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Fase 2: telecamere per il controllo e la sicurezza

Dopo il lockdown, la riapertura deve essere graduale e prudente. Occorrono quindi strumenti per monitorare la situzione e garantire sicurezza.

Uffici, cantieri, banche, negozi, scuole, stazioni, aeroporti, ma anche supermercati, cinema, hotel, luoghi di svago e divertimento: sono tutti ambienti dove l’accesso deve essere tutelato, sull’intero territorio nazionale.

FEVERCAM, è la nuova gamma di termocamere per il controllo della temperatura, che svolge in maniera automatica e senza l’ausilio di personale dedicato, il controllo su tutte le persone in ingresso e in transito, individuando eventuali sintomi influenzali. Uno strumento non invasivo, con lettura istantanea e basata su un algoritmo che rileva l’esatta temperatura, analizzando il volto e senza interferire con le persone.

Recentemente il Garante per la Privacy ha riconosciuto la necessità dell’uso di questo tipo di strumenti, autorizzando le misure per il controllo della temperatura delle persone nei luoghi di lavoro. Una pratica che è utilissima anche nei luoghi pubblici. Se immaginiamo di recarci in un cinema, un ristorante, un hotel, per tutti noi avere la consapevolezza che ogni frequentatore sia verificato, è prima di tutto garanzia per la collettività e, al tempo stesso, un grande valore aggiunto per l’azienda che lo utilizza, in termini di responsabilità sociale.

Il funzionamento

Grazie a FEVERCAM è possibile eseguire una scansione biometrica del volto, abilitando in automatico l’accesso e la registrazione del soggetto. Il nuovo rivelatore ad infrarossi ad alta risoluzione di 1280×1024 pixel consente una precisione senza eguali. Massima affidabilità e stabilità nel tempo e tengono conto di ogni condizione e variabile, con un ottimo rapporto qualità/prezzo

Attraverso sistemi software di ultima generazione e una tecnologia brevettata, FEVERCAM garantisce un flusso di tracciamento dati continuo e di alta precisione, in grado di controllare e prevenire il contagio del Coronavirus. Le termocamere rappresentano infatti il supporto ideale per rilevare soggetti con potenziale stato febbrile, anche con ingenti flussi di individui in movimento.

La gamma

FC – 3K/6K è una termocamera con rilevatore della temperatura corporea estremamente preciso. Il suo design compatto la rende perfetta per essere installata in ogni ambiente. Progettata per monitorare il rischio di epidemie, è di semplice utilizzo. Dispone di un software di tracciamento e riconoscimento facciale istantaneo. Il sistema di rilevamento dispone di un algoritmo brevettato specifico per l’uso in ambienti ad alto transito. La misurazione corporea ed il conseguente allarme avviene in maniera istantanea, anche su più    individui contemporaneamente.

FC – DUAL è una termocamera dual-vision dal design compatto. Fornisce contemporaneamente sia le immagini ad infrarosso della temperatura corporea sia l’immagine naturale delle persone in transito. Indispensabile quando il transito avviene in rapida successione, registrando la temperatura dei soggetti in maniera simultanea. Termocamera specifica per gli accessi in ambienti presidiati sia pubblici che privati come uffici, cantieri ed in generale in ogni area con servizio di reception.

FC – PAD è una termocamera rivoluzionaria. Dotata di un software altamente innovativo, basato su un sistema misto con termografia ad infrarossi e analizzatore biometrico. Utilizza un sensore incorporato e una dinamica fotocamera da 2 Megapixel. Identifica immediatamente attraverso una scansione in 3D i tratti del volto della persona ad una distanza compresa tra 0,2-0,8 metri e, contemporaneamente ne rileva la temperatura corporea. Funziona anche se si indossa una mascherina protettiva in viso. Dispone di un software di gestione in grado di riconoscere 15.000 volti e archiviare 200.000 passaggi.

Distanziamento sociale sotto controllo con Smart Proximity

Dopo Covid-19 niente è uguale a prima. A cominciare dalle distanze sul posto di lavoro.

Il problema è valutare  gli spazi. Nasce con questo obiettivo il sistema Smart Proximity (www.eng.it/smart-proximity), ideato da Engineering per governare il distanziamento al lavoro, garantendo la protezione delle persone e l’efficacia produttiva.

Smart Proximity consente di segnalare la distanza che intercorre con  precisione utilizzando un dispositivo indossabile (smart sensor).

Quando la distanza di sicurezza tra due lavoratori dotati del dispositivo non è rispettata i due sensori segnalano la criticità via led, vibrazione o suono.

Tutti i contatti vengono memorizzati per successive eventuali analisi.

Proximity Sensor

Il sensore wearable, ingegnerizzato in un bracciale o altro supporto, identifica un sistema capace di relazionarsi con uno o più sensori nelle vicinanze. Ciascun sensore interagisce con l’altro inviando e ricevendo le informazioni di prossimità.

Quando i due dispositivi sono in visibilità avvisano in tempo reale l’operatore (suono / led) invitandoli a mantenere la distanza di sicurezza. La funzionalità di alert non richiede nessuna interazione con il centro in quanto autonomamente viene attivata dal dispositivo. Il dispositivo è in grado di rilevare in prossimità altri dispositivi vicini entro 1,5 metri con un errore di +/- 10 cm

Le informazioni raccolte dal dispositivo sono inviate, utilizzando la rete WiFi o il BLE ad un sistema di memorizzazione ed elaborazione attraverso il quale è possibile analizzare tutti gli eventi registrati dai dispositivi: nel caso in cui un dipendente risultasse affetto da covid 19 si ottiene immediatamente l’elenco di tutti i suoi contatti.

I dati rilevati possono essere scambiati con sistemi di monitoraggio del SSN.

Nessuna informazione sensibile è mantenuta dalla piattaforma. Sono salvati solo gli identificativi univoci del sensore e le relazioni temporali tra loro in forma rigorosamente anonima senza alcuna associazione ai dati dell’utente. Gli identificativi univoci presenti sullo smart sensor sono cifrati e le informazioni viaggiano su un canale sicuro. L’utente dà il consenso al recupero delle informazioni di relazione temporale anonime del proprio sensore ai sistemi esterni alla piattaforma.

Tecnologie: utili e sempre più diffuse, impatteranno sul personale e sui brand

Contenuti digitali sul punto vendita: qual è in merito la percezione dei consumatori? E quali le aspettative?

Per dare una risposta a questi interrogativi –  indagando la percezione delle tecnologie e delle soluzioni digitali installate nella rete di punti vendita retail e, di conseguenza, la loro efficacia in termini di utilità, facilità d’adozione e impatto sul ruolo del personale, sull’esperienza d’acquisto e sui risultati del negozio – M-Cube, leader europeo in soluzioni di digital engagement per il punto vendita, ha supportato lo svolgimento di un’indagine esplorativa.

Il primo dato emerso è che da oltre il 75% degli intervistati la tecnologia è ritenuta decisamente utile, senza differenza per genere, età, nazione di provenienza, livello di istruzione e durata media dello shopping. In particolare, però, l’utilità della tecnologia risulta maggiore per i più giovani e per chi è cliente abituale del brand. Analogamente la tecnologia è ritenuta facile da usare, di nuovo senza distinzioni particolari nel campione, benché con incidenza superiore nella fascia relativa ai giovani e agli istruiti, che valutano la tecnologia come più pratica e intuitiva.

Per circa l’80% degli intervistati tuttavia la tecnologia impatterà sul personale, il cui cambio di ruolo è atteso maggiormente dai clienti più giovani e istruiti. In particolare, inoltre, l’utilità della tecnologia viene associata all’impatto che essa ha sul personale soprattutto se la promessa alla base intende dare libertà al cliente nell’esperienza d’acquisto (capacità di orientarsi nella proposta e nella customer experience, consultazione cataloghi e raccolta di informazione e infine metodi di check-out).

Per quanto riguarda invece l’impatto che la tecnologia ha sulla percezione del brand secondo il cliente, il riscontro è largamente positivo: per il 73% la tecnologia cambia in meglio la percezione del brand, soprattutto per i clienti abituali e i clienti di età giovane. Inoltre, l’attitudine al passaparola positivo sul negozio è molto elevata per tutto il campione. Ne consegue, infine, che l’utilità dei contenuti digitali in store è responsabile dei risultati del negozio, per effetto sul branding, sull’esperienza d’acquisto e sul passaparola aumentati dalla tecnologia.

Leonardo Comelli, Direttore Commerciale di M-Cube, commenta così i risultati della ricerca: “Il dato più interessante che emerge da questa ricerca è come la percezione del brand sia fortemente influenzata in maniera positiva dalla presenza di tecnologie all’interno del punto vendita, soprattutto nel retail dei marchi moda e lusso. La tecnologia rende il negozio un importante momento di comunicazione del brand, e ne fa il luogo in cui, in una strategia multicanale, il cliente ha l’ incontro più emozionante e coinvolgente con il prodotto.”

Secondo Andrea Ordanini, Professore di Marketing & Service Analytics, BNP Paribas Endowed Chair all’Università Bocconi: “In sintesi, la tecnologia avrà un ruolo fondamentale nel ridisegno in molti punti vendita del futuro, ma non come pura sostituzione del personale di contatto, bensì come elemento facilitatore della relazione di servizio fra consumatore e brand.

Metodologia

Lo studio, condotto da un team di ricerca coordinato dal professor Andrea Ordanini dell’Università Bocconi di Milano, si è svolto intercettando e intervistando in profondità 100 persone al termine della loro esperienza d’acquisto, all’interno di punti vendita in cui erano presenti tecnologie fornite da M-Cube.

Gruppo Masserdotti presenta Onframe, la nuova business unit per il retail

Gruppo Masserdotti affianca il retail con Onframe, la nuova business unit che offre ai player della GDO, catene e brand lo studio e la realizzazione on demand di frame e lightbox in alluminio e tessuto totalmente personalizzabili. Con la nuova divisione, Gruppo Masserdotti si conferma interlocutore privilegiato per il mondo del retail, proponendosi come unico partner tecnologico industriale per progetti di visual communication a 360°. Tutte le soluzioni offerte, che vanno dalla decorazione digitale per la vestizione degli spazi ai sistemi digital signage, fino alle nuove insegne eco-friendly, possono essere integrate sinergicamente con l’obiettivo di fornire un’esperienza immersiva e unica a clienti e visitatori.

Capaci di conferire eleganza e praticità alla comunicazione indoor, le soluzioni Onframe coniugano l’estrema facilità di montaggio al massimo impatto visivo. La risposta per effettuare rapidi cambi di immagine e promozioni temporanee in punti vendita, centri commerciali e showroom. Mono o bifacciali, da appendere a parete o stand alone, retroilluminati con Led, i lightbox realizzati da Onframe sono totalmente customizzabili grazie a un inedito configuratore basato su software proprietario, messo a punto dal reparto R&D interno dopo oltre un anno di sperimentazione. Unico nel settore, questo esclusivo strumento viene utilizzato dai tecnici del Gruppo Masserdotti per effettuare con estrema precisione e rapidità progettazione e relativa preventivazione delle insegne. Dopo la configurazione, le strutture, dotate di certificazione per la parte elettrica, vengono costruite on demand in alluminio anodizzato di massima qualità.

FrescoFrigo installa uno dei suoi frigo intelligenti a NewYork

FrescoFrigo, startup italiana dedicata all’healthy food close to you, porta a NewYork, uno dei suoi frigoriferi intelligenti, installandolo direttamente nella 43th strada di Manhattan all’interno del quartier generale di un’importante realtà statunitense che opera nel settore Real Estate.

“New York e gli USA in generale, rappresentano il palcoscenico più innovativo e dinamico, quando si parla di tecnologie per il retail, qui i consumatori sono ormai abituati ad user experience digitali e a soluzioni evolute anche per ordinare il caffè mattutino. – ha dichiarato Nino Lo Iacono, Co-Founder, COO & Head of Tech di FrescoFrigo – Ed è proprio in questo tipo di mercato, che desideravamo dimostrare la scalabilità e l’incisività di FrescoFrigo come canale di vendita, in grado di offrire comodità ai consumatori finali e capillarità ai food vendor. Comodità e capillarità che rappresentano proprio ciò che il mercato cerca oggi e ciò che FrescoFrigo è in grado di offrire in modo efficace, attraverso un business model profittevole e sostenibile sia per noi che per i nostri partner.”

“Sono proprio questi i plus che ci hanno consentito di chiudere una partnership di questo calibro in pochissimo tempo, sia con la location sia con il partner ristorativo” – ha concluso Lo Iacono.

Il partner ristorativo

FrescoFrigo ha infatti siglato un’importante collaborazione con la catena di ristoranti Proper Food, una realtà salutare, che propone piatti e snack in modalità take away attraverso 13 punti vendita distribuiti tra San Francisco e New York. Il menù, realizzato giornalmente da Proper Food con prodotti freschissimi e stagionali, nel periodo invernale si arricchirà di squisite zuppe, deliziose insalate e gustosi sandwich, mentre nel periodo estivo troveranno posto freschissime macedonie, salutari yogurt guarniti, estratti di frutta e verdura, il tutto esclusivamente “home made”.

‘Abbiamo ideato Proper Food perché crediamo non si debba mai scegliere se mangiare bene o mangiare in fretta; per questo il nostro obiettivo è quello di rendere facilmente accessibile il cibo di alta qualità e FrescoFrigo promuove questa mission portando i nostri prodotti salutari e cucinati da zero ogni mattina direttamente negli uffici, così le persone potranno gustare pasti freschi preparati dallo chef anche nei luoghi di lavoro’ – ha dichiarato Dana Bloom, co-fondatrice di Proper Food, concludendo poi – ‘Non è necessario compromettere la qualità per la praticità, neppure nei giorni più impegnativi. Non vediamo l’ora di espandere questa collaborazione con FrescoFrigo per promuovere la nostra missione di fornire cibo salutare, sostenibile e delizioso a tutti’.

Il partner per i pagamenti

Come già avviene per il mercato italiano, anche per quello americano sarà Stripe ad accompagnare e supportare FrescoFrigo nella gestione dei pagamenti via internet. ‘Siamo estremamente felici di vedere una realtà di così recente fondazione, realizzare le proprie ambizioni internazionali con l’innovativa soluzione di “food delivery da ufficio” da loro ideata’ – dichiara Alessandro Astone, Country Manager Italia di Stripe – ‘Il nostro obiettivo è quello di permettere alle aziende di ogni dimensione di gestire i pagamenti in modo rapido e semplice: in questo caso specifico fornire ai propri clienti un’esperienza di pagamento piacevole e seamless via mobile, garantendo allo stesso tempo a FrescoFrigo di poter smistare automaticamente l’incasso ai propri partner e punti vendita’.

I clienti potranno visionare i prodotti dalla grande vetrina frontale del frigorifero intelligente, sbloccare e aprire il frigo tramite una mobile app, scegliere i prodotti che preferiscono e concludere l’acquisto semplicemente chiudendo la porta del frigo. La tecnologia RFID con connessione in cloud di cui è dotato il frigo rileva l’operazione e addebita elettronicamente al cliente il costo dei prodotti scelti.

 

Abbigliamento: perdite inventariali pari a circa 375 milioni di euro

Differenze inventariali: quanto incidono sul retail? E quanto spendono i retailer in misure di sicurezza? Le risposte ce le fornisce la ricerca Retail Security in Europe. Going beyond Shrinkage”, realizzata da Crime&Tech, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems.

E fa riflettere.

Nel 2017, infatti, il loro ammontare è stato dell’1,5% del fatturato complessivo dei retailer coinvolti e provenienti da 11 Paesi europei.  Limitatamente al settore dell’abbigliamento, poi, è emerso che la percentuale di perdite è stata pari all’1,4%, seguita dall’1,3% dei retailer specializzati in accessori. La buona notizia? L’89% dei rispondenti ha comunque registrato un drastico calo rispetto al biennio precedente.

Ciò non toglie che il costo è comunque molto alto: le perdite annue per i retailer dell’apparel ammontano infatti a 375 milioni di euro, che sommati alle cifre dei settori che si occupano di scarpe e accessori arriva a 464 milioni. Inoltre la cifra aumenta ancora di più se si prendono in considerazione anche tutte le altre divisioni del retail, raggiungendo i 49 miliardi di euro l’anno.

Gli articoli più rubati

Al primo posto ci sono i pantaloni, seguiti dai pullover e dalle camicie: tutti prodotti facilmente rivendibili online. L’80% dei retailer intervistati dalla ricerca e coinvolti nel settore dell’apparel, ha inoltre individuato dei periodi di maggiore incidenza del fenomeno dello shrinkage, come il lancio di nuove collezioni, le festività e i fine settimana.

L’abbigliamento risulta anche essere il settore maggiormente soggetto ai furti definiti “interni”, come ad esempio l’appropriazione indebita di beni e di denaro. Una fetta importante delle perdite nell’apparel è poi dovuta a motivazioni di natura non criminale, come le restituzioni di prodotti difettosi (da non confondersi con il sempre più dilagante fenomeno del wardrobing, ossia i resi fraudolenti).

La spesa in sicurezza

In Europa i retailer spendono in media lo 0,62% del fatturato in misure di sicurezza e l’abbigliamento è tra i settori che investono più risorse, utilizzando lo 0,7% del proprio fatturato in tecnologie e mezzi per la protezione della merce. In quest’ambito le soluzioni protettive proposte da Checkpoint Systems sona varie.

Come la recente S20, che si adatta al design dello store, garantendo contemporaneamente un’esperienza di acquisto sicura e senza ostacoli, caratteristica che nel settore dell’abbigliamento si rende primaria per un maggiore appeal verso la clientela. Diverse anche le soluzioni di etichettatura dei capi d’abbigliamento con cartellini intelligenti, adatti a tecnologie sia RFID sia EAS e applicabili direttamente in negozio o in fase di produzione: un esempio in questo senso sono le etichette rigide e la recente R-Turn Tag, studiata appositamente per contrastare i resi fraudolenti dei “wardrobers”.

Checkpoint Systems fornisce inoltre soluzioni per il controllo preciso e sicuro degli inventari anche lungo la supply chain: l’RFID Hanging Garment Tunnel , studiato appositamente per il settore apparel, permette di scansionare capi di abbigliamento appesi, nei centri di distribuzione, per un controllo delle merci più veloce, preciso e completo in entrata e in uscita. L’hardware può essere anche connesso ad HALO, la piattaforma software di Checkpoint Systems che fornisce soluzioni intelligenti uniche nel loro genere e incentrate su suggerimenti di azioni mirate, provenienti da dati raccolti da sensori presenti in ogni punto della supply chain.

 

 

PowerSuite incrementa il business del 30% e individua il packaging vincente

Bilancio positivo per PowerSuite, la piattaforma targata Toluna che consente ai brand lo sviluppo agile di nuovi prodotti attraverso strumenti di ricerca interamente automatizzati. Solo nell’ultimo anno, la suite ha infatti registrato un incremento del business pari al 30%, stabilendo un significativo successo confermato anche dagli oltre 700 concept testati dalla sua introduzione, avvenuta nel settembre 2016.

Tre soluzioni

PowerSuite comprende tre differenti soluzioni, PowerConcept, PowerShelf e PowerPack.

PowerConcept fornisce insights completamente automatizzati per comprendere la forza generale del brand e del concept.

PowerPack consente di indagare facilmente il gradimento dei consumatori in termini di packaging, design, forma e messaggio.

PoweShelf semplifica la simulazione dell’ambiente retail così da comprendere sia l’impatto dell’imballaggio sul prodotto che il posizionamento dello stesso sullo scaffale. 

L’importanza del packaging

Una delle feature più interessanti offerte da PowerPack e PowerConcept è la funzione “heatmaps”, grazie alla quale è possibile comprendere i gusti dei consumatori in merito al packaging. Ai rispondenti, accuratamente selezionati tramite le oltre 750 variabili di profilazione disponibili sulla piattaforma, vengono sottoposte immagini diverse della stessa confezione. Le indicazioni ricevute aiutano così i marketer a comprendere quali sono gli aspetti maggiormente apprezzati del target di riferimento.

“Circa il 95% delle decisioni d’acquisto quotidiane sono inconsapevoli, spontanee e immediate. Il packaging di un prodotto, per esempio, rappresenta uno dei primi touchpoint tra brand e consumatore, per questo deve essere ideato incontrando e seguendo i gusti del consumatore – afferma Marco Gastaut, Managing Director Southern Europe & Latam. – I brand non hanno mai avuto uno strumento così performante, come PowerSuite, in grado non solo di fornire regolarmente feedback dal proprio target di riferimento, ma anche di impiegare la metodologia di ricerca più adatta per ogni fase di sviluppo del prodotto. Vi è infatti un valore significativo nell’adottare un approccio agile che permette di migliorare packaging, messaggio e offerta attraverso i suggerimenti forniti della nostra community. Grazie a PowerSuite, stiamo fornendo ai clienti la possibilità non solo di adattarsi alla continua evoluzione del mercato ma anche di ottenere consumer insights in real-time e azionabili, sui quali poi basare decisioni aziendali critiche”.  

A ricerca conclusa, i preziosi insights vengono presentati tramite un infoboard, illustrando anche il numero di ricerche completate, il brand appeal, i driver di acquisto, i dati demografici e un sommario dei risultati più rilevanti. Viene inoltre fornita la possibilità di incrociare le metriche più rilevanti, permettendo così ai vertici aziendali di prendere decisioni rapide e consapevoli. Un approccio innovativo e vincente che consente ai clienti un significativo risparmio in termini di tempo e costi senza però sacrificare la qualità o la fiducia del processo decisionale garantiti dall’esperienza di Toluna.

Le nuove tecnologie danno sicurezza. Ma quante aziende le utilizzano?

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Le nuove tecnologie piacciono. E rassicurano. Peccato però che le aziende del Food & Beverage, pur percependone l’importanza per la sicurezza alimentare, non siano ancora del tutto consapevoli di come applicarle. Ecco in estrema sintesi una delle principali evidenze emerse dall’indagine Il futuro della sicurezza alimentare: quale il prossimo passo? condotta da DNV GL e GFSI (The Global Food Safety
Initiative) su oltre 1.600 professionisti del settore in tutto il mondo. Lo studio ha infatti evidenziato come soltanto 1 azienda su 10 utilizzi già oggi le nuove tecnologie per garantire la sicurezza alimentare. Migliori gli scenari futuri: da qui a 3 anni si prevede infatti che il rapporto salga a quasi 4 su 10.

Ma quali sono le nuove tecnologie più diffuse?
I dati indicano sensori e beacon (44% oggi, 56% fra tre anni) seguiti dalla blockchain (15% oggi, 40% fra tre anni). Il problema è che in mancanza di idee chiare in materia, gli investimenti sono anch’essi fluttuanti: più di un quarto delle aziende intervistate dichiara di non sapere quanto investirà in soluzioni digitali nei prossimi 12-18 mesi, mentre il 14% risponde che non effettuerà alcun investimento.

Unrecognizable female supermarket customer reaches for fresh oranges while shopping for produce. Focus is on a shopping basket filled with leafy greens and fresh oranges.

“Le tecnologie digitali come la blockchain hanno già trasformato molti settori, specialmente nel mondo retail, ma la nostra indagine suggerisce che per molte aziende queste tecnologie devono ancora passare dall’essere oggetto di discussioni teoriche, a possibilità di applicazione concreta,” commenta infatti Luca Crisciotti CEO di DNV GL – Business Assurance.

A intuire il valore della blockchain sono soprattutto le aziende asiatiche, il 57% delle quali prevede di utilizzare questa tecnologia entro tre anni, una percentuale significativamente più alta che nelle altre regioni.

Se poi andiamo a guardare le motivazioni che portano le azuiende a implementare la sicurezza alimentare, vederemo che sl primo posto svetta la salvaguardia della salute dei consumatori (88%), seguita da leggi e normative (69%) e dalle esigenze/richieste dei consumatori (60%). I benefici commerciali ottengono invece un punteggio più basso (30%), a suggerire che la sicurezza alimentare sia percepita più come un prerequisito che come un differenziale competitivo.
E quali sono le paure peggiori?
I rischi operativi (76%), come le contaminazioni, sono percepiti come la minaccia più evidente, seguiti dai rischi associati alla mancanza di una cultura della sicurezza alimentare (30%) e alla conformità con le normative (28%). I timori per i rischi operativi sono particolarmente sentiti in Europa (82%) rispetto alle altre regioni.

Ma come disinnescare (o quanto meno ridurre la minimo) i rischi?

A questo scopo, le aziende si concentrano sui sistemi di sicurezza alimentare: HACCP (85%), procedure per garantire la sicurezza nelle fasi iniziali di progettazione di un prodotto (68%) e un sistema di gestione (es.ISO 22000) che copra i requisiti di produzione e permetta al contempo di ottenere un miglioramento continuo (66%).

Infine, è stato chiesto al campione, perché ricorrere alle certificazioni.
Una netta maggioranza di aziende ha risposto di vedere la certificazione come un requisito per fare business (79%) mentre, più di metà (53%) ha detto di considerarla anche come un modo per migliorare ulteriormente la sicurezza alimentare.Metodologia dell’indagine

L’indagine è stata condotta tra novembre e dicembre 2018 e ha interessato 1.643
specialisti di aziende Food & Beverage lungo tutta la catena del valore in Europa,
Nord America, Centro-Sud America e Asia.

Il campione è costituito da clienti di DNV GL – Business Assurance e da aziende certificate secondo almeno un programma di certificazione riconosciuto da GFSI.

Nel campione sono state considerate come LEADER 241 aziende in totale, che rappresentano il 15% di tutti i rispondenti e l’analisi delle loro risposte offre spunti di approfondimento sulle buone pratiche e la filosofia delle aziende che presentano un approccio più maturo alla sicurezza alimentare.

La tecnologia è amica o nemica del lavoro? Italiani ottimisti, manager e giovani preoccupati

Che le tecnologie stiano trasformando il mondo del lavoro è cosa evidente: macchine sempre più intelligenti e precise, veloci e in grado di eseguire ogni genere di compiti sono pronte a sostituire cuochi e cassieri, autisti e infermieri (anche nel retail, vedi I robot prenderanno il controllo del supermercato del futuro?). Per contro, la tecnologia rende più semplice svolgere varie mansioni, evitare di recarsi i ufficio ma lavorare da casa, analizzare i Big Data, organizzare il lavoro e programmarlo per prendersi spazi di vita, in tutti i settori. Ma qual è la percezione “sul campo”, delle persone, a proposito? Lo ha indagato uno studio condotto da Epson su oltre 7.000 lavoratori nei cinque principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Anche perché il mondo del lavoro sarà trasformato dalle nuove tecnologie in tempi più brevi di quanto si pensasse: molti infatti ritengono che non sia così lontano un mondo dove la produzione di massa appartiene al passato.

 

Il 64% di posti in meno, il 63% disposto a cambiare

Eppure, c’è poco spazio per l’ottimismo. Oltre la metà (57%) dei dipendenti europei – ma ben il 62% di quelli italiani – che lavorano nella sanità, formazione, retail e produzione ritiene che la tecnologia rivoluzionerà settori e modelli aziendali. Soprattutto, il 6% degli intervistati in Europa (e il 4% in Italia) crede che nel futuro la propria mansione non esisterà più: una previsione addirittura al ribasso, visto che stando ai modelli attuali si parla di una possibile riduzione dei livelli di occupazione in Europa al 64%, un valore inferiore a quello registrato nel 2005. Ciò nonostante, chi lavora mostra di essere cittadino a pieno titolo della learning society e gli italiani (86%) si dichiarano ancora una volta più ottimisti degli europei (72%), con il 63% disposto ad aggiornare le proprie conoscenze per poter svolgere nuove mansioni.

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Tuttavia, questo ottimismo potrebbe essere vanificato dal fatto che, nelle opinioni dei dipendenti, le aziende sembrano non voler trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie: infatti solo il 15% dei lavoratori italiani considera la propria organizzazione “eccellente” nel monitorare i nuovi sviluppi tecnologici e meno di un terzo (27%) la ritiene particolarmente abile quando si tratta di implementare nuove tecnologie. In questo scenario, sostanzialmente allineato ai valori europei, rimane quindi una certa sfiducia da parte dei lavoratori sulla capacità o volontà delle organizzazioni circa l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Lo studio che ha messo a confronto le opinioni fornite da 17 esperti di vari settori con quelle di oltre 7.000 dipendenti e manager, evidenzia come singoli individui, datori di lavoro e istituzioni debbano affrontare scelte non facili circa l’adozione delle nuove tecnologie. Le opinioni siano contrastanti sia sui potenziali vantaggi che sulle possibili minacce circa l’avvento dell’innovazione tecnologica nei vari settori e nelle diverse economie.

In ogni caso, il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno.

Il settore manifatturiero, probabilmente perché già ampiamente colpito in passato dalla “caduta di teste” risultato della robotizzazione della produzione, si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.

Nel settore della formazione l’ottimismo è meno diffuso: mancanza di finanziamenti, formazione degli insegnanti e tecnologie obsolete vengono indicate come le principali minacce per il futuro della formazione. Il 61% a livello europeo (68% in Italia) degli intervistati, inoltre, ritiene che gli insegnanti non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie nei prossimi 10 anni, con conseguenti difficoltà nell’impartire lezioni agli studenti.

Oltre i tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che la tecnologia potrebbe aumentare i profitti delle aziende e offrire nuove opportunità di crescita. Tuttavia, per le realtà che vogliono investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di mantenere la loro competitività e trarre vantaggio dal cambiamento, lo studio ha evidenziato tre tendenze principali che non devono essere trascurate:

I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Mentre in media solo il 6% dei dipendenti ha dichiarato di voler fermare o impedire di proposito l’introduzione della tecnologia qualora questa rappresentasse una minaccia per la mansione svolta, sorprendentemente questa percentuale aumenta tra i Millennials (giovani tra 18 e 29 anni) con il 12% e tra i dirigenti, con addirittura il 17%.

Le nuove tecnologie esercitano un forte fascino, ma sono poche conosciute.
In media, gli intervistati sono affascinati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà` aumentata, i dispositivi indossabili, le tecnologie per la collaborazione e la robotica, ma la loro conoscenza e` piuttosto limitata.

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C’è grande disponibilità a “rimettersi in gioco” per acquisire nuove competenze.
Quasi un terzo degli intervistati ritiene che la propria azienda non comunichi in maniera efficace quale possa essere l’impatto generato dai cambiamenti tecnologici sulle varie mansioni. Inoltre, benché il 65% (63% in Italia) degli intervistati ritenga che la propria azienda abbia la possibilità di formare i dipendenti nell’utilizzo di nuove tecnologie, crede anche che i datori di lavoro siano molto più propensi ad assumere nuovo personale già competente anziché formare e riallocare i dipendenti potenzialmente in esubero. Di questi, solo il 47% valuta positivamente la capacità del proprio datore di lavoro nel ricollocare i dipendenti in esubero. Ciò nonostante, ben il 72% degli italiani (il valore più alto registrato, con una media europea del 65%) si dichiara disposto ad acquisire nuove conoscenze per poter svolgere mansioni diverse qualora il proprio ruolo fosse minacciato.

«L’attuale preoccupazione legata al progresso tecnologico è del tutto comprensibile ma la tecnologia offre enormi opportunità, se gestita in maniera corretta. Indipendentemente dalla nostra attuale situazione lavorativa, essa è destinata a cambiare in futuro e, come evidenziato anche dai risultati dello studio, occorre intensificare il dialogo tra la Pubblica Amministrazione, le aziende e la società in generale affinché tutti possano acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per assumere nuovi ruoli e sfide. Le modalità con cui gestiremo l’evoluzione determineranno il nostro ruolo lavorativo – e non solo – per i prossimi 10 o 20 anni» ha dichiarato Minoru Usui, Presidente di Epson.

Lo studio in due fasi è stato condotto da FTI Consulting. Durante la prima fase (settembre – ottobre 2016) si sono svolte interviste telefoniche basate sul metodo qualitativo a 17 persone fra esperti di previsione di scenari futuri provenienti da vari Paesi ed esperti europei in vari settori, per ottenere informazioni e formulare ipotesi sull’ambiente di lavoro del futuro e su come cambieranno ruoli e funzioni dei dipendenti nei prossimi anni, fino al 2025. La seconda fase, che si è svolta online nel dicembre 2016, consisteva invece in un’indagine quantitativa condotta dal team Strategy Consulting &Research di FTI Consulting. All’intervista hanno partecipato i dipendenti full-time di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna impiegati in cinque settori principali (corporate, produzione, formazione, settore sanitario e retail) per un totale di 7.016 dipendenti.

La sfida del retail omnichannel passa dalla supply chain integrata

Nello scenaro omnichannel che si sta configurando sempre di più la supply chain è l’elemento chiave per integrare i diversi canale e consentire di avere una visione comune dell’inventario. È, questa, secondo Franck Lheureux, GVP South & CE Europe di JDA, che abbiamo incontrato al Word Retail Congress, il fattore critico di maggiore impatto per il retail. Una più stretta integrazione tra eCommerce, gestione ordini e tutti gli elementi della supply chain sarà vitale per fornire un servizio migliore ai clienti, grazie alla maggiore reattività e, contemporaneamente, al miglioramento dell’efficienza aziendale.

La questione principale per i retailer è quella di presidiare i diversi canali facendo arrivare al cliente i prodotti in maniera profittevole. «La profittabilità è il mantra per i retailer».

Secondoi risultati di una indagine presentata da Jda al World Retail Congress, per il 71% degli intervistati la strategia omnicanale è una priorità, ma il 30% afferma di operare ancora per canali distinti,  il 31% dichiara di offrire un’esperienza omnicanale ai clienti, ma di essere ancora in difficoltà nel back-end e il 19%  dichiara di avere il back end allineato con il front end, ma che è troppo complesso e costoso. Solo il 16%, quindi, afferma di gestire l’omnicanalità con profitto.

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Anche il fattore tempo è determinante nell’organizzazione della supply chain, perché i cicli stanno accelerando. «I tempo oggi si misura in istanti – dice Lheureux – ed è importante per la profittabilità nella gestione della domanda dei clienti. Poiché è necessario rispondere istantaneamente agli ordini dei clienti occorre che l’inventario sia disponibile esattamente nel posto e nel momento in cui il cliente si aspetta che il prodotto sia consegnato».

In questo processo anche i punti vendita devono cambiare: la shopper experience dovrà essere arricchita e devono diventare luoghi di esperienza piacevole in sé. «Se non si connette emozionalmente il cliente con il brand, se non si crea interattività, si rischia di perdere la brand equity e di conseguenza i consumatori», sottolinea Lheureux.

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