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Per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, +14,5% nella Gdo

Segna un ottimo +14,5%  a valore sul 2016 nei primi nove mesi del 2017 nella Gdo il top di gamma del Prosecco, il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg. 

In uno scenario generale che registra la ripresa dei consumi nella grande distribuzione organizzata (+2% dei volumi e +2,2% dei fatturati) anche il comparto degli spumanti conferma ottime performance, con il fatturato che raggiunge complessivamente 378 milioni di euro e oltre 76 milioni di bottiglie vendute. In particolare, nei primi nove mesi del 2017 gli spumanti si confermano una categoria trend setter e mostrano una crescita del 10,3%a valore e del 7,9% a volume.

In questo scenario il principale motore di crescita a volume è il Prosecco in generale, mentre spetta al Conegliano Valdobbiadene Superiore DOCG il ruolo di locomotiva del valore. Una delle 73 DOCG italiane comprendenti i vini di migliore qualità e di più antiche tradizioni nonché massima espressione qualitativa nello scenario del Prosecco, rappresenta il 54% del fatturato totale delle vendite di Prosecco in GDO e il trend di crescita continua a essere positivo; in particolare rispetto al 2016 si registra un +14,5% a valore e + 10,9% a volume. Questo vale in tutto il territorio nazionale con la seguente ripartizione geografica: bene il Nord-Ovest con un +16,7%, mentre il Nord-est segna un +10.5% e il Centro Sud il. + 12,4%. Il maggiore incremento lo segnala però il Sud Italia, che segna un segna un +25% di vendite.

Vino sul web: prezzo e qualità guidano le scelte

Vino in GDO: cosa ne dicono i netsurfer? Vediamolo, approfondendo quanto lasciato in rete. Le prime macro aggregazioni riguardanti il volume degli argomenti maggiormente trattati, sono le seguenti (pareri multipli):

 

In quasi ogni parere vi è almeno un giudizio riguar-dante uno dei primi 4 cluster: prezzo, qualità, varietà dell’offerta, marche; con passaggio ardito possiamo affermare che queste sono le 4 reason why di acquisto del vino nella GDO.

Analizziamo ora da un punto di vista psicometrico, attribuendo una personalità ai testi, i mood di ciascuno dei sei cluster in cui si sono aggregati i giudizi dei privati consumatori che hanno scritto nella rete domestica riguardo al vino acquistato nella GDO nei 12 mesi del 2016.

La Grande Distribuzione Organizzata presidia decisamente il primo dei cri-teri di scelta del prodotto vino presso i propri punti vendita.

Anche il secondo motivo di scelta, la qualità del vino, è ben presidiato dalla GDO, sebbene meno di quanto lo sia il prezzo; i molto soddisfatti e gli abbastanza sod-disfatti riguardo al prezzo sono l’84%, mentre riguardo la qualità sono il 72%, un 12% in meno. 

Nell’analisi del terzo cluster (varietà dell’offerta) in cui si sono aggregati i pareri è emersa una netta differenza tra i formati distributivi della GDO.  Megastore/Ipermercati e Supermercati presidiano deci-samente questa motivazione di scelta dei consumatori, battendo per soddisfazione anche le prime due reason why di acquisto (ricordiamo che il prezzo totalizzava l’84% di molto e abbastanza soddisfatti e la qualità il 72%). Per quanto riguarda la varietà dell’offerta del vino, per il formato Megastore/Ipermercati, i molto e gli abbastanza soddisfatti sono addirittura il 93% e per il formato Supermercati sono il 92%.  Nel formato negozi di prossimità i molto soddisfatti e gli abbastanza soddisfatti della varietà dell’offerta del prodotto vino scendono sotto la metà: sono il 48%.

Il quarto motivo di scelta di acquisto del vino nella GDO da parte dei consumatori, le marche vendu-te, è il più presidiato dalla GDO stessa, col 94% di molto soddisfatti e abbastanza soddisfatti, più ancora di quanti ne hanno totalizzati le reason why prezzo (84%), qualità (72%) e varietà dell’offerta limitatamente ai formati Mega/Iper (93%) e Super (92%).

È significativo che nel cluster Marche, al contrario di quanto avvenuto per il cluster varietà dell’offerta, non  siano emerse differenze tra i vari formati distributivi. Le Marche di vino proposte, anche quando sono poche come nel caso dei negozi di prossimità, soddisfano i consumatori, a prescindere dall’offerta limitata.      

Private label  

Per prima cosa dobbiamo precisare che abbiamo chia-mato questo cluster Private Label, includendovi i giudizi dei consumatori riguardanti vini prodotti per la catena distributrice ma che non si presentano col nome della catena distributrice. Un’importante considerazione: i consumatori leggono con attenzione le etichette del vino che acquistano nella GDO se scrivono così diffusamente di vini che riportano sull’etichetta principale il nome del vino (ad es. Barbera ed altre indicazioni quali, sempre ad es., del Monferrato ecc.) e solo sulla seconda o terza etichetta la dicitura prodotto per la “tale catena distributiva”.Nonostante i molto e gli abbastanza soddisfatti del vino prodotto appositamente per la GDO siano il 64% è doveroso sottolineare come tale percentuale sia  più bassa dei molto e abbastanza soddisfatti della qualità in generale del vino venduto nella GDO, 72%. Ciò è eclatante poiché in tutti i rilevamenti che abbiamo fatto sulle PL – negli ultimi 2 anni abbiamo effettuato anche un osservatorio mensile – la marca privata è sempre stata giudicata superiore alla media della marca del produt-tore, allineata con il top di gamma ma più conveniente. Vediamo ora cosa nasconde il 13% di pareri (menzioni multiple) classificati come altro. Torniamo a misurare i volumi di pareri.

Precisiamo che la quasi totalità dei pareri riguardanti Bottiglioni/Damigianelle, vino in cartone, in bottiglie di plastica verte ancora su prezzo e qualità, quindi l’89% di altro è riconducibile, anche se con accezione più ampia, ancora alle prime due reason why di acquisto del vino nella GDO: prezzo e qualità.  

Conclusioni  

Il vino, che permea la cultura italiana ed è una tradizione e un’eccellenza del Made in Italy nel Mondo, viene trattato nella rete domestica, limitatamente all’ambito “acquisto nella GDO” come un semplice prodotto e non una passione nazionale, un emblema.Le reason why di acquisto del vino presso la GDO sono nell’ordine: prezzo 88%, qualità 86%, varietà dell’offerta 72%, marche 66%.Questa la classifica per soddisfazione:

Il profilo tipo di chi ha lasciato liberamente e privata-mente, nel web domestico, nei 12 mesi del 2016, pareri e opinioni sul vino acquistato nella GDO è: uomo, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, di cultura media, residente al Nord in aree metropolitane.

di Gian Marco Stefanini

Vola il vino biologico italiano: 275 milioni (+34%) nel 2016, export da record

Vola il vino biologico italiano: nel 2016 le vendite hanno raggiunto i 275 milioni di euro, con un aumento del 34% rispetto al 2015, ma il mercato interno (83 milioni, il 30% del totale, +22% rispetto all’anno precedente) cresce assai meno rispetto all’export (192 milioni, +40%). Anche se gli italiani stanno imparando ad apprezzare un prodotto prima considerato solo di nicchia: nel 2016 il 25% dei consumatori ha almeno in un’occasione, a casa o fuori, degustato un vino bio, mentre nel 2015 erano il 21% e nel non lontano 2013 appena il 2%. È quanto emerge dalla ricerca Wine Monitor Nomisma realizzata in occasione del Vino bio day per Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

È quindi l’estero il mercato di riferimento del vino bio italiano, molto più di quanto lo sia per il vino tout-court. Le percentuali dell’export sono rispettivamente del 70% e del 52%. L’export di vino biologico italiano pesa per il 3,4% sul totale dell’export di vino dall’Italia, ma il trend è in continua crescita (1,9% nel 2014 e 2,6% nel 2015). Nel 2016 il 79% delle aziende che producono vini biologici ha esportato. Prima destinazione è l’Unione Europea (66% a valore) mentre esaminando i singoli Paesi la Germania (33% del fatturato estero del 2016) è largamente in testa davanti agli Stati Uniti (12%). Seguono Svezia, Canada e Svizzera con una quota dell’8% ciascuno, la Cina con il 7% e il Regno Unito con il 6%.

Dati destinati a crescere visto che la Survey Wine Monitor Nomisma realizzata per Ice-Agenzia in due mercati rilevanti per i vini biologici, Germania e Regno Unito, segnala un’attenzione crescente per i vini italiani (il 22% del vino importato in Regno Unito è italiano, il 36% in Germania) e per i vini bio (nel Regno Unito le vendite di vino bio nella Gdo nel 2016 si attestano a 21 milioni di Euro, con uno share di biologico dello 0,4% sul totale dei vini venduti e un aumento del 24%). La quota di consumatori che negli ultimi 12 mesi ha bevuto almeno una volta un vino biologico è del 12% in Germania e del 9% in UK. Come per l’Italia, la preferenza sul vino bio ricade soprattutto su rossi e bianchi fermi in entrambi i mercati, seguono in UK il rosso frizzante e in Germania il bianco frizzante. In entrambi i mercati i vini bio vengono acquistati principalmente in iper e supermercati (38% in UK, 33% in Germania). In UK il consumatore di vino bio spende in media per una bottiglia da 750 ml intorno alle 13 sterline, in Germania 8 euro. Secondo i consumatori (42% in UK e 40% in Germania), i vini bio made in Italy hanno qualità mediamente superiore rispetto ai vini bio di altri paesi. Qualità che ricorre nuovamente tra gli attributi evocativi: in entrambi i mercati, nel pensare al vino biologico italiano il 19% indica “alta qualità”, mentre un ulteriore 15% individua nell’autenticità il principale valore. Senza dubbio il vino biologico made in Italy gode di un’ottima reputazione oltre i confini nazionali, con un potenziale ancora non del tutto valorizzato: l’84% dei consumatori di vino – sia in UK che in Germania – sarebbe interessato ad acquistare un vino biologico made in Italy se lo trovasse presso i ristoranti.

Insomma, i nostri punti di forza sono la qualità, il valore del marchio e l’affidabilità, la tracciabilità. E i limiti? Chi non esporta trova ostacoli nelle dimensioni ridotte finanziarie e di volumi, nei vincoli doganali e tariffari e nell’incapacità di comunicare adeguatamente. Malgrado ciò, gli operatori pensano che nel prossimo triennio a trainare le vendite italiane all’estero saranno ancora soprattutto i mercati terzi, primo fra tutti quello statunitense. Nemo propheta in patria, neanche nel vino bio.

Il vino per questa (torrida) estate è rosso bianco o rosé? Winenews chiede agli esperti

Quella che stiamo vivendo è una delle estati più calde di sempre. E rischia di condizionare anche le scelte degli enoappassionati. Che sono portati a rinunciare ai vini rossi, magari leggermente refrigerati, a vantaggio di bianchi ghiacciati. Ma è l’unica scelta possibile? Winenews, uno dei portali più noti dell’enologia italiana, ha chiesto tre vini dell’estate (una bollicina, un bianco e un rosso) e una tendenza ad alcune delle migliori enoteche italiane. E i risultati sono spesso sorprendenti.

Si parte dalla Sicilia, dove l’enoteca Picone di Palermo suggerisce uno spumante metodo classico da servire freddo, uno Zibibbo o comunque un vino da vitigno aromatico, che freddo dà il meglio di sé, e tra i rossi il Rossojbleo 2016 della Cantina Gulfi, una versione particolarmente approcciabile del Nero d’Avola della Sicilia sud orientale, pur conservandone in pieno l’espressione varietale e l’identità territoriale.

All’enoteca Partenopea, a Napoli scelgono il Blanc de blancs di Monterossa, un classico Franciacorta, un Müller Thurgau e un Lago di Caldaro Tenute Manincor (Kaltarersee Keil). Poi giocano il jolly di un Riesling pétillant.

A Roma all’enoteca Trimani il titolare Francesco Trimani suggerisce un Brut da Riesling, il Peu Moussant di Le Fracce nell’Oltrepò Pavese, una Passerina 2016 Costa Graia, (una “brillante rappresentazione del territorio e dei suoi sapori”) e l’Aglianico Le Nuvole Franco che “è una voce nuova nel mondo dei rossi, vinificato in cemento, mantiene quasi intatte le caratteristiche del vitigno” e inoltre fa parte di un progetto di sostegno a ragazzi disabili, motivo in più per avvicinarcisi (Francesco consiglia di berlo rinfrescato). Trimani suggerisce di tenere d’occhio anche il Rossese di Dolceacqua Terre Bianche 2015.

A Montalcino Bruno Dalmazio, titolare dell’enoteca Dalmazio, fa la sua lista: un Franciacorta bello freddo, un Vermentino, e un Pinot Nero. Dalmazio punta forte anche sull’Etna Rosso, vino con caratteristiche forti ma comunque versatile e apprezzato dai winelovers.

Alla Vinoteca al Chianti, a Impruneta, consigliano uno Champagne, un bicchiere di Verdicchio per gli amanti del bianco e un Frappato Doc per chi non vuole rinunciare al rosso. Un vino tipicamente estivo è il Quojane di Barone di Serramarocco, uno Zibibbo secco.

Scelta tutta di territorio a Reggio Emilia, all’enoteca Il Cantinone di Toano: il Brina d’Estate Tenuta Ajano Brut Colldi di Scandiano, un Pignoletto frizzante e il Lambrusco Ottocentorosa di Albinea Canali. E come outsider il bianco Solata delle Cantine Cardinali.

Tappa a Verona, all’Antica Bottega del Vino. Anche qui sulle bollicine si va sul sicuro: un buon Champagne. Tra i bianchi un Durello “tranquillo”, bianco tipico delle colline tra Verona e Vicenza, e per i rossi un Valpolicella Superiore. La tendenza dell’estate 2017 è invece il Bourgogne Aligote, Cuvée des Quatres Terroires della cantina Domaine Chevrot, un classico bianco francese.

A Trento, all’Enoteca Grado 12 “spingono” un Trentodoc, il brut nature millesimato di Marco Tonini, l’Incrocio Manzoni Castel San Michele 2016 di Fondazione E. Mach, bianco strutturato e il Pinot Nero 2015 di Pojer e Sandri, un rosso profumato di frutti di bosco. La scelta extra è il Santa Maddalena Classico 2016, di Georg Ramoser.

Milano: all’enoteca Cantine Isola sulle bollicine vanno sul metodo classico, l’extra brut’ di Albino Maria Cavazzuti, prodotto in provincia di Modena. Il bianco viene dal Friuli, la Malvasia Chioma Integrale 2015 dei Vignaioli da Duline. Tra i rossi fa il bis il Lago di Caldaro delle Tenute di Manincor. Scelta del cuore un Cannonau Rosato dalla Sardegna, magari quello delle Cantine Aru a Iglesias.

Restiamo nell’hinterland milanese e spostiamoci a San Giorgio su Legnano. Giovanni Longo, dell’enoteca Longo, suggerisce il Franciacorta Villa Crespia dei Fratelli Muratori, il San Vincenzo delle Cantine Anselmi, un blend di Chardonnay e Sauvignon, e, tra i rossi, un Trentino Superiore di Isera, il Marzemino della cantina De Tarczal. Inoltre Longo crede molto nei rosati e suggerisce un Salento Rosato Igp della cantina Michele Calò e figli.

Ancora Lombardia, ancora fan del rosato. A Cantù, all’Enoteca La Barrique, sono convinti dell’imminente successo di questa tipologia e suggeriscono anche loro di tenere d’occhio il Salento. Per il resto il trio estivo prevede un Prosecco Valdobbiadene, un Collio Friulano e un Lambrusco o un Valpolicella per il rosso.

Si finisce ad Alba, dove all’Enoteca Grandi Vini propongono una scelta tutta regionale: come bollicina un Alta Longa della cantina Ettore Germano, dalla spuma fine che rinfresca la bocca; come bianco il Nascetta di Elvio Cogno; e come rosso Il rosso, il Freisa d’Asti, fresco e amabile. E il trend? Anche qui Piemonte: il Nebbiolo d’Alba 2010.

 

Il classico piace sempre ma la nuova tendenza è il rosato

«I classici – tira le fila Andrea Terraneo, presidente di Vinarius, Associazione Enoteche Italiane – vendono sempre. Abbiamo notato solo una leggera tendenza verso vini meno aromatici, non eccessivamente fruttati ma piacevoli in bocca. Un ritorno, per i vini bianchi, a vini con una maggiore acidità».

Per le bollicine “si registra una tendenza a Prosecchi meno zuccherini. Quando consigliamo un Brut, il riscontro è positivo, rimangono tutti soddisfatti”.

E poi c’è il mondo del rosato, che sta crescendo prepotentemente. «Crediamo molto nei rosé – dice Terraneo – è un prodotto che va ancora coltivato. Solo da qualche anno si è capito il valore e la diversità che ha questo vino, e stiamo cominciando a far capire che è un universo molto vario. Esistono rosati delicati e leggeri, ma anche più rotondi e pungenti». Insomma, l’universo rosa non è più soltanto femminile.

Viniamo, e-commerce POP del vino, dedica una linea alla serie cult “Boris”

Raccontare il vino con un tono leggero, divertente, senza prendersi troppo sul serio: è questa la strategia di Viniamo, sito di e-commerce dedicato al nettare degli dei che vuole evitare quell’immagine tra il patinato e il paludato che tende ad allontanare i meno esperti. L’ultima iniziativa prende spunto dalla serie cult Boris che quest’anno compie 10 anni creando una nuova playlist di 9 bottiglie ispirate ai personaggi della serie TV divertente satira del modo di fare televisione in Italia.

Tra i protagonisti della singolare selezione di vini spicca il personaggio di Itala, l’oziosa e irascibile segretaria di edizione con il vizietto dei superalcolici portati di nascosto sul set, alla quale Viniamo abbina un Chianti Cassico della cantina Luiano in formato portatile da 375 ml. Per l’incompreso regista René l’abbinamento perfetto non poteva che essere con il Director’s Cut della Francis Ford Coppola Winery. Al direttore della fotografia Duccio è dedicato il Langhe Rosso Tutto dipende da dove vuoi andare.

Tra i 9 abbinamenti proposti dal team di Viniamo.it anche il Merlot L’altra metà del cuore per il capo elettricista Biascica, che dietro l’aspetto scontroso e volgare nasconde un animo romantico ed è spesso vittima di colpi di fulmine improvvisi. E l’Ostinatamente Roero Arneis dedicato al volenteroso e paziente stagista Alessandro, l’emblema di tutti i giovani sottopagati che continuano a inseguire il sogno di realizzarsi professionalmente.

Lanciato a fine novembre 2016, Viniamo è il primo e-commerce che sostituisce la carta dei vini con le playlist: selezioni di bottiglie ideate per ispirare la scelta del vino in modo semplice, creativo e immediato. I due partner principali di Viniamo sono Twelve (parte dell’agenzia creativa The Big Now) e Digital Magics, rispettivamente una società di comunicazione e marketing attiva dal 2008 nel settore degli e-commerce di vino e un incubatore di progetti digitali che fornisce servizi di consulenza e accelerazione a startup e imprese, per facilitare lo sviluppo di nuovi business tecnologici.

Nicolas, l’enoteca di prossimità francese che spiega come si vende il vino

Nel 1822 Louis Nicolas aprì a Parigi la sua prima cantina. Oggi, quasi due secoli dopo, il suo è uno dei cognomi più letti a Parigi e in Francia. Nicolas è infatti l’insegna di una catena di enoteche che conta oltre cinquecento negozi in tutto il Paese e quasi duecento nella sola Parigi, dove quasi a ogni angolo di strada ne spunta uno.

Una vera enoteca di prossimità che ha costruito negli anni un modello di business a prova di bomba, che garantisce un fatturato annuo ben oltre i 300 milioni annui e in continua crescita. Grazie ad alcune caratteristiche molto ben definite: un’accurata scelta di vini e cantine, con una selezione rigorosa e una serrata trattativa sui prezzi; offerte continue per tipologie e stagioni, che abbattono sensibilmente i prezzi delle bottiglie; un’ambiente elegante e familiare, che invita a girare tra gli scaffali; una serie di vini “brandizzati” venduti a prezzi particolarmente convenienti; una forte motivazione del personale, che viene spesso trasferito da un negozio all’altro in base a un sistema di premialità che porta i più bravi in breve tempo a lavorare nelle zone migliori e più redditizie; una forte interazione con il cliente, che si rivolge ai commessi per avere consigli e ne riceve indicazioni competenti e cordiali. Un assortimento di accessori (cavatappi, decanter, bicchieri) e di snack da accompagnamento.

Tutti fattori che consentono a Nicolas di tenere botta nel confronto con la grande distribuzione organizzata, che ovviamente può proporre le stesse etichette a prezzi leggermente più bassi rispetto a Nicolas, ma non può garantire un’esperienza di acquisto così soddisfacente. Così Nicolas può vantare oggi una quota di mercato ben superiore al 10 per cento tra le enoteche.

[Not a valid template]Nicolas è una catena che non ha eguali nel mondo della vendita del vino. L’Italia, che è il secondo grande Paese del vino, fino a qualche tempo fa non aveva alcuna catena di enoteche. Da qualche anno c’è Signorvino, aperta da Sandro Veronesi, presidente di Calzedonia. Il modello è simile a Nicolas, l’ambiente più ampio ed elegante, con uno spazio importante dedicato alla degustazione in abbinamento con alcuni piatti. I negozi sono 15, quattro dei quali di nuova apertura, tutti concentrati nel Centro-Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto, Alto Adige, Emilia e Toscana). Meglio di niente. Ma certo da noi l’enoteca di prossimità appare ancora lontana.

Vedi Signorvino, la sfida interamente italiana e low cost del patron di Calzedonia

Una serie video per promuovere i propri vini: succede, da Aldi Sud

Come ti promuovo il vino, per lo più private label: Aldi Süd, insegna tedesca, lo fa con una serie di video in cui una cuoca stellata, Sybille Schönberger, viaggia tra vigne e vigneti e propone accostamenti tra vino e cibo. È un rapporto non sempre facile quello tra Gdo e vino che però è cresciuto nel tempo fino a far diventare la grande distribuzione il primo canale di vendita. Piacciono le promozioni, certamente, ma non sempre il consumatore ha le idee chiare su cosa, come e perché scegliere, e il consiglio è pressoché assente, al di là di saltuari eventi. 

L’iniziativa prevede dieci contributi video che saranno pubblicati ogni due settimane. In questi, oltre alle zone viticole, la chef nota in Germania per essere comparsa più volte in TV, ha anche visitato bar di tendenza in contesti urbani, sempre alla ricerca di storie emozionanti sul vino, il piacere dei berlo e le specialità regionali, e incontra esperti, personaggi locali, dietisti, food blogger. Non manca naturalmente, il consiglio sull’etichetta giusta selezionata dalla gamma Aldi Süd.

«Il formato con Sybille Schönberger mostra in modo divertente quanto possa essere semplice accostare il buon cibo al buon vino. Abbiamo posto nella produzione del formato molta enfasi sulle storie autentiche in grado di coinvolgere i nostri clienti» ha spiegato Sandra Sibylle Schoofs, Direttore Marketing di ALDI.

Aldi ha iniziato lo scorso anno a promuovere il vino con il portale dedicato meine-weinwelt.de e il pop-up store, ed ha partecipato a marzo alla fiera ProWein di Dusseldorf. 
Il primo video della serie riguarda la visita di Schönberger alla cantina del viticoltore di spicco della Mosella Raimund Prüm: eccolo.
  

https://youtu.be/OkVO9C2JN10

Il vino cinese arriva sugli scaffali della Gdo britannica: dall’import alla concorrenza?

La selezione di vini cinesi in vendita da Tesco.

Fase uno i cinesi scoprono il vino, e diventano tra i maggiori importatori al mondo; fase due i cinesi pensano che, in fondo spazio e clima adatti non mancano, ed iniziano a farselo a casa loro. E questo stesso vino finisce sugli scaffali di due delle maggiori insegne della Gdo britannica, Sainsbury’s e Tesco.

Sorprendente? Certamente no, la Cina per l’International Organisation of Vine and Wine vanta oggi la seconda superficie vitata al mondo dopo la Spagna e, se negli ultimi anni la produzione era diretta sostanzialmente al mercato interno (la classe media cinese, target delle vendite, sarebbe più numerosa dell’intera popolazione del Regno Unito), ora le cose sembra stiano cambiando, anche grazie a un aumento della qualità. La “Napa Valley” cinese sarebbe la regione settentrionale del Ningxia, che vanta un clima secco e caldo con 3mila ore di sole all’anno. 

La vocazione vinicola potrebbe prendere la strada di tante altre industrie che stanno facendo la forza dell’economia cinese. Già i dati più recenti secondo Decanter mostrano un rallentamento delle importazioni a volume mentre si alza il loro valore. Nei primi tre mesi del 2017 le importazioni di vino in bottiglia sono aumentate “solo” del 5,6% a volume e a valore sono diminuite del 3,6% secondo DecanterChina mentre nello stesso periodo del 2016 gli incrementi erano stati del 31,1% a volume e del 47,3% a valore.

Il mercato import sembra dunque percorso da venti di cambiamento che non si presentano affatto uniformi a varian da Paese a Paese. Francia e Australia (i primi due importatori) hanno sì visto un buon incremento di vendite, 10% e 14,9% nel primo trimestre del 2017, ma con un crollo a valore dell’8,8% e dell’8,6% il che suggerisce una virata verso etichette meno care.

 

I vini biologici prendono il largo, aumenti a due cifre nella Gdo, rosso e Prosecco in cima

Addio vini “puzzoni” dal colore scomposto. I vini biologici volano in Italia e ormai sono apprezzati anche dalla critica. È la tendenza emersa nel corso della cinquantunesima edizione del Vinitaly, celebrata dal 9 al 12 aprile alla Fiera di Verona. Secondo uno studio realizzato da Coldiretti, le vendite di vini bio, che non vanno confusi con i vini biodinamici che seguono i precetti steineriani, sono aumentate nel 2016 del 26%, con ben 2,5 milioni di bottiglie vendute nella grande distribuzione, ciò che dimostra che ormai questa tipologia ha convinto anche il grande pubblico.

In crescita anche la sottocategoria dei vini vegani, le cui vendite sono cresciute nello scorso anno del 35%. I vegani in Italia del resto sono almeno 1,8 milioni, una fetta di mercato sempre più interessante, anche perché sovente dotato di buona capacità di spesa. Secondo un’altra ricerca, elaborata dalla Nielsen, in Italia nel 2016 le vendite di vino bio hanno raggiunto 11,5 milioni di euro nella sola Gdo, registrando un +51% rispetto al 2015, ma l’incidenza del vino bio sul totale delle vendite di vino è ancora irrilevante, con lo 0,7%. Secondo i dati Nielsen, il vino rosso è la tipologia di vino bio preferita dal consumatore italiano (57% delle vendite in Gdo, +42% rispetto al 2015), tuttavia i vini bianchi crescono in maniera più significativa (+93%) assieme alle bollicine (+59%). Il Prosecco è comunque il vino bio più venduto nella grande distribuzione nel 2016 (17% delle vendite di vino bio a valore, +143% -di crescita) seguito da Montepulciano d’Abruzzo (15%), Nero d’Avola (7%) e Chianti (7%).

Il consumatore riconosce al vino bio naturalità (per il 24% dei consumatori il principale elemento distintivo), salubrità (20%) ma anche qualità (17%). I canali preferiti per l’acquisto di vino bio rimangono iper e supermercati (33%) e gli acquisti diretti dal produttore o in cantina (23%), seguiti da enoteche (19%) e negozi alimentari specializzati in prodotti biologici (18%); la quota di consumatori che acquista vino bio soprattutto online raggiunge il 6%.

 

Secondi produttori dopo la Spagna

Insomma, il biologico non può più essere considerato una nicchia. Sempre secondo Coldiretti i vigneti coltivati a biologico o in conversione hanno raggiunto al 1° gennaio 2016 la superficie di 83.642 ettari al 1 gennaio 2016 su un totale di 642.367 ettari vitati, con un aumento record del 16% rispetto sul 2015 dalle elaborazioni Coldiretti. Dati confermati anche da una ricerca Wine Monitor-Nomisma, secondo cui il pubblico dei consumatori della tipologia è raddoppiato, e dal Report Mediobanca che parla di un aumento del 17% della produzione e del 38% dell’export, con la superficie vitata cresciuta del 13% nel 2016 rispetto al 2015.

Oggi l’Italia ha il secondo vigneto green d’Europa dietro la Spagna. E non è solo questione di certificazioni. La sostenibilità del vino si manifesta anche in ogni fase della produzione e del consumo, dalla vigna alla tavola.

«I driver di crescita – dice Fabrizio Riva, amministratore delegato dell’ente certificatore Ccpb – sono molteplici: dal codice appalti, che ha rivolto un’attenzione maggiore alle certificazioni, alla carbon footprint e alla sostenibilità sociale, alle politiche regionali, come le misure Ocm vino della Sicilia, passando per gli standard della grande distribuzione organizzata e infine per il ruolo dei consumatori».

 

Un fenomeno guidato dal consumatore

Ecco, i consumatori. Che sono sempre più attori protagonisti nel successo del vino bio, anche perché stimolano le aziende alla costosa riconversione, che altrimenti forse eviterebbero. Da un lato i consumatori pur di bere un vino biologico sono disposti a un cambio di brand nel 50% dei casi, e a un cambio di punto vendita addirittura nel 40% di essi. Dall’altro, a livello europeo, sono disposti a spendere di più per un vino certificato come biologico in tutte e tre le fasce di prezzo di 5, 10 e 15 euro a bottiglia, sebbene siano più sensibili a quello che percepiscono come un plus tanto meno sono esperti di vino. A trainare questa tendenza i “famigerati” Millennials, la parte demografica in assoluto più attenta ai temi della sostenibilità ambientale e della produzione biologica nelle aziende vitivinicole. 

I consumatori però non si accontentano più di autodichiarazioni o di definizioni più o meno fumose, ma si sono fatti più esigenti in quanto agli standard ai quali è necessario sottostare. «C’è bisogno di standard chiari e certificabili – dice Lucrezia Lamastra, ricercatore presso l’Università Cattolica di Piacenza e una delle creatrici del programma V.i.v.a. del ministero dell’Ambiente -. I numeri ci dicono che i consumatori sono interessati ai temi dell’ecosostenibile e del biologico, abbiamo visto che soprattutto i giovani sono molto interessati al tema. Il problema è cercare di farlo in un modo che soddisfi il bisogno del consumatore di avere la consapevolezza che dietro c’è una procedura certificata».

Supermercati, supervini. Gdo primo canale di vendita con 500 mln di vino nel 2016

Ormai la Gdo è diventato il canale di vendita più importante dei vini in Italia. Lo rivela una ricerca dell’istituto di ricerca ‘Iri presentata all’edizione numero 51 del Vinitaly in corso a Verona durante la tavola rotonda organizzata da Veronafiere sul tema del vino nella grande distribuzione. Secondo la ricerca gli italiani comprano il vino soprattutto nei supermercati: nel 2016 hanno acquistato sugli scaffali 500 milioni di litri, spendendo 1 miliardo e mezzo di euro. E il 60% di questi acquisti è rappresentato dai vini con riferimento territoriale (Docg, Doc, Igt), il comparto che cresce di più: per volume + 2,7% nel 2016 e + 4,9% nel primo bimestre 2017. Si ricercano sempre più la qualità e i legami col territorio. Cantine e insegne della Grande distribuzione sono pronte a migliorare la collaborazione per soddisfare questa domanda dei consumatori.

 

Alla ricerca della qualità

I comportamenti di chi mette le bottiglie nel carrello stanno cambiando. Sempre meno bottiglioni da un litro e mezzo, vini sfusi, damigiane, brik, sempre più bottiglie da 75cl. I vini fermi sono più richiesti dei vini frizzanti, che probabilmente risentono del boom degli spumanti (+7% nel 2016). Crescono rapidamente anche i vini biologici, una proposta ancora di nicchia nella Grande distribuzione. Cambiamenti influenzati anche dal graduale ricambio generazionale e dal rinnovato interesse dei giovani per il vino. Gli studi Iri sul comportamento dei consumatori nella Grande distribuzione evidenziano che l’86% di essi è propenso a sperimentare nuovi prodotti, si informa sulle novità a scaffale, spesso sui siti web di settore (il 33%).

«Siamo sulla strada giusta, auspicata da tempo – ha detto Cesare Cecchi, Consigliere di Federvini -. Non dobbiamo assolutamente tradire questa qualità che viene cercata dal consumatore, sarebbe un errore imperdonabile. Le cantine devono continuare a ricercare la qualità del prodotto senza accettare scorciatoie, e i distributori devono incoraggiare la produzione a proseguire su questa strada». Eppure persiste, come ricorda Gabriele Nicotra, direttore acquisti Unes Supermercati (Gruppo Finiper) “una diffidenza da parte di alcune cantine importanti verso la Grande Distribuzione, esse evitano una relazione diretta con le insegne distributive pur sapendo che a volte il loro prodotto ci arriva tramite canali non ufficiali. Questo è un peccato, soprattutto per il consumatore che ormai cerca anche i prodotti di pregio sugli scaffali dei supermercati”. Così la collaborazione tra cantine e insegne distributive più che sulle grandi case vinicole poggia sulle aziende medie con le quali, secondo Eugenio Gamboni, direttore commerciale del Gruppo Vegè: “si discute e ci si confronta liberamente, distanti dal mondo molto più complesso della grande industria e delle multinazionali”. Esce comunque il quadro di un prodotto maturo, “specchio fedele del mutamento dei consumatori e dei loro stili di acquisto”, come riassume Emilio Pedron, consigliere dell’Unione Italiana Vini.

Grande incognita quella rappresentata dall’incertezza sui mercati britannico e statunitense a causa nel primo caso della Brexit e nel secondo caso dalle politiche protezionistiche minacciate dalla nuova amministrazione Trump: «La Brexit – spiega Alex Canneti della Berkmann Wine Cellars di Londra – è una sfida per le vendite dei vini italiani poiché l’Australia, il Sud Africa e la Nuova Zelanda saranno i primi Paesi a istituire trattati bilaterali con il Regno Unito. L’unica soluzione a questa minaccia è consentire al Regno Unito un periodo di 10 anni per condividere gli stessi oneri doganali dell’Unione e negoziare un trattato di libero commercio». Un tema fatidico, perché mai come in questo periodo le catene di supermercati britanniche, soprattutto Waitrose e Majestic, hanno mostrato interesse per i vini italiani, dalle bollicine ai rossi come Cannonau e Amarone e ai bianchi come Fiano, Pecorino e Vermentino.

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