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L’irresistibile avanzata dei locker: 420 InPost entro fine anno, Gdo partner per le location

Un po’ in ritardo rispetto a molti Paesi Europei, ma sembra che finalmente la rivoluzione locker arriverà anche in Italia. Dopo Dhl entrato un po’ in sordina a Milano e Roma, promette di investire su una rete capillare sul territorio italiano InPost, società di Integer Group, azienda polacca con capitali di private equity americani.

inpost_italia«Sono già 320 le macchine installate, e diventeranno 420 entro fine anno – spiega Stefano Moni, Ad InPost -. La creazione della rete prevede in una prima fase l’installazione di 1000 locker che diventeranno 2500 nei prossimi tre anni. Già oggi 20 milioni di italiani hanno un nostro locker nel raggio di 5 Km. Siamo presenti in 820 città nel mondo con 8000 macchine e non siamo un corriere: lavoriamo solo con i locker. Questo non è un test, ma una soluzione reale e immediata che consente tempi di consegna rapidi, definiti e garantiti. I nostri piani sono solo parzialmente legati alle vendite quando entriamo in un Paese installiamo le macchine secondo un piano di copertura del territorio».

Gdo e locker: un’operazione win-win?

Tra le location scelte, in primo piano dopo le stazioni di servizio Erg, partner principale in questa prima fase con 200 location, figurano i parcheggi della Gdo. «Abbiamo installato già macchine presso Coop, Auchan, Lidl, Carrefour, Md Ld. Il rocker non fa concorrenza al punto vendita fisico, anzi è un’opportunità per riportare il cliente che comunque acquista online presso il negozio, dove spesso effettua altri acquisti, nel 27% dei casi. Tra i vantaggi per il retailer che mette a disposizione uno spazio c’è lo sfruttamento di un’area esterna altrimenti inutilizzata, un traffico extra di persone, un’immagine moderna e volta all’innovazione che si riflette sull’insegna ospitante, che tra l’altro usufruisce della pubblicità nel sito dell’e-shop».

Poste Italiane scende in campo nel 2016 con test a Torino e Bologna

Un altro player importante che è Poste Italiane, che sull’e-commerce sta investendo parecchie risorse. «È un percorso centrale nel nostro piano strategico anche in vista della quotazione in Borsa” ha detto Massimo Curcio, direttore Marketing e logistica all’incontro “La nuova logistica per l’e-commerce. Modelli di delivery e tendenze a confronto” organizzato da Netcomm. Forte di una rete di 13.000 uffici postali (“3000 dei quali hanno una corsia taglia-coda per l’e-commerce” ), 26.000 mobile POS per i pagamenti in contrassegno, e il 25% delle transazioni e-commerce che avviene tramite carta Poste Pay. «Stiamo pensando a una serie di servizi per migliorare la shopping experience. Stiamo lavorando per ridurre i costi di spedizione fissi con un nuovo sistema, Crono. Stiamo pensando ad installare dei locker in posti integrativi rispetto alla rete degli uffici postali. È uno die tanti progetti che partiranno a brevissimo, già dl primo quadrimestre del 2016, con alcuni test a Bologna e Torino, per capire quanto l’esigenza dei locker sia sentita da una platea estesa».

Amazon ora vende la bottega italiana nel mondo con “Made in Italy”

Dopo l’apertura del supermercato online, Amazon punta ancora sull’Italia nei suoi continui e rutilanti progetti di espansione: l’ultimo nato della creatura di Jeff Bezos si chiama Made in Italy, un negozio Marketplace dedicato all’eccellenza dei prodotti artigianali realizzati in Italia e inaugurato sui siti Amazon.it e Amazon.co.uk, e presto disponibile anche su Amazon.com. Gioielli, cornici, ceramiche, pelletteria, l’eccellenza italiana nel mondo è fatta anche di artigianato d’altissima gamma. L’invio esplicito rivolto agli artigiani di tutta Italia è quello di iscriversi e rendere disponibili i loro prodotti ai 285 milioni di clienti di Amazon in tutto il mondo.

Sono già 5.000 gli articoli in vendita, realizzati da centinaia di artigiani. I clienti possono trovare le informazioni specifiche di ogni prodotto, tra cui le immagini, le descrizioni delle botteghe dove i prodotti sono stati realizzati e le tecniche utilizzate. Presto alcuni di questi prodotti potranno anche essere personalizzati.

«Tramite il Marketplace di Amazon, gli artigiani italiani avranno l’opportunità di presentare e vendere i loro prodotti al di fuori della loro regione e dei confini nazionali. Durante gli ultimi 12 mesi, il numero di aziende italiane che hanno esportato i loro prodotti con Amazon è cresciuto di più del 90% e questi, tramite Amazon.it Marketplace, hanno fatturato più di 133 milioni di euro solamente dalle esportazioni” ha dichiarato Francois Saugier, Direttore EU Marketplace di Amazon.

Un momento della conferenza stampa.

Per il lancio del nuovo Marketplace è stata scelta la culla dell’artigianato italiano, Firenze, con una conferenza tenutasi nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, alla presenza di Dario Nardella, Sindaco di Firenze e di Francois Nuyts, Country Manager di Amazon Italia e Spagna, che ha commentato come “la collaborazione fra Amazon.it e il Comune di Firenze, insieme alle istituzioni locali e agli artigiani, possa aiutare a stimolare la crescita dell’economia locale, offrendo ai produttori artigianali un accesso facile e immediato ad un mercato globale per i loro prodotti” e aggiungendo che “il progetto coinvolgerà sempre più anche le altre regioni italiane, contribuendo alla crescita dell’export italiano”.

«Con il negozio Made in Italy abbiamo voluto focalizzarci, in questa fase iniziale, sulle eccellenze artigianali fiorentine e italiane, piccole imprese che garantiscono non solo che i prodotti siano completamente realizzati in Italia, ma anche in una modalità tradizionale e non meccanizzata, in produzioni limitate usando materiali di alta qualità – ha aggiunto Giulio Lampugnani, Manager Amazon Marketplace Italia -. Solitamente i loro prodotti possono essere apprezzati solo nella regione d’origine da quei fortunati che possono viaggiare e visitare le aree in cui risiedono gli artigiani. Pensiamo che i nostri clienti di tutto il mondo ameranno molto questa nuova offerta, che ha un incredibile valore, sin da oggi».

Netcomm lancia il 7 novembre la notte bianca dell’e-commerce

All’inizio fu Cyber Monday, il lunedì di sconti online dopo il Black Friday, il fatidico primo giorno in cui tradizionalmente gli americani si buttano in negozio (reale) per fare le spese natalizie attirati da sconti ad hoc. L’idea era quella di intercettare al computer dell’ufficio i tanti consumatori che non avevano avuto modo di fare gli acquisti in negozio, o non avevano trovato quello che cercavano. Poi arrivarono tutti gli altri i giorni di promozioni online (gli acquisti intanto stavano passando su mobile) come in un gigantesco negozio globale. Amazon ha lanciato a luglio il Prime Day promozioni in tutto il mondo lo stesso giorno. Con il virtuale a mutuare idee dai negozi reali, copiandone riti e consuetudini.

Fa così Netcomm per lanciare il primo evento italiano dedicato allo shopping online, che si terrà la notte tra sabato 7 e domenica 8 Novembre. Una “notte bianca”, concetto oramai affermato presso i consumatori italiani che da Roma (prima “notte bianca” italiana nel 2003 con apertura straordinaria dei musei ed eventi culturali) si è diffuso in tutta Italia. È stato scelto il sabato sera “perché si vuole che questo evento sia percepito come un momento di intrattenimento, da soli o in compagnia”.
La Notte Bianca è aperta ai siti verificati e ai merchant soci di Netcomm che valuterà, caso per caso, le richieste di partecipazione pervenute. Ai merchant aderenti è infatti richiesto di pianificare un’iniziativa speciale dedicata alla Notte Bianca: sconti, offerte, prodotti esclusivi, omaggi, concorsi o quant’altro per rendere memorabile l’appuntamento. Il sito collettivo www.allnightshopping.it promuoverà le iniziative speciali di ogni merchant aderente.

Sicurezza dati dei clienti: il retail è ancora in ritardo nel contrastare i cyberattacchi

Nel corso dell’ultimo anno molti brand di grande notorietà hanno subìto violazioni dei dati su vasta scala: che si tratti di eBay, Home Depot o Staples, sono tutti marchi che conosciamo e utilizziamo, e la sottrazione delle informazioni relative a milioni di clienti provoca notevoli preoccupazioni.

Arbor_Ivan Stranierodi Ivan Straniero, Territory Manager Sout-East and Eastern Europe di Arbor Networks

Il settore retail rappresenta un bersaglio particolarmente appetitoso, dal momento che i dati che vi vengono memorizzati risultano decisamente preziosi per i cybercriminali e i danni che un attacco di successo è in grado di causare possono essere enormi dal punto di vista sia finanziario che della reputazione. Una ricerca condotta recentemente da Ponemon Institute ha misurato il grado in cui 675 società appartenenti al settore retail sono riuscite a gestire le minacce AT (Advanced Threat) scatenate contro di esse.

Uno dei dati di questa ricerca che colpiscono maggiormente riguarda il tempo occorso agli operatori retail per rilevare e contenere le minacce: 197 giorni e 39 giorni rispettivamente. Questo significa che un attaccante che si trovi all’interno di una rete ha a disposizione tantissimo tempo per muoversi liberamente e raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi siano. In molti casi gli attaccanti non vengono nemmeno intercettati: la violazione viene scoperta solo quando i dati sottratti iniziano a circolare successivamente all’attacco.

Considerando quanto sopra si potrebbe prevedere che i retailer siano ormai impegnati a migliorare la situazione, e in effetti la ricerca conferma come siano stati intrapresi diversi passi in questo senso. Il più diffuso di essi è la ‘integrazione dell’intelligence sulle minacce all’interno della funzione di risposta agli incidenti’; sebbene un’intelligence di questo genere possa essere d’aiuto, la sua utilità dipende tuttavia dalla pertinenza e dalla tempestività dell’intelligence medesima.

Come commodity, l’intelligence sulle minacce perde rapidamente valore man mano che l’infrastruttura compromessa viene ripristinata dall’utente o modificata dall’attaccante. È importante anche la pertinenza di questa intelligence, visto che per esempio disporre di informazioni circa le minacce rivolte contro il settore petrolchimico in Medio Oriente non risulta di grande utilità a un retailer operante in Europa occidentale. Un dato statistico chiave di questa ricerca è che solo il 17% dei retailer interpellati mette in condivisione la propria intelligence con altre aziende o enti pubblici. Questa percentuale contrasta con il 43% del settore finanziario (un altro campo esaminato dallo studio Ponemon), che vanta inoltre tempi di rilevamento e contenimento decisamente più brevi.

Condividere l’intelligence relativa alle minacce con altre organizzazioni operanti nel medesimo settore, concorrenti compresi, è importante ed è un aspetto che molti comparti devono migliorare. Il settore finanziario riesce meglio di altri in questa condivisione e possiede una certa tradizione nel far questo per contrastare le frodi. Action Fraud, British Bankers Association, HMRC, FCA e NCA sono solo alcune delle organizzazioni che prendono parte alla CIFAS collaborando insieme per combattere le frodi in questo settore.

Uno degli altri elementi interessanti che un terzo dei retailer interpellati sta considerando per ridurre i tempi di rilevamento e contenimento è l’introduzione di un ‘team di cacciatori’. Questo approccio si concentra sui principali obiettivi ‘di valore’ presenti all’interno di un’organizzazione e sulle strade che permettono di raggiungerli, affidandosi agli analisti per ricercare attivamente le anomalie che potrebbero indicare la presenza di una minaccia precedentemente non rilevata. Una caccia di questo genere permette alle aziende di potenziare i processi event-driven di risposta agli incidenti attraverso un approccio maggiormente proattivo.

Andare a caccia di minacce può aiutare a ridurre i tempi di rilevamento e contenimento degli attacchi che riescono a sfuggire ai nostri controlli preventivi, ma perché questo approccio sia percorribile occorrono soluzioni che permettano agli analisti di visualizzare le tendenze del traffico e delle minacce – andando oltre le schermate a righe e colonne oggi proposte da molti prodotti per la sicurezza.

Quel che è evidente, sia leggendo lo studio citato che guardando all’attuale scenario delle minacce, è che i malintenzionati hanno la meglio molto più spesso di quanto vorremmo. Per risolvere questo problema dobbiamo lasciarci alle spalle il consueto focus esclusivo sulle tecnologie preventive. Le più recenti tecnologie di rilevamento saranno sempre importanti, ma dobbiamo bilanciarle con investimenti a favore di persone e processi. Gli attaccanti che stiamo contrastando sono anch’essi persone, e costantemente impegnate a innovare.

Dobbiamo far leva sulle capacità delle nostre risorse per combattere questa innovazione; per far ciò condividere l’intelligence sulle minacce e andare preventivamente a caccia rappresentano due passi davvero importanti.

 

La strategia di Google: aiutare il retailer a cogliere l’attimo (di vendita)

C’era una volta un motore di ricerca, che nel giro di pochi anni sbaragliò la concorrenza (qualcuno si ricorda Netscape?) grazie alla grande efficenza garantita dagli ormai mitici algoritmi.

Oggi Google, forte di un fatturato di 15,5 miliardi di USD derivato solo dalla pubblicità nel primo trimestre 2015 (+11% dallo stesso periodo 2014), guarda al retail. Obiettivo: far trovare al consumatore il punto vendita più vicino, ed economico, in tempo reale, per l’acquisto di qualsiasi cosa. Che sia online o fisico, poco importa. L’importante è che il cliente ottenga ciò che vuole, nel minor tempo possibile (e senza tanti ripensamenti).
In questa direzione vanno i nuovi prodotti del colosso di Mountain View, come ha spiegato Jonathan Alferness, Global VP of Product Management and Shopping di Google al World Retail Congress settimana scorsa a Roma.

Jonathan Alferness
Jonathan Alferness di Google.

«È in atto una rivoluzione nel retail, e non siamo ancora all’apice perché ancora metà della popolazione mondiale deve connettersi. Al centro di tutto c’è il dispositivo mobile. Già in dieci Paesi la ricerca in mobilità ha superato quella da desktop, dunque i retailer hanno infinite opportunità di raggiungere i consumatori sul mobile». L’importante, secondo Alferness, è cogliere il momento, anzi il micromomento giusto. «Ci sono tantissime occasioni nell’arco della giornata nelle quali una persona ha bisogno di un contatto con la marca, mentre in molti altri momenti non vuole essere disturbata. I consumatori stanno interagendo con i retailer per brevissimi momenti di tempo, quando fanno ricerche in mobilità. Il 76% ricerca su smartphone o tablet prima di andare nel punto vendita, e una ricerca su tre genera una visita. Il futuro del retail sta proprio nella capacità di cogliere, di essere visibili in questi micromomenti».
Qualcuno in realtà lo sta già facendo: Darty ha un “bottone di emergenza” schiacciando il quale si viene richiamati entro 60 secondi, Argos riceve già il 25% di ordini via mobile, Amazon sperimenta con i droni, la britannica Jinn a Londra acquista e consegna qualsiasi cosa (dal pranzo al caffè al caricatore per il cellulare) da qualsiasi negozio in un’ora, Target ha aperto a San Francisco un nuovo tipo di store, chiamato Open House, in cui si invita chi entra a sperimentare le nuove tecnologie nel campo della domotica. Ma solo il 2% dei retailer sarebbe pronto a “cogliere l’attimo”.

Gallery: i tre errori dei retailer secondo Google

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«Noi ci consideriamo dei connettori, degli assistenti allo shopping finali, costruiamo una struttura». Con Google shopping innanzitutto, che risponde alla domanda implicita nella ricerca “dove trovo un frullatore?” con una serie di opzioni, online ma anche fisiche, un’opportunità per i piccoli negozi “smart” oltre che per le catene, considerato che le ricerche geolocalizzate sono aumentate di 34 volte dal 2011. Ma anche tramite YouTube: «pensate alle opportunità di vendita date dai video tutorial di YouTube, per il make-up ad esempio, visti da milioni di persone, se con un click si può comprare un prodotto descritto». Una sorta di “acquisto di impulso digitale” se vogliamo: è questo il “micromomento dello shopping”.

Nel 2014 spesi 5,9 miliardi per i prodotti Fairtrade nel mondo (+10%)

Ammonta a 5,9 mld di euro il fatturato dei in prodotti del commercio equo certificato registrato nel 2014 in tutto il mondo, con una crescita del 10% sull’anno precedente, e sono stati spesi 105 mln di euro per emancipazione sociale e miglioramento della capacità produttiva delle organizzazioni. Dà i numeri “Global Change, Local leadership” , il nuovo Report Annuale delle attività di Fairtrade International, organizzazione capofila del circuito internazionale del commercio equo. In Italia le vendite retail hanno raggiunto i 90 milioni di euro (+18%), ma la crescita ha riguardati tutti i mercati principali, con l’eccezione del Regno Unito, -4% ma che a fronte di vendite che superano i due miliardi di sterline.

In aumento anche il Fairtrade Premium, ovvero il margine di guadagno aggiuntivo che i produttori ricevono e investono nel miglioramento produttivo e in progetti sociali, che ha raggiunto i 105 mln di euro, +14% rispetto all’anno precedente.

 

Bene cotone e cacao, decolla l’oro
Una crescita a due cifre, grazie ai programmi di approvvigionamento di materia prima Fairtrade, si è registrata per cotone (+28%) e cacao (+24%). Inoltre, con le nuove opportunità commerciali rivolte agli artigiani orafi, i volumi di oro certificato sono più che duplicati (+259%).
Buone notizie anche per i produttori agricoli. Secondo una ricerca condotta nelle organizzazioni, il 93% è soddisfatto dei servizi di supporto ricevuti da Fairtrade. L’indagine, condotta dall’ente di certificazione indipendente FLO-Cert, rileva inoltre che l’impatto che il sistema ha su lavoratori e produttori agricoli viene valutato dagli stessi con un punteggio di 9/10. La ricerca ha evidenziato anche l’esigenza dei produttori di incrementare le vendite, e in primis di sviluppare il mercato locale nei Paesi di origine delle materie prime. Come è successo nel 2015 al Brasile, che è diventato il quarto paese di produttori in cui si possono acquistare caffè e miele Fairtrade a km 0 dopo Kenya, India e Sudafrica.
Dal report si evince anche l’importanza dei servizi che il circuito offre alle organizzazioni per rafforzare l’attività commerciale. Nel 2014, grazie al Fairtrade Access Fund sono stati elargiti prestiti per 11,1 milioni di euro ai piccoli produttori, con relative attività di training e assistenza.
Nonostante ciò le condizioni di vita di molti contadini in tutto il mondo sono ancora una vera sfida. “I problemi che si trovano ad affrontare sono retaggio di centinaia di secoli di marginalità e sfruttamento – spiega Harriet Lamb, CEO di Fairtrade International – . Fairtrade aiuta a ridurre il divario ricchi-poveri, e a cambiare il sistema alimentare globale che sfrutta le persone e il pianeta. Ma oggi le soluzioni posticce non bastano più, e il vero cambiamento avverrà quando le voci dei piccoli produttori agricoli saranno ascoltate ai più alti livelli di governo e dell’industria, e a partire da queste si prenderanno delle decisioni”.
Intanto, si aprono anche nuovi orizzonti: a fine anno verrà lanciato il nuovo Standard per i cambiamenti climatici, che darà alle comunità agricole la possibilità di accedere al mercato dei crediti di CO2.

Carrefour punta su online e non-food acquisendo il sito Rue du Commerce

Si approfondisce la strategia multicanale di Carrefour Francia, che ha annunciato di essere in “trattative esclusive” con Altarea Cogedim per l’acquisizione del 100% della società Rue du Commerce. Il sito www.rueducommerce.fr, specializzato in elettronica di consumo, ha 5 milioni di visitatori unici al mese e un giro d’affari di 317 milioni di euro nel 2014, e consentirebbe anche all’insegna francese di “rafforzarsi sull’e-commerce non alimentare grazie al supporto di competenze complementari alle sue” come si legge in un comunicato.
Il non alimentare conta a tutt’oggi per Carrefour il 20% delle vendite. La volontà è di potenziare il settore sviluppando il sito che ospita aziende manifatturiere terze e percepisce una percentuale sulle vendite.
L’acquisizione, soggetta all’approvazione dell’autorità della concorrenza e previa consultazione con i sindacati, dovrebbe avere luogo agli inizi del 2016.

Conad entra in Alidis, alleanza europea per acquisti e marketing

Conad entra in Alidis, Alliance Internationale de Distributeurs, storico raggruppamento europeo tra retailer indipendenti a fini di acquisto e marketing, insieme a Coop Swiss e alla belga Colruyt. Da agosto sono dunque sei i retailer europei che si sono uniti per fare massa critica: oltre ai tre nuovi acquisti, gli “storici” tedeschi di Edeka, i francesi di Groupement des Mousquetaires e gli spagnolo Eroski.

Siamo di fronte alla più grande alleanza internazionale tra retailer europei, uniti da una visione strategica comune e a lungo termine. “L’alleanza permetterà di offrire maggior valore ai clienti, grazie ad una gamma di prodotti più ampia e conveniente, e ai fornitori nuovi sbocchi di mercato, maggior visibilità ed opportunità di crescita internazionale” si legge in una nota. Otto i Paesi interessati: Germania, Belgio, Spagna, Francia, Italia, Svizzera, Polonia e Portogallo, per un giro di affari di 140 miliardi di euro e un totale di circa 23.000 punti vendita.
“Entrare a far parte di Alidis permetterà ai membri di questa alleanza di rafforzare l’offerta dei prodotti a marchio, di garantire ai clienti i brand internazionali del food a prezzi più convenienti, e di sostenere le prospettive di crescita e le sfide di un business sempre più competitivo ed europeo” ha dichiarato Francesco Pugliese, Amministratore delegato di Conad.

Il who’s who dei soci Alidis
Creata nel 2002, Alidis unisce da questo mese sei gruppi indipendenti di retailer:
Groupement des Mousquetaires (Francia) ha sei store-brands (Intermarché, Netto, Bricomarché, Brico Cash, Roady e Poivre Rouge), più di 3.550 punti di vendita in Europa ed un giro di affari di 40,1 miliardi di euro nel 2014. È presente in Francia, Portogallo, Belgio, Polonia e Serbia.
Eroski Group (Spagna), gruppo coooperativo spagnolo, è presente con gli Ipermercati Eroski, i supermercati Eroski Center, Eroski City ed i supermercati Caprabo, e nella catena di profumerie IF. Ha 1.897 punti di vendita ed un giro di affari di 6.1 miliardi di euro.
EDEKA Group (Germania) è una delle più grandi aziende tedesche nel mercato del food retail. I circa 4.000 retailer indipendenti costituiscono la spina dorsale del successo di questa cooperativa. La divisione Netto Marken-Discount ottiene risultati di successo anche nel segmento discount. Con i suoi 11.500 punti di vendita, il gruppo ha generato un giro d’affari di 47,2 miliardi di euro nel 2014.
Colruyt (Belgio), con i suoi 420 punti di vendita di proprietà e gli oltre 430 affiliati in Belgio,nel 2014/15 ha registrato un giro d’affari di 8,9 miliardi di euro. Il retailer è attivo nei servizi di food, distribuzione di carburante, stampa digitale, gestione documentale e produzione di energia green.
• Conad (Italia), con i suoi ipermercati, supermercati, negozi di prossimità, store Sapori&Dintorni, gli oltre 30 distributori di carburanti e le più di 100 parafarmacie, conta più di 3.000 punti di vendita e un giro d’affari di 11,7 miliardi di euro. È presente in Italia, Albania e Malta.
Coop (Svizzera) conta 2.170 punti di vendita e un giro di affari di 26,8 miliardi di euro. Il Gruppo Coop opera nel settore food, non-food e dei servizi. Con il gruppo Transgourmet, Coop è il secondo più grande business europeo di cash & carry e di forniture per vendita all’ingrosso.

Amazon supera Walmart, digitale supera reale?

La notizia è di quelle da far tremare i polsi: Amazon, regina delle Dot com, dopo aver incassato un trimestre estremamente positivo di vendite, è stata valutata il 18% in più (40 miliardi di dollari) che in precedenza, superando il colosso della GDO a stelle strisce Walmart: 262 contro 233 miliardi di dollari.  Digitale batte reale?  La notizia giunge dopo anni di conti in rosso per la compagnia di Jeff Bezos, ma fa comunque una certa impressione.

Walmart è in quanto a fatturato la maggiore compagnia al mondo, ha 11.000 punti vendita in tutto il mondo e 2 milioni di dipendenti. Al di là delle valutazioni di mercato, le due compagnie si sono già trovate faccia a faccia per una sfida diretta la scorsa settimana quando Amazon ha lanciato il “Prime Day” (vd qui) e Walmart ha ribattuto, sempre sul suo canale e-commerce, offendo sconti su oggetti di culto come l’iPad.

Tech e multitasking, per Nielsen sono le donne a guidare la digital-revolution

Foto: Jeffrey Zeldman @Flickr, CC

La immagine stereotipata dell’uomo iperconnesso, sempre con l’ultimo dispositivo hi-tech in mano, e della donna che arranca e chiede lumi sul funzionamento di questo o quello sta per subire un duro colpo a seguito della più recente indagine di Nielsen “Australia Connected Consumer Report”. Secondo la quale oggi le donne non solo sanno esattamente come sfruttare la tecnologia e navigare nel paesaggio digitale per risolvere i loro bisogni e desideri, ma si aspettano anche che le marche parlino a loro con il loro linguaggio e punto di vista.

Nel giugno 2015 c’erano nove milioni di donne connesse online in Australia, il 51% della popolazione. Le donne sarebbero più propense a venire coinvolte online, il 57% controlla regolarmente il proprio profilo social (contro il 47% degli uomini) e condivide più spesso online.

In particolare, le donne, delle quali da tempo si conosce la propensione al multitasking, più spesso utilizzano più di un dispositivo alla volta, privilegiando smartphone e tablet, più maneggevoli e facili da trasportare. Gli smartphone in particolare sono utilizzati per guardare contenuti, ascoltare musica, utilizzare i social e condividere. Se in generale gli uomini passano più tempo online, le donne li sopravanzano, e di molto, nell’accesso di internet via smartphone.

Non solo: tre donne su cinque (60%, contro il 56% degli uomini) guardano contemporaneamente la tv e utilizzano internet; attività che si concentra tra le 6 e le 10 di sera: il momento ideale per raggiungerle con messaggi pubblicitari o promozionali, sia via tv su web. Laptop, smartphone e tablet sono “secondi schermi” indispensabili per le donne, che per la prima volta sono leggermente più propense ad usare i tablet degli uomini.

 

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Uso sociale

È proprio questo utilizzo sociale del web che le marche devono comprendere se vogliono incontrare le consumatrici online. Le donne ad esempio usano più spesso App per socializzare e condividere – 23% contro il 20% degli uomini – e comunicare, mentre gli uomini usano App per l’e-commerce o a sfondo commerciale. Entrambi i sessi sono comunque propensi ad “incontrare” le marche online.

Venendo ai social di elezione, le donne sarebbero più attive su Facebook, Instagram e Pinterest, mentre gli uomini australiani preferiscono, oltre a Facebook, YouTube, Google+ e LinkedIn. È un 50/50 invece per Twitter.

 

Prossima frontiera, gli indossabili

Un crescente interesse coinvolge i dispositivi indossabili (smart-watch, smart-glass e simili), anche se sono ancora leggermente più utilizzate del cosiddetto “sesso forte”. La Fitbit ad esempio, un braccialetto che misura l’attività fisica e il sonno, è più popolare presso le donne mentre gli uomini preferiscono la versione della Nike, Fuelband. Nielsen prevede che l’avvento dell’AppleWatch porterà nel 2016 a un massiccio ingresso dei contenuti da parte delle marche nel mercato dei “wearables”.

Restano importanti però anche i media tradizionali, con il 91% delle donne che ancora guarda la TV regolarmente (poco più degli uomini) mentre gli uomini preferiscono i video on demand (71% contro il 62%).

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