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Anna Muzio

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Le “Arance rosse per la Ricerca” di Airc in 2400 punti vendita della Gdo

Bennet, le insegne del Gruppo Selex e del Gruppo VéGé, Carrefour, CRAI e Consorzio Coralis: sono le catene della Gdo che,  in collaborazione con FDAI (Firmato dagli Agricoltori Italiani), hanno scelto di sostenere l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro con l’iniziativa ‘Arance rosse per la Ricerca‘.

Da giovedì 15 febbraio per tutto il fine settimana e fino a esaurimento scorte, in oltre 2400 punti vendita su tutto il territorio, sarà possibile acquistare una o più reticelle di arance rosse italiane. Per ogni confezione venduta i marchi della Gdo garantiranno una donazione di 50 centesimi a favore di AIRC, grazie a cui le arance rosse italiane sono diventate il simbolo della sana alimentazione e della prevenzione del cancro. Era infatti il 1990 il primo hanno in cui furono scelte come protagoniste della campagna ‘Le Arance della Salute’ per le loro straordinarie proprietà. Contengono infatti gli antociani, pigmenti naturali dagli eccezionali poteri antiossidanti, e circa il quaranta per cento in più di vitamina C rispetto agli altri agrumi.

Coralis con circa 100 punti vendita e CRAI con circa 350 sposano la filosofia di FDAI, certificando dalla semina alla raccolta la provenienza italiana delle arance. Le arance destinate all’iniziativa provengono dalla Sicilia e in particolare dalla zona vocata dell’Etna. La caratteristica è la polpa rossa che contraddistingue la varietà più pregiata: il Tarocco Siciliano. Le arance sono coltivate, raccolte e confezionate direttamente dalle aziende agricole coinvolte e vengono proposte in retine da 2 kg caratterizzate dal marchio FDAI a garanzia dei valori agricoli di tracciabilità di filiera agricola italiana, di rispetto della vocazione produttiva dei territori e di identità agricola del produttore.

I ricercatori confermano che la battaglia contro il cancro acquisisce ogni giorno nuovi strumenti per la diagnosi e la cura, ma è sempre più riconosciuta l’importanza dei corretti stili di vita. Il cibo che consumiamo può diventare un alleato per la prevenzione. Un tumore su tre potrebbe non svilupparsi per nulla se tutti seguissimo stili di vita salutari, tra cui l’alimentazione risulta uno dei fattori chiave.

«Siamo orgogliosi di partecipare con circa 100 nostri punti vendita a questa campagna che è allo stesso tempo informativa e di sostegno per la ricerca, motore fondamentale per vincere la battaglia contro il cancro – commenta Eleonora Graffione, presidente del Consorzio Coralis -. A questo va aggiunto il valore etico delle arance che offriamo ai nostri clienti: la filiera certa, il rispetto per il lavoro degli agricoltori e il giusto riconoscimento sono elementi che appartengono al DNA di Coralis e siamo felici di poterli, ancora una volta, esprimere in un contesto tanto importante».

Il progetto delle arance rosse della ricerca è un esempio di come il mondo della produzione agricola e la Moderna Distribuzione, assieme, possano contribuire in maniera significativa e concreta alla sensibilizzazione del grande pubblico che, acquistando le arance “solidali”, potrà sostenere la ricerca oncologica e la produzione italiana.

Gli italiani e la spesa alimentare: i cinque nuovi profili Nielsen

Addio vecchi schemi basati su rilevazioni socio demografiche, la società, spinta dalla rivoluzione tecnologica e dall’invecchiamento della popolazione, cambia e così Nielsen identifica cinque nuovi profili di acquisto per gli italiani. Basati sugli acquisti reali delle novemila famiglie campione. Christian Centonze, Leader Soluzioni per il Largo Consumo di Nielsen, presenta i nuovi profili di acquisto degli italiani e considera come stanno impattando, e come influiranno in futuro, sui vari canali di acquisto, dall’iper all’eCommerce.

Frammentati oggi, polarizzati sempre più in futuro

Se stupisce la presenza ancora importante (4 milioni di famiglie) del segmento traditional, sicuramente, all’interno di questa ampia frammentazione che non ragione più per fasce di età ma piuttosto per disponibilità di spesa e aspirazioni, due sono le categorie verso cui nei prossimi anni tenderanno a convergere i consumi: la premium (golden shopper), definita “il sacro Graal del largo consumo” che detta tendenze e privilegia prodotti ad alto valore aggiunto (free from, bio, nutraceutici, con un focus sul benessere) e i low cost, che puntano alla convenienza e acquistano per la metà nel canale discount.

Insomma, nonostante le differenze, gli stili individuati da Nielsen non devono essere considerati compartimenti stagni, bensì “vasi comunicanti”, che fanno registrare migrazioni da un approccio alla spesa all’altro. E del resto sono 2 milioni le famiglie che negli ultimi due anni hanno già cambiato approccio alla spesa alimentare.

D’Osa, la nuova linea Coop che aiuta a cucinare facile e sano

Coop lancia una nuova private label: si chiama D’Osa ed è fatta di 37 referenze per cucinare in casa, materie prime e semilavorati con un percorso, per così dire, “facilitato”. Unendo due esigenze della nostra epoca: la passione per la cucina e l’esigenza di alimentarsi con cibi realizzati con ingredienti di qualità, buoni, sani e attenti agli aspetti etici e di sostenibilità.

È un po’ schizofrenico il consumatore d’oggi, ha poco tempo per cucinare ma ama fare da sé e avere il controllo della realizzazione, arriva a casa tardi dal lavoro ma non disegna di mettere le mani in pasta e infornare. Dunque largo alla IV gamma, ai prodotti semipronti, alle referenze gourmet.

 

Si parte con 37, a regime 55 referenze

In catalogo proposte che, in tantissimi casi, con l’aggiunta di pochi prodotti freschi, permettono di realizzare ricette che in genere richiedono una preparazione impegnativa: semilavorati e preparati per dolci, panificati dolci e salati, lieviti di vari tipi e decorazioni (come granelle di zucchero e altro). A regime la gamma completa sarà costituita da 55 referenze distribuite tra due grandi aree: i preparati per dolci (13 referenze di preparati, 19 referenze di ingredienti e 14 di guarnizioni) e le miscele di farine (con 9 referenze tra miscele per panificati pizze e focacce).

Sul fronte delle sempre più pressanti richieste per un’alimentazione salutare, le referenze D’Osa sono prove di coloranti, dolcificanti quali aspartame e saccarina, addensanti come la carragenina; si fa un limitato uso di additivi mentre soia e mais (e loro derivati) sono Ogm free. Non solo: nei preparati per dolci, ove possibile, sono utilizzati ingredienti Fair trade-Solidal (come nel caso del cioccolato), biologici, farine meno raffinate (tipo 1 e 2) e integrali. La maggior parte delle miscele di farine contengono inoltre materie prime 100% italiane e le miscele sono a basso contenuto di sale, di tipo funzionale e altamente proteiche.

Disponibile sul sito, il ricettario d’Osa Coop offre idee, consigli e spunti da realizzare con l’aiuto dei tantissimi prodotti di questa nuova linea. Disponibile in tutti i punti vendita Coop dall’8 febbraio, e rappresenta l’avvio dei festeggiamenti per il 70esimo anniversario de primo prodotto a marchio Coop, apparso nel maggio 1948.

 

 

Intelligenza artificiale, anche il retail l’ha scoperta (a metà): ecco le sue applicazioni

L’intelligenza artificiale sta avanzando a grandi passi anche nelle imprese. Ed è il retail uno dei settori in cui trova maggiore applicazione. Dopo il banking-finance-insurance e l’automotive, è, assieme all’hi-tech e alle telecomunicazioni, tra i settori maggiormente interessati a introdurre a livello internazionale soluzioni di intelligenza artificiale.

Il dato emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano presentata al convegno “Artificial Intelligence: prospettive dalla ricerca al mercato”, a Milano. La ricerca ha analizzato 721 imprese e 469 casi, riferibili a 337 imprese internazionali ed italiane, di utilizzo di Artificial Intelligence, quel ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di abilità tipicamente umane, come l’interazione con l’ambiente, l’apprendimento e l’adattamento, il ragionamento e la pianificazione. L’Italia è un po’ più indietro rispetto agli altri Paesi europei: il 56% delle grandi imprese oggetto di indagine ha già avviato progetti di Artificial Intelligence contro circa il 70% di Francia e Germania.

 

Mille soluzioni, dai Big Data agli assistenti vocali, fino al riconoscimento biometrico

I principali ambiti di applicazione riguardano l’Intelligent Data Processing (35%), soluzioni che utilizzano algoritmi di AI per estrarre informazioni e avviare azioni basate sulle informazioni estratte, e i Virtual Assistant o Chatbot (25%), agenti software in grado di interagire con un interlocutore umano per eseguire un’azione o offrire un servizio. Questi trovano particolare applicazione nel sistema della distribuzione, come per l’assistenza al cliente dopo la vendita (87% dei casi), oppure per l’offerta al cliente di servizi che non riguardano direttamente l’ambito in cui opera l’azienda (7%) o per gli assistenti virtuali della tipologia Corporate Knowledge (6%), che hanno il compito di rispondere a domande poste dal personale o da figure esterne. Seguono a distanza le soluzioni di Recommendation (10%), raccomandazioni personalizzate per indirizzare le decisioni del cliente in diversi momenti del percorso d’acquisto basandosi su informazioni fornite dagli utenti stessi, le Image Processing (8%), che analizzano le immagini per il riconoscimento biometrico e l’estrazione di informazioni, le Autonomous Vehicle (7%), mezzi a guida autonoma in grado di percepire l’ambiente esterno e adattare le manovre di conseguenza, e gli Intelligent Object (7%), capaci di eseguire azioni senza intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante tramite  sensori e apprendendo dalle azioni delle persone che li usano. Chiudono l’elenco soluzioni marginali come Language Processing (4%), che elaborano il linguaggio per comprendere un testo, tradurlo o produrlo in autonomia a partire da dati e documenti, e Autonomous Robot (4%), in grado di spostarsi e muovere alcune parti, manipolare oggetti ed eseguire azioni in autonomia.

«L’Artificial Intelligence – spiegano Nicola Gatti, Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence – potenzialmente non conosce confini applicativi e inciderà progressivamente sul tessuto economico e sociale di ogni Paese. La velocità di diffusione nei diversi ambiti non sarà omogenea, ma dipenderà da fattori tecnologici e di conoscenza. Le imprese italiane stanno ponendo a questo tema grande attenzione per non perdere occasioni di miglioramento della competitività. Per coglierne a pieno i potenziali benefici, però, devono innanzitutto conoscere a fondo l’offerta di soluzioni disponibili e poi intervenire sui processi organizzativi e sul rafforzamento delle competenze, perché le persone siano effettivamente in grado di valorizzare le abilità delle macchine».

Dalla ricerca emerge come un qualsiasi progetto di Artificial Intelligence nelle fasi iniziali necessiti di un grande investimento da parte dell’impresa, non solo in termini economici. Al momento, le soluzioni pronte all’uso sono limitate e per raggiungere un livello di prestazioni simile o superiore a quello umano spesso richiedono lavoro sia in fase preparatoria, per le infrastrutture, il patrimonio informativo, le competenze e la cultura, che in corso d’opera, per l’apprendimento della macchina e il miglioramento. 

«Siamo solo agli inizi di un percorso di diffusione e di comprensione del potenziale dell’intelligenza artificiale, che porterà a definire meglio i confini applicativi e il grado di intelligenza di una soluzione – dice Gatti -. Dall’autovettura che si guida da sola all’elettrodomestico che impara stile di vita e necessità della famiglia, dall’assistente personale che consiglia le decisioni di spesa fino ai robot assistenziali per disabili e anziani, ogni esperienza del quotidiano può essere ripensata alla luce delle capacità delle macchine. La velocità con cui questo avverrà dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate, dalla capacità di gestire un delicato cambiamento nelle organizzazioni e dal bilancio tra valore dell’innovazione e costo del rendere intelligenti prodotti e processi».

 

San Valentino non decolla, metà degli italiani lo ignora mentre in Uk “vende” più della Pasqua

La reputazione di campioni del romanticismo, almeno a parole, degli italiani è messa a dura prova a ridosso del San Valentino: nonostante aziende e retailer facciano a gara per proporre regali e leccornie per le rispettive metà, la metà degli italiani ignore la ricorrenza senza sborsare un centesimo, mentre uno su tre se la cava con un mazzo di fiori. Lo rileva Coldiretti con un sondaggio condotto dal sito www.coldiretti.it.

Quasi la metà (45%) delle persone per l’appuntamento del 14 febbraio ha dunque deciso di non regalare niente, o almeno nulla di materiale mentre tra gli altri doni, troviamo cioccolatini o altri dolciumi (15%), gioielli o altri oggetti di valore (8%) mentre solo il 2% punta su un vestito o un altro capo di abbigliamento. Anche sotto la spinta dell’effetto Sanremo, tradizionalmente considerato il Festival dei fiori, l’omaggio floreale si conferma simbolo della festa degli innamorati.

Il settore dei fiori in Italia fa capo a 27mila aziende con 100mila addetti e vale complessivamente 2,5 miliardi di euro. I fiori italiani spiega Coldiretti sono i più profumati, non solo perché non devono affrontare lunghi viaggi come invece avviene per quelli stranieri che arrivano meno freschi alla meta, ma anche perché molti produttori nazionali sono impegnati a selezionare varietà che regalano profumi più intensi e caratteristici.

Di tutt’altro segno il successo della festività nei Paesi anglosassoni, dove peraltro è nata. Nel Regno Unito ad esempio ha superato la Pasqua quanto a spese de consumatori, diventando il più importante avvenimento commerciale della prima metà dell’anno. Quest’anno secondo Mintel i britannici spenderanno 620 milioni di sterline in regali (oltre 730 milioni di euro, +5% rispetto al 2017), con una spesa media di 60 sterline e i “vecchi Millennial” (la fascia di età fra i 28 e i 37 anni) tra i più accaniti “donatori”.  In quel di Albione però si cerca una maggiore concretezza con la maggior parte dei soldi spesi per cibi e bevande da consumare a casa, seguiti da gioielli, fiori, abbigliamento e scarpe. Coccolarsi a casa davanti a un film o a una serie tv pare infatti sia una delle  attività più apprezzate dai giovani maturi: sempre più anche da noi. Non a caso Foodora, operatore di food delivery, parte proprio oggi, in vista del San Valentino, con la sua prima campagna pubblicitaria tv, su Sky, centrata sull’emozione del “Primo Morso”, il piacere della prima volta, da condividere. 

La richiesta dei consumatori in ogni caso va verso regali che prevedano la personalizzazione (e dunque largo a ricami e stampi da imprimere al momento sul regalo) e un'”esperienza” (corsi, serate, viaggi). 

A giudicare da come è andata con il black Friday, nei prossimi anni potremmo aver delle sorprese…

 

 

 

Consilia cresce ancora, l’MDD di SUN registra un +20,6% nel 2017

Un incremento costante: è quello delle vendite dei prodotti a marchio del distributore in Italia, e una conferma viene dai prodotti a marchio Consilia che nei primi dieci mesi del 2017 hanno fatto registrare +20,6% (contro una media nazionale del +3,8%). 

I dati emergono dall’analisi periodica condotta dalla Business Intelligence istituita all’interno del Consorzio SUN – Supermercati Uniti Nazionali che associa Italbrix, Gruppo Gabrielli, Alfi (Gulliver), Cadoro e Gros Gruppo Romano Supermercati, il quale ha analizzato l’andamento del trend delle vendite sulla base dei dati di Iri.

 

Bevande, freddo e drogheria alimentare categorie al top

Considerando le diverse categorie emerge che le vendite delle bevande a marchio sono aumentate del 29,3% (1,4%); il Freddo ha fatto registrare un +24,5 % (3,9% dato nazionale private label); il Fresco il +16,3% (+7,5%); la Drogheria Alimentare +25,5% (2,9%); l’Ortofrutta +12,8% (7,6%); la Cura Persona +23,2% (-1,5%); la Cura Casa +17,1% (-2,2%) e il Pet Care -6,9% (0,8%).

Nel solo mese di ottobre il trend delle vendite dei prodotti a marchio è stato pari a 16,9% contro il 3,5% registrato a livello complessivo. Lo scenario dei consumi a ottobre, secondo le rilevazioni Nielsen, conferma la performance di crescita “seppur rallentando rispetto ai mesi precedenti, con un aumento dei fatturati di iper+super del +2,1% rispetto al 2016 (+2,8% a progressivo). La crescita della Marca del Distributore continua anche ad ottobre (+3,8% sul mese), con una quota che passa dal 18,6% di un anno fa al 19% di ottobre 2017”.

«La nostra marca del distributore Consilia continua a crescere e i dati lo dimostrano ampiamente. Una crescita che continua ad essere di gran lunga superiore anche alla media nazionale, segno evidente della validità delle scelte strategiche che stiamo attuando. Da parte nostra continuiamo ad ampliare la gamma delle referenze andando incontro anche alle mutate esigenze della nostra clientela. Il dato di ottobre, comunque, risente anche dell’impegno dell’azienda nella comunicazione. Infatti la “vetrina” garantita ai prodotti Consilia dal Grande Fratello Vip, indiscusso leader negli ascolti, ha influito nelle vendite dei prodotti a marchio del distributore» ha commentato il direttore generale del consorzio SUN Stefano Rango.

È Aldi l’insegna preferita in Uk, e Tesco pensa a lanciare un format discount

È Aldi l’insegna preferita dai britannici nel 2018, secondo il tradizionale sondaggio di which? pubblicato oggi, nella quale sbaraglia la chiccosissima Waitrose, prima per i passati tre anni, e da sempre nel cuore degli inglesi. Le motivazioni? L’ottimo rapporto prezzo qualità, il fresco,  le sue private label. Sul podio anche Lidl, al terzo posto dopo l’alta gamma di Marks&Spencer. Una fotografia, in fondo, dello stato di fatto della Gdo britannica nella quale, complice la crisi economica, le “Big Four”, Tesco Morrisons Asda e Sainsubury’s (che si è piazzata all’ultimo posto) sono state letteralmente prese d’assalto dall’arrivo dei discounter tedeschi che oggi hanno una quota di mercato secondo l’ultima rilevazione di Kantar Worldpanel dell’anno concluso il 28 gennaio, del 6,9% (in crescita dal 6,2% dell’anno precedente)  se del 5% (in crescita dal 4,5% ) rispettivamente. Per un totale che sfiora il 12%, un ottavo del carrello della spesa complessivo.

Come si vede dalla tabella, le aree grigie dei discount sono le code alla cassa e la disponibilità dello staff (per Aldi), oltre al layout degli store. Fattori però verso i quali si riesce a chiudere un occhio, a fronte di una buona qualità a basso prezzo. La sensazione chiara guardando i primi posti, con due discounter e due supermercati di alta gamma,  è che non ci sia grande posto per la fascia media.

Un campanello d’allarme per le catene nostrane, a pochi giorni dall’apertura del primo punto vendita Aldi italiano prevista per giovedì.

E, se non puoi combatterli, copiali: sembra essere giunto a questa conclusione Tesco, che secondo indiscrezioni della stampa starebbe pensando a lanciare una propria catena discount. Le caratteristiche? Un assortimento decisamente ridotto (da 25mila a 3mila referenze) . Un’altra possibilità che secondo il Guardian potrebbe essere sondata è quella della formula CostCo,  vendite all’ingrosso di articoli più svariati, dal gioielli all’automobile alla carta igienica. Un format che Tesco ha già testato in Thailandia.

Non è la prima volta che una delle insegne tradizionali britanniche pensa a un a simile mossa: lo aveva fatto Sainsbury’s nel 2014 alleandosi con la danese Netto. I risultati sono stati finora deludenti: dopo un paio di anni gli store Netto sono stati rilevati da… Aldi, appunto. Il modo di lavorare, secondo un esperto interpellato dallo stesso Guardian, la difficoltà starebbe proprio nella diversità di approccio e di gestione delle due tipologie di business. Ma il modello tedesco, almeno per il momento, sembra quello che meglio si sta adattando ai profondi mutamenti nelle modalità di acquisto del consumatore di questi anni, contraddistinte da una spesa frequente, locale, veloce ma in linea con i propri gusti e desideri.

Piace sempre di più la IV gamma, nel 2017 cresce del 4,8%

Cresce con decisione la IV Gamma in Italia, che comprende ortaggi e frutta fresca confezionati e pronti per il consumo: nel 2017 il segmento ha fatto registrare un aumento delle vendite del 4,8 per cento in volume e del 5,2 per cento a valore. Dati che consolidano la ripresa già evidenziata alla fine del 2016 dopo un momento di flessione e che sono soprattutto il risultato dell’ampliamento del parco acquirenti, oggi arrivato a quota 19,4 milioni di famiglie, e di una maggiore frequenza d’acquisto.

Nel caso della IV Gamma sembra chiaro che siano l’innovazione e la diversificazione dell’offerta a premiare le marche industriali. Come dimostra la recente ricerca “Il posizionamento dei prodotti vegetali freschi e pronti all’uso nella distribuzione moderna”, curata dalla Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza) e commissionata dalle principali aziende del settore, esiste un nesso tra l’aumento nella quota di famiglie che acquista stabilmente questo tipo di prodotto e un sempre più spiccato atteggiamento “time for money” nei consumatori. I quali premiano chi gli fa risparmiare tempo anche a costo di spendere qualcosa in più, sono indotti a privilegiare le proposte a maggior contenuto di servizio e apprezzano non solo il maggiore assortimento disponibile ma anche formati e packaging sempre più comodi e pratici.

«Il 2017 – commenta Gianfranco D’Amico, presidente del Gruppo AIIPA IV Gamma – ci ha lasciato in eredità un quadro del mercato più che positivo e ci lancia delle sfide per il futuro. Da un lato alimentare l’attuale trend di crescita proseguendo nello sforzo di dare al consumatore le più ampie rassicurazioni possibili sulla qualità, salubrità e provenienza degli ortofrutticoli confezionati pronti al consumo; dall’altro comunicare meglio, anche sul punto vendita, i contenuti d’innovazione e servizio integrati nei prodotti».

Non tutto però fila liscio. È migliorabile, ad esempio, la comunicazione al pubblico delle innovazioni di prodotto. «Solo l’11 per cento dei consumatori nell’ultimo anno – lamenta D’Amico – si è accorto di qualche novità di prodotto. La sfida quindi è quella di lavorare meglio e insieme alla Gdo per comunicare le innovazioni, anche sul punto vendita, venendo così incontro alle esigenze di un consumatore che cerca qualità costante, varietà d’offerta e praticità».

Per saperne di più leggi l’approfondimento di instoremag IV e V gamma: come sfruttare al meglio le potenzialità della nuova ortofrutta.

Per SanThè Sant’Anna il 2018 è l’anno del grande rilancio

Nel 2012 ha segnato il primo passo verso la diversificazione della produzione: ora Sant’Anna SanThé, il brand del Gruppo Sant’Anna, leader nazionale del settore acque minerali, è pronto al rilancio. Il piano, che ha assorbito “importanti risorse”, non è un semplice restyling, assicurano dall’azienda, ma un investimento a più livelli, dalla produzione alla R&D, e prevede importanti piani di marketing e comunicazione.

Lo sviluppo ulteriore della divisione bevande, che oggi comprende altri prodotti come i nettari di frutta e i mix di frutta e verdura, con una forte focalizzazione nell’area benessere, passa dunque dal rilancio del brand Sant’Anna SanThé, che fin dall’inizio si è inserito nel mercato con un posizionamento qualitativo alto.

Partito puntando sul formato in bicchierino, dal 2018 si ripropone con una gamma di formati ampia e completa. Due nuove bottiglie, da mezzo litro e un litro e mezzo, nuove ricettazioni e nuove etichette per rispondere ai nuovi stili di consumo con un prodotto studiato per offrire al consumatore il miglior rapporto qualità/prezzo.

Tutti i formati sono prodotti nello stabilimento ultratecnologico di Vinadio (Cuneo), dove è entrata in funzione una nuova linea di produzione in asettico per i formati in bottiglia, che si aggiunge a quella del formato bicchierino. Prodotto con l’acqua Sant’Anna, nota per il suo bassissimo residuo fisso (22 mg/l), per il basso contenuto di sodio (1,5 mg/l) e per il valore dell’ambiente in cui sgorga, il brand SanThé sarà sempre più legato al marchio Sant’Anna.

A fare da capofila in questa sfida è la nuova bottiglia ergonomica da 1,5 litri, il formato che genera il 73% dei volumi di consumo, con il caratteristico design a goccia che ha caratterizzato Sant’Anna sin dalle sue prime bottiglie. La nuova ricetta premium rispetta i metodi di produzione tradizionale: Sant’Anna SanThé è prodotto infatti per infusione, con ingredienti selezionati e di alta qualità, senza conservanti, né glutine né coloranti.

Ai classici gusti limone, pesca e the verde, si sono affiancati gli innovativi gusti della gamma benessere, con ingredienti riconosciuti per le loro caratteristiche funzionali, come il melograno e la curcuma, e la gamma continuerà ad essere ampliata nel corso del 2018 con nuovi gusti della gamma benessere, nuovi formati per il consumo fuori casa e con pack espressamente studiati per i più piccoli.

«Sant’Anna si appresta ad implementare il lancio più importante nel mercato del the freddo con un nuovo prodotto premium – spiega Luca Cheri, Direttore Commerciale del Gruppo Sant’Anna Fonti di Vinadio – dall’elevato rapporto qualità/prezzo. La qualità e l’attenzione per le esigenze dei consumatori sono i valori che contraddistinguono il brand Sant’Anna fin dalla sua creazione e con il nuovo progetto di rilancio di Sant’Anna SanThé vogliamo ribadire questo nostro impegno su tutti i fronti».

L’operazione sarà sostenuta con attività di Advertising e Trade Marketing, volti a far assaggiare il prodotto con l’obiettivo di permettere al pubblico di testarne direttamente la qualità superiore e di coinvolgere attivamente i bambini, veri e propri amanti di questa bevanda, in modo gioioso e divertente. Un apposito collarino sul fardello delle confezioni di Acqua Sant’Anna da 1,5 litri servirà a trasferire ai consumatori il valore di tutte le linee e brand extension Sant’Anna.

Le sette regole per un packaging ideale secondo Gruppo Asia Pulp & Paper

Il packaging è un elemento cruciale per ogni vendita e presentazione di prodotto con ricadute sulla brand experience: on e offline. Ma come si fa a identificare la soluzione giusta, quali le linee guida da seguire? Lo spiega un’esperta, Laura Barreiro, Customers and Stakeholders Engagement Manager/Europe del Gruppo Asia Pulp & Paper (APP). Che ricorda come il packaging sia capace di costruire con i consumatori  potenti legami emotivi, di rafforzare i punti di distinzione e permettere un posizionamento di alto livello sul mercato giustificando prezzi premium.

Ecco sette consigli per affrontare il processo di progettazione e scelta del packaging. All’insegna del coinvolgimento multisensoriale e della customer experience.
  1. Creare un senso di suspense e di scoperta Il packaging in fondo è anche ‘rivelazione’ e si può giocare per rendere il momento di gratificazione più emozionante. Guidare il cliente attraverso la scoperta dei dettagli del marchio, a ogni passo del disimballaggio, può dare un’impressione generale del marchio più forte, impattante e duratura.
  2. Utilizzare fragranze profumate Sono uno strumento potente, in grado di far viaggiare i clienti tra sensazioni e ricordi e creare momenti olfattivi indimenticabili, indipendentemente dall’ambiente. Eppure, la maggior parte dei prodotti acquistati online e offline ha la ‘non-fragranza’ di un magazzino. Questo spesso si traduce in una disconnessione olfattiva per i clienti e in un’occasione persa per il brand.
  3. Considerare la forma Si può partire dalla forma del marchio: angoli acuti, curve morbide e bordi smussati comunicano tutti attributi diversi. Il marchio è grande e squadrato, o slanciato, raffinato ed elegante? Va ricordato però che l’accessibilità è fondamentale, quindi occorre assicurarsi che l’esperienza di disimballaggio sia resa più facile dalla forma, e non più difficile.
  4. Incoraggiare la tattilità L’imballaggio è probabilmente l’espressione più tattile di un marchio, quindi è fondamentale che sia percepito nel modo giusto. L’interazione tattile dell’utente con il prodotto può alterare, in positivo o in negativo, l’impressione iniziale nel consumatore. Quando si tratta di prodotti cosmetici, ad esempio, diventa strategico che un flacone sia facile da stringere con una sola mano, senza generare movimenti innaturali per l’applicazione. Ma qualunque sia la categoria, creare fascinazione attraverso la forma, il rilievo e la trama significa ottenere maggiore coinvolgimento da parte del consumatore.
  5. Creare del suono Vi sono diverse opportunità on-pack in cui il suono può giocare un ruolo strategico. Dobbiamo considerare queste opportunità per come influenzano il valore percepito del prodotto e quindi il marchio. Ad esempio, il ‘pop’ di una scatola di Pringles può significare la croccantezza del prodotto. La selezione dei materiali, i metodi di costruzione e i processi di produzione possono lavorare insieme per creare tratti distintivi udibili per un marchio.
  6. Esercitarsi sulla moderazione Con le nuove tecnologie in rapido sviluppo, anche le tecniche di produzione si rivelano abbondanti in disponibilità e in forte evoluzione. Tuttavia, costruire consapevolezza sul proprio marchio attraverso l’imballaggio, e farlo con successo, è una questione di moderazione, non di eccessi. Si tratta di scegliere le espressioni giuste per il marchio e proiettarne un aspetto attraverso il packaging che sia legato alla narrativa del brand.
  7. Analizzare e comprendere il viaggio che il vostro packaging percorre Per garantire che il packaging rappresenti il marchio in maniera eccellente ed efficiente, è fondamentale avere il controllo della qualità in ogni fase del percorso del packaging verso il cliente. Capire per esempio come il clima influisca sui materiali, sui processi di stampa e sulla produzione è un elemento solitamente trascurato in fase di design.

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