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Cresce il commercio globale ma serve colmare il divario nei Paesi in via di sviluppo

Nel quarto trimestre del 2023 il volume del commercio internazionale a livello globale è aumentato del 6,3% rispetto al picco pre-pandemico del terzo trimestre del 2019 e del 19,1% rispetto al livello medio del 2015. Si prevede che il volume cresca del 2,6% nel 2024 e del 3,3% nel 2025, dopo un calo maggiore del previsto del -1,2% nel 2023. In vista dei prossimi anni la sfida chiave è quella di trovare un equilibrio sostenibile tra il rafforzamento della resilienza e della sicurezza economica e la preservazione dei principi liberali e dei mercati aperti. Sono solo alcune delle evidenze principali contenute nel B7 Flash, l’approfondimento di Confindustria e Deloitte elaborata in occasione della “G7 – Industry Stakeholders Conference: Reversing the Global Protectionist Drift”, organizzata a margine della riunione dei Ministri del Commercio del G7 in calendario a Villa San Giovanni e Reggio Calabria il 16 e 17 luglio.

“Rilanciare un sistema commerciale multilaterale efficiente e basato su regole con l’Organizzazione Mondiale del Commercio garante di esse, sostenere gli investimenti esteri internazionali e rafforzare la resilienza delle Catene Globali del Valore sono le principali priorità delle raccomandazioni politiche del B7 a beneficio di tutte le economie avanzate e in via di sviluppo. Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale creare condizioni di parità migliorando al contempo la sicurezza economica all’interno di un solido quadro multilaterale” dichiara Barbara Cimmino, Vice Presidente per Export e l’Attrazione degli investimenti Confindustria.

“Profondi cambiamenti stanno influenzando significativamente le catene del valore globali, sottolineandone la vulnerabilità con importanti ripercussioni sulle economie dei paesi del G7. Tuttavia, il commercio internazionale ha dimostrato notevole resilienza, crescendo nel 2023 di oltre il 6% rispetto al 2019 e con un’ulteriore crescita annua attesa di circa il 3% per il 2024 e il 2025. Al fine di dare nuovo impulso alla competitività delle loro imprese, i G7 sono chiamati a ricoprire una posizione di leadership nel garantire un commercio globale, libero e sicuro, che includa attivamente i Paesi in via di sviluppo. In questo contesto, è di notevole importanza il rinnovato impegno del G7 nella Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), che prevede un investimento di 600 miliardi di dollari entro il 2027, con l’obiettivo di colmare il divario infrastrutturale nei Paesi in via di sviluppo e sostenere la loro integrazione nell’economia globale. Solo attraverso una forte collaborazione internazionale sarà possibile realizzare un commercio libero capace di catalizzare le molteplici transizioni in corso, amplificandone i benefici e promuovendo un futuro di prosperità condivisa e crescita inclusiva”, aggiunge Andrea Poggi, Innovation Leader per Deloitte Italia e capo delegazione B7 per Deloitte.

Nel 2023 gli investimenti diretti esteri globali sono diminuiti del 2%, raggiungendo quota 1,3 trilioni di dollari, ma escludendo l’effetto di forti oscillazioni di flussi transitori in piccole economie europee gli investimenti diretti esteri globali sono diminuiti di oltre il 10%. Gli afflussi di investimenti diretti esteri verso le economie in via di sviluppo sono diminuiti del 7% nel 2023 mentre quelli verso le economie sviluppate, esclusi i Paesi di transito, sono calati del 15%, influenzati principalmente da riconfigurazioni finanziarie aziendali e da un forte calo del valore delle fusioni e acquisizioni transfrontaliere. Nonostante si stimi che siano necessari circa 40 trilioni di dollari in investimenti infrastrutturali per i Paesi in via di sviluppo entro il 2035, per sostenere le transizioni verdi e digitali, la situazione globale per gli investimenti diretti esteri rimane complessa a causa di minori prospettive di crescita, tensioni commerciali e geopolitiche e per via della diversificazione delle catene di approvvigionamento. Nel B7 Flash si evidenzia, inoltre, quanto sia fondamentale il ruolo degli investimenti diretti esteri in quanto non solo forniscono capitale, ma anche tecnologia e know-how. Nonostante un trend decennale crescente di flussi di investimenti dai Paesi in via di sviluppo verso i Paesi meno sviluppati e l’intervento pubblico negli investimenti diretti esteri come la Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), tali investimenti nei Paesi in via di sviluppo non stanno raggiungendo la crescita sperata, confermando un trend globale di rallentamento rispetto al commercio globale e al PIL.

Nel 2023 inoltre la domanda di importazioni è stata debole in quasi tutte le aree geografiche, specialmente in Europa, ma anche in Nord America e Asia. A livello globale, la crescita del PIL reale, a tassi di cambio di mercato, è rallentata dal 3,1% nel 2022 al 2,7% nel 2023, e si prevede che rimanga sostanzialmente stabile nei prossimi due anni, al 2,6% nel 2024 e al 2,7% nel 2025. Il contrasto tra la crescita costante del PIL e il rallentamento del volume dell’interscambio di merci è anche legato a diverse dinamiche settoriali e pressioni inflazionistiche, che hanno avuto un effetto negativo sul consumo di beni ad alto scambio commerciale. Nel complesso la pandemia e gli altri shock sopra richiamati hanno evidenziato le vulnerabilità nelle catene globali del valore, l’importanza della resilienza economica e la persistente concentrazione del mercato in alcune industrie strategiche. In particolare, nell’estrazione di elementi delle terre rare, semiconduttori, ingredienti farmaceutici attivi e batterie, con la produzione concentrata in uno o pochissimi Paesi. Di conseguenza i collegamenti nelle catene di approvvigionamento globali hanno aggravato l’impatto di shock localizzati nei Paesi produttori, influenzando la disponibilità di materie prime, beni e tecnologie a livello mondiale.

Confindustria vede un futuro nerissimo per l’economia italiana

“Confindustria vede un futuro nerissimo per l’economia italiana. Il Centro Studi dell’organizzazione degli industriali, nelle sue nuove previsioni diffuse oggi, ha limato ulteriormente le stime di crescita del Pil del nostro Paese: + 0,7% nel 2016 e +0,5% nel 2017. Una correzione destinata a cambiare anche le stime sul deficit che dovrebbe attestarsi al 2,5% nel 2016 e al 2,3 % nel 2017. Complessivamente, per quanto riguarda il Pil, si tratta di una revisione al ribasso di 0,1 punti per entrambi gli anni rispetto alla previsione formulata lo scorso luglio. Dopo ‘un quindicennio perduto’, rileva Confindustria, il Paese ‘soffre oggi di una debolezza superiore all’atteso’: ai ritmi attuali di incremento del prodotto – indica quindi il Csc – l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028.

Aumenta inoltre il divario di crescita a sfavore dell’italia nei confronti degli altri paesi europei. Il centro studi di Confindustria rileva che tra il 2000 e il 2015 il Pil è aumentato del 23,5% in Spagna, del 18,5% in Francia e del 18,2% in Germania, mentre è calato dello 0,5% in Italia. E nel 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente (+0,5), non è scontata e va conquistata. L’Italia ‘ha alle spalle un quindicennio perduto. Ai ritmi attuali, l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028, mentre non verrà mai riagguantato il sentiero di crescita che si sarebbe avuto proseguendo con il passo precedente, pur lento. La crisi ha comportato un netto abbassamento del potenziale di crescita, che nelle stime dell’Fmi è sceso dall’1,2% allo 0,7%’.

Nonostante una crescita del Pil piatta l’occupazione salirà dell’1% nel 2016 e dello 0,5% nel 2017. Confindustria sottolinea che si tratta di ‘un risultato stupefacente’ spiegato dal forte aumento di posti di lavoro che si è concentrato nei primi sei mesi del 2016 ma che da lì in poi, però, ‘si smorzerà’ in presa diretta con la bassa crescita del Pil. Il Csc stima infatti che le Ula torneranno alla fine del prossimo biennio a 23,9 milioni: 730 mila unità sopra al minimo di fine 2013 ma ancora 1 milione e 280 mila unità sotto il livello precrisi del 2008.

Intanto Bankitalia registra un nuovo record del debito pubblico italiano. A luglio il debito delle Amministrazioni pubbliche si è attestato a 2.252,2 miliardi, in aumento di 3,4 miliardi rispetto a giugno. È quanto emerge dal supplemento finanza pubblica al bollettino statistico della Banca d’Italia. Nei primi sette mesi del 2016, il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 80,5 miliardi”.

(Fonte: www.huffingtonpost.it, “Confindustria: Pil 2016 a +0,7%, +0,5% nel 2017. Ritorno ai livelli pre-crisi nel 2028. Bankitalia: debito pubblico a 2252 miliardi”, 15 settembre 2016).

Scenario economico nel segno dell’incertezza

“L’incertezza politica è il tratto distintivo e dominante dell’attuale scenario economico internazionale. Nuovi attacchi terroristici e cruciali appuntamenti elettorali dagli esiti in bilico e dalle conseguenze potenzialmente dirompenti rendono ancora più fragile la crescita globale. La quale a metà del 2016 risulta essere la più debole degli ultimi tre anni e mezzo, nonostante si siano registrati progressi in USA e in alcuni dei principali emergenti.

La locomotiva americana ha accelerato nel corso del secondo trimestre, anche grazie al settore manifatturiero che aveva finora molto risentito della rivalutazione del dollaro e del crollo degli investimenti nell’estrazione di petrolio. In Cina le misure espansive hanno stabilizzato il ritmo di sviluppo, fisiologicamente rallentato; la Russia sta uscendo dalla recessione, che in Brasile si sta attenuando.

L’Eurozona ha marciato a ritmo costantemente discreto nei passati sei mesi; tuttavia, le attese forti ripercussioni della Brexit hanno spinto a ribassare le previsioni per il resto dell’anno in corso e soprattutto per il prossimo. L’unico contrasto alle spinte recessive che promanano dal Regno Unito (dove è rapidamente entrato in crisi il settore immobiliare) e che si diramano anzitutto attraverso il canale finanziario (in particolare il credito delle banche, oggetto di larghe vendite in Borsa) è costituito dalle politiche monetarie ultra-espansive che, benché ritenute sempre meno efficaci, sono riuscite a far scendere ancora i tassi di interesse a lungo termine.

La svalutazione della sterlina ha ingenerato nuova instabilità valutaria. In Italia la risalita della produzione industriale, già molto disomogenea tra settori e quindi poco solida, ha subito una nuova battuta d’arresto nel secondo trimestre e, di conseguenza, costringe a rivedere all’ingiù le stime di variazione del PIL.

L’export è in recupero mentre l’aumento della domanda interna si sta infiacchendo a causa dei consumi, con gli investimenti che invece tengono il passo. Nel mercato del lavoro l’aumento dell’occupazione ora non riguarda più solo le forme contrattuali incentivate: un segnale importante di consolidamento dei progressi avviati ormai da oltre due anni”.

(Fonte: www.confindustria.it, “Congiuntura flash. Analisi mensile Centro Studi Confindustria, Luglio 2016”).

Il documento è disponibile online. Estrapoliamo di seguito alcuni passaggi in materia di credito:

“Il crollo delle quotazioni delle banche italiane, accentuato dalla Brexit, rispecchia le attese di maggior fabbisogno di capitali e ne rende più arduo il reperimento, proprio quando le risorse del Fondo Atlante sono quasi esaurite e l’esito dei nuovi stress test EBA-BCE (che saranno diffusi il 29 luglio) potrebbero indicare debolezze da sanare. C’è il rischio di una nuova fase di credit crunch”.

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