e talmente piccole da infilarsi ovunque, si depositano sui fondali ed entrano tramite pesci e molluschi nell’ecosistema: stiamo parlando delle microbiglie di polietilene, piccole perle di plastica presenti in molti prodotti cosmetici, dagli scrub alle creme per il viso, ma anche in saponi e dentifrici, dove è segnalato come “polyethylene”. Dall’Olanda alla barriera corallina australiana, stanno lentamente invadendo mari e oceani.
Da tempo di sta parlando di varare leggi che ne proibiscano l’uso, anche nella UE, e in USA a fine anno ciò è avvenuto con la firma del Microbead-Free Waters Act of 2015. Greenpeace ne ha fatto una campagna ma non è stata la sola, ma le azioni su web e social dilagano e anche pubblicato le liste di prodotti “incriminati”. Sensibilizzati i consumatori, arrivano le aziende. Perché, si sa, ormai una campagna negativa specie su temi come salute e ambiente può costare molto, molto caro. L’Oréal ha già dichiarato di rinunciare all’impiego di microbiglie di polietilene nei suoi scrub entro il 2017.
In Australia a prendere posizione sono stati i supermercati, e nella fattispecie due “carichi pesanti” come Woolworths (oltre 3.000 pdv tra Australia e Nuova Zelanda) e Coles che ne conta quasi 2400. Mentre il ministro dell’Ambiente si impegnava a bandire l’uso di microplastiche intenzionalmente inserite nei cosmetici entro il luglio 2018, invitando i retailer ad attuare un “bando volontario (ovvero, non a seguito di una vera e propria legge che ancora non c’è), le due insegne australiane hanno risposto all’appello e decidendo di eliminare dagli scaffali qualsiasi prodotto contenente microplastiche entro il 2017. E incominciando dai prodotti a marchio.
Un portavoce di Coles ha dichiaarto a Mashable Australia. «Coles è felice di confermare che abbiamo tolto le microbiglie da tutti i prodotti a marchio. Consulteremo anche i nostri fornitori affinché eliminino le microsfere e ci confronteremo con i fornitori di prodotti di marca per assisterli nella transizione».
Woolworths da parte sua ha dichiarato: «siamo felici di essere all’avanguardia nell’affrontare questo problema. Abbiamo lavorato per eliminare le microbiglie dai nostri prodotti per la pelle e l’igiene da tuti i nostri prodotti meno uni, che le eliminerà nei prossimi mesi».

Cinque macro tendenze per l’alimentazione nel 2016

Una "creazione" della stampante 3D Foodini: i contenitori/divisori tra i cibi sono realizzati con un puré di patate viola.

Cosa comparirà nei nostri piatti nel 2016, quali sono le tendenze più “forti” che ci portiamo dietro e che evolveranno dall’anno appena passato, il 2015 di Expo e degli scandali alimentari, dei cambiamenti climatici e dei grandi chef che hanno popolato le trasmissioni tv e dei food blogger che hanno pontificato su tutto e tutti? Qui di seguito abbiamo individuato cinque macro tendenze che promettono di influenzare il nostro modo di mangiare, cucinare e naturalmente anche di fare la spesa nell’anno che si è appena aperto, ma anche gli alimenti su cui si appunterà l’attenzione di chef e nutrizionisti e che troveremo sempre più spesso negli scaffali dei supermercati.

1-SALUTISMO
IDShot_540x540Meno pasta per tutti Secondo l’analisi di Bauman & Whitman la pasta potrebbe essere una “specie in via di estinzione” in futuro, con consumi in calo dell’8% in Australia e del 13% in Europa. Anche in Italia nel 2014 secondo IRI le vendite di pasta secca sono calate del 2,5% a volume. Responsabili la fobia del glutine, le diete iperproteiche e l’avvento di cereali alternativi al grano (quinoa, farro, chia, orzo, segale) o alternative ai cereali (dai legumi alle verdure ridotte in fili o nastri, una moda che ha già investito i supermercati anglosassoni e che potrebbe presto arrivare da noi). Puré di verdure (dagli spinaci al pomodoro, dalla zucca alle carote) potranno essere trasformati in qualsiasi forma grazie alle stampanti 3D alimentari (già viste a Expo e protagoniste di numerose start-up) che come la Foodini, cavalcano il trend salutista e l’avversione verso il cibo industriale.
Vedi: Tesco, Pam e le altre: le private label puntano sul vegetarianoSemaforo verde per i vegani in Gdo

Free-from ma “naturale” Pollice verso invece per gli alimenti “senza zucchero, senza grassi, zero calorie”, sì al “senza zuccheri, grassi, additivi, conservanti, coloranti aggiunti”. Un trend colto anche dalla grandi aziende che si prodigano in informazioni su ingredienti, provenienza e ricette salutari veicolati tramite RFID o QRCode. La richiesta dei consumatori infatti è per etichette sempre più trasparenti sugli ingredienti e la loro provenienza, ma anche sull’eticità di allevamenti e coltivazioni. Sempre più diffuse le opzioni free from “naturali” come reazioni agli scandali alimentari, tanto che aumenta la disponibilità e anche le linee private label dedicate a vegetariani e vegani, intolleranti e a chi segue diete religiose (halal e kosher).
Vedi Pam Panorama amplia la linea Veg&VegNasce il primo Parmigiano Reggiano Dop kosherGluten Free Expo, la nicchia del senza glutine si espande

Cibi fermentati e probiotici Tra le tendenze 2016 rilevate dalla catena USA Whole Foods ci sono i cibi fermentati e i probiotici, che forniscono “batteri buoni” utili a migliorare il proprio microbiota, ovvero il corredo tutto personale di microrganismi che popolano il nostro intestino e che recenti studi scientifici segnalano come determinante per la nostra salute e addirittura per il nostro umore. Yogurt e kefir ma anche tempeh (soia fermentata), tè kombucha, crauti, miso, pane di pasta madre e kimchi saranno sempre più richiesti da chi è più attento alla salute.

Ortofrutta al top, carne in declino La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’inserimento di carni rosse e salumi da parte dell’OMS, Organizzazione mondiale della Sanità, nella “lista nera” degli alimenti cancerogeni. Poi ci sono i prezzi alti, le accuse di scarsa sostenibilità ed eticità degli allevamenti (consumano ingenti quantità di acqua e mangimi e producono CO2), l’utilizzo di ormoni e il crescente numero di vegetariani, vegani e flexitariani (vegani part time): tutto congiura verso l’allontanamento dagli alimenti di origine animale. Infine, le indicazioni di medici e dietisti e le raccomandazioni di consumare cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, hanno fatto sì che le verdure da mesto “contorno” assurgessero a piatto principale. Nelle cucine degli chef stellati ma anche e sempre più nelle case private.

Vedi Effetto Oms sulla carne: in una settimana vendite al supermercato in calo di 16 milioni di euroOcse e Fao, prezzi dei prodotti agricoli in calo proteine e carne su..; Carne di maiale contaminata in UK: troppi antibiotici negli allevamenti europeiI consumatori e la carne in un’indagine Swg e Eurocarne

 

2- SOSTENIBILITÀ
Il prezzo è il problema? Paghe sostenibili e condizioni giuste di lavoro saranno sempre più importanti per il consumatore che si sta accorgendo come il prezzo più basso significa spesso sfruttamento dei lavoratori e pratiche agricole insane quali l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici e inquinanti per consentire un’agricoltura intensiva.
vedi: Made in Italy e agromafie: le filiere sono “pulite”? Caselli presenta una nuova leggeIl caporalato minaccia l’export dei pomodori Made in ItalyPrezzi bassi dell’ortofrutta=pesticidi: guerra di Greenpeace in Francia a Leclerc (e alla GDO);
fruitsetlegumesmoches

Spreco zero Ormai anche i grandi chef favoriscono l’uso di tutte le parti di un ingrediente, dal picciolo alla buccia (spesso le più ricche di nutrienti), magari ridotti tramite gli essiccatori o utilizzati per insaporire brodi o salse gentili. E dopo che in Francia una legge ha obbligato la GDO a occuparsi di riallocare gli alimenti non più vendibili, l’esigenza di sprecare meno si è diffusa in tutta Europa, cambiando l’offerta. Un esempio sono le “verdure brutte” e “deformi” un tempo escluse dagli scaffali perché “fuori standard” e che messe in vendita da Morrisons appena prima di Natale hanno registrato ottime vendite. Carrefour in Francia nel 2016 lancerà la private label a spreco zero. Il 2016 potrebbe essere finalmente l’anno in cui saranno riviste le date di scadenza di molti alimenti, in cui aumenteranno le donazioni agli enti benefici di alimenti vicini alla data si scadenza e in cui sarà finalmente accettato il fatto che gli ortaggi possono avere un aspetto poco ortodosso. Il che potrebbe essere una necessità, a seguito di stagioni colpite da grandini ed eventi climatici estremi.

Vedi: Si può vendere frutta rovinata dal maltempo?Protocollo di Milano, la Gdo e il cibo tra fame, spreco e obesitàCarrefour lancia “Tous AntiGaspi”, la private label antispreco e sostenibileLes Gueules Cassées, la lotta antispreco che arriva dalla FranciaGdo contro lo spreco 2. Pam lancia “Reimpiatta il piatto”Gdo contro lo spreco 1: parte la collaborazione tra Végé e Last minute sotto casaConvegno GS1 Italy: soluzioni Ecr e approcci di filiera contro lo spreco alimentare

Km 0 e agricoltura urbana Comprare locale significa inquinare meno e aiutare l’economia del posto. Sempre più l’origine degli alimenti viene evidenziata ma càpita anche che alimenti tradizionalmente esotici come il caviale e il salmone vengano prodotti o lavorati da noi, con ottimi esiti. E per chi ricerca il controllo completo su ciò che mangia c’è l’orto, il terrazzo o il balcone urbano e la coltivazione fai da te, fosse anche solo di sanissimi germogli bio nella propria cucina.
cibo del futuro

Proteine non animali Allevamenti sempre meno sostenibili fanno spazio all’uso di proteine di origine vegetale come i legumi: il 2016 è stato dichiarato dall’ONU Anno Internazionale dei legumi e i riflettori saranno puntati su lenticchie e piselli, soia e ceci. Piante ottime per le proprietà nutritive ma anche in grado di arricchire il suolo e aumentarne la produttività. Ma tra i candidati più accreditati ci sono anche alghe e soprattutto insetti, già entrati nei supermercati olandesi sotto forma – per evitare l’inevitabile tabù culturale – di farine, hamburger e polpette. I vantaggi? Tante proteine, pochi grassi e bassissimi costi di produzione. Il futuro dell’alimentazione umana, con 9 miliardi di persone in un pianeta surriscaldato, potrebbe passare da qui.

Vedi Coop a Expo: le parole del cibo del futuro tra timori e aspettiveResponsabilità sociale: cresce la sensibilità dei consumatori

 

3- TECNOLOGIA
77821Il mondo in un’App App per non sprecare (Tesco uk), app per pagare (Albert Heijn, Delhaize, Tesco, Sainsbury’s), per ordinare (Amazon), fare la lista automaticamente da casa ogni volta che finisce un alimento essenziale, tipo pasta o latte (Carrefour Belgio, Amazon) ma anche per individuare un articolo all’interno del punto vendita. La tecnologia – lato utente tramite smartphone, lato retailer grazie alla comunicazione personalizzata resa possibile dai beacon ma anche dal nuovo digital signage interattivo – ha già cambiato di fatto il nostro rapporto con la spesa alimentare. E promette di cambiarlo ancora di più nel 2016, quando molte di queste innovazioni si diffonderanno nella maggior parte dei punti vendita. Ma il 2016 sarà anche l’anno delle consegne alimentari a casa in una o due ore, grazie ad Amazon già attiva a Milano o a player come Instacart, la success story dell’anno scorso in USA. Un modo molto “millennial” per ottenere gli ingredienti per la cena con amici organizzata last minute quando non si ha ha tempo per la spesa.

Vedi: Giornata storica per il retail alimentare italiano. Amazon apre il suo supermercatoDetto la spesa e la ritiro al drive: l’evoluzione del click and collect di ChronodriveCarrefour testa lo scanner per la spesa (in Belgio)Tesco distribuisce il surplus di cibo nei punti vendita con una appDa Végé con i beacon il prodotto parla al clienteOggi contactless, domani via smartphone, tempo e convenienza spingono il cliente verso i pagamenti digitaliTecnologie, gli italiani sono pronti all’omnicanalità nel retail

Pinterest e Instagram come trendsetter L’età dell’immagine via social network e l’ansia di condivisione ha di fatto cambiato il mondo del food. Che siano cucinati a casa o consumati al ristorante, i piatti più fotogenici finiscono regolarmente fotografati e postati su Instagram, Facebook o Pinterest, quest’ultimo poi vera “bibbia del salutismo” con innumerevoli bacheche dedicate alla ricetta più sana e innovativa. Le conseguenze sono le mode improvvise e totalizzanti (la più recente è quella dell’avocado) che lanciano dei “superfood” panacea per tutti i mali (ricordate le bacche di Goji?). Ma Time guarda avanti e nel suo articolo di fine anno sulle “The New Food Rules” , le nuove regole dell’alimentazione, stigmatizza l’uso di “supercibi costosi” tipo il modaiolo acai a favore del più popolare mirtillo.
Altra conseguenza di questa sovraesposizione visiva è che la presentazione è sempre più importante. In futuro andranno per la maggiore i bento box, i vassoi giapponesi belli come quadri che contengono un intero pranzo, e il Poke hawaiano, mix di riso, pesce crudo, semi oleosi e spezie.
Largo anche al cibo da asporto sempre più presente negli scaffali dei supermercati, a cui si richiede di essere però più sano e, anche, bello. L’esigenza è, sulla scorta delle nuove modalità di lavoro diffuso e continuato, di mangiare quando si vuole e dove si vuole, anche disertando i pasti principali a favore di tanti piccoli spuntini.

Vedi: Sano e pronto da mangiare, ecco lo snack che piace alle donneSainsbury’s testa un format di prossimità per la “nuova spesa” veloce e frequente

 

4- GLOBALIZZAZIONE, ESOTISMO “CONTROLLATO” E CAMBIAMENTI CLIMATICI
Al recente Cop21 di Parigi la situazione del surriscaldamento globale si è svelata – per chi ancora non lo avesse capito – in tutta la sua drammaticità. E sarà l’agricoltura a pagare il prezzo più alto, tra siccità e inondazioni, perdita di biodiversità ed epidemie dovute a condizioni climatiche estreme. Basta pensare a quel che è successo l’anno scorso all’olio italiano, che ha visto la sua produzione decimata. Non solo: è chiaro come in un mondo con 2/4 gradi in più si sposteranno le aree adatte a molte coltivazioni. Lidl in UK da marzo 2016 avrà in assortimento vino inglese, coltivato nel Surrey dove una volta prosperavano solo segale e patate, mentre Waitrose già offre 100 etichette inglesi e gallesi che nel 2014 hanno aumentato le vendite del 95%. In Sicilia in compenso sono partite le coltivazioni di frutta tropicale, mango ananas e avocado, banana, papaya, litchi, maracujà ma anche Goji, Black Sapote, Feijoa, Guava, Lucuma, Pitanga e Tamarillo.
A livello globale il riscaldamento sta minacciando le coltivazioni di cacao e caffè, ironicamente nel momento in cui la loro diffusione mondiale è ai massimi storici. Ciò potrebbe portare a un innalzamento dei prezzi.
In un mondo sempre più “piccolo”, dalle altre culture si prendono ricette, cotture e ingredienti sostenibili (dal kimchi al ramen, dagli insetti al teff) ma contaminandole ed adeguandole alle nuove esigenze dei “Millennials”: salute, praticità, gusto e novità.

Vedi Annus horribilis per l’olio italiano: -35%, prezzi top, rischio frodi. Porte aperte alla TunisiaArriva dalla Sicilia l’avocado bio solidale di AltromercatoPam Panorama fa comunicazione per “difendere” il suo olio Evo private label;

5- TRADIZIONE
Si ritorna ai cibi della tradizione locale ma anche all’artigianalità e alla lentezza delle preparazioni, al pane preparato con lievito madre e alle birre artigianali. La vita e il lavoro moderni possono essere frenetici e senza orari, ma nella sfera dell’alimentazione si cerca il rito e i processi naturali, in una dimensione nostalgica e positiva di “ibridazione, riconciliazione e non più rottura con il passato” come la definisce il filosofo francese Gilles Lipovetsky. In una sorta di doppio binario si concilia la frugalità estrema e quasi ascetica degli alimenti crudi e naturali, lavorati al minimo, e la concessione al palato, il lusso alimentare, gourmand, eccessivo ma che magari ricorda il passato dell’infanzia.
Al supermercato saranno sempre più diffuse le lavorazioni in loco e a vista, come nel rinnovato Carrefour di Carugate o in quello di Mons, che contiene un birrificio artigianale.
Vedi Carrefour a Mons testa l’evoluzione dell’ipermercato: iperconnesso e con lavorazioni a vistaCarrefour apre a Carugate il primo ristorante Terre d’Italia: è giunta l’ora dei grocerant?;

 

Gli alimenti in ascesa nel 2016

  • Legumi occhi puntati su ceci, lenticchie & Co nell’anno internazionale del legume
  • Insetti almeno in un primo momento “cammuffati” sotto forma di farine e snack energetici
  • Farine alternative e senza glutine e grani antichi teff, amaranto, kamut, kaniwa, freekeh o i più nostrani farro e miglio si aggiungeranno alla quinoa come alternativa al grano
  • Vegetali “cammuffati” da piatto principale, sotto forma di nastri, spaghetti, grani. I più gettonati saranno zucchine, cavolfiore (in gran spolvero), zucca, carote, rape e broccoli.
  • Alghe nuova fonte di proteine vegetali, sostenibili e a basso impatto, ricche di minerali e nutrienti. Ce ne sono infinite varietà
  • Birre artigianali
  • Snack disidratati e chips salutari
  • Avocado già nel 2015 figurava tra i pin più postati nella sezione “food” di Pinterest, specie in “accoppiata” con le uova
  • Grassi “sani” olio Evo, Omega 3, olio di avocado e di sesamo, noci e semi saranno sempre più ricercati
  • Curcuma
  • Caffè e tè aromatizzati, nuove miscele e origini, matcha
  • Cibi fermentati e probiotici
  • Verdure “sane”, verdure “brutte” ovvero esteticamente imperfette. Cavolo rapa, pastinaca e altre radici, zucche di ogni tipo, broccoli, melanzane striate, carote nere usciranno dal ghetto dei negozi biologici e andranno ad arricchire l’offerta dei banchi del fresco, avanguardia e vetrina d’ingresso di ogni supermercato. Ma potrebbero finalmente arrivare anche in Italia le verdure “brutte”, storte, butterate dalla grandine, fuori dallo standard ma comunque sane e gustose, vendute a un prezzo scontato.

Il caporalato minaccia l’export dei pomodori Made in Italy

Un’ombra si allunga sull’industria del pomodoro italiana. Da noi non è una novità, ma ora, che la filiera del pomodoro sia fortemente segnata da episodi di caporalato e toccata dalle agromafie lo denuncia anche uno studio dell’Ethical Trading Initiative, associazione che raccoglie aziende, sindacati e Ong con lo scopo di promuovere il rispetto dei diritti dei lavoratori nel mondo. Nel loro ultimo rapporto sotto il mirino è finita la raccolta e l’imballaggio dei pomodori in Italia, che risulta in un “colossale e sistematico” sfruttamento del lavoro dei migranti. I quali guadagnano secondo ETI il 40% meno del salario minimo. Non solo: mentre i lavoratori agricoli “ufficiali” nel nostro Paese sono 116mila, l’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, valuta che tra legali e illegali a lavorare nei campi italiani siano in 500mila. L’Osservatorio Placido Rizzotto stima che siano 400mila i lavoratori agricoli a rischio caporalato, l’80% immigrati, e che 100mila lavoratori migranti illegali da Paesi non UE abbiano subito un duro sfruttamento e condizioni di vita spaventose. Lo scopo di ETI è chiaro: spingere i distributori a mappare i fornitori delle aree più a rischio e valutare i salari e le ore di lavoro. Non solo: devono anche valutare se le loro condizioni di acquisto influenzino in qualche modo le condizioni cui sono sottoposti i lavoratori.

«Il pomodoro è il gioiello della corona dell’agricoltura italiana. È il prodotto maggiormente esportato e l’Italia è il terzo produttore mondiale di pomodori lavorati. Il lavoro degli stranieri è considerato fondamentale per consentire all’agricoltura italiana di competere sui mercati globali, ma nella corsa al profitto le leggi del lavoro sono costantemente ignorate» ha detto Nick Kightley, consigliere ETI per l’alimentazione e l’agricoltura.

Il messaggio alla GDO britannica è diretto: “se vogliono che la loro catena di distribuzione sia pulita, possono e dovrebbero agire”. Il BRC, British Retail Consortium, l’associazione dei retailer britannici che importano dall’Italia il 60% dei pomodori lavorati, ha già preso posizione: «Prendiamo molto sul serio ogni accusa di trasgressioni all’eticità del lavoro da parte dei nostri fornitori. Il benessere dei lavoratori è di capitale importanza per i retailer membri del British Retail Consortium che stanno lavorando molto per migliorare le pratiche nella loro catena di produzione e distribuzione nel mondo. I membri della BRC studieranno il rapporto di ETI e prenderanno le azioni che riterranno appropriate. Ci auguriamo che le autorità facciano in modo di assicurare che le leggi per il lavoro etico vengano rispettate».

Nomi per ora non ne sono stai fatti ma la questione, se non è proprio un fulmine a ciel sereno, è sicuramente una campanello d’allarme per i produttori italiani, che rischia di minacciare seriamente una parte importante, nonché simbolica, della nostra industria agroalimentare.

 

Bollino etico arma spuntata

Una soluzione avrebbe dovuto venire dal “bollino etico”, il sistema pubblico di certificazione etica del lavoro che fa capo all’Inps, nato nel settembre scorso. In tre mesi però solo 207 aziende hanno ottenuto il riconoscimento su 669 domande presentate e un potenziale di 200mila imprese interessate.

Il 60% dei derivati da pomodori italiani è destinato ai mercati internazionali. La produzione totale italiana nel 2015 secondo Coldiretti sarà di 5,2 milioni di tonnellate di pomodoro fresco (+ 7% sul 2014) con un fatturato di 3 miliardi di euro, 8mila produttori agricoli e 10mila addetti nell’industriale in 110 aziende e 54 Organizzazioni dei Produttori.

Forse, oltre a denunciare il pomodoro contraffatto cinese, sarebbe il momento di guardare nei campi di casa nostra… in un periodo peraltro “d’oro” che ha visto un aumento delle esportazioni per le conserve di pomodoro italiane del 20% delle vendite in valore negli USA, nel 2015 primo Paese di destinazione fuori dall’Ue. Ma ancora per quanto?

Lush fa restyling in Buenos Aires a Milano: più ordine e focus sul prodotto

Scaffali in legno riciclato realizzato da artigiani locali tra Brescia e Bergamo, scuri per dare più risalto al prodotto, piastrelle bianche e fasce nere da cui risaltano i colori sgargianti dei saponi e delle confezioni, aria vintage, che richiama gli anni ’50 inglesi ma anche le vecchie cucine di campagna e il mondo del circo; esposizione “verticale” per categoria (prima era tutto un po’ mischiato); migliore utilizzo dello spazio e più chiarezza espositiva dovuta anche all’aumento delle referenze (200 nuove quest’anno su un totale di 300): sono queste le novità del nuovo corso di Lush, azienda inglese specializzata in cosmesi naturale che in Italia ha 30 pdv diretti e 6 in franchising.

Abbiamo visitato il punto vendita di corso Buenos Aires, il primo a Milano a “cambiare pelle”. In 35 mq tante sono le novità rispetto al passato. I primi negozi già vent’anni fa esibivano quel look shabby chic, legno chiaro riciclato, ceste, scritte a mano su lavagna che ormai vanno per la maggiore un po’ ovunque. Forse per questo l’azienda guidata da Mark Constatine ha deciso di differenziarsi e guardare avanti. Partito dal flagship di Oxford Street inaugurato lo scorso aprile, il restyling interesserà per ora la parte europea degli oltre 900 pdv Lush in 50 Paesi.

Alessandro Andreanelli, Amministratore Delegato di Lush Italia, ci ha spiegato il senso dell’operazione.
«Nel 2015 Lush ha celebrato il suo 20° anniversario e per festeggiare al meglio questa ricorrenza abbiamo inaugurato un imponente flagship store a Londra, nella centralissima Oxford Street. È il negozio Lush più grande al mondo, si sviluppa su tre piani e su una superficie di quasi 1.000 mq, e rappresenta l’emblema dell’innovazione del brand. A seguito dell’apertura di Oxford Street abbiamo avviato un progetto di restyling dei punti vendita in tutta Europa. Anche l’Italia si è allineata a questo progetto, che segue in tutto e per tutto il concept inaugurato con Oxford Street, a partire dal restyling del punto di vendita di Padova a settembre. Il nostro progetto accoglie in pieno la rinnovata filosofia del brand che si propone di coinvolgere sempre più il cliente anche a livello emotivo, accogliendolo in ambienti capaci di regalare una shopping experience unica e avvolgente».

[Not a valid template]

Nei negozi rinnovati, oltre all’estetica, i clienti troveranno altre novità e di che genere?
«Grazie al progetto di restyling ci poniamo l’obiettivo di comunicare, attraverso ogni più piccolo dettaglio nel punto vendita, i valori chiave che da 20 anni contraddistinguono Lush: lo spirito innovativo che si fonde alla forte artigianalità e alla costante attenzione all’ambiente, l’offerta di prodotti freschi, fatti a mano, 100% vegetariani, realizzati utilizzando materie prime equosolidali e rigorosamente non testati sugli animali. I nostri punti vendita vogliono coinvolgere i clienti in una shopping experience distintiva e si propongono di rappresentare e raccontare al meglio le peculiarità del brand: abbiamo inventato i nostri prodotti in maniera non tradizionale e offriamo ai clienti prodotti freschi e auto-conservanti in un’industria orientata a far durare i prodotti anni e anni. Con l’apertura di Oxford Street inoltre abbiamo introdotto quasi 60 nuovi prodotti, da rivisitazioni di prodotti iconici a vere e proprie innovazioni di settore, come ad esempio i dentifrici solidi e le gelatine da doccia».

Carrefour lancia “Tous AntiGaspi”, la private label antispreco e sostenibile

Prodotti che andrebbero altrimenti gettati perché di forma o aspetto difettoso, riutilizzati e immessi sul mercato: da gennaio faranno parte di una private label dedicata allo spreco zero di Carrefour in Francia, battezzata “Tous AntiGaspi”.
L’iniziativa, in collaborazione con il collettivo Les Gueules cassées già protagonista di varie azioni in passato con la GDO francese (vd il nostro articolo) è stata anticipata da “Le Figaro” che ha indicato come i primi prodotti del nuovo marchio, dei cereali per la colazione, saranno messi i vendita in 228 ipermercati Carrefour del Nord-Ovest della Francia. Ma l’insegna francese già quest’anno aveva commercializzato dei camambert invendibili perché “fuori taglia” rispetto allo standard, sempre in collaborazione con la “mela che ride” simbolo di Les Gueules cassées.
«Per essere venduti nei nostri supermercati sotto questo marchio un prodotto dovrà seguire alcuni criteri» ha chiarito a “Le Figaro” Bertrand Swiderski, direttore responsabilità sociale e ambientale Carrefour – deve essere stato prodotto seguendo la stessa ricetta e avere le stesse garanzie di sicurezza alimentare del suo equivalente “bello” (ovvero non alterato); essere venduto in un pdv che si trovi nella stessa regione della fabbrica; costare circa il 30% meno dell’”originale». Infine, non ci sarà alcuna garanzia sulla disponibilità del prodotto “perché per definizione questi prodotti sono scarti di produzione; non ci pensiamo nemmeno a produrre sistematicamente partite difettose!” Un centesimo di ogni prodotto venduto della nuova linea andrà inoltre a fondi e iniziative per la lotta contro la fame nel mondo.
Carrefour non è nuovo ad iniziative anti-speco: ad esempio ha già tolto o prolungato la data di scadenza da tutta una serie di prodotti a marchio (vd il nostro articolo).

Che la lotta allo spreco sia una questione reale sul banco di istituzioni e aziende in vari Paesi lo dimostra anche l’attenzione suscitata dal progetto Les Gueules cassées, pronto a sbarcare in altri Paesi tra cui USA (con il nome Ugly Mugs), Inghilterra, Giappone e Germania. E che ha appena attirato 6 milioni dal fondo di investimento americano Global Emerging Markets per lo sviluppo del concept in America del Nord e del Sud e in Medio Oriente. Affascinati anche loro, evidentemente, da questa “buona idea di buon senso” come la sintetizza il fondatore Nicolas Chabanne.

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare