Che le tecnologie stiano trasformando il mondo del lavoro è cosa evidente: macchine sempre più intelligenti e precise, veloci e in grado di eseguire ogni genere di compiti sono pronte a sostituire cuochi e cassieri, autisti e infermieri (anche nel retail, vedi I robot prenderanno il controllo del supermercato del futuro?). Per contro, la tecnologia rende più semplice svolgere varie mansioni, evitare di recarsi i ufficio ma lavorare da casa, analizzare i Big Data, organizzare il lavoro e programmarlo per prendersi spazi di vita, in tutti i settori. Ma qual è la percezione “sul campo”, delle persone, a proposito? Lo ha indagato uno studio condotto da Epson su oltre 7.000 lavoratori nei cinque principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Anche perché il mondo del lavoro sarà trasformato dalle nuove tecnologie in tempi più brevi di quanto si pensasse: molti infatti ritengono che non sia così lontano un mondo dove la produzione di massa appartiene al passato.
Il 64% di posti in meno, il 63% disposto a cambiare
Eppure, c’è poco spazio per l’ottimismo. Oltre la metà (57%) dei dipendenti europei – ma ben il 62% di quelli italiani – che lavorano nella sanità, formazione, retail e produzione ritiene che la tecnologia rivoluzionerà settori e modelli aziendali. Soprattutto, il 6% degli intervistati in Europa (e il 4% in Italia) crede che nel futuro la propria mansione non esisterà più: una previsione addirittura al ribasso, visto che stando ai modelli attuali si parla di una possibile riduzione dei livelli di occupazione in Europa al 64%, un valore inferiore a quello registrato nel 2005. Ciò nonostante, chi lavora mostra di essere cittadino a pieno titolo della learning society e gli italiani (86%) si dichiarano ancora una volta più ottimisti degli europei (72%), con il 63% disposto ad aggiornare le proprie conoscenze per poter svolgere nuove mansioni.

Tuttavia, questo ottimismo potrebbe essere vanificato dal fatto che, nelle opinioni dei dipendenti, le aziende sembrano non voler trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie: infatti solo il 15% dei lavoratori italiani considera la propria organizzazione “eccellente” nel monitorare i nuovi sviluppi tecnologici e meno di un terzo (27%) la ritiene particolarmente abile quando si tratta di implementare nuove tecnologie. In questo scenario, sostanzialmente allineato ai valori europei, rimane quindi una certa sfiducia da parte dei lavoratori sulla capacità o volontà delle organizzazioni circa l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Lo studio che ha messo a confronto le opinioni fornite da 17 esperti di vari settori con quelle di oltre 7.000 dipendenti e manager, evidenzia come singoli individui, datori di lavoro e istituzioni debbano affrontare scelte non facili circa l’adozione delle nuove tecnologie. Le opinioni siano contrastanti sia sui potenziali vantaggi che sulle possibili minacce circa l’avvento dell’innovazione tecnologica nei vari settori e nelle diverse economie.
In ogni caso, il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno.
Il settore manifatturiero, probabilmente perché già ampiamente colpito in passato dalla “caduta di teste” risultato della robotizzazione della produzione, si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.
Nel settore della formazione l’ottimismo è meno diffuso: mancanza di finanziamenti, formazione degli insegnanti e tecnologie obsolete vengono indicate come le principali minacce per il futuro della formazione. Il 61% a livello europeo (68% in Italia) degli intervistati, inoltre, ritiene che gli insegnanti non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie nei prossimi 10 anni, con conseguenti difficoltà nell’impartire lezioni agli studenti.
Oltre i tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che la tecnologia potrebbe aumentare i profitti delle aziende e offrire nuove opportunità di crescita. Tuttavia, per le realtà che vogliono investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di mantenere la loro competitività e trarre vantaggio dal cambiamento, lo studio ha evidenziato tre tendenze principali che non devono essere trascurate:
– I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Mentre in media solo il 6% dei dipendenti ha dichiarato di voler fermare o impedire di proposito l’introduzione della tecnologia qualora questa rappresentasse una minaccia per la mansione svolta, sorprendentemente questa percentuale aumenta tra i Millennials (giovani tra 18 e 29 anni) con il 12% e tra i dirigenti, con addirittura il 17%.
– Le nuove tecnologie esercitano un forte fascino, ma sono poche conosciute.
In media, gli intervistati sono affascinati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà` aumentata, i dispositivi indossabili, le tecnologie per la collaborazione e la robotica, ma la loro conoscenza e` piuttosto limitata.

– C’è grande disponibilità a “rimettersi in gioco” per acquisire nuove competenze.
Quasi un terzo degli intervistati ritiene che la propria azienda non comunichi in maniera efficace quale possa essere l’impatto generato dai cambiamenti tecnologici sulle varie mansioni. Inoltre, benché il 65% (63% in Italia) degli intervistati ritenga che la propria azienda abbia la possibilità di formare i dipendenti nell’utilizzo di nuove tecnologie, crede anche che i datori di lavoro siano molto più propensi ad assumere nuovo personale già competente anziché formare e riallocare i dipendenti potenzialmente in esubero. Di questi, solo il 47% valuta positivamente la capacità del proprio datore di lavoro nel ricollocare i dipendenti in esubero. Ciò nonostante, ben il 72% degli italiani (il valore più alto registrato, con una media europea del 65%) si dichiara disposto ad acquisire nuove conoscenze per poter svolgere mansioni diverse qualora il proprio ruolo fosse minacciato.
«L’attuale preoccupazione legata al progresso tecnologico è del tutto comprensibile ma la tecnologia offre enormi opportunità, se gestita in maniera corretta. Indipendentemente dalla nostra attuale situazione lavorativa, essa è destinata a cambiare in futuro e, come evidenziato anche dai risultati dello studio, occorre intensificare il dialogo tra la Pubblica Amministrazione, le aziende e la società in generale affinché tutti possano acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per assumere nuovi ruoli e sfide. Le modalità con cui gestiremo l’evoluzione determineranno il nostro ruolo lavorativo – e non solo – per i prossimi 10 o 20 anni» ha dichiarato Minoru Usui, Presidente di Epson.
Lo studio in due fasi è stato condotto da FTI Consulting. Durante la prima fase (settembre – ottobre 2016) si sono svolte interviste telefoniche basate sul metodo qualitativo a 17 persone fra esperti di previsione di scenari futuri provenienti da vari Paesi ed esperti europei in vari settori, per ottenere informazioni e formulare ipotesi sull’ambiente di lavoro del futuro e su come cambieranno ruoli e funzioni dei dipendenti nei prossimi anni, fino al 2025. La seconda fase, che si è svolta online nel dicembre 2016, consisteva invece in un’indagine quantitativa condotta dal team Strategy Consulting &Research di FTI Consulting. All’intervista hanno partecipato i dipendenti full-time di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna impiegati in cinque settori principali (corporate, produzione, formazione, settore sanitario e retail) per un totale di 7.016 dipendenti.