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Come cambia la shopping experience, discount preferiti da 1 italiano su 3

Una recente indagine di AstraRicerche per Aldi, che ha coinvolto più di 1.000 italiani (uomini e donne) tra i 18 e i 65 anni, ha indagato sull’esperienza di acquisto nei supermercati e nei discount e ha tratto un’evidenza: il 31,9% degli italiani oggi sceglie il discount per la propria spesa.

Dai dati raccolti emerge che una percentuale superiore al 40% attribuisce voti di eccellenza (9 o 10) al discount e ai supermercati per quanto riguarda le aree destinate al parcheggio, all’illuminazione, alla pulizia e all’ordine dei locali, alla facilità di muoversi all’interno del punto vendita e anche al fatto che la disposizione dei prodotti è chiara e rende la spesa veloce e comoda.

La ricerca ha acceso i riflettori anche sull’evoluzione del consumatore moderno, molto più consapevole e attento a ciò che acquista e che consuma. Uno dei maggiori punti di attenzione dei clienti che incide sulla shopping experience riguarda l’esposizione delle etichette dei prodotti alimentari, lette spesso o sempre dal 79,4% del campione. Chi frequenta primariamente un discount è più attento alla data entro cui è preferibile consumare il prodotto, ma si dimostra anche particolarmente interessato ad avere ancor più informazioni in merito all’origine di questi (40,5%) e a quelli con un rapporto qualità-prezzo particolarmente vantaggioso (37,3%). Una maggiore attenzione e consapevolezza si osserva anche in merito agli aspetti ambientali: il 31,1% degli intervistati, infatti, si aspetta che supermercati e discount comunichino maggiormente quali sono i prodotti più sostenibili a livello ambientale e sociale. C’è anche una forte curiosità di conoscere prodotti “insoliti” o “innovativi” (24,4%), scoprire le differenze di utilizzo delle singole referenze (20,3%), come combinarle tra loro e come ottenere il meglio acquistandole insieme (18,7%). Questi valori sono riflessi nell’assortimento, con una particolare attenzione alle linee a marchio privato.

Complessivamente il 53,9% degli intervistati indica l’area degli alimentari freschi come la zona in cui trascorre più tempo, mentre il 27,9% quella degli alimentari confezionati e l’11,4% quella delle promozioni. In particolare, nei discount gli alimentari freschi sono l’area in cui viene speso più tempo secondo il 49,8% del campione, il 30,8% invece lo passa nell’area degli alimentari confezionati. Dalla ricerca si nota anche che le aree in cui i consumatori passano più tempo sono le stesse che rimandano ai valori di italianità e Made in Italy. Inoltre, il reparto del pane e della gastronomia è fortemente associato al concetto di artigianalità e tradizioni nazionali, ma anche di buon umore; il reparto dei prodotti freschi, come latticini, salumi e formaggi, è associato ad ampia scelta, italianità ed eccellenza. Questo evidenzia come per i consumatori moderni sia importante riconoscere anche dei veri e propri valori superiori nei reparti, non soltanto concetti di convenienza e di qualità.

La convenienza è un altro elemento fondamentale nella shopping experience dei consumatori moderni. L’area dedicata alle promozioni, infatti, è una di quelle di maggior interesse così come le indicazioni delle offerte e delle promozioni sono tra gli elementi che più attirano l’attenzione dei consumatori nel punto vendita che maggiormente frequentano (55,3%): questo valore supera anche quello dei prezzi esposti tramite cartellino (49,8%). A supporto di questa evidenza, ricordiamo che l’area degli store dedicata alle promozioni è quella dove viene speso più tempo per l’11,4% dei consumatori intervistati e le promozioni effettuate dalle insegne della GDO risultano valide per l’80,3% del campione.

“L’evoluzione dei supermercati e dei discount sta andando in una direzione che potremmo definire ‘valoriale’” commenta Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche. “I consumatori non cercano più solo qualità a prezzi convenienti; il supermercato diventa un luogo in cui il cliente ricerca valori superiori e con cui si identifica, come italianità, eccellenza o buon umore. La presenza di questi valori è fondamentale per creare relazioni solide e di lunga durata tra il retailer e il consumatore e devono essere chiaramente espressi nei reparti attraverso insegne e informazioni, per esempio, relativa all’origine e alla provenienza dei prodotti”.

Formaggi protagonisti nella dieta nazionale, consumi in crescita

Ferrari Giovanni Industria Casearia taglia l’importante traguardo del 200esimo anniversario. Oggi l’azienda annovera un giro d’affari di 157 milioni (bilancio del 2022) e conta 175 dipendenti diretti, distribuiti tra i due impianti produttivi di Ossago e Fontevivo, che l’anno scorso hanno prodotto circa 91,9 milioni di confezioni di formaggio di cui più di 67 milioni sono buste di grattugiato.

Consumi in crescita dunque, soprattutto negli ultimi cinque anni: il 28% degli intervistati in una recente ricerca condotta da SWG per Ferrari Giovanni Industria Casearia ha dichiarato di aver aumentato il proprio consumo di grattugiati; bene anche il segmento degli stagionati in pezzi interi (+20). I formaggi giocano quindi un ruolo fondamentale nella dieta degli italiani: quasi 6 intervistati su 10 ne dichiarano un consumo settimanale regolare, almeno 3-4 giorni su 7. Grazie al loro gusto, versatilità e comodità di utilizzo, i formaggi duri risultano particolarmente graditi ai consumatori durante i pasti, ma non solo. 6 italiani su 10 si dimostrano particolarmente interessati a nuove confezioni con mix di formaggi stagionati provenienti da diverse regioni italiane o DOP, ma anche a tagli dello stesso formaggio con stagionature diverse (52%), magari in abbinamento con prodotti complementari di degustazione (45%), aprendo così a diversi format e soluzioni, ideale per le più svariate occasioni di consumo: aperitivi in casa, idee regalo e occasioni speciali, come il Natale o la Pasqua.

Il grattugiato emerge invece, come il “re” della tavola nel quotidiano, soprattutto a pranzo e a cena, come partner ideale per la personalizzazione di numerose ricette. È proprio Giovanni Ferrari a mettere a punto, negli anni Ottanta, il confezionamento dei formaggi grattugiati freschi, avvalendosi della tecnologia dell’atmosfera protettiva: innovazione pionieristica che apre un nuovo segmento, che oggi vale circa un terzo del mercato dei formaggi duri in Italia. Infatti, per 2 consumatori su 3 il grattugiato non solo “semplifica la vita”, conciliandosi con la frenesia quotidiana e la scarsità di tempo, mentre per il per il 52% è un valido sostituto del formaggio grattugiato a mano e, inoltre, è un valido aiuto contro lo spreco alimentare. Un connubio di praticità e qualità, quello dei grattugiati in busta, in assenza del quale circa 4 consumatori su 10 preferirebbero ridurre il proprio consumo di formaggio. Per il 60% dei consumatori, però, la visibilità della marca rappresenta un elemento centrale nei processi di scelta, insieme ad una corretta informazione sull’origine del formaggio (soprattutto per il target più maturo).

I giovani, infine, si mostrano più attenti alle indicazioni circa modalità di utilizzo e in cucina e sul corretto smaltimento del packaging a tutela dell’ambiente. Tra chi sceglie Ferrari, infatti, il pack di un grattugiato racconta ed esprime la qualità del prodotto (88%, + 16 punti rispetto alla media dei consumatori), dell’attenzione all’ambiente (76%, +9 punti) del portato innovativo dell’azienda produttrice (76%, +13 punti). Non a caso, per 9 consumatori su 10 il settore lattiero caseario costituisce un vanto per il Paese e un’eccellenza invidiata in tutta Europa, nonché una leva per favorire l’attrattività dei territori. Allo stesso modo, la qualità pesa più della convenienza, e un italiano su cinque la considera un aspetto “irrinunciabile e senza prezzo”.

Per la maggioranza degli italiani il formaggio si conferma quindi un alimento imprescindibile, un emblema di gusto, versatilità e tradizione che, come ci insegnano i 200 anni di Ferrari, rappresenta un elemento identitario della storia alimentare del nostro Paese.

Retail, inflazione e crisi stanno cambiando le aspettative delle famiglie

Spinte inflazionistiche, guerra, tensioni geopolitiche globali e cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova il settore retail. I dati diffusi da Istat relativi alle vendite al dettaglio (marzo 2023) evidenziano un incremento tendenziale a valore (+5,8%) al quale corrisponde un calo in volume del 2,9%, trend che perdura già da qualche mese.

La fotografia che esce da un recente studio di Omnicom PR Group Italia pone il comparto al 2° posto tra gli 8 analizzati, come nel 2021, nella classifica di gradimento degli italiani con il 42,9% dei consensi (al primo posto l’automotive con il 44,7%, e al terzo la tecnologia 42,6%). Gli italiani, per la prima volta, considerano “il maggior valore” di prodotti e servizi la determinante fondamentale nelle proprie scelte (con un gap di -76 punti tra aspettative ed esperienze), mettendo in secondo piano il customer care (-74 punti), seguito dalla “sostenibilità” nella sua accezione più ampia, legata alla cura dell’ambiente (-64 punti) ma anche dei propri dipendenti (-50 punti). Per garantire una offerta di “maggior valore” i retailer stanno mettendo al centro delle proprie strategie le linee a marchio privato, che rappresentano una scelta di acquisto sempre più consapevole per le famiglie italiane, che puntano su qualità e convenienza, tracciabilità lungo la filiera e attenzione all’italianità. Altro dato interessante è che “l’innovazione” è oggi solo al 6° posto delle priorità, era al 5° posto nel 2021. Bene invece il rapporto tra aspettative ed esperienze su “comunicazione frequente ed esaustiva” e “risultati operativi e finanziari”.

Similmente alla moda, per il settore della grande distribuzione si distinguono nettamente per rilevanza e interesse gli Z (15-24enni) che dominano la classifica per età sull’engagement in termini di ricerca e condivisione di informazioni, preferendo – cosa inaspettata – il passaparola ai social network. Le loro aspettative sono altissime verso la cura dell’ambiente. I boomers si concentrano sul “maggior valore” di prodotti e servizi (certificazioni su filiera, manodopera, etc.), sulla cura del cliente e nel maggiore impegno delle aziende nell’intraprendere una giusta direzione, sostenibile da un punto di vista finanziario e di impatto sociale.

“Oggi il consumatore ha aspettative alte in merito all’impegno che una insegna dovrebbe assumersi per il bene delle persone e dell’ambiente” commenta Laura Meroni, Retail Industry Lead e direttore operativo di Omnicom PR Group. “Dal packaging al riciclo, alla tracciabilità e origine dei prodotti, passando per il minor consumo di energia, senza dimenticare l’attenzione alle persone e alle loro necessità, siano essi dipendenti o consumatori. La grande distribuzione, in questo momento di grande incertezza, sta adattando le proprie strategie per venire incontro alle esigenze del consumatore. Una risposta concreta è rappresentata dalle linee a marchio privato che stanno assumendo un ruolo sempre più strategico nell’assortimento delle insegne”.

Buoni sconto fondamentali per la spesa degli italiani

Nel corso del 2022 in Italia sono stati distribuiti 250 milioni di buoni sconto con un valore medio di 1,30€, registrando una crescita del 10% rispetto all’anno precedente. Il giro d’affari del settore ha raggiunto così 350 milioni di euro, incremento proseguito nel primo trimestre del 2023 quando sono stati distribuiti circa 60 milioni di buoni, per un valore medio di 1,45€ e un giro d’affari di 87 milioni di euro.

I dati emergono dallo studio “Il mercato del couponing in Italia” redatto da Savi, azienda che si occupa della gestione dei servizi legati all’utilizzo dei buoni sconto e all’analisi dei dati nel mercato della Gdo e non solo. La ricerca è stata condotta sulla base dei dati generati da oltre 38.000 rivenditori che comprendono insegne della Gdo, drugstore, specializzati e farmacie (sono esclusi i discount) e rappresentano la quasi totalità delle aziende del settore in Italia.

Lo studio conferma quanto i coupon siano sempre più uno strumento fondamentale nella spesa degli italiani. Oltre il 40% delle famiglie è alla ricerca di sconti e offerte e quasi il 60% di esse valuta attentamente prezzi e quantità dei prodotti che intende acquistare con l’obiettivo di massimizzare il ritorno della propria spesa. Un trend già in corso da anni, ma che ha subìto un’accelerazione nel periodo della pandemia, quando la congiuntura economica e il successivo aumento dei prezzi hanno inesorabilmente modificato le abitudini di acquisto degli italiani, sempre più attenti e consapevoli.

Alla crescita nell’utilizzo dei buoni sconto è inoltre corrisposto un aumento del 25% dei coupon digitali, che oggi rappresentano il 10,5% del totale transato in cassa. Un dato rilevante che testimonia come sempre più consumatori si stiano avvicinando a strumenti alternativi e dematerializzati, nell’ambito di un processo di digitalizzazione che, tuttavia, è ancora alle prime fasi di adoption. Se si va nel dettaglio delle macro-categorie merceologiche in cui si osserva un maggiore utilizzo dei buoni sconto, il settore alimentare è quello in cui si concentra il 43,4% di tutti i coupon. Tra i beni alimentari più acquistati troviamo le bevande (30,2%), i prodotti confezionati (22,8%), il latte e i derivati (16,9%) e i dolciumi (15,6%). I coupon per i condimenti e i prodotti da forno sono stati utilizzati rispettivamente dal 5,9% e dal 4,4% del totale, mentre i surgelati dal 3,5%. Una quota sempre maggiore dei consumatori utilizza poi strategie di risparmio mirate per acquistare prodotti per la routine di bellezza quotidiana. Il 26,1% dei buoni sconto utilizzati ha infatti avuto ad oggetto articoli per la cura e l’igiene personale e il 20,5% prodotti dedicati alla detergenza. Il 7% dei coupon rientra invece nella categoria dei prodotti per gli “animali”.

“Il couponing è un settore in costante crescita ed evoluzione, perché permette di accedere a promozioni su un’ampia categoria di prodotti in maniera semplice e istantanea”, ha dichiarato Angelo Tosoni, Managing Director di Savi Italia. “Come Savi abbiamo intrapreso da tempo un percorso di digitalizzazione che ci ha spinto ad investire oltre 1 milione di euro negli ultimi tre anni per trasformare il mercato dei coupon in un’esperienza interamente dematerializzata, con evidenti benefici sia per i consumatori che per le catene della Gdo oltre che per le aziende dell’industria di marca. Queste ultime, grazie alla nostra piattaforma, possono controllare in tempo reale tutti gli analytics derivanti dalle transazioni degli utenti che utilizzano i buoni sconto. Siamo proiettati sul futuro, consapevoli che i coupon diventeranno sempre più uno strumento di engagement e di fidelizzazione dei clienti”.

 

Spiragli di ottimismo nonostante inflazione e rincari, gli italiani restano cauti

Una recente ricerca effettuata da Simon-Kucher, società di consulenza strategica specializzata in strategie di pricing, evidenza lo spiraglio di cauto ottimismo nonostante si viva un periodo fortemente connotato da incertezza economica e sociale. Dallo studio, che ha preso a campione più di 15.000 consumatori distribuiti su 17 Paesi, emerge che il 36% su scala globale sia ottimista sulle prospettive finanziarie future, dato in crescita del 12% rispetto agli ultimi 6 mesi. Nonostante in Italia la cautela rimanga fortemente radicalizzata e il livello di incertezza risulti superiore di quasi 20 punti percentuali agli altri Paesi, la ricerca mette in luce che il 19% dei cittadini si dichiara ottimista sul futuro, dato ancora basso ma in leggera risalita rispetto all’ultimo periodo.

Immediato l’impatto di queste evidenze sulle abitudini di spesa: il 39% dei consumatori italiani pianifica di ridurre le proprie spese in beni non essenziali nel corso del 2023 (come lusso, intrattenimento, elettronica e tempo libero). L’alimentare è il settore che risentirà meno del cambio di abitudini di consumo: a differenza delle altre categorie, una maggior quota di intervistati, seppur minoritaria, dichiara addirittura di voler aumentare la spesa (circa il 27%). Invariata invece la frequenza di acquisto degli italiani (solo l’1% ha dichiarato che prevede di aumentare leggermente la frequenza di acquisto) a differenza di altri Paesi in cui risulta in aumento anche di 23 punti percentuali. Nelle regioni dell’APAC si attende la crescita maggiore sia in termini di frequenza che di volumi, seguita dall’America Latina. Dalla ricerca emerge che le abitudini di spesa per categoria merceologica a livello globale sono simili; tuttavia in Italia si nota una maggiore tendenza ad accentuare il risparmio.

Diverse le sfide che alla luce del quadro delineato si profilano per le aziende di prodotto considerato che anche le nuove preferenze di consumo hanno un riflesso: gli italiani preferiscono benefit diretti come sconti più alti, promozioni e iniziative di cross selling come pacchetti di prodotti correlati. Oltre il 50% degli intervistati ha dichiarato che tra i diversi strumenti proposti dalle aziende le promozioni e gli sconti rimangono i preferiti, seguiti da offerte di prodotti più economici, private label e programmi fedeltà. “In un periodo storico segnato da incertezza, i consumatori italiani si rivelano dei cauti ottimisti nel modellare le proprie abitudini di consumo” – commenta Francesco Fiorese, Partner e Managing Director di Simon-Kucher Italia. “Adattandosi alle mutevoli circostanze con resilienza e con un atteggiamento capace di reagire positivamente alle avversità, i consumatori mostrano una grande maturità, lanciando determinanti segnali positivi anche per la produzione e le imprese”.

Out of stock e vendite perse, scenario difficile per il largo consumo

Dopo un 2022 particolarmente complesso e difficile per le aziende, tanto da aver fatto ripartire il fenomeno degli “scaffali vuoti” (3,7% di tasso di out-of-stock) e aver aumentato le vendite perse (arrivate al 5,1%), il primo trimestre 2023 ha confermato questo trend: il tasso di out-of-stock è aumentato di +0,2%, arrivando al 3,5%, interessando in modo crescente i prodotti e le categorie a più alto valore unitario, per cui la gestione della profondità assortimentale è diventato un fattore critico. Questo ha determinato una crescita di +0,6% delle vendite perse che hanno toccato quota 4,7%.

Ad aver determinato questo scenario sono soprattutto quattro fenomeni sui quali, in un recente webinar, si sono concentrati Carolina Gomez e Marco Colombo, global central operations di Circana, delineandone gli effetti sul livello di servizio offerto al consumatore finale nei punti vendita della distribuzione moderna.

1. Inflazione al consumo
La forte pressione sui costi ha spinto in alto i prezzi sugli scaffali del largo consumo. Rispetto al gennaio 2019, a dicembre 2022 i prezzi alla produzione dei comparti industriali alimentare, bevande e tabacco sono saliti di +25% e quelli medi di alimentari confezionati e bevande nel retail di +16%. Questo fenomeno ha avuto importanti ripercussioni sull’andamento delle vendite in supermercati e ipermercati, che hanno guadagnato il 5,7% a valore rispetto al 2021 ma hanno perso il 1,7% a volume. Alla diminuzione della rotazione dei prodotti a scaffale si è aggiunto il ritorno alla crescita del tasso di out-of-stock (+0,2% per supermercati e ipermercati di vicinato, +0,3% per i grandi supermercati), arrivato al 3,7% contro il 3,5% del 2021. L’aumento del tasso di out-of-stock ha riguardato tutti i reparti a partire dalla primavera ed è stato particolarmente impattante per le bevande durante l’estate. Il comparto dei prodotti chimici per la cura della casa è riuscito a contenere il delta negativo mentre la drogheria alimentare ha recuperato nel corso del secondo semestre. Surgelati e fresco hanno peggiorato progressivamente la loro prestazione nel corso del 2022, mentre il petcare ha migliorato a fine anno. Ancora una volta l’ortofrutta si conferma il reparto con il più alto tasso di out-of-stock (10,5%).

2. Aumento dei costi di produzione
La crisi energetica, alimentare ed economica generata dal conflitto in Ucraina ha determinato una minor disponibilità di materie prime e, di conseguenza, un contingentamento della produzione. Questo ha diminuito la disponibilità a scaffale di alcuni prodotti: un caso particolare è quello degli oli di semi e pasta di semola. Il timore di non trovare più i prodotti a scaffale o di dover pagare prezzi più alti ha generato negli oli di semi un “effetto incetta”, che, a marzo 2022, ha portato ad un incremento eccezionale di vendite rispetto allo stesso mese del 2021, ma anche a un tasso record di out-of-stock (10%). Con il passare dei mesi questo fenomeno è rientrato ma le vendite perse sono aumentate, sostenute dall’inflazione. Una dinamica analoga si è registrata anche nella pasta di semola, determinando un picco delle vendite superiore al 50% nei mesi primaverili, accompagnato dalla crescita dei prezzi medi fino alla soglia di +30% in estate, per poi rientrare a +20% circa. Ciò ha determinato un aumento temporaneo del tasso di out-of-stock della pasta di semola, dettato non tanto dalla difficoltà di reperimento della pasta in generale quanto da marchi e formati specifici, che intaccano il valore complessivo della categoria.

3. Scarsità di materie prime e di componenti essenziali
La minor disponibilità di alcuni prodotti essenziali nei processi di trasformazione ha caratterizzato il 2022 e si è fatta sentire in particolare per alcuni componenti, come l’anidride carbonica. L’effetto su alcuni mercati è stato significativo, com’è avvenuto nelle acque minerali: l’incremento del prezzo della Co2 e la sua scarsità, aggiunti all’eccezionale stagione estiva, hanno determinano un aumento progressivo dei prezzi al pubblico e un andamento molto disomogeneo delle vendite. L’effetto sullo scaffale è stato immediato: ad agosto 2022 il tasso di out-of-stock dell’acqua minerale gassata è salito al 27,1% (contro il 7,5% del 2021) e l’impatto sulle vendite perse è stato superiore del 20% rispetto al 2021.

4. Cambiamento climatico e stagionalità estreme
Il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso da quando si hanno rilevazioni attendibili: ha determinato degli impatti a scaffale? Non sembra, visto che nei mesi con i maggiori rialzi delle temperature non si sono registrati picchi nell’andamento dell’out-of-stock. Il caso delle bevande gassate è emblematico sia in termini di out-of-stock (5% di tasso) sia di vendite perse (42%). Nel 2023 le vendite perse sono, poi, ulteriormente aumentate di +19%.

Solo meno dell’8% del peso dell’inflazione è attribuibile al largo consumo

L’aumento dei prezzi ha portato a una maggiore focalizzazione sui volumi di vendita nel largo consumo confezionato concentrando l’attenzione sulla recente contrazione degli stessi negli ultimi sei mesi. Tuttavia, nel settennio compreso tra 2015 al 2022, l’LCC segnato una crescita dei volumi di oltre 9 punti.

Un’analisi di OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) mostra come l’impatto generato dall’inflazione del settore sia decisamente minore del percepito. Nello specifico lo studio rileva l’indice dei prezzi al consumo di dicembre 2022 all’11,6% e indica come il traino dell’inflazione siano i costi di mutui e utenze che da sole generano oltre il 50% dell’inflazione. Mentre il largo consumo confezionato pesa solo il 21%, che nell’esame OECD coinvolge anche altre categorie tra cui il tabacco.

Riportando i valori a livello nazionale, partendo dalle rilevazioni ISTAT e incrociandole coi dati NielsenIQ, risulta che il differenziale medio mensile per famiglia, dovuto all’inflazione, è di 446 euro, quindi in media le famiglie italiane spendono quasi 500 euro in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia approfondendo questo dato, emerge che il differenziale generato dal largo consumo è di soli 35 euro ovvero meno dell’8%.

“Il percepito del peso degli aumenti nel largo consumo penalizza eccessivamente la nostra filiera che negli anni, al contrario, ha dimostrato di essere virtuosa, lasciando per sua natura al consumatore la possibilità di effettuare delle scelte. Ciò non accade per altre spese che, oltre ad aver un maggior impatto sulle tasche degli italiani, non permettono rapide sterzate come per il carrello della spesa. L’analisi svolta non intende sminuire il fenomeno inflazionistico nel largo consumo ma ne fotografa in modo più oggettivo l’impatto” commenta Luca De Nard, Amministratore Delegato NielsenIQ Italia.

L’inflazione rema a favore delle private label, il segmento abbraccia il 38% delle vendite totali

Un recentissimo studio di Circana, azienda nata dalla fusione tra IRI e The NPD Group, rivela che i prodotti a marchio del distributore hanno registrato un picco di crescita in quasi tutte le categorie chiave del largo consumo confezionato. Oggi le private label rappresentano infatti il 38% delle vendite totali di beni di largo consumo in Europa, pari a 229 miliardi di euro.

Il rapporto di Circana analizza l’impatto della pandemia, dell’inflazione e della crisi economica su oltre 230 categorie del largo consumo, per oltre 2000 segmenti di prodotti e più di 10 milioni di codici EAN. Il rapporto evidenzia inoltre una crescita complessiva della marca del distributore in tutti i sei maggiori mercati europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi), con la penetrazione più alta registrata in Spagna (47%) e Germania (41%) e la più bassa nel Regno Unito (37%), dove i consumatori restano più fedeli alle marche industriali che rappresentano un modo veloce per fare scelte di acquisto comode e sicure.

“Le private label hanno fatto molta strada rispetto a quando circa 40 anni fa sono arrivate sugli scaffali. Gli investimenti dei distributori a sostegno dello sviluppo di questi prodotti stanno dando i loro frutti. Oggi queste referenze vengono percepite come buone o addirittura migliori rispetto a molti prodotti di marca con cui competono. I consumatori le considerano innovative. Di conseguenza non sono più l’alternativa “economica” al brand che viene motivata dal fattore prezzo: gli shopper acquistano private label per la loro capacità di offrire qualcosa di nuovo e di buona qualità” ha commentato Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana.

I consumatori “fedelissimi” al marchio del distributore equivalgono insomma a quelli “fedelissimi” ai prodotti di marca: il 60% dei consumatori intervistati ritiene che le private label siano innovative, di qualità, sostenibili e altrettanto buone rispetto ai marchi industriali; il 25% le considera addirittura migliori. Il 21% dei consumatori – molti dei quali sono in una fascia di reddito media – è indeciso ed acquista entrambe le tipologie di prodotto ma ha affermato che oggi le marche del distributore sono migliori rispetto ai marchi industriali.

Gli shopper scelgono di comprare prodotti a marchio del distributore principalmente per i beni edibili – dal momento che l’inflazione ha colpito maggiormente questo tipo di prodotti. Per quanto riguarda i prodotti non edibili invece, la penetrazione delle marche del distributore è maggiore per i prodotti per la cura della casa, in particolare per i detersivi e gli igienizzanti. La categoria delle bevande alcoliche ed alcuni alimenti per l’infanzia hanno visto una crescita molto parziale delle marche del distributore. Per questi prodotti i consumatori sono rimasti più fedeli ai loro brand di fiducia. I distributori per contrastare questa tendenza, stanno introducendo sugli scaffali prodotti innovativi, come birre analcoliche o prodotti artigianali di alta qualità, realizzati con ingredienti di provenienza locale.

Le marche non stanno perdendo necessariamente fedeltà ma gli shopper hanno ridotto i volumi acquistati. Per continuare ad avere un elevato livello di fedeltà dei consumatori, le marche devono continuare a puntare sull’innovazione. Gli shopper oggi comprano facendo un bilancio tra i loro desideri e il loro reale potere d’acquisto. Per loro vale la pena cambiare o provare nuovi prodotti solo se offrono un buon prezzo e se sono percepiti come maggiormente salutari, pertanto i produttori dovrebbero tenere in considerazione questi elementi quando propongono i loro brand.

“I distributori stanno sviluppando le private label seguendo una strategia incentrata sul consumatore e sulla base di dati concreti. Le marche industriali non possono più ignorare la concorrenza rappresentata da questo tipo di offerta. Il consumatore ha cambiato la sua percezione della marca del distributore e decide di acquistarla in quanto questa scelta rientra perfettamente nel proprio piano di attento e consapevole risparmio, senza dover rinunciare alla qualità. La crescente fedeltà e la quota che i distributori hanno raggiunto potrebbe, in futuro, portare a dei cambiamenti strutturali del mercato del largo consumo” conclude Roy.

Inflazione e crisi fanno calare la domanda di beni di largo consumo, si afferma il prosumer

Circana fornisce un’anteprima dell’analisi semestrale “FMCG Demand Signals” che evidenzia un indebolimento – in termini di volumi – della domanda per beni di largo consumo nei sei principali mercati Europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi). Si tratta di un calo del – 1,1% su base annua che si accentua ulteriormente (-1,4%) nel quarto trimestre del 2022. Questo è il quinto trimestre di flessione consecutiva e non si prevede un ritorno alla normalità fino alla fine del 2023.

Lo studio evidenzia come si stia affermando la figura del cosiddetto “prosumer” – un consumatore sempre più consapevole, esperto, lungimirante e attento ai prezzi, che seleziona ciò che acquista e decide come consumarlo, con l’obiettivo di attenuare l’impatto dei forti aumenti di prezzo sul proprio portafoglio. La figura del “negozio preferito” scemerà sempre più poiché gli shopper acquistano meno in un unico negozio e preferiscono invece frequentare più punti vendita per trovare prodotti meno costosi. Con la crisi energetica che continua a colpire le tasche delle famiglie, oltre all’impatto della guerra in Ucraina che incide sulla supply chain e sul costo delle materie prime, gli shopper sono alla continua ricerca di opportunità di risparmio.

“Questa flessione dei volumi evidenzia in modo chiaro la battuta d’arresto della domanda per prodotti di largo consumo nei maggiori mercati europei. Prevediamo che la domanda calerà bruscamente soprattutto nei generi alimentari di prima necessità, dove l’inflazione continua ad essere particolarmente elevata” ha commentato Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana,

Quella che oggi sta diventando una “crisi del tenore di vita” richiede ai consumatori di modificare le loro abitudini in termini di acquisto e consumo dei beni alimentari. L’86% degli shopper europei dichiara che il proprio potere di acquisto è in contrazione. Di conseguenza, viene adottato un approccio strategico. Quando entrano in negozio sono sempre più attenti e non si fanno più tentare dagli acquisti d’impulso e talvolta sono meno sensibili alle offerte. Segnali della crisi sono ad esempio l’aumento delle vendite di prodotti in scadenza (quindi commercializzati a prezzo ridotto) o le aumentate segnalazioni da parte delle catene di furti nei punti di vendita. In questo contesto i retailers sono intervenuti aumentando le promozioni mirate per i possessori di carte fedeltà, istituendo per alcuni prodotti i cosiddetti ‘prezzi fissi’ e un allineamento di prezzo tra le diverse catene, mantenendo tra 500 e 1000 articoli ad un costo ridotto. Hanno anche incoraggiato l’uso di dispositivi “scan-as-you shop” nel negozio per aiutare a tenere sotto controllo il valore dello scontrino degli acquirenti.

Evidenze europee
Il largo consumo confezionato è cresciuto del 5,8% nel 2022 in tutta Europa, aumentando il giro di affari di 33 miliardi di euro in termini di vendite a valore rispetto al 2021. Durante le ultime 13 settimane del 2022, le vendite a valore hanno segnato un +10,1%, come risultato diretto dell’inflazione record. L’incremento coinvolge tutte le categorie ad eccezione delle bevande alcoliche. Freddo, fresco, ambient food, bevande e cura della persona hanno spinto la crescita del largo consumo nel 2022, ma un calo del -3,4% nelle vendite di alcolici ha compensato marginalmente i guadagni. Questa flessione può essere in parte spiegata da un ritorno alla normalità dopo un aumento della domanda durante la pandemia. Ciò dimostra anche come alcune abitudini stiano cambiando e vi sia una riduzione dei momenti di consumo e delle quantità consumate per singola occasione. Si registra inoltre un mutamento nel mix dei segmenti con un incremento per gli alcolici Ready-To-Drink e per birre e liquori a basso/zero contenuto alcolico che tuttavia non compensano a pieno il calo complessivo della domanda.

Tendenze sul comportamento dei consumatori nei sei maggiori mercati in Europa, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti
La forbice tra la capacità di acquisto e la disponibilità a spendere si è ampliata. Solo il 14% dei consumatori non ha modificato il proprio stile di vita, mentre il 39% oggi attinge dai risparmi personali e fa ricorso a prestiti per pagare le bollette. Non ci sarà più un solo negozio per fare la spesa. Il 29% dei consumatori è intenzionato a cambiare il luogo in cui acquista i prodotti di tutti i giorni per ricercare convenienza, mentre il 26% andrà in un altro negozio se il proprio marchio abituale non è disponibile o non è scontato (34%) o se non ci sono abbastanza offerte tra i prodotti che fanno parte dell’abituale paniere settimanale (41%). I distributori stanno lavorando per affrontare il potenziale calo della penetrazione e del numero di visitatori nei loro negozi, intensificando le promozioni legate alle carte fedeltà, promuovendo prodotti con “prezzi fissi” e applicando sconti su una gamma di articoli che sono parte della spesa di base dei consumatori. Gli shopper attuano strategie di acquisto volte a moderare l’impatto degli aumenti di prezzo. Il 22% ha ridotto il numero di shopping expedition e il 32% pianifica in anticipo i propri acquisti. Il 18% ora stabilisce a priori quanto spendere per ridurre gli acquisti d’impulso e utilizza dispositivi scan-as-you shop e siti web per informarsi sui prezzi e non avere sorprese alla cassa al momento di pagare.

Cambia anche il comportamento dei consumatori all’interno del negozio. Il 59% degli shopper confronta i prezzi, il 49% la quantità da utilizzare e il 44% è alla ricerca di prodotti contrassegnati da sconti e promozioni. Il 29% cerca prodotti sostenibili e il 39% legge le etichette degli imballaggi o le recensioni indipendenti (23%). Un consumatore su quattro (27%) ha mutato le proprie abitudini e fa acquisti di conseguenza (compra ad esempio prodotti per preparare un pranzo al sacco da portare al lavoro). Questo si traduce in un’opportunità in termini di innovazione, nella formulazione delle porzioni, nel design e nel pack. Di conseguenza i retailer stanno ampliando l’assortimento di marchi del distributore per soddisfare le nuove esigenze emergenti. I fattori che guidano la scelta di testare un prodotto nuovo includono un buon prezzo (63%), la convenienza (40%) la disponibilità a scaffale (40%). Innovazione, sostenibilità, buona qualità, prodotti a base vegetale o attenti all’ambiente sono tutti elementi oggi molto importanti per i consumatori ma non determinanti per decidere di testare nuovi prodotti.

“Con una domanda ridotta e una minore fiducia dei consumatori, i distributori devono continuare a lavorare sull’ottimizzazione e la gestione degli assortimenti. I distributori promuovono strategie volte a bloccare il costo delle materie prime per supportare i clienti, ma questo sta portando a una aspra guerra dei prezzi. La razionalizzazione degli scaffali oggi riguarda tutte le categorie ad eccezione di fresco, freddo e confectionery e ci aspettiamo di vedere il graduale ritorno dell’Every Day Low Price in numerose catene, poiché le promozioni in alcuni paesi si stanno rivelando meno efficaci. La strategia vincente sarà quella di promuovere prodotti con un ottimo livello di qualità/prezzo così da rispondere al meglio alle nuove esigenze dei consumatori” conclude Roy.

Consumi degli italiani, GS1 fa il punto della situazione in due appuntamenti

Attenzione alla sostenibilità ambientale, all’aspetto salutistico e all’origine dei prodotti, ma anche al portafogli e al brand: tra tendenze vecchie e nuove, come si stanno evolvendo i consumi degli italiani? Da quali valori sono guidati? A tracciare il quadro sarà Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy, che interverrà in due appuntamenti nel calendario del largo consumo italiano per raccontare le evidenze dagli ultimi studi di GS1 Italy:

Giovedì 4 maggio, ore 10.30 – 12.30. All’evento online “Ipsos presenta Flair Italia 2023″, in cui sarà presentata la 13° edizione del rapporto annuale di Ipsos che racconta l’Italia di oggi e le sfide di domani, Marco Cuppini dialogherà con Chiara Ferrari, public affairs leader di Ipsos, nell’intervento “I consumatori, un bersaglio mobile”, dedicato al “Nuovo Codice Consumi”, la ricerca fondativa sui consumi realizzata da GS1 Italy in collaborazione con McKinsey e Ipsos.

Martedì 9 maggio, ore 11.30 – 12.15. Nel palinsesto di Retail Plaza a TuttoFood (Pad. 2 U25 -Z26), presso Fiera Milano a Rho, la tavola rotonda “Better Future. Brand e insegne incontrano l’innovazione sostenibile” approfondirà i temi dell’innovazione e della sostenibilità, partendo dall’analisi delle nuove tendenze di consumo attraverso i dati dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy. A seguire, una panoramica sul racconto della sostenibilità dei brand e il punto di vista dei retailer nelle testimonianze di quattro tra i principali player della distribuzione.

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