CLOSE
Home Authors Posts by Anna Muzio

Anna Muzio

Anna Muzio
2122 POSTS 0 COMMENTS

I papà Millennials fanno acquisti online, di marca e premium: perché non rivolgersi (anche) a loro?

Sono più ottimisti riguardo alla situazione economica generale e alle proprie finanze, disposti a spendere di più senza perdersi in tediose comparazioni di prezzi, e, soprattutto, sono sempre più coinvolti nelle spese di casa, anche quelle che riguardano i figli: sono i “nuovi padri”, quelli della generazioni dei Millennials, dai 25 ai 34 anni. Un’audience secondo le ricerche di marketing decisamente interessante, specie per il segmento premium, perché più facilmente si lasciano convincere a spendere di più, si fanno influenzare dalla marca e tendono, ove possibile, ad acquistare online. Dunque industria e retailer dovrebbero iniziare a guardare di più a questo target, anche per prodotti, come quelli per l’infanzia ad esempio, tradizionalmente considerati “mammacentrici”. E farebbero bene a sviluppare strategie multicanali efficaci per intercettarlo.

Una ricerca di Initiative sui papà Millennials (dalla quale è derivata l’infografica qui sotto) mostra alcuni dati interessanti. Il 45% dei “nuovi papà” pensa che le marche giochino un ruolo importante nelle loro vite (contro il 39% degli uomini senza figli), tanto da essere portati a consigliarle (lo fa il 65% di loro, contro il 56% dei non papà e il 60% delle mamme). Sono iperconnessi, più di qualunque altro gruppo: il 62% possiede tre o più dispositivi e l’82% ha uno smartphone, dal quale effettua la maggior parte delle ricerche sui prodotti. I giovani padri sono anche sensibili alla responsabilità sociale d’impresa, e sono ottimisti verso il futuro: il 62% pensa che le aziende possono potenzialmente fare del bene e il 58% si sente più fedele verso marche che dimostrano di avere effettuato azioni positive per la società. Stiamo parlando di un gruppo che nel futuro prossimo costituirà la maggior parte delle famiglie con bambini, e la cui influenza è quindi destinata ad aumentare.

La ricerca è stata effettuata con interviste a oltre 5000 papà nella fascia 25-34 anni in 19 Paesi, Italia compresa.

Millennial_Dads_Infographic

Naturasì porta il bio a Imola, con angolo bar

Su una superficie di 480 metri quadri, con oltre 4.000 referenze bio certificate e un angolo bar, apre a Imola oggi in Viale delle Resistenza 6/A un nuovo negozio NaturaSì. Il punto vendita è gestito da Paola Zanellati, storica proprietaria del negozio bio Il Germoglio, affiancata da un team di collaboratori.

Con un’esperienza quasi trentennale nel settore del biologico, Paola Zanellati spiega così la sua scelta: “L’adesione a NaturaSì è nata dalla condivisione degli stessi valori e dal credere nello stesso progetto sapendo che uniti si è più forti e si possono realizzare progetti di ampia portata”.

Tra le oltre oltre 4.000 referenze bio certificate disponibili ci sono i prodotti ortofrutticoli, gli alimentari freschi e confezionati – con referenze adatte a vegetariani, vegani e a chi cerca prodotti privi di glutine – i prodotti per l’igiene della casa e per l’accudimento dei più piccoli, i prodotti dell’angolo erboristeria. Presente anche un piccolo corner per l’enoteca e lo spazio dedicato ai libri dove trovare letture che insegnano a tutta la famiglia i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica e le buone pratiche per la tutela dell’ambiente. Infine l’angolo bar dove assaggiare non solo caffè bio equosolidale ma anche estratti alla frutta, alle verdure o un mix di entrambi come quello drenante o quello chiamato ”Alzati e cammina”, un boost di energia nelle calde giornate afose.

Ampio spazio sarà dato alle degustazioni volte a far conoscere i prodotti in assortimento: il giorno dell’inaugurazione in primo piano ci sono le bevande vegetali Isola Bio. Sabato 27 giugno è la volta dei prodotti da forno Il Chicco di Grano che utilizza pasta madre e farine bio di cereali alternativi al frumento come il farro, il kamut, l’avena. Oltre ad un’ampia gamma di prodotti in promozione scontati del 20%, per tutti coloro che effettueranno un acquisto dal 24 giugno al 4 luglio sarà dato un buono sconto del valore di 5 euro, spendibile dal 6 al 18 luglio a fronte di una spesa minima di 50 euro.

Click and drive: da noi all’alba, in Francia da 15 anni. L’evoluzione in un’infografica

In Italia se ne parla da anni, con qualche partenza e pochissimi punti di raccolta attivi (i Drive di Auchan, ridotti a uno, Rozzano, con quello di Torino attivo dal 2008 che ha chiuso il mese scorso, e i cinque Tigros Drive). Ma ora che l’e-commerce sembra decollato, e che il ritiro in negozio pare entrare nelle abitudini dei consumatori, quanto meno i più “tecnologizzati”, specie in certi settori quali l’abbigliamento, il terreno sembra decisamente più fertile anche nel nostro Paese.

Una fotografia delle evoluzioni possibili su scala nazionale ce la dà questa bella infografica dinamica elaborata da Bonial e Nielsen sulla situazione francese. In Francia l’ordine online con ritiro nel punto vendita, sia sotto forma di drive direttamente nel baule della macchina ha fatto tanta strada, arrivando oggi a 2.600 punti di raccolta, cui si aggiungo 900 punti vendita che offrono il ritiro in negozio. Una strada lunga 15 anni, partita nel 2000 nel Nord, a Leers. Tra il 2012 e il 2013, il boom, con l’apertura di 1,9 click&drive al giorno. L’anno scorso i drive hanno sorpassato in numero gli ipermercati. Un tasso di crescita che giocoforza è rallentato dopo il 2014, grazie alla capillarità della copertura sul territorio.

Scorrete l’infografica a questo link

Per Conad Tirreno 2014 positivo, +3,2% i primi cinque mesi del 2015

Un giro d’affari di 2,25 miliardi di Euro nel 2014, +2% sul 2013, e un trend positivo che si mantiene anche nei primi mesi del 2015, anzi aumenta attestandosi al +3,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Sono questi i risultati di Conad Tirreno comunicati in occasione dell’assemblea dei soci riunitasi a Firenze. Nel 2014 il risultato di esercizio di Conad del Tirreno si attesta a 23,6 milioni di Euro, ed il patrimonio netto è cresciuto a 300 milioni di Euro.

“Questo risultato di Bilancio conferma la lungimiranza delle scelte strategiche adottate, fondate su convenienza, qualità e rapporto con il territorio. Il cliente premia la nostra insegna per l’impegno, la responsabilità, la fiducia che quotidianamente i nostri soci imprenditori offrono nei loro punti di vendita oltre un’attenta offerta commerciale – ha dichiarato l’Ad di Conad del Tirreno Ugo Baldi -. Il nostro impegno prioritario è vivere in sintonia con il territorio in cui operiamo; valorizzare e far conoscere le produzioni locali, sostenere la crescita della comunità, anche in ambito solidale, promuovendo mirate iniziative. In sintesi quello rappresentato da Conad è un modello forte e distintivo che pone la persona al centro: è per questo che i nostri punti di vendita sono vissuti come veri punti di riferimento dai cittadini”.

Conad Tirreno è costituita da 213 soci e 334 punti di vendita – 43 Conad Superstore di cui 18 grandi superfici, 107 Conad, 138 Conad City, 6 Sapori&Dintorni Conad, 50 Margherita Conad – per una superficie complessiva di 245 mila mq e 9.500 occupati di sistema. Con le operazioni di acquisizione di punti di vendita ex Despar in Toscana ed ex Billa e ex Lombardini in Sardegna e grazie al programma di nuove aperture e riqualificazione della rete esistente, Conad del Tirreno consolida il lavoro svolto dai soci imprenditori, centra l’obiettivo della leadership in Sardegna e nel Lazio e cresce ancora. La cooperativa è leader di mercato in Sardegna con una quota del 17,5% e nel Lazio (assieme a PAC200A) con il 23%. In Toscana e La Spezia si attesta al terzo posto con oltre il 14% (fonte: GNLC II semestre 2014).

Il piano triennale di sviluppo prevede investimenti per 223 milioni di Euro, con l’obiettivo di accrescere la quota di mercato e l’efficienza del gruppo. Gli investimenti riguarderanno nuove aperture, ristrutturazioni, acquisizioni, innovazione e attenzione all’ambiente ma anche l’accrescimento dei servizi offerti al cliente: distributori di carburanti, parafarmacie, ottici.

Italmark compra il 70% di Family Market: nasce un gruppo bresciano da 500 mln di euro

Grandi manovre nella GDO bresciana: il gruppo Italmark della famiglia Odolini ha rilevato il 70% del gruppo Family Market, consolidando la propria posizione sul mercato locale e diventando il primo gruppo bresciano del settore.

Quattro dei cinque soci di Family Market hanno venduto, mentre Fabrizio Uberti ha mantenuto il 30% di Family Market, che da srl è passata a spa.

Con l’acquisizione di Family Market Italmark aggiunge la rete di 23 negozi concentrati nel bresciano, 330 addetti e un fatturato 2014 di 85 milioni, che vanno ad aggiungersi ai suoi 47 punti vendita e agli oltre mille addetti. Il nuovo gruppo Italmark dovrebbe sfiorare i 500 milioni di fatturato.

Terre Ducali e Parma Is regalano l’ingresso nel network MondoParchi

Un coupon per l’ingresso omaggio dei ragazzi con meno di 12 anni in 1.800 strutture leisure in tutta Italia per chi acquista lo Strolghino di Culatello di Terre Ducali o i panini freschi della linea “Pagnotto” di Parma Is. È il risultato della partnership siglata tra Terre Ducali, aziende specializzata nella produzione di salumi tipici di Parma insieme a Parma Is, nota per i panini gourmand, con MondoParchi. Un network che riunisce 1.800 strutture italiane: parchi di divertimento, parchi avventura, parchi acquatici, castelli, grotte, miniere, parchi faunistici e naturalistici. Ma anche hotel, campeggi, villaggi turistici, agriturismi e catene alberghiere.

Il coupon, disponibile dal 29 giugno e fino a esaurimento scorte e presente nelle più importanti catene italiane della GDO, è legato all’acquisto di Strolghino di Culatello Terre Ducali o di una delle 10 referenze del “Pagnotto”, e potrà essere utilizzato entro il 30 novembre.

«La partnership con MondoParchi nasce nella logica di fidelizzare i consumatori che scelgono i nostri prodotti per il momento dell’aperitivo e per i loro pasti veloci e fuoricasa, all’insegna del gusto, della tipicità e dell’alimentazione sana. Ma è anche un plus che offriamo alle insegne GDO che in Terre Ducali e Parma Is hanno trovato partner di valore, che oltre a fornire prodotti di alta qualità, si distinguono per la dinamicità in fase di sell out grazie a packaging accattivanti e a nuove iniziative promozionali» ha dichiarato Giulio Gherri, CEO di Terre Ducali e Parma Is.

Contaminated pork in UK: too many antibiotics on European farms

It’s called MRSA, methicillin-resistant Staphylococcus aureus, the latest European health emergency from the animal world. An antibiotic-resistant super bacteria that is rapidly spreading on pig farms in Northern Europe. Infecting not only those who work in contact with the pigs, but also the products that arrive on our supermarket shelves. In Denmark, tests have shown that 20% of pork products are contaminated; in the United Kingdom, in a test sponsored by the Guardian newspaper and carried out by a Danish university, out of 100 products taken from the major British chains, 9, sold by Co-ops, Sainsbury’s, Tesco and Asda, were contaminated with the MRSA bacterium.

The health problem goes well beyond the rashes, sometimes serious, that some people have developed (usually farm workers, but not only), and the contamination of products which, according to the health authorities, is not directly linked to the development of the disease, and concerns resistance to antibiotics. According to the WHO, World Health Organization, by 2050 antibiotic resistance could lead to more cancer deaths, caused by infections no longer treatable with the drugs we use today, and which are heavily used on farms. The drastic reduction in their use is the only way to curb the problem.

Hence the idea of a number of associations to apply a label to the meat on sale, certifying the absence of administering antibiotics during the life of the animal. A means that would indicate, indirectly, more healthy and sustainable farming. According to some activists, however, the creation of a “not treated with antibiotics” label risks creating a protected area (a bit like organic) for higher-priced meat, while the majority of consumers would continue to buy low cost products, without directly addressing the issue. It is not so much the use of drugs, when necessary and prescribed by a veterinarian, which should be punished, but their widespread, indiscriminate and preventive use on all animals on intensive, overcrowded farms where sanitary conditions are extremely deficient.

The problem is clearly not circumscribed to Northern Europe, for two reasons. First of all, half of the pork used in Italy is imported. Moreover, as Dan Jørgensen, former Danish Minister of Agriculture, told the Guardian, “every country with pig farms has this problem: they just don’t know how big it is”. And Italy is certainly not exempt from the widespread use of antibiotics, a sign that there are health problems, often derived from unsustainable farming conditions, such as those reported by Animal Equality in certain farms in Northern Italy. It was the Health Minister herself, Beatrice Lorenzin, who said that “The figure on the use of antibiotics is high on our farms”. The Ministry also provided this data: over 10 million pigs are raised in our country and there are 137,851 pig farms. Finally, Italy is at the bottom of the league in terms of antibiotic resistance, due to the often indiscriminate use of the drug in both humans as well as animals. MRSA resistance, in particular, in Italy has European record percentages, exceeding 38%.

The European regulation which came into force in April which requires indication on the label of pig, sheep and goat meat, as well as poultry, of the country of origin, in addition to the name of the country where the animal was raised and slaughtered, is certainly a step forward, but the real problem is that the infected farms are not tracked in any way. Two Danish journalists who investigated the pig industry have been reported for “violation of privacy”. Not only that, the origin labelling does not apply to processed meat like sausages.

A problem, that of intensive farming and the use of antibiotics, which concerns not only pork but also poultry. According to the 2015 ECDC/ EFSA/ EMA report, in Italy we consume three times the European average of antibiotics for animal use.

The return to more “traditional” and “human” farms, which take into account the health and – as far as possible – the welfare of the animals and decrease the chances of getting ill would, according to many, be the solution. A step that would certainly lead to having more expensive, but presumably healthier, meat. Meanwhile, consumers are increasingly concerned about the health and origin of the meat they buy.

 

Carne di maiale contaminata in UK: troppi antibiotici negli allevamenti europei

Si chiama MRSA, Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, la più recente emergenza sanitaria europea proveniente dal mondo animale. È un superbatterio resistente agli antibiotici che sta dilagando negli allevamenti di suini del nord Europa. Infettando non solo chi lavora a contatto con i suini, ma anche i prodotti che arrivano sugli scaffali della GDO. In Danimarca alcuni test hanno evidenziato come il 20% dei prodotti suini sarebbero contaminati, nel Regno Unito in un test promosso dal quotidiano Guardian ed effettuato da un’Università danese, su 100 prodotti prelevati dalle principali catene britanniche 9, venduti da Co-operative, Sainsbury’s, Tesco e Asda, sono risultati contaminati dal batterio MRSA.
Il problema sanitario va ben oltre le eruzioni cutanee anche gravi che alcune persone hanno sviluppato (in genere lavoratori di allevamenti, ma non solo), e la contaminazione dei prodotti che secondo le autorità sanitarie non sarebbero direttamente legati allo sviluppo della malattia, e riguarda la resistenza agli antibiotici, che secondo l’OMS, organizzazione mondiale della Sanità, entro il 2050 potrebbe provocare più morti dei tumori, causate da infezioni non più curabili dai farmaci che oggi usiamo, e che sono utilizzati pesantemente negli allevamenti. La drastica riduzione del loro utilizzo è l’unico modo per arginare il problema.

Da qui l’idea di alcune associazioni di applicare un’etichetta sulla carne in vendita che certifichi l’assenza di somministrazione di antibiotici durante la vita dell’animale. Un mezzo che segnalerebbe, indirettamente, un allevamento più sano e sostenibile. Secondo alcuni attivisti però la creazione di un’etichetta “non trattato con antibiotici” rischierebbe di creare un’oasi protetta (un po’ come il biologico) per carni a prezzi rialzati, mentre la maggior parte dei consumatori continuerebbe ad acquistare prodotti low cost, senza affrontare direttamente il problema. Non sarebbe tanto l’uso di farmaci, quando necessari e se prescritti da un veterinario, che andrebbe sanzionato, ma il loro impiego indiscriminato e preventivo “a pioggia” su tutti gli animali diffuso negli allevamenti intensivi, sovraffollati e dove le condizioni igieniche sono estremamente carenti.

Il problema non è evidentemente arginato al Nord Europa, per due motivi. Innanzitutto, la metà delle carni suine utilizzate in Italia è importata. Inoltre, come ha detto al Guardian Dan Jørgensen, ex ministro dell’agricoltura danese, “ogni Paese con allevamenti di suini ha questo problema: solo che non sanno quanto sia grande”. E l’Italia non è certo esente dall’uso massiccio di antibiotici, segno che esistono problemi sanitari, spesso derivati da condizioni di allevamento insostenibili, come quelle denunciate da Animal Equality in alcuni allevamenti del nord Italia. È la stessa ministra della Salute Beatrice Lorenzin a dichiarare che “Il dato sull’uso degli antibiotici è alto nei nostri allevamenti”. Il ministero ha anche fornito questi dati: oltre 10 milioni di suini sono allevati nel nostro Paese e 137.851 sono gli allevamenti di maiali censiti. Infine, all’Italia è stata assegnata la “maglia nera” nella resistenza agli antibiotici, causata da un loro uso spesso indiscriminato, nell’uomo e negli animali. La resistenza all’MRSA, in particolare, in Italia ha percentuali da primato europeo, superiori al 38%.

Il regolamento europeo entrato in vigore ad aprile che obbliga ad indicare in etichetta anche della carne suina, ovina, caprina e avicola la nazione d’origine, oltre al nome dello stato dove è stato allevato e macellato l’animale, è certamente un passo avanti, ma il problema vero è che gli allevamenti infetti non sono tracciati in alcun modo. Due giornalisti danesi che hanno investigato sull’industria della carne suina sono stati denunciati per “violazione della privacy”. Non solo, l’etichettatura dell’origine non riguarda le carni lavorate come i salumi.

Un problema, quello degli allevamenti intensivi e dell’uso di antibiotici, che riguarda non sola la carne suina ma anche quella avicola. Secondo il rapporto ECDC/ EFSA/ EMA 2015 in Italia consumiamo per uso animale tre volte la quantità di antibiotici della media europea.

Il ritorno ad allevamenti più “artigianali” e “umani”, che tengano conto della salute e – per quanto possibile – del benessere degli animali, e diminuiscano le probabilità di ammalarsi sarebbe secondo molto la soluzione. Un passo che porterebbe ad avere una carne sicuramente più cara, ma presumibilmente più sana. Sullo sfondo, c’è un consumatore sempre più preoccupato della salute e dell’origine della carne che acquista, come rivelato da una ricerca SWG recentemente pubblicata (vd I consumatori e la carne in un’indagine Swg a Eurocarne).

 

Parte da Torino il progetto Salsamenteria del quartiere, la salumeria 3.0: vicinato sostenibile

Dieci strutture a Torino di proprietà, recuperate da spazi commerciali chiusi da anni: è partito così, a febbraio di quest’anno, il progetto Salsamenteria del quartiere. Batir Spa [finanziata da Figerbiella Spa, che partecipa per il 75%, e da Roberto Gualco e altri investitori, ndr] è partita con un’idea: ripopolare la città di negozi di alimentari. Adattati però alle esigenze dei consumatori, pardon “clienti”, del Terzo Millennio. Il progetto è ambizioso, e prevede una prima fase di espansione a Torino, con altri 25 negozi, e poi lo spostamento in altri grandi centri urbani, con l’obiettivo di aprire punti vendita in tutta Italia.

Chiara Priotti Ci facciamo spiegare la filosofia delle Salsamenteria [dalla Treccani: Pizzicheria, salumeria] da Chiara Priotti, responsabile del personale e delegata per la comunicazione e il marketing di Batir.

Cosa si trova nei punti vendita della Salsamenteria?

Una selezione di prodotti italiani, ove possibile della zona. Acquistiamo direttamente dai produttori, saltando gli intermediari in modo da garantire prezzi migliori. Abbiamo un agronomo che seleziona i prodotti e verifica che non vi siano ingredienti “non graditi” come olio di palma, conservanti o additivi. Il magazzino è a Santena e da qui la merce è smistata ai negozi con consegne giornaliere, con l’eccezione dei latticini che sono consegnati direttamente in negozio.

[Not a valid template]

A chi vi rivolgete?

Essenzialmente alle persone del quartiere. Vogliamo abbandonare il concetto di consumatore considerato come un numero a cui vendere il più possibile, e instaurare un rapporto diretto tra i commessi e il cliente che viene a fare la spesa. Per questi i commessi, due per negozio, tutti giovani, sono stati formati con un corso di due mesi e costantemente aggiornati sui prodotti che vendono e le lavorazioni, con visite presso i fornitori. Pensiamo che ci sia voglia di un commercio diverso dalla spersonalizzazione della GDO, che molte persone non gradiscono più. Abbiamo notato una prevalenza di anziani e famiglie con bambini, attenti all’alimentazione e alla provenienza dei prodotti.

Qual è la vostro politica di prezzi?

In linea con la GDO, a parità di qualità: non siamo Eataly! Le nostre iniziative promozionali sono volte a far conoscere determinati prodotti, con sconti anche del 25/30%, anche perché non teniamo grandi marche. Siamo contrari all’accumulo, proponiamo una spesa quotidiana che consenta di avere prodotti sempre freschi ed evitare sprechi. Abbiamo anche biologico ma non in esclusiva, non siamo un negozio bio.

Come si presenta un negozio della Salsamenteria?

Abbiamo cercato di riqualificare strutture preesistenti, negozi di alimentari chiusi da tempo, ristrutturandole. Sono spazi di circa 100 mq. All’interno abbiamo una cartellonistica semplice che spiega la nostra filosofia e la scelta dei prodotti. Il nome varia a seconda della via.

Che ruolo ha la tecnologia nel vostro progetto?

Il gestionale per le casse e il magazzino è un software open source adattato alle nostre esigenze. Non facciamo e-commerce ma le consegne sono previste nel prossimo sviluppo della catena. La pagina Facebook è aggiornata non solo con novità di prodotto ma anche con eventi della città e del quartiere, in un’ottica di servizio. Nei negozi abbiamo installato dei frigoriferi con il motore esterno all’area di vendita, per evitare l’inquinamento acustico ed elettromagnetico.

Come sono andati questi primi mesi?

Abbiamo dovuto farci conoscere; ora dopo una campagna pubblicitaria su “la Stampa” siamo più noti. Abbiamo fidelizzato molti clienti, che tornano dopo aver capito la nostra filosofia e la coerenza dell’offerta. Frutta e verdura di stagione (tra cui gli asparagi di Santena), farina del molino Bongiovanni macinata a pietra, sughi e conserve senza additivi, pane fatto con lievito di pasta madre della cooperativa sociale Articolo 1 (che dà lavoro a persone in difficoltà) e dal carcere di Torino. A breve entreranno nell’assortimento anche i detergenti ecologici, i libri della casa editrice Giunti e la gastronomia.

 

Heineken sceglie la logistica ecologica di Pgm, consegna merci a emissioni zero

La logistica ecologica è non solo un impegno che ogni azienda dovrebbe affrontare all’interno delle pratiche di responsabilità aziendale, ma anche una necessità data la presenza sempre più diffusa nelle aree urbane di Ztl, zone a traffico limitato. Heineken Italia ha scelto PGM Logistica, azienda di distribuzione beverage operante a Bergamo e provincia con mezzi elettrici, per effettuare consegne “ad emissione zero” nell’area coperta. La multinazionale della birra a partire dal 2011 ha avviato diverse iniziative volte a ridurre le emissioni di CO2 prodotte dalle attività logistiche, sviluppando in particolare l’intermodalità e scegliendo mezzi sempre più ecologici.

Pgm dispone al momento di un furgone Nissan e-NV200 a zero emissioni, cui presto se ne aggiungeranno altri (si prevede di arrivare a 30 veicoli nei prossimi tre anni), per le consegne dell’ultimo miglio (per la distribuzione delle merci a Milano e a Bergamo, a partire dalle ZTL del centro e in Città Alta). Una colonnina per la ricarica è già attiva nel piazzale dell’azienda, e a breve entrerà in funzione un impianto fotovoltaico capace di azzerare i costi di carburante dei mezzi della PGM ma anche totalmente le sue emissioni di CO2.
L’azienda è certificata UNI EN ISO 9001 e registrata alla piattaforma internazionale ECOVADIS, società che opera nel campo della valutazione, il monitoraggio e la certificazione delle catene di approvvigionamento globali, con il fine di migliorare le politiche ambientali e migliorare le performance di sostenibilità..

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare