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Patrick Dodd (Nielsen): “Customisation is the future of retail”

During the World Retail Congress we interviewed Patrick Dodd, who is the Nielsen Global President Retailer Vertical. In this role Dodd has a broad view of the changes taking place in retail at the global level.

For Dodd, the transformation of retail (the theme of the WRC) involves the consumer and the power in the hands of every shopper, never so strong, thanks to connectivity. “The shopper is at the centre of the transformation and is the key to the success of every retailer, regardless of the channel”.

In the omnichannel debate, Dodd focuses attention precisely on technology and its simplification and uses the example of proximity stores, which are becoming successful everywhere. “The next step of proximity – he says – is the smartphone that we all have in our pocket. I think that companies should devote a little more time to thinking about how to transform the retail experience on mobile platforms in a way that is as simple as possible for the consumer”.

According to Dodd, there are two main concerns for retailers: how to manage omnichannel in a profitable manner and, at the same time, how to make promotions profitable through customer loyalty.

But also manufacturers are involved in the retail transformation: “The industry has a great opportunity and must take steps at the earliest in order to have a multi-channel role. Having specific offers for the different channels and the different purchasing paths of individuals will be the key to governing growth. This means, however, also having the ability to change business processes with flexible models. The days of the model valid for everyone are over. The future is in customisation”.

 

Responsabilità sociale, gli italiani sono pronti a premiare le aziende (poche) che la perseguono

Il 62% degli italiani è disposto a spendere fino al 10% in più per prodotti-servizi di aziende socialmente responsabili: è uno dei risultati emersi dalla ricerca “La Corporate Social Responsibility vista da opinione pubblica e imprese”, presentata da Ipsos in occasione dell’evento organizzato da Autogrill per festeggira i 10 anni del suo Rapporto di sostenibilità “Autogrill 10 – Ten Years of Sustainability Looking at the Future. Business and Sustainability: Opportunities and Developments”.

La CSR – afferma Ipsos – riveste oggi un ruolo rilevante nella valutazione di un prodotto e di un servizio. L’origine dei materiali/ingredienti, l’impatto ambientale, l’eticità dell’azienda – pur ancora meno importanti della qualità e del prezzo – vengono considerati da molti al momento dell’acquisto; inoltre per coloro che sono familiari con i temi della responsabilità sociale, questi aspetti appaiono ancor più rilevanti.

 

Schermata 2015-09-21 alle 10.49.27Purtroppo il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa italiana è ancora poco noto tra la popolazione: dopo i primi anni di sua maggiore diffusione, non sembra incrementare i propri conoscitori. Infatti quasi la metà degli intervistati non ha idea di cosa sia, e solo il 12% dichiara una buona familiarità.

Al contempo l’interesse al tema non manca: una quota considerevole del campione ritiene la CSR importante per giudicare l’operato di un’azienda; le priorità per un’azienda responsabile devono essere l’attenzione al personale e il risparmio energetico. E come abbiamo visto, il 62% degli italiani appare disposto a pagare di più i prodotti-servizi di un’azienda responsabile e sostenibile, che cresce al 75% nella popolazione socialmente impegnata.

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Da un’indagine condotta annualmente (Osservatorio Socialis) risulta che l’investimento medio in CSR è minore rispetto a qualche anno fa ma il numero di imprese che investono è in aumento. Le imprese puntano sull’ambiente per affermare la propria responsabilità sociale: il 65% del campione dichiara infatti di aver attivato misure cogenti di contenimento degli sprechi (carta, acqua, illuminazione).

La più importante motivazione per la responsabilità sociale è di tipo “reputazionale”: migliorare l’immagine dell’azienda, mentre la dimensione etica rimane sullo sfondo. Il risultato più evidente che si ottiene nell’investire in CSR, secondo le persone intervistate, è un miglioramento del clima interno aziendale, in seconda battuta un miglioramento dell’immagine ‘esterna’ verso gli stakeholder. Purtroppo – come sottolineano gli esperti – questo approccio porta spesso ad iniziative episodiche e non completamente coordinate col complesso dell’attività aziendale, perdendo in rilevanza.

La crescente importanza della CSR è confermata dai dati internazionali: non solo in Italia ma anche in paesi emergenti quali Messico, Brasile e Indonesia temi quali tutela ambientale e sostegno alla società sono percepiti con grande evidenza.

Per Autogrill, che ha riunito nella due giorni di evento imprese e organizzazioni no-profit, il progresso nell’ambito della Corporate Social Responsibility poggia sulla capacità di fare sistema costruendo partnership strategiche con tutti gli interlocutori di riferimento

Negli ultimi 10 anni, Autogrill ha siglato numerosi accordi che le hanno consentito di accelerare questo processo di innovazione sostenibile. Tra i più significativi, la collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (UNISG). La combinazione di processi industriali e produttivi tipici di una grande multinazionale e la profonda conoscenza del territorio ispirata da una visione comune di lungo periodo è alla base del nuovo modello di ristorazione Autogrill: alleanza con il territorio, valorizzazione di prodotti e tradizioni locali, recupero delle buone pratiche di lavorazione artigianale e degli antichi mestieri, interpretazione sostenibile di nuovi stili alimentari.

Bistrot Milano Centrale e Il Mercato del Duomo, entrambi a Milano, rappresentano le testimonianze più significative di questo modello. Il concept Bistrot, a seguito del grande successo riscosso presso i viaggiatori, è stato esportato in altre prestigiose location, in Italia e nel mondo. Nel 2016 la rivoluzione sostenibile arriverà anche in autostrada, con l’apertura del primo Bistrot presso la storica area di servizio di Fiorenzuola d’Arda.

Più recentemente con l’accordo con FAO, firmato nel 2015 nell’ambito della Save Food Global Initiative, Autogrill ha rafforzato ulteriormente l’impegno nella riduzione degli sprechi lungo la catena alimentare, promuovendo allo stesso tempo la commercializzazione dei prodotti provenienti dai piccoli produttori agricoli dei paesi in via di sviluppo

Supermercati Decò per il fairplay: promuove il cartellino verde in serie A

Ieri, nella partita tra Napoli e Lazio (pokerissimo per i napoletani che hanno vinto 5-0) Supermercati Decò, sponsor della squadra partenopea, ha creato una coreografia allo stasio San Paolo per lanciare, dopo la serie B, la proposta del “cartellino verde” anche in serie A al calciatore più corretto e leale di ogni partita. Un messaggio forte e chiaro contro ogni forma di violenza in campo e sugli spalti per favorire il ritorno delle famiglie allo stadio a sostenere la squadra del cuore. Supermercati Decò è presente con 400 punti vendita in 8 regioni dell’Italia centro-meridionale.

Dal progetto Save the Waste di Pedon una nuova carta da packaging 100% riciclabile

Save the Waste è il progetto etico di Pedon che promuove l’attività integrata di filiera, contribuendo alla cultura della responsabilità d’impresa, dal produttore fino al consumatore. Il processo inizia con la selezione delle sementi garantite Ogm free coltivate da migliaia di famiglie di agricoltori all’interno di programmi per lo sviluppo economico e agricolo, come l’accordo di coltivazione siglato nel 2013 da ACOS Ethiopia PLC, società del Gruppo Pedon, con due Unions, le cooperative agricole che lavorano nello stato di Oromia della Repubblica Federale di Etiopia.

Tale accordo rientra nel progetto “Filiere agricole in Oromia”, realizzato in collaborazione con la Cooperazione Italiana allo Sviluppo, con l’obiettivo di promuovere filiere etiche e sostenibili, permettendo agli agricoltori etiopi di partecipare in modo attivo al miglioramento della qualità dei loro prodotti, nel rispetto degli standard internazionali di produzione, di un rigoroso approccio di filiera, e di contribuire alla loro commercializzazione.

Nell’ambito di Save the Waste, gli scarti dei processi di lavorazione e produzione dei fagioli sono stati recuperati e impiegati nella produzione di una nuova carta chiamata carta CRUSH Fagiolo che riduce del 15% l’impiego di cellulosa vergine proveniente da alberi e diminuisce del 20% l’emissione di gas effetto serra. Il risultato è un astuccio certificato FSC e OGM Free, che può stare a contatto diretto con il prodotto, eliminando così la busta interna al pack, e che racchiude il 30% di fibra riciclata post-consumo.

Gli inchiostri ecologici e la finestra trasparente in PLA ottenuta sempre da scarti vegetali rendono il packaging eco-sostenibile e al 100% riciclabile. Inoltre, l’energia utilizzata lungo l’intero processo, dalla produzione della carta al confezionamento, proviene da fonte rinnovabile. Il nuovo packaging, destinato già da quest’annoo a vestire la Lenticchia Pedina, la lenticchia etica di Pedon, è stato realizzto in collaborazone con due aziende vicentine, Favini e Lucaprint, che hanno condiviso conoscenze e ricerca, generando così innovazione.

Save-The-Waste_Brochure“Siamo orgogliosi di questo progetto che segna il passaggio da un modello lineare ad una economia circolare – dichiara Remo Pedon, AD dell’omonimo Gruppo. Save the Waste comporta enormi vantaggi con ricadute sull’ambiente, creando e distribuendo valore per la Comunità e coinvolgendo tutti gli attori della filiera”.

 

Stabilimento di produzione in etichetta: una vittoria di sistema

Nella vicenda che ha portato all’approvazione dello schema di disegno di legge per la  reintroduzione dell’obbligo di indicazione dello stabilimento di produzione (o confezionamento) in etichetta, bisogna dare atto che il risultato è stato portato a casa per la forte motivazione di un gruppo di operatori della distribuzione e per la pervicacia di Vito Gulli, presidente di Generale Conserve che ha saputo attirare l’attenzione su questo aspetto tra i primi.

L’aggregazione si è poi sviluppata attorno alla campagna #etichettiamoci sviluppata con una raccolta di firme promossa da Raffaele Brogna ideatore del sito io leggo l’etichetta.

Sottoscrizione firmata dallo stesso Gulli e, tra i primi, da U2 Supermercati, Conad, Végé, Coralis e altri importanti player della Gdo e dell’industria alimentare.

La Gdo ha continuato in questi mesi a mantenere l’informazione dello stabilimento in etichetta, così come buona parte dell’industria alimentare, dando prova di una unità di intenti e avendo come punto di riferimento la trasparenza nei confronti del consumatore. Per questo motivo si può dire che si è trattata di una vittoria del sistema del largo consumo e dell’alimentare italiano. Ed è questo il senso della pagina pubblicitaria che  U2 Supermercati ha pubblicato sui maggiori quotidiani, da cui abbiamo ripreso l’intestazione.

IMG_1781Le persone ritratte nella foto – Beniamino Casillo (Casillo Group), Vito Gulli (Generale Conserve), Raffaele Brogna (Io leggo l’etichetta), Mario Gasbarrino (U2 Supermercati), Domenico Canzoniere (Il marketing consapevole), Eleonora Graffione (Coralis), Francesco Pugliese (Conad) e Giorgio Santambrogio (VéGé) – si sono poi pubblicamente impegnate a raccogliere firme per una legge di iniziativa popolare per il ritorno dell’obbligo dello stabilimento in etichetta (di cui non c’è stato bisogno), oltre ad avere alimentato e tenuto desto il dibattito sui social e in qualsiasi occasione pubblica.

«Sono molto orgoglioso dell’esito di questa battaglia – dichiara l’amministratore delegato di U2 Supermercati Mario Gasbarrino, -. Personalmente considero questa vittoria particolarmente importante per due ragioni fondamentali. In primis perché il risultato concreto ottenuto contribuirà a stimolare un mercato più trasparente scongiurando il pericolo (per lo meno nel medio periodo) di assistere ad una inarrestabile ma legittimata delocalizzazione del Made in Italy che, verosimilmente, avrebbe causato ripercussioni sull’occupazione, sul reddito e quindi sulla capacità di spesa e sui consumi. La seconda ragione per la quale questo traguardo mi rende molto orgoglioso è lo spirito di squadra e solidarietà che molti importanti attori della grande distribuzione e del’iIndustria alimentare italiana sono stati in grado di creare. Ritengo inoltre sia stata basilare l’attenzione del mondo politico che ha compreso il valore e la necessità di #Etichettiamoci. Il fatto poi che tale risultato sia stato ottenuto anche grazie alla potenza virale straordinaria che l’iniziativa ha avuto nell’ambito del mondo social e grazie alla partecipazione all’iniziativa dei liberi cittadini, mi rende soddisfatto e fiducioso per il futuro del nostro Paese».

Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina aveva sottolineato all’atto della decisione del consiglio dei ministri, di avere dato una risposta alle aziende che avevano chiesto l’intervento in questa direzione e che comunque avevano continuato a dichiarare lo stabilimento di produzione nelle loro etichette. «Non ci fermiamo qui – ha detto il ministro – e porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l’etichettatura sia sempre più completa, a partire dall’indicazione dell’origine degli alimenti. Per noi si tratta di un punto cruciale, perché la valorizzazione della distintività del modello agroalimentare italiano passa anche da qui. Lo scorso anno per la prima volta il Governo ha chiamato i cittadini a esprimersi ufficialmente su questa materia, attraverso una consultazione pubblica online. Il 90% dei 26 mila italiani che hanno risposto ha detto che vuole leggere la provenienza chiaramente indicata sui prodotti che consuma».

Il freno delle vendite online. Solo 5 imprese su 100 fa eCommerce (15% la media europea)

Sebbene l’eCommerce in Italia stia crescendo a ritmi significativi (15 miliardi di euro previsti nel 2015 secondo il Politecnico di Milano), solo il 5,34% delle imprese italiane vende online i propri beni e servizi, facendo dell’Italia il fanalino di coda nell’Europa a 28 membri. Lo rivela un’indagine del Centro studi Impresa Lavoro su dati della Commissione europea. La performance dell’Italia è pari a un terzo della media europea (15,18%), ma i Paesi al primo posto registrano percentuali superiori: da oltre il 26% delle prime tre (la Repubblica Ceca, seguta da Danimarca e Croazia) al 16,6% della Spagna. In mezzo si trovanno le imprese irlandesi (24,20%), tedesche (22,59%), britanniche (19,80%).

impresalavoro

Anche per valore delle transazioni l’Italia non se la passa bene: sono solo il 7% del totale. Peggio di noi in Europa fanno solo Romania, Bulgaria e Grecia. Anche in questo caso risultiamo nettamente sotto la media europea (15,07%) e molto distanti dalle grandi economie: Regno Unito (19,8%), Francia (15,2%) e Germania (12,7%). Su tutti spicca comunque il dato dell’Irlanda (52,97%), anche per effetto diretto della presenza a Dublino e dintorni dei grandi colossi dell’informatica.

Proprio a questo riguardo l’annunciata Digital Tax scoraggerà certamente l’arrivo sul nostro territorio di imprese di commercio online. Elaborando dati di Eurostat, il centro studi nota infatti come al settore ICT appartengano soltanto il 2,56% delle imprese nate in Italia nel 2013, per un totale di 8.700 nuovi posti di lavoro. Mentre nel Regno Unito, in quello stesso anno, sono state invece l’8,38% per complessivi 44mila nuovi occupati.

Pam Panorama amplia la linea Veg&Veg: oltre 200 referenze per vegetariani e vegani

Aumenta l’assortimento di prodotti per vegetariani e vegani che Pam Panorama ha lanciato all’inizio di quast’anno con la linea Veg&Veg, che oggi arriva fino a 65 referenze di gastronomia vegetale, di cui metà circa provenienti da agricoltura biologica e 10 “Pam Panorama bio”, il marchio commerciale delle insegne.

«Il progetto Veg&Veg, di cui siamo molto orgogliosi, cresce di giorno in giorno sia relativamente  all’assortimento, sia per la risposta positiva dei nostri clienti – afferma Michela Airoldi, direttore Marketing di Pam Panorama – Siamo già al top tra i retailer italiani in questo settore, ma vogliamo migliorarci. Stiamo portando avanti un grande lavoro di analisi e selezione per offrire i migliori nuovi prodotti presenti in commercio. Ad oggi infatti abbiamo l’assortimento più ampio d’ Italia e, dato il continuo incremento della richiesta, prevediamo un ulteriore aumento già a partire dal prossimo autunno».

L’ampliamento delle referenze avviene attraverso l’inserimento di preparazioni particolari come l’Humus (crema di ceci), il Falafel (polpette di ceci con cumino), i Burger di lupino e i Burger di Quinoa.

Proposto anche l’ampliamento dell’assortimento di bevande, yogurt e piatti pronti surgelati a base di ingredienti vegetali: tra le sole bevande si contano infatti oltre 50 referenze, biologiche e non, tanto che nel complesso, l’offerta a base di ingredienti vegetali raggunge i 200 articoli.

Il negozio connesso: così le tecnologie cambiano il ruolo degli addetti alla vendita

«Il negozio connesso è una necessità»: così esordisce Henri Seroux, senior vice president Emea di Manhattan Associates in questa videointervista realizzata nel corso del World Retail Congress.

L’omnicanalità infatti trascina con sé un cambiamento del ruolo dei negozi fisici e di come i commessi di nuova generazione debbano operare nella vendita assistita, in particolare nel settore dell’abbigliamento e del lusso, ma non solo. Per fornire un servizio eccellente, infatti, questi ultimi devono conoscere lo storico online e offline del cliente, completare al meglio il processo ordine, agevolare resi e scambi cross-channel e accelerare pagamento e check out.

I commessi di oggi non restano più dietro al bancone o in cassa ma si muovono continuamente all’interno del negozio creando una nuova classe di consulenti alle vendite (venditori, addetti all’assistenza clienti e al completamento ordini) con competenze specifiche in grado di garantire la migliore esperienza d’acquisto possibile, attraverso tutti i canali.

 

 

Risiko birra: AB InBev verso il matrimonio con Sab Miller

Il numero uno modiale della birra AB InBev ha comunicato a Sab Miller (secondo produttore mondiale) l’intenzione di un’acquisizione amichevole. Nel già consolidato panorama della birra, l’operazione, che coinvolge, tra gli altri, marchi come Pilsner Urquell, Peroni, Miller et Grolsch per Sab Miller e Corona, Budweiser e Stella Artois per AB InBev, porterebbe alla creazione di un colosso da 250 miliardi di fatturato.

La complessità di un deal di queste dimensioni risiede nelle decisioni delle autorità antitrust dei vari Paesi. È quindi prevedibile che, se andrà in porto, innescherà un vero e proprio risiko della birra, con cessioni e acquisizioni in molti mercati.

Sicurezza dati dei clienti: il retail è ancora in ritardo nel contrastare i cyberattacchi

Nel corso dell’ultimo anno molti brand di grande notorietà hanno subìto violazioni dei dati su vasta scala: che si tratti di eBay, Home Depot o Staples, sono tutti marchi che conosciamo e utilizziamo, e la sottrazione delle informazioni relative a milioni di clienti provoca notevoli preoccupazioni.

Arbor_Ivan Stranierodi Ivan Straniero, Territory Manager Sout-East and Eastern Europe di Arbor Networks

Il settore retail rappresenta un bersaglio particolarmente appetitoso, dal momento che i dati che vi vengono memorizzati risultano decisamente preziosi per i cybercriminali e i danni che un attacco di successo è in grado di causare possono essere enormi dal punto di vista sia finanziario che della reputazione. Una ricerca condotta recentemente da Ponemon Institute ha misurato il grado in cui 675 società appartenenti al settore retail sono riuscite a gestire le minacce AT (Advanced Threat) scatenate contro di esse.

Uno dei dati di questa ricerca che colpiscono maggiormente riguarda il tempo occorso agli operatori retail per rilevare e contenere le minacce: 197 giorni e 39 giorni rispettivamente. Questo significa che un attaccante che si trovi all’interno di una rete ha a disposizione tantissimo tempo per muoversi liberamente e raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi siano. In molti casi gli attaccanti non vengono nemmeno intercettati: la violazione viene scoperta solo quando i dati sottratti iniziano a circolare successivamente all’attacco.

Considerando quanto sopra si potrebbe prevedere che i retailer siano ormai impegnati a migliorare la situazione, e in effetti la ricerca conferma come siano stati intrapresi diversi passi in questo senso. Il più diffuso di essi è la ‘integrazione dell’intelligence sulle minacce all’interno della funzione di risposta agli incidenti’; sebbene un’intelligence di questo genere possa essere d’aiuto, la sua utilità dipende tuttavia dalla pertinenza e dalla tempestività dell’intelligence medesima.

Come commodity, l’intelligence sulle minacce perde rapidamente valore man mano che l’infrastruttura compromessa viene ripristinata dall’utente o modificata dall’attaccante. È importante anche la pertinenza di questa intelligence, visto che per esempio disporre di informazioni circa le minacce rivolte contro il settore petrolchimico in Medio Oriente non risulta di grande utilità a un retailer operante in Europa occidentale. Un dato statistico chiave di questa ricerca è che solo il 17% dei retailer interpellati mette in condivisione la propria intelligence con altre aziende o enti pubblici. Questa percentuale contrasta con il 43% del settore finanziario (un altro campo esaminato dallo studio Ponemon), che vanta inoltre tempi di rilevamento e contenimento decisamente più brevi.

Condividere l’intelligence relativa alle minacce con altre organizzazioni operanti nel medesimo settore, concorrenti compresi, è importante ed è un aspetto che molti comparti devono migliorare. Il settore finanziario riesce meglio di altri in questa condivisione e possiede una certa tradizione nel far questo per contrastare le frodi. Action Fraud, British Bankers Association, HMRC, FCA e NCA sono solo alcune delle organizzazioni che prendono parte alla CIFAS collaborando insieme per combattere le frodi in questo settore.

Uno degli altri elementi interessanti che un terzo dei retailer interpellati sta considerando per ridurre i tempi di rilevamento e contenimento è l’introduzione di un ‘team di cacciatori’. Questo approccio si concentra sui principali obiettivi ‘di valore’ presenti all’interno di un’organizzazione e sulle strade che permettono di raggiungerli, affidandosi agli analisti per ricercare attivamente le anomalie che potrebbero indicare la presenza di una minaccia precedentemente non rilevata. Una caccia di questo genere permette alle aziende di potenziare i processi event-driven di risposta agli incidenti attraverso un approccio maggiormente proattivo.

Andare a caccia di minacce può aiutare a ridurre i tempi di rilevamento e contenimento degli attacchi che riescono a sfuggire ai nostri controlli preventivi, ma perché questo approccio sia percorribile occorrono soluzioni che permettano agli analisti di visualizzare le tendenze del traffico e delle minacce – andando oltre le schermate a righe e colonne oggi proposte da molti prodotti per la sicurezza.

Quel che è evidente, sia leggendo lo studio citato che guardando all’attuale scenario delle minacce, è che i malintenzionati hanno la meglio molto più spesso di quanto vorremmo. Per risolvere questo problema dobbiamo lasciarci alle spalle il consueto focus esclusivo sulle tecnologie preventive. Le più recenti tecnologie di rilevamento saranno sempre importanti, ma dobbiamo bilanciarle con investimenti a favore di persone e processi. Gli attaccanti che stiamo contrastando sono anch’essi persone, e costantemente impegnate a innovare.

Dobbiamo far leva sulle capacità delle nostre risorse per combattere questa innovazione; per far ciò condividere l’intelligence sulle minacce e andare preventivamente a caccia rappresentano due passi davvero importanti.

 

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