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Nicolas, l’enoteca di prossimità francese che spiega come si vende il vino

Nel 1822 Louis Nicolas aprì a Parigi la sua prima cantina. Oggi, quasi due secoli dopo, il suo è uno dei cognomi più letti a Parigi e in Francia. Nicolas è infatti l’insegna di una catena di enoteche che conta oltre cinquecento negozi in tutto il Paese e quasi duecento nella sola Parigi, dove quasi a ogni angolo di strada ne spunta uno.

Una vera enoteca di prossimità che ha costruito negli anni un modello di business a prova di bomba, che garantisce un fatturato annuo ben oltre i 300 milioni annui e in continua crescita. Grazie ad alcune caratteristiche molto ben definite: un’accurata scelta di vini e cantine, con una selezione rigorosa e una serrata trattativa sui prezzi; offerte continue per tipologie e stagioni, che abbattono sensibilmente i prezzi delle bottiglie; un’ambiente elegante e familiare, che invita a girare tra gli scaffali; una serie di vini “brandizzati” venduti a prezzi particolarmente convenienti; una forte motivazione del personale, che viene spesso trasferito da un negozio all’altro in base a un sistema di premialità che porta i più bravi in breve tempo a lavorare nelle zone migliori e più redditizie; una forte interazione con il cliente, che si rivolge ai commessi per avere consigli e ne riceve indicazioni competenti e cordiali. Un assortimento di accessori (cavatappi, decanter, bicchieri) e di snack da accompagnamento.

Tutti fattori che consentono a Nicolas di tenere botta nel confronto con la grande distribuzione organizzata, che ovviamente può proporre le stesse etichette a prezzi leggermente più bassi rispetto a Nicolas, ma non può garantire un’esperienza di acquisto così soddisfacente. Così Nicolas può vantare oggi una quota di mercato ben superiore al 10 per cento tra le enoteche.

[Not a valid template]Nicolas è una catena che non ha eguali nel mondo della vendita del vino. L’Italia, che è il secondo grande Paese del vino, fino a qualche tempo fa non aveva alcuna catena di enoteche. Da qualche anno c’è Signorvino, aperta da Sandro Veronesi, presidente di Calzedonia. Il modello è simile a Nicolas, l’ambiente più ampio ed elegante, con uno spazio importante dedicato alla degustazione in abbinamento con alcuni piatti. I negozi sono 15, quattro dei quali di nuova apertura, tutti concentrati nel Centro-Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto, Alto Adige, Emilia e Toscana). Meglio di niente. Ma certo da noi l’enoteca di prossimità appare ancora lontana.

Vedi Signorvino, la sfida interamente italiana e low cost del patron di Calzedonia

Una serie video per promuovere i propri vini: succede, da Aldi Sud

Come ti promuovo il vino, per lo più private label: Aldi Süd, insegna tedesca, lo fa con una serie di video in cui una cuoca stellata, Sybille Schönberger, viaggia tra vigne e vigneti e propone accostamenti tra vino e cibo. È un rapporto non sempre facile quello tra Gdo e vino che però è cresciuto nel tempo fino a far diventare la grande distribuzione il primo canale di vendita. Piacciono le promozioni, certamente, ma non sempre il consumatore ha le idee chiare su cosa, come e perché scegliere, e il consiglio è pressoché assente, al di là di saltuari eventi. 

L’iniziativa prevede dieci contributi video che saranno pubblicati ogni due settimane. In questi, oltre alle zone viticole, la chef nota in Germania per essere comparsa più volte in TV, ha anche visitato bar di tendenza in contesti urbani, sempre alla ricerca di storie emozionanti sul vino, il piacere dei berlo e le specialità regionali, e incontra esperti, personaggi locali, dietisti, food blogger. Non manca naturalmente, il consiglio sull’etichetta giusta selezionata dalla gamma Aldi Süd.

«Il formato con Sybille Schönberger mostra in modo divertente quanto possa essere semplice accostare il buon cibo al buon vino. Abbiamo posto nella produzione del formato molta enfasi sulle storie autentiche in grado di coinvolgere i nostri clienti» ha spiegato Sandra Sibylle Schoofs, Direttore Marketing di ALDI.

Aldi ha iniziato lo scorso anno a promuovere il vino con il portale dedicato meine-weinwelt.de e il pop-up store, ed ha partecipato a marzo alla fiera ProWein di Dusseldorf. 
Il primo video della serie riguarda la visita di Schönberger alla cantina del viticoltore di spicco della Mosella Raimund Prüm: eccolo.
  

https://youtu.be/OkVO9C2JN10

Il vino cinese arriva sugli scaffali della Gdo britannica: dall’import alla concorrenza?

La selezione di vini cinesi in vendita da Tesco.

Fase uno i cinesi scoprono il vino, e diventano tra i maggiori importatori al mondo; fase due i cinesi pensano che, in fondo spazio e clima adatti non mancano, ed iniziano a farselo a casa loro. E questo stesso vino finisce sugli scaffali di due delle maggiori insegne della Gdo britannica, Sainsbury’s e Tesco.

Sorprendente? Certamente no, la Cina per l’International Organisation of Vine and Wine vanta oggi la seconda superficie vitata al mondo dopo la Spagna e, se negli ultimi anni la produzione era diretta sostanzialmente al mercato interno (la classe media cinese, target delle vendite, sarebbe più numerosa dell’intera popolazione del Regno Unito), ora le cose sembra stiano cambiando, anche grazie a un aumento della qualità. La “Napa Valley” cinese sarebbe la regione settentrionale del Ningxia, che vanta un clima secco e caldo con 3mila ore di sole all’anno. 

La vocazione vinicola potrebbe prendere la strada di tante altre industrie che stanno facendo la forza dell’economia cinese. Già i dati più recenti secondo Decanter mostrano un rallentamento delle importazioni a volume mentre si alza il loro valore. Nei primi tre mesi del 2017 le importazioni di vino in bottiglia sono aumentate “solo” del 5,6% a volume e a valore sono diminuite del 3,6% secondo DecanterChina mentre nello stesso periodo del 2016 gli incrementi erano stati del 31,1% a volume e del 47,3% a valore.

Il mercato import sembra dunque percorso da venti di cambiamento che non si presentano affatto uniformi a varian da Paese a Paese. Francia e Australia (i primi due importatori) hanno sì visto un buon incremento di vendite, 10% e 14,9% nel primo trimestre del 2017, ma con un crollo a valore dell’8,8% e dell’8,6% il che suggerisce una virata verso etichette meno care.

 

I vini biologici prendono il largo, aumenti a due cifre nella Gdo, rosso e Prosecco in cima

Addio vini “puzzoni” dal colore scomposto. I vini biologici volano in Italia e ormai sono apprezzati anche dalla critica. È la tendenza emersa nel corso della cinquantunesima edizione del Vinitaly, celebrata dal 9 al 12 aprile alla Fiera di Verona. Secondo uno studio realizzato da Coldiretti, le vendite di vini bio, che non vanno confusi con i vini biodinamici che seguono i precetti steineriani, sono aumentate nel 2016 del 26%, con ben 2,5 milioni di bottiglie vendute nella grande distribuzione, ciò che dimostra che ormai questa tipologia ha convinto anche il grande pubblico.

In crescita anche la sottocategoria dei vini vegani, le cui vendite sono cresciute nello scorso anno del 35%. I vegani in Italia del resto sono almeno 1,8 milioni, una fetta di mercato sempre più interessante, anche perché sovente dotato di buona capacità di spesa. Secondo un’altra ricerca, elaborata dalla Nielsen, in Italia nel 2016 le vendite di vino bio hanno raggiunto 11,5 milioni di euro nella sola Gdo, registrando un +51% rispetto al 2015, ma l’incidenza del vino bio sul totale delle vendite di vino è ancora irrilevante, con lo 0,7%. Secondo i dati Nielsen, il vino rosso è la tipologia di vino bio preferita dal consumatore italiano (57% delle vendite in Gdo, +42% rispetto al 2015), tuttavia i vini bianchi crescono in maniera più significativa (+93%) assieme alle bollicine (+59%). Il Prosecco è comunque il vino bio più venduto nella grande distribuzione nel 2016 (17% delle vendite di vino bio a valore, +143% -di crescita) seguito da Montepulciano d’Abruzzo (15%), Nero d’Avola (7%) e Chianti (7%).

Il consumatore riconosce al vino bio naturalità (per il 24% dei consumatori il principale elemento distintivo), salubrità (20%) ma anche qualità (17%). I canali preferiti per l’acquisto di vino bio rimangono iper e supermercati (33%) e gli acquisti diretti dal produttore o in cantina (23%), seguiti da enoteche (19%) e negozi alimentari specializzati in prodotti biologici (18%); la quota di consumatori che acquista vino bio soprattutto online raggiunge il 6%.

 

Secondi produttori dopo la Spagna

Insomma, il biologico non può più essere considerato una nicchia. Sempre secondo Coldiretti i vigneti coltivati a biologico o in conversione hanno raggiunto al 1° gennaio 2016 la superficie di 83.642 ettari al 1 gennaio 2016 su un totale di 642.367 ettari vitati, con un aumento record del 16% rispetto sul 2015 dalle elaborazioni Coldiretti. Dati confermati anche da una ricerca Wine Monitor-Nomisma, secondo cui il pubblico dei consumatori della tipologia è raddoppiato, e dal Report Mediobanca che parla di un aumento del 17% della produzione e del 38% dell’export, con la superficie vitata cresciuta del 13% nel 2016 rispetto al 2015.

Oggi l’Italia ha il secondo vigneto green d’Europa dietro la Spagna. E non è solo questione di certificazioni. La sostenibilità del vino si manifesta anche in ogni fase della produzione e del consumo, dalla vigna alla tavola.

«I driver di crescita – dice Fabrizio Riva, amministratore delegato dell’ente certificatore Ccpb – sono molteplici: dal codice appalti, che ha rivolto un’attenzione maggiore alle certificazioni, alla carbon footprint e alla sostenibilità sociale, alle politiche regionali, come le misure Ocm vino della Sicilia, passando per gli standard della grande distribuzione organizzata e infine per il ruolo dei consumatori».

 

Un fenomeno guidato dal consumatore

Ecco, i consumatori. Che sono sempre più attori protagonisti nel successo del vino bio, anche perché stimolano le aziende alla costosa riconversione, che altrimenti forse eviterebbero. Da un lato i consumatori pur di bere un vino biologico sono disposti a un cambio di brand nel 50% dei casi, e a un cambio di punto vendita addirittura nel 40% di essi. Dall’altro, a livello europeo, sono disposti a spendere di più per un vino certificato come biologico in tutte e tre le fasce di prezzo di 5, 10 e 15 euro a bottiglia, sebbene siano più sensibili a quello che percepiscono come un plus tanto meno sono esperti di vino. A trainare questa tendenza i “famigerati” Millennials, la parte demografica in assoluto più attenta ai temi della sostenibilità ambientale e della produzione biologica nelle aziende vitivinicole. 

I consumatori però non si accontentano più di autodichiarazioni o di definizioni più o meno fumose, ma si sono fatti più esigenti in quanto agli standard ai quali è necessario sottostare. «C’è bisogno di standard chiari e certificabili – dice Lucrezia Lamastra, ricercatore presso l’Università Cattolica di Piacenza e una delle creatrici del programma V.i.v.a. del ministero dell’Ambiente -. I numeri ci dicono che i consumatori sono interessati ai temi dell’ecosostenibile e del biologico, abbiamo visto che soprattutto i giovani sono molto interessati al tema. Il problema è cercare di farlo in un modo che soddisfi il bisogno del consumatore di avere la consapevolezza che dietro c’è una procedura certificata».

Supermercati, supervini. Gdo primo canale di vendita con 500 mln di vino nel 2016

Ormai la Gdo è diventato il canale di vendita più importante dei vini in Italia. Lo rivela una ricerca dell’istituto di ricerca ‘Iri presentata all’edizione numero 51 del Vinitaly in corso a Verona durante la tavola rotonda organizzata da Veronafiere sul tema del vino nella grande distribuzione. Secondo la ricerca gli italiani comprano il vino soprattutto nei supermercati: nel 2016 hanno acquistato sugli scaffali 500 milioni di litri, spendendo 1 miliardo e mezzo di euro. E il 60% di questi acquisti è rappresentato dai vini con riferimento territoriale (Docg, Doc, Igt), il comparto che cresce di più: per volume + 2,7% nel 2016 e + 4,9% nel primo bimestre 2017. Si ricercano sempre più la qualità e i legami col territorio. Cantine e insegne della Grande distribuzione sono pronte a migliorare la collaborazione per soddisfare questa domanda dei consumatori.

 

Alla ricerca della qualità

I comportamenti di chi mette le bottiglie nel carrello stanno cambiando. Sempre meno bottiglioni da un litro e mezzo, vini sfusi, damigiane, brik, sempre più bottiglie da 75cl. I vini fermi sono più richiesti dei vini frizzanti, che probabilmente risentono del boom degli spumanti (+7% nel 2016). Crescono rapidamente anche i vini biologici, una proposta ancora di nicchia nella Grande distribuzione. Cambiamenti influenzati anche dal graduale ricambio generazionale e dal rinnovato interesse dei giovani per il vino. Gli studi Iri sul comportamento dei consumatori nella Grande distribuzione evidenziano che l’86% di essi è propenso a sperimentare nuovi prodotti, si informa sulle novità a scaffale, spesso sui siti web di settore (il 33%).

«Siamo sulla strada giusta, auspicata da tempo – ha detto Cesare Cecchi, Consigliere di Federvini -. Non dobbiamo assolutamente tradire questa qualità che viene cercata dal consumatore, sarebbe un errore imperdonabile. Le cantine devono continuare a ricercare la qualità del prodotto senza accettare scorciatoie, e i distributori devono incoraggiare la produzione a proseguire su questa strada». Eppure persiste, come ricorda Gabriele Nicotra, direttore acquisti Unes Supermercati (Gruppo Finiper) “una diffidenza da parte di alcune cantine importanti verso la Grande Distribuzione, esse evitano una relazione diretta con le insegne distributive pur sapendo che a volte il loro prodotto ci arriva tramite canali non ufficiali. Questo è un peccato, soprattutto per il consumatore che ormai cerca anche i prodotti di pregio sugli scaffali dei supermercati”. Così la collaborazione tra cantine e insegne distributive più che sulle grandi case vinicole poggia sulle aziende medie con le quali, secondo Eugenio Gamboni, direttore commerciale del Gruppo Vegè: “si discute e ci si confronta liberamente, distanti dal mondo molto più complesso della grande industria e delle multinazionali”. Esce comunque il quadro di un prodotto maturo, “specchio fedele del mutamento dei consumatori e dei loro stili di acquisto”, come riassume Emilio Pedron, consigliere dell’Unione Italiana Vini.

Grande incognita quella rappresentata dall’incertezza sui mercati britannico e statunitense a causa nel primo caso della Brexit e nel secondo caso dalle politiche protezionistiche minacciate dalla nuova amministrazione Trump: «La Brexit – spiega Alex Canneti della Berkmann Wine Cellars di Londra – è una sfida per le vendite dei vini italiani poiché l’Australia, il Sud Africa e la Nuova Zelanda saranno i primi Paesi a istituire trattati bilaterali con il Regno Unito. L’unica soluzione a questa minaccia è consentire al Regno Unito un periodo di 10 anni per condividere gli stessi oneri doganali dell’Unione e negoziare un trattato di libero commercio». Un tema fatidico, perché mai come in questo periodo le catene di supermercati britanniche, soprattutto Waitrose e Majestic, hanno mostrato interesse per i vini italiani, dalle bollicine ai rossi come Cannonau e Amarone e ai bianchi come Fiano, Pecorino e Vermentino.

Winelivery consegna in 30 minuti vino e alcolici di qualità e cerca investitori

La start-up, tramite il lancio di una campagna crowdfunding, ricerca investitori che credano nel progetto per poter rafforzare la propria presenza a Milano ed espandersi anche in altre città italiane e all’estero, 

Vini, birre artigianali e altre bevande alcoliche consegnati in meno di 30 minuti a temperatura di degustazione. Questo è Winelivery, un servizio di delivery “last mile” nato nel 2015 dall’idea di due giovani imprenditori valtellinesi, che valorizza i piccoli produttori e le enoteche fornendo un unico canale di vendita.

“A diversi mesi dal lancio ufficiale, winelivery è una realtà consolidata: sono di fatto tantissime le persone che scelgono ogni sera la comodità offerta dal nostro servizio. I nostri clienti sono soprattutto giovani lavoratori e studenti, ma anche molte donne – dichiara Andrea Antinori, co-founder di winelivery -. L’idea della prima enoteca da “divano” ha ottenuto un ottimo riscontro dal pubblico milanese: pronto ad accogliere positivamente servizi come il nostro che nascono per facilitare la vita quotidiana”.

Per ordinare con Winelivery è sufficiente collegarsi al sito winelivery.com o scaricare l’app – disponibile per iOS e Android, inserire il proprio indirizzo di consegna e scegliere tra un’esclusiva selezione che include oltre 800 referenze tra vini, birre classiche ed artigianali, liquori, distillati, cocktail-kit. Attiva tutti giorni dalle 10:00 di mattina all’1 di notte ed il venerdì e sabato fino alle 2 di notte.

“Oltre a coprire molteplici occasioni di consumo non solo al domicilio ma anche in ufficio – brindisi con i colleghi… grazie al servizio express con consegna gratuita, winelivery ha anche aperto un nuovo canale di vendita per enoteche, vinerie, cocktail bar e pub che vedono nel nostro servizio un’importante opportunità di mercato. Diventando nostri partner infatti ci si affaccia su un marketplace che a Milano non ha confini: i propri prodotti potranno raggiungere tutta la città, non solo le persone che fisicamente entreranno nel negozio/winebar… E per i clienti, grazie ai nostri partner selezionati, garantiamo quotidianamente un’elevata qualità dell’offerta e l’immediatezza della consegna.” Afferma Francesco Magro, CEO e co-founder di winelivery.

Lanciata una versione beta a dicembre 2015, winelivery è ora attiva da gennaio 2016 servendo tutto il comune di Milano e da allora il suo fatturato è cresciuto mediamente dell’83% ogni mese. Per rafforzare ancor di più la sua presenza la start-up è alla ricerca di investitori che credano nel progetto, tramite il lancio di una campagna crowdfunding: obiettivo minimo? il raggiungimento di €50.000. Per scoprire di più e per diventare socio: www.crowdfundme.it/projects/winelivery

Vino e Millennial: scelte d’acquisto e modelli di consumo

Vino e Millennials: si profilano nuove scelte d’acquisto e modelli di consumo.

È quanto emerge dalla ricerca di PwC “Il settore del vino in Italia e la generazione Y”, condotta tra 450 consumatori online italiani tra i 18 e i 34 anni.
 
“Per le aziende del settore – precisa Erika Andreetta, Retail Consulting Leader di PwC –  è oggi fondamentale capire chi sono i Millennial, come si muovono nelle diverse fasi del processo di acquisto, online e offline, come influenzarli e ingaggiarli utilizzando i loro codici comunicativi per proporre l’esperienza del vino in nuove forme e cosi fidelizzarli al brand”.
 
I numeri dei Millennial
In Italia il 32% delle clienti donna che consuma vino è della generazione Millennial, il 25% tra i consumatori uomini.  Il dato di consumo 2016 registra, rispetto al 2014, una crescita del +12% tra le Millennial donna e del +13% tra gli uomini.
 
In generale, i Millennial si rivelano poco fedeli ad un solo brand o uno specifico gusto; a guidarli nella scelta è  – in primis – il prezzo –  seguito da caratteristiche del prodotto come uvaggio (3°), annata (4°) e provenienza (5°), e fattori più “sociali” come l’occasione (2°) di consumo ed il packaging (6°).
 
Il canale e-commerce
La vendita di vino online registra su scala globale una forte crescita, sia in mercati già più avanzati nell’e-commerce come USA e Cina, sia in paesi meno maturi sotto tale profilo come l’Area Euro. I Millennial rappresentano il vero motore di questo trend: da un lato perché i loro consumi di vino sono maggiori rispetto alla Generazione X, dall’altro perché si avvalgono con più facilità dell’offerta online.
 
Sono significativi i dati della generazione Millennial in Cina, fortemente “wine-lover”. Il 26% dei Millennial cinesi comprano vino da consumare a casa attraverso il canale online e WeChat è la piattaforma più utilizzata del settore. Inoltre il 40% preferiscono scoprire le caratteristiche del prodotto consultando siti e blog.
 
A livello di scelte, il vino italiano è al 5°posto tra i paesi fornitori, con il 5% di quota di mercato contro il 44% della Francia. Il dato è tuttavia in crescita, confermato dal +32% a valore (+15% a volume) registrato nel 2016 dall’export di vini italiani in Cina rispetto al 2015. A questo contribuiscono i Millennial cinesi, che gradiscono il vino italiano, con il 14% dei consumi dietro soltanto ai francesi (30%). Inoltre, l’89% dei winelover cinesi frequenterebbe un corso per conoscere meglio i vini italiani.
 

Burocrazia dimezzata e innovazione con il testo unico del vino

È entrato in vigore il 12 gennaio  testo unico del vino, approvato definitivamente il 28 novembre 2016. Una legge, la “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”, che. come aveva annunciato a suo tempo il Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina “dà ai produttori una sola legge di riferimento con 90 articoli che riassume tutta la normativa precedente. Un’operazione di semplificazione che era attesa da anni e che consente di tagliare burocrazia, migliorare il sistema dei controlli, dare informazioni più trasparenti ai consumatori”.

Tra le novità, la possibilità di introdurre in etichetta sistemi di informazione al consumatore che sfruttino le nuove tecnologie contribuendo ad aumentare la trasparenza. Una disposizione sulla salvaguardia dei vigneti eroici o storici al fine di promuovere interventi di ripristino recupero e salvaguardia di quei vigneti che insistono su aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico. E sul fronte della tutela del prodotto contro la contraffazione, i controlli sulle imprese del settore vitivinicolo che confluiscono nel registro unico dei controlli (RUCI) a prescindere se siano o no imprese agricole.

La Coldiretti stima che l’entrata in vigore del Testo Unico sul vino consenta di tagliare del 50% il tempo dedicato alla burocrazia. Un vantaggio non da poco se oggi sarebbero 100 le giornate di lavoro che ogni impresa vitivinicola è costretta ad effettuare per soddisfare le 4mila pagine di normativa che regolamentano il settore.

“Un risultato di semplificazione frutto di una lunga mobilitazione per liberare le energie del settore più dinamico del Made in Italy agroalimentare che ne rappresenta peraltro la principale voce dell’esportazione” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo “si sostiene la competitività di un settore che in Italia genera quasi 10 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino, e che dà opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone”.

Anche a Capodanno spumante superstar, +9% Italia, +21% per l’export

Per il saluto al nuovo anno è lo spumante a dominare le tavole degli italiani, e non solo: oltre tre italiani su quattro (78%) consumeranno nelle case il cenone di fine anno secondo una indagine Coldiretti/Ixe’ spendendo in media 80 euro a famiglia per la tavola. E lo spumante si conferma come il prodotto immancabile per quasi nove italiani su dieci (89%). Per le feste correnti in Italia si stima che si stapperanno circa 60 milioni di bottiglie di spumante Made in Italy con consumi in aumento del 9%. In Italia si consolida l’inversione di tendenza dopo anni di progressive riduzioni con appena l’11% che sceglie lo champagne.

Il comparto nazionale dei vini spumanti chiuderà il 2016 con una produzione di circa 625 milioni di bottiglie in aumento del 18% sull’anno precedente e un export di oltre 450 milioni di bottiglie se fosse confermato il trend gennaio-settembre dell`anno, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ismea. La stragrande maggioranza dello spumante italiano si beve dunque all’estero dove a pesare è il fatto che con il successo crescono le imitazioni in tutti i continenti a partire dall’Europa dove sono in vendita bottiglie di Kressecco e di Meer-Secco prodotte in Germania che richiamano al nostrano Prosecco che viene venduto addirittura sfuso alla spina nei pub inglesi. Circa 3 bottiglie di spumante Made in Italy su 4 sono di Prosecco con Asti, Franciacorta e TrentoDoc a seguire. Gli spumanti italiani annoverano in totale 153 tipologie DOC, 18 DOCG, 17 IGT oltre a diverse decine di altri tra varietali autorizzati, generici e di qualità.

La tradizione vince sull’esterofilia

La bevanda tradizionale delle feste è però seguito a ruota dalle lenticchie presenti nell’88% dei menu che beneficiano delle tendenze salutistiche, della solidarietà con le aree terremotate dove vengono coltivate e forse anche del periodo di crisi (basso prezzo e promesse di guadagni futuri).

Si abbandonano insomma le mode esterofile del passato con il 9% di italiani che si permettono le ostriche e l’8%, il caviale. Resiste il salmone presente nel 56% dei menu, ma forte è la presenza del pesce locale a partire da vongole e alici per le quali si assiste ad una vera riscossa sulle tavole. Forte è la presenza del cotechino nel 72% delle tavole. Si stima che saranno serviti 6,5 milioni di chili di cotechini e zamponi, con una netta preferenza per i primi. Durante le festività di fine anno vengono fatti sparire dalle tavole circa il 90% del totale della produzione nazionale. Tra le importanti novità di quest’anno c’è lo spazio dedicato alla solidarietà con quasi un italiano sui 4 (24%) che ha scelto di acquistare prodotti tipici dei territori colpiti dal sisma.

 

Record export a 230 milioni di bottiglie, 3 su 4 della produzione

Per le sole festività di fine anno salgono a 230 milioni le bottiglie di spumante italiano stappate all’estero, con un balzo del 21% nelle bottiglie esportate, sulla base dei dati Istat nei primi nove mesi del 2016 sul commercio con l’estero dove si bevono ormai quasi 3 bottiglie di spumante sulle 4 prodotte. Fuori dai confini nazionali non sono mai state richieste così tante bollicine italiane come quest’anno. La domanda di bottiglie è cresciuta del 30% in Gran Bretagna e del 22% negli Stati Uniti che si classificano rispettivamente come il primo ed il secondo mercato di sbocco delle bollicine italiane che sono stabili quest’anno in Germania che si posiziona al terzo posto. Nella classifica delle bollicine italiane preferite nel mondo ci sono tra gli altri il Prosecco, l’Asti il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese.  Il risultato più significativo del 2016 è proprio l’aumento del 72% delle bollicine Made in Italy spedite in Francia.

Vino rosso: il più amato, ma nelle feste le bollicine rimontano. I dati Vivino

Il vino rosso stravince nei consumi degli italiani, attestandosi a quota 58,8%, seguono il bianco (molto più giù: siamo al 23,8%), il frizzante (11,7%) il Rosè (1,6%) e quello da Dessert (1,4%).

A dirlo i dati di Vivino, la app dedicata al vino più scaricata al mondo.

Però (e il però c’è sempre) quando si tratta di festeggiare le bollicine rimontano alla grande.

Guardando infatti le classifiche dei vini più consumati in occasione di Natale e Capodanno si trovano Dom Pérignon, Ferrari e Berlucchi.

Natale 2015: il podio:

Champagne Brut di Dom Pérignon,

Ferrari Brut

e il rosso toscano Tignanello di Marchesi Antinori

Capodanno 2016: i primi tre

Champagne Brut di Dom Pérignon

Berlucchi Cuvée Imperiale Brut

Ferrari Brut

Vivino: come funziona
Con più di 21 milioni di utenti, Vivino è la comunità dedicata al vino più grande del mondo e la app più scaricata, e ha reso il vino una divertente scoperta, accessibile e facile da capire per gli appassionati di ogni livello. Gli utenti devono semplicemente scattare una foto dell’etichetta con il proprio dispositivo mobile e la tecnologia di riconoscimento delle immagini proprietaria di Vivino fornisce istantaneamente giudizi, recensioni e prezzi nella media per ogni bottiglia. Gli utenti di Vivino votano e danno giudizi sulla degustazione di milioni di vini, 300.000 scansioni di bottiglie al giorno, contribuendo insieme a formare la più grande biblioteca del vino nel mondo. Fondata da Heini Zachariassen e Theis Søndergaard nel 2010, Vivino è disponibile per il download su dispositivi Android, Apple e Windows. Per ulteriori informazioni, visitare il sito.

 

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