CLOSE
Home Tags Consumatori

Tag: Consumatori

Non siamo un Paese di veggie, il 95% consuma carne purché sia poca, buona e italiana

Carnivori alla riscossa in Italia.: malgrado le fake news, le campagne diffamatorie, gli allarmismi e l’affermarsi di stili di vita che escludono il consumo di carne, gli Italiani non rinunciano alle proteine animali fondamentali nella nostra dieta. Il 95% continua a consumarle, ma lo fa rispettando tre regole di massima: sì alla carne purché poca, buona e italiana.

 

Consumi ai minimi europei

Lo rivela un’indagine Ixè commissionata da Coldiretti, secondo cui il 18% degli italiani porta in tavola meno di 100 grammi di carne alla settimana, il 45% dai 100 ai 200 grammi e il 24% tra i 200 ed i 400 grammi. Insomma molto meno del limite di 500 grammi alla settimana consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come ideale. Il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è di 79 chilogrammi pro-capite, inferiore a quello dei danesi (109,8 kg), dei portoghesi (101), degli spagnoli (99,5), dei tedeschi (86) e dei francesi (85,8). Addirittura, gli statunitensi mangiano il 60% di carne in più rispetto a noi. E i consumi nel nostro Paese continuano a calare: nel primo trimestre del 2017 sono calati del 3,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dati Ismea elaborati da Coldiretti). Frutto certamente anche della diffidenza che gli allarmismi vari alimentano, malgrado nessuno studio scientifico metta in correlazione il consumo di carne in ragionevoli quantità a danni per la salute. Anzi, la comunità scientifica è concorde nel tessere le lodi di una dieta completa che includa anche le proteine animali.

 

Per le razze storiche italiane + 52%

Quella che non sembra soffrire delle campagne di diffamazione è la carne di qualità, ad esempio quella da razze storiche italiane, che anzi stanno vivendo un vero e proprio boom. Sono 415mila i capi da cui arrivano le bistecche top, con un aumento del 52% negli ultimi anni. La più diffusa è la razza piemontese che conta su 276mila capi, oltre 51mila quelli di razza marchigiana, quasi 45mila di chianina, 12mila di romagnola, 10mila di maremmana e 32mila di podolica.

La conoscenza delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi di carne è diventato un valore aggiunto che arricchisce l’offerta enogastronomica nei ristoranti, nelle hamburgerie ma anche nelle case. Il 45% degli italiani afferma di preferire la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% sceglie carni locali e il 20% quella con marchio Dop, Igp o con altre certificazioni di origine. «Una domanda di trasparenza – dice il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo – che occorre estendere dagli scaffali dei supermercato, dove vige l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza per la carne bovina, alle tavole della diverse forme della ristorazione fuori casa dove ormai si concentra oltre 1/3 dei consumi alimentari. Viene dall’estero infatti il 40% della carne bovina consumata senza il valore aggiunto di sicurezza e sostenibilità garantita dall’italianità».

Le carni nazionali sono generalmente più sane, perché magre, non trattate con ormoni (a differenza di quelle americane) e ottenute spesso nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali. Ultima arrivata tra le carni tutelate quella dello storico Vitellone Piemontese della Coscia a Indicazione Geografica Protetta (Igp).

Donne italiane attente alla salute sì, ma le Millennials sono più gourmet

Le donne italiane? Amano mangiare malgrado tengano alla linea, e per questo seguono una dieta complete ed equilibrata. Le giovani amano cucinare, le più grandi apprezzano la qualità e prediligono il made in Italy. È quello che emerge da uno studio Doxa/Unaitalia che mette a confronto in fatto di alimentazione e abitudini a tavola le giovani italiane, le cosiddette Millennials, e le over 35. Le prime sono più rilassate, sono buone forchette e amano cucinare per passione, mentre le seconde sono più attente alla propria alimentazione e più preparate quando fanno la spesa. Ma tutte le generazioni sono unite dallo stile di vita mediterraneo, considerato il migliore possibile – e a tavola fanno largo consumo di frutta, verdura e carni bianche.

  

Secondo l’indagine Doxa, oltre il 70% delle donne italiane mangia frutta e verdura tutti i giorni. Il 55%, oltre una su due, mangia quotidianamente pane, mentre perde terreno la pasta, che è un piatto quotidiano soltanto per una donna su tre (il 35%). Molto più amato il pollo, considerato magro e nutriente, pratico e veloce da cucinare, versatile e adatto a uno stile di vita sano, che viene portato in tavola almeno una volta a settimana dal 69% dalle donne, classificandosi al terzo posto tra le fonti proteiche più usate dopo i formaggi (78%) e legumi (71%) e davanti alle uova (68%) e al pesce (65%). Malgrado sia controverso l’utilizzo delle proteine animali, le donne italiane non rinunciano a una dieta completa ed equilibrata che le comprenda. Se è vero infatti che la maggioranza delle donne ammette di aver ridotto il consumo di molti tipi di carne (il 63% salumi e prosciutti, il 57% la carne rossa, il 55% quella di maiale, il 90% continua a portarla in tavola. «Le donne italiane – spiega il gastroenterologo e nutrizionista dell’Università Campus Biomedico di Roma Luca Piretta – dimostrano di saper seguire un regime alimentare completo ed equilibrato, in linea con la Dieta Mediterranea che prevede un largo consumo di frutta, verdura e cereali, ai quali si aggiungono carboidrati e proteine di origine animale, carne compresa. È infatti fondamentale, per un regime salutare, non escludere dalla propria dieta nessun alimento. Il principio di demonizzazione di alcuni gruppi alimentari e di iperselettività dei cibi è, infatti, assolutamente sbagliato».

E la dieta? Non è un’ossessione. Quasi il 60% delle donne afferma di non essere stata a dieta nell’ultimo anno, ma la metà delle ragazze dai 18 ai 34 anni ammette di averne seguita una negli ultimi dodici mesi. Ma pur ammettendo di dover perdere qualche chilo di troppo, la maggior parte delle donne di ogni generazione (il 65%) si dichiara mediamente soddisfatta dalla propria forma fisica, il 22% si dice a suo agio con il suo corpo mentre solo il 10% si dice insoddisfatta. La dieta migliore è considerato il buon senso: il 48% si limita a mangiare un po’ meno e fare un po’ di moto. Ma se le Millennials sono più rilassate, le over 35 si dichiarano in maggioranza (il 57%) più attente alla cura della propria alimentazione.

Per tutte il cibo è prima di tutto un’esperienza sociale e di condivisione. Conversare con familiari, amici e parenti mentre si mangia è la situazione preferita da una larga maggioranza di loro (79%). Solo per l’11% la tv accesa è la compagna ideale, mentre solo il 2% non si stacca dallo smartphone mentre mangia. «Il cibo – spiega la psicoterapeuta Maria Rita Parsi – costituisce un momento di condivisione sin dall’inizio della vita, in cui la donna, in quanto madre, ha ricoperto, pur nel mutare dei tempi e dei costumi, il ruolo di colei che alimenta la coesione del gruppo familiare proprio intorno alla condivisione del cibo. Oggi che le donne lavorano anche fuori casa, quella condivisione è ancora più preziosa e spesso l’atto di cucinare rappresenta per tante di loro un momento creativo, poiché non più strettamente legato all’obbligo di farlo».

Infine i fornelli. Solo il 6% delle donne dichiara di essere negata in cucina, mentre il 51% considera cucinare un piacere quotidiano, per il 17% un hobby, dato che si impenna al 31% per le più giovani (18-24 anni), slegate dai doveri familiari. Parola d’ordine: sperimentazione. Per una donna su tre, infatti, il sogno è provare tutti i sapori del mondo. «Soprattutto nelle Millennials – continua Parsi – sta fiorendo una ricerca del rapporto con il cibo che le vede interessate non solo a sperimentare sapori e gusti, anche e soprattutto nuovi, ma pure a diventare esperte cuoche, a cucinare ‘per’ e ‘con’ passione».

Quasi una donna su tre (il 28%) si dichiara scrupolosa e sceglie sulla base delle informazioni presenti in etichetta. Il 12% si dichiara salutista e il 21% afferma di essere abitudinaria. Il prezzo sembra più importante per le Millennials mentre le over 35 prediligono la qualità e la salubrità degli ingredienti.

Merendine e fake news, italiani e qui pro quo. L’indagine Doxa per AIDEPI

Merendine croce e delizia.

Gli italiani le amano, ma spesso le temono anche. Per via dei fraintendimenti e dell’informazione sommaria e frammentaria.

Per verificare il gradimento dei nostri connazionali per gli snack e dolci e – contemporaneamente- verificare le “zone d’ombra” nell’informazione su di essi, Doxa, commissionata da AIDEPI, ha realizzato una ricerca.

Eccone le principali evidenze.

I consumi

Nel nostro Paese il 38% degli italiani sono consumatori di merendine e lo fanno in media 2 volte a settimana. Gli “habitue” di questo prodotto soprattutto under 35 (il 59%) . L’occasione preferita è la merenda (65%), risultato che si ottiene sommando lo spuntino di metà mattina a quello di metà pomeriggio, e a seguire a colazione (41%). Le merendine più amate dagli adulti sono le stesse che mangiavano da piccoli, a confermare un forte legame emozionale verso il prodotto: in testa quella tipo brioche (che è amata soprattutto dai più giovani under 35) seguita da quella a base di pasta frolla, tipo plumcake e a base di pan di spagna.

Italiani e “bufale”

Gli italiani sulle merendine non sono molto informati e sono essenzialmente 5 i principali “buchi neri”:

  • Oggi l’85% degli italiani non sa che nelle merendine non ci sono più gli acidi grassi trans (le grandi aziende dolciarie italiane li hanno tolti da tempo)
  • 8 italiani su 10 pensano che le merendine siano più caloriche delle merende fatte in casa (una merendina invece contiene meno calorie di un trancio di pizza, di un panino “imbottito” o di una fetta di torta fatta in casa).
  • 3 italiani su 4 (75%) sono d’accordo sul fatto che le merendine siano la causa dell’obesità infantile. Su questa falsa credenza va ricordato che – oltre a innumerevoli studi scientifici che evidenziano come non sia solo l’assunzione di cibi a determinare l’obesità ma lo stile di vita – una recente ricerca ha scoperto che in Italia proprio nelle regioni dove c’è un maggior consumo di merendine (al Nord Italia) ci sono i minori tassi di obesità.
  • Il 63% pensa che lo zucchero di una sola merendina faccia superare il bisogno giornaliero di zucchero di un bambino (e invece non è vero)
  • Sempre il 63% non sa che le merendine vengono fatte anche con il lievito madre (viene utilizzato per molte merendine).

Quello che gli italiani sanno

Su altri temi gli italiani mostrano invece di avere una consapevolezza maggiore. Ad esempio oggi la metà degli italiani (parliamo di 27 milioni di persone) sa che le merendine contengono meno grassi, zuccheri e sale di 15 anni fa. E 6 italiani su 10 sanno che nelle etichette delle merendine ci sono tutte le indicazioni utili per scegliere quella più adatta al proprio stile di vita. Per fortuna sono quasi tutti concordi (89%) sul fatto che le merendine sono un alimento anche per gli adulti (e non solo per i bambini).

Genitori e figli

La merendina si colloca nella “top five” degli alimenti preceduta da frutta, in testa con il 51%, yogurt (42%), snack salato (28%), e panino (24%). Oggi ben 8 genitori su 10 (81%) danno a merenda ai propri figli una merendina e lo fanno in media 2/3 volte a settimana, dimostrando una corretta alternanza con altre tipologie di merenda, nell’ambito di un consumo consapevole. Inoltre confrontando la merenda dei genitori con quella dei figli scopriamo che gli adulti consumano più o meno la stessa quantità di frutta dei loro figli (55% vs 51%), meno yogurt (30% vs 42%), snack salati (22% vs 28%) e meno merendine (14% vs 22%).

Le opinioni

Tra i consumatori l’opinione più diffusa è che la merendina sia una scelta tutto sommato accettabile per fare merenda quando si ha poco tempo a disposizione (84%). Per 7 italiani su 10 (68%) le merendine sono un prodotto innovativo, sempre al passo con i tempi e con le esigenze dei consumatori moderni. E ancora: il 63% considera le merendine un prodotto pratico e buono con cui fare merenda in ogni occasione. Infine il 40% ritiene che le merendine siano un prodotto nutrizionalmente valido, che puo trovare posto alternandolo ad altri alimenti, nel contesto di un’alimentazione equilibrata.

 

 

 

 

 

Ferrero domina i social: ad aprile Fb e Instagram “parlano” piemontese

Ferrero spopola sia su Facebook che su Instagram: questa la principale evidenza emersa da Top Brands, l’osservatorio di Blogmeter, che nel mese di aprile ha indagato l’andamento dei marchi food sul mercato italiano.

In linea generale si può comunque dire che, a ridosso delle festività pasquali, l’andamento positivo ha riguardato un po’ tutte le aziende affrenti al comparto del cioccolato.

La top 5 di Facebook
Su Facebook è la pagina corporate di Kinder,  che  grazie alle  137.153 mila interazioni, conquista la medaglia d’oro sia per engagement che per nuovi fan (quasi 35 mila). In particolare, a generare la maggior parte delle interazioni è il prodotto #KinderGranSorpresa, che risulta il più coinvolgente tra tutti i prodotti che il brand promuove sulla propria pagina. In seconda posizione, ma per una manciata di voti (137.035), si colloca la pagina Galbani, Ricette di Casa Mia. Sul terzo gradino del podio, infine  (con 122 mila tra reactions, commenti e share) torna di nuovo Ferrero con la pagina Facebook di Mon Chéri che punta su una comunicazione emozionale ed ispirazionale, mediante anche l’uso di hashtag dedicati come #lasciatistupire. Ferrero conferma la sua presenza anche in quarta posizione, con  Kinder Bueno (circa 118 mila interazioni) che coinvolge con post molto interattivi e divertenti, in cui le confezioni Kinder Bueno vengono posizionate nei posti più improbabili. Infine chiude la Top 5 Facebook relativa al total engagement, Parmalat con post dedicati alla Pasqua e alla Festa della Liberazione. Tra le pagine che incrementano maggiormente la propria fan-base ad aprile, spicca al secondo posto subito dopo Kinder, la pagina di Ferrero Rocher (20 mila nuovi fan) seguita da Pringles (17 mila) la cui partnership con Casa Surace per il lancio delle #nuovepringlestortilla sta generando grandi consensi sui social. In quarta posizione Lindt con i suoi Gold Bunny (16 mila nuovi fan) e infine la già citata Kinder Bueno (14 mila). 

La classifica su Instagram

Qui a spopolare è Nutella che risulta il migliore sia per engagement che per nuovi follower. Nonostante ad aprile abbia pubblicato solo 10 post, conquista ben 52 mila interazioni, merito soprattutto di una content strategy basata sulla condivisione di foto di dolci deliziosi ed invitanti a base di Nutella. Conquista la medaglia d’argento (sia per engagement che per follower) il profilo di Kinder Italia (12 mila interazioni e più di 5 mila nuovi seguaci) che su Instagram condivide le foto di utenti che ritraggono i suoi prodotti, in particolare le uova Kinder Gran Sorpresa. Nelle successive posizioni per entrambe le metriche, troviamo due profili del gruppo Barilla: il brand Mulino Bianco, la cui campagna #unmondobuono riscuote un gran successo (8,5 mila interazioni) e il prodotto Pan di Stelle che riposta le foto degli utenti con le #ricettedistelle, ottenendo quasi 8 mila interazioni. Ottime performance ancora per Parmigiano Reggiano che ad aprile spopola con l’inziativa “Caseifici aperti” (più di 6 mila interazioni) e Kinder Bueno che guadagna 1,8 mila followers durante il mese.

Asiago, positivo il bilancio 2016 approvato dai soci del Consorzio

Bilancio 2016 positivo quello approvato dai soci del Consorzio di Tutela Formaggio Asiago.

I punti clou:  grazie al piano di crescita programmata, le produzioni sono state ridotte del 3,35% rispetto all’anno precedente, mentre i consumi hanno registrato una crescita  sia presso le famiglie (+ 2,1%, dati GFK-Eurisko) sia nella Grande Distribuzione (+2,3%, dati Iri-Infoscan). Risultati in netta controtendenza rispetto al comparto dei formaggi semiduri che, nello stesso anno, ha segnato un doppio calo dei volumi del 1,3% e del valore del 1,7% (dati GFK-Eurisko).

Un segnale positivo arriva anche dal calo, a fine 2016, dello stock aggregato di prodotto, rispetto a fine 2015; aspetto che ha consentito di iniziare il 2017 con premesse migliori rispetto allo scorso anno.

La produzione

Nel 2016, sono state prodotte 1.365.597 forme di Asiago Fresco e 221.772 di Asiago Stagionato, per un totale di 1.587.369 forme; produzioni che, nel contesto del piano di regolazione 2017-2019, continueranno a garantire un equilibrio tra domanda ed offerta, proseguendo nella valorizzazione della denominazione e puntando a rafforzare l’orientamento al mercato a fianco dei produttori impegnati ad esportare Asiago DOP nel mondo.

L’export

Il 2016 è stato anche l’anno nel quale si è proseguito nel rafforzamento del mercato estero con un +6,5% di export rispetto al 2014 ed una performance pari a +66% negli ultimi sei anni. Le esportazioni di formaggio Asiago hanno superato per la prima volta le 1700 tonnellate, raggiungendo il massimo volume storico. Tra i principali acquirenti della specialità veneto-trentina, Svizzera (+12%) e Australia (+16%) risultano in testa, entrambi in aumento per il terzo anno consecutivo. L’Australia, in particolare, si impone per la prima volta come terzo mercato di destinazione delle esportazioni, dopo USA e Svizzera, superando la Germania, che, nel 2016, ha realizzato un positivo +4% di crescita. A riprova dell’impegno profuso, il Consorzio di Tutela, nel 2016, ha rafforzato l’attività di promozione avviando due progetti cofinanziati dall’Unione Europea, per un valore complessivo pari a 5,5 milioni di euro: il primo negli Stati Uniti e in Canada, in partnership con i consorzi del Pecorino Romano e dello speck Alto-Adige; il secondo “Cheese It’s Europe”, insieme ai Consorzi di Tutela Parmigiano Reggiano e Gorgonzola, mirato al rafforzamento e al consolidamento delle esportazioni in Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia

Freschi, salutari, premium e “sperimentali”: il nuovo profilo dei consumi alimentari

Freschi, salutari, premium e “sperimentali”: quattro gli attributi chiave utilizzati per descrivere le nuove tendenze nell’ambito del food, il comparto oggi più dinamico nell’ambito del largo consumo confezionato.

Ce li ha “raccontati” Marco Limonta, Business Insights Director di IRI, nel corso del convegno organizzato in occasione della Fiera Tutto Food. L’incontro, moderato da Ivo Ferrario di Centromarca, ha visto la partecipazione di Antonio Carstulovich – Direttore Generale Commerciale, Ferrarelle Spa, Mario Gasbarrino – Amministratore Delegato Unes, Giorgio Santambrogio – Amministratore Delegato, Gruppo VéGé e Presidente ADM, Associazione Distribuzione Moderna, Mario Zani – Direttore Generale Eurocompany S.r.l., oltre naturalmente a quella di Angelo Massaro, Amministratore Delegato di IRI.

Quattro “qualità” che il nuovo consumatore cerca con sempre maggiore frequenza, in linea con la sua nuova identità.

A caratterizzarlo, oggi, sono infatti una maggiore apertura verso prodotti che innovino in modo soddisfacente (il 66% è disposto per essi a spendere di più) e che consentano di sperimentare (+50%); una più spiccata attenzione verso la pianificazione degli acquisti (+77%) e verso le informazioni sui prodotti, al punto che anche il tempo trascorso davanti allo scaffale in cerca di informazioni si allunga (+ 74”).

Parliamo di un consumatore evoluto, dunque, che – se insoddisfatto- si sente però più libero di cambiare punto vendita (+37%).

I cibi che trainano il mercato

Lo studio di Iri parte dall’assunto che, in uno scenario poco spumeggiante, è l’alimentare a guadagnarsi spazio, probabilmente in virtù di un maggior appeal nei confronti del consumatore, di cui riesce ad intercettare con più abilità le aspirazioni.

Il fresco confezionato si conferma – a oggi – il motore principale (con +2,9% nell’andamento a volume e +1,6 a valore), ma è comunque interessante vedere come a giocare un ruolo di primo piano siano pure le nuove categorie, vere trend setter del mercato, che oggi – intercettando quasi 4,5 punti di quota – rappresentano il 17% del carrello (nel 2013 erano ancora a quota 12,8%).

Le nuove categorie

Ad ogni modo, oltre ai singoli segmenti merceologici, a beneficiare dei cambiamenti degli stili di consumo degli italiani è anche una serie di categorie trasversali, che accomunano tipologie di prodotti quanto mai diverse.

A cominciare dalle referenze free from, che nel 2016 hanno sviluppato vendite per oltre 2 miliardi di euro, (crescendo del +4,2% rispetto al 2015), per arrivare ai prodotti biologici, che con 1,3 miliardi di euro (+20,4% sull’anno precedente) confermano il passaggio evolutivo da nicchia a segmento trend setter dedicato ad un target di salutisti e ambientalisti.

La crescita dei prodotti salutistici rappresenta uno dei segnali più evidenti del processo evolutivo dei consumatori e trova ulteriori conferme nell’avanzata delle vendite di cereali (844 milioni di euro, +5,7% sul 2015), di alimenti integrali (471 milioni di euro, +21,2%) e di prodotti a base soia/vegetale (436 milioni di euro, +8,4%). Per il medesimo motivo ispiratore si assiste pure, nell’ambito del proteico, a un decremento della carne a vantaggio del pesce e dei prodotti a base di proteine vegetali.

Le “nicchie” confermano il trend

La voglia di sperimentare, direttamente tra le pareti domestiche, si rispecchia nella crescita interessante di una nicchia come quella delle spezie(+16,4% a valore). Praticità e funzionalità invece sono i driver di crescita di un segmento ora in auge, come quello della frutta secca, (+11,6%): qui infatti le aziende hanno saputo rinnovare l’offerta e l’immagine dei prodotti puntando in modo intelligente sul concetto di snack/ spezza fame e di funzionalità assicurando nuove occasioni di consumo.

Spunti di dibattito

Il quadro tratteggiato da Marco Limonta, ha innescato un interessante dibattito tra i relatori: 3 i temi caldi posti sul tappeto da Ivo Ferrario e “palleggiati” tra gli astanti: ripensamento dello store, infedeltà del consumatore al punto vendita, fake news sul cibo con relative ripercussioni sui comportamenti di acquisto.

È emerso come sia prioritario differenziare e caratterizzare in maniera univoca l’offerta e quindi i pdv, in modo che possano diventare dei veri e proprio punti di riferimento per target specifici di consumatori. No al melting pot di offerta, dunque, massificante e banalizzante.

E poi attenzione all’eccesso di promo, specchietto delle allodole, in larga parte responsabile della “migrazione infedele” dei clienti.

Ultimo alert da non sottovalutare: il potere denigratorio che le bufale mediatiche esercitano sulle aziende siano esse produttrici che distributrici. Imprescindibile dunque fare chiarezza e ristabilire la verità.

Vent’anni fa, la spesa era diversa: Fipe fotografa il nuovo rapporto degli italiani col cibo

Com’è cambiata la spesa degli italiani negli ultimi vent’anni, e i consumi alimentari in genere? Ce lo dice Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, attraverso l’indagine Gli italiani e il cibo presentata a Tuttofood. I cambiamenti sono tanti e sostanziali, con l’aumento dell’interesse verso la colazione e la perdita di centralità del pranzo, l’aumento netto dei consumi fuoricasa: oggi il 35% della spesa alimentare è indirizzata su bar e ristoranti. Nel carrello si riducono pane e cerali (-7,5% nel periodo 2000 – 2015) e la carne (-8,1%), ma anche i consumi di pasta e dessert scendono in casa, mentre resistono al ristorante. Un cambio di stili, di vita e di alimentazione, che ha come motore una maggiore attenzione alla salute e al benessere, che passa appunto per le scelte alimentari.

 

Vince solo la verdura: meno frutta, carne e carboidrati

Ma che mangiano oggi gli italiani? La risposta non è univoca perché esistono due grandi tendenze: una parte minoritaria di italiani che vive il rapporto con il cibo all’insegna del salutismo, e un’altra maggioritaria mangia con sempre minore attenzione al concetto tradizionale di cibo come fonte di benessere. Sul piano pratico esistono però tendenze chiare, con il calo della quota di popolazione che consuma quotidianamente carboidrati (dal 91,5% del 1995 all’80,9% del 2015) e proteine, e l’aumento di coloro che prediligono ortaggi (dal 41,8% del 1995 al 45,5% del 2015) e di chi presta attenzione al consumo di sale. Dall’altro lato cala la quota di popolazione che consuma la frutta almeno una volta al giorno (dall’82,2% del 1995 al 75,4% del 2015) e quella di chi utilizza olio di oliva e grassi vegetali per la cottura e soprattutto per il condimento a crudo.

Comportamenti opposti che Fipe rintraccia da una parte nella riduzione della spesa per pane e cereali (-7,5% a prezzi costanti nel periodo 2000 – 2015), per la carne, principalmente rossa (-8,1%), per vegetali (-11%) e frutta (-11,4%) e dall’altra nell’aumento del tasso di popolazione in sovrappeso o addirittura in condizioni di obesità, arrivate a 5 milioni di persone.

 

Colazione alla riscossa

Il diverso valore nella quantità di cibo acquistato e consumato riflette un mutamento negli stili alimentari: se nel 1995 il 76,6% della popolazione considerava il pranzo il pasto principale della giornata, nel 2015 la percentuale è del 67,2%. In diminuzione anche la percentuale di italiani che pranza a casa (dall’82,8% del 1995 al 73,4% del 2015). Di conseguenza cresce il valore della cena: il 23,2% del campione lo considera, incurante delle sirene dei nutrizionisti, il pasto principale della giornata, contro il 18,5% del 1995. Un fenomeno che purtroppo non interessa solo le fasce adulte della popolazione ma anche i bambini che assumono i modelli alimentari dei genitori. In questi ultimi vent’anni si registra anche qualche fenomeno positivo come l’aumento della popolazione che inizia la giornata con una colazione ben più sostanziosa di quanto si facesse in passato (dal 71,6% del 1995 all’81,2% del 2015). Fortemente ridimensionata è l’era del “caffè in piedi”: ora insieme a caffè e cappuccino si mangia anche qualcosa.

 

Nel mangiar fuori secondi solo alla Spagna

Una delle tendenze più nette però che evidenzia un netto mutamento degli stili di vita, di lavoro e di comportamento sociale è l’aumento dei consumi fuoricasa, e il conseguente calo dei consumi domestici. Anche se la forte “vocazione” alimentare dell’Italia non si discute: resiste il cosiddetto “modello mediterraneo”, con un peso percentuale dei consumi alimentari sul totale dei consumi che si attesta sul 14%. Per quanto riguarda il peso percentuale della ristorazione sul totale dei consumi, l’Italia con il 7,6% si pone sopra il valore dell’Eurozona (7,1%) al secondo posto dopo la Spagna (14,6%), battendo Francia, Germania e Regno Unito.

 

Thè San Benedetto presenta le sue nuove lattine sleek Special Edition

Thè San Benedetto, presenta la nuova edizione delle lattine “sleek” Special Edition, disegnate dagli studenti del Triennio in Graphic Design & Art Direction della prestigiosa NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
 
Il tema sviluppato quest’anno è legato al claim della nuova campagna di comunicazione “San Benedetto, I Love You!”, interpretato con uno stile contemporaneo, divertente e pensato anche per un consumatore internazionale. Ideatori  del rinnovamento del packaging sono gli studenti del Triennio in Graphic Design & Art Direction della prestigiosa accademia milanese NABA, chiamati a dare una personale interpretazione grafica della celebre lattina sleek del Thè San Benedetto.
 
Come per la campagna dell’ultimo anno, con protagonista la bellissima Cindy Crawford, viene scelta la donna come colonna portante del progetto grafico delle nuove lattine “sleek” Special Edition. La purezza del bianco delle figure rispecchia così la qualità del prodotto ed il rosso delle labbra delle donne raffiguranti riprende la passione rappresentando un elemento forte per creare l’ideale di donna sensuale. La figura femminile emerge a tal punto con la sua capigliatura che espande la figura rendendola parte totale dell’oggetto grafico.
 
Rimangono, invece, inalterati i tre gusti e colori identificativi: rosa per la Pesca, giallo pastello per il Limone e verde acquamarina, per il Thè Verde con Aloe vera.

Fairtrade, tre giorni a maggio per invitare a consumare equo, in tutto il mondo

Una campagna mirata ai consumatori e al loro senso etico, che invita a riflettere sull’origine e le condizioni di produzione per una spesa più consapevole: è questo il senso del World Fairtrade Challenge, che si terrà dal 12 al 14 maggio in appositi spazi allestiti della grande distribuzione, oltre che in un centinaio di bar in tutta Italia e in alcune università. Tre giorni in cui l’associazione inviterà tutti a consumare, a colazione e non solo, prodotti certificati di commercio equo come caffè, tè, zucchero, biscotti, frutta secca, cioccolato e marmellate per sostenere chi li produce. La giornata mondiale del commercio equo si celebra il 13 maggio in tutto il mondo.

 

Il primo 29 anni fa, oggi sono 35mila

Il primo prodotto Fairtrade, il caffè, è apparso nei Paesi Bassi nel 1988. Quasi 30 anni più tardi, più di 35mila prodotti del commercio equo sono venduti in tutto il mondo e il numero aumenta di anno in anno: sempre più agricoltori e lavoratori, attraverso il loro impegno, possono costruire una vita più dignitosa e un futuro migliore per le loro famiglie e comunità. Il sistema internazionale Fairtrade, infatti, assicura che le aziende paghino un prezzo più equo per ciò che viene coltivato, oltre a una somma extra di denaro destinata ad agricoltori e lavoratori, da investire nelle loro organizzazioni o comunità.

La “Challenge 2017” coinvolgerà anche i consumatori di Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Germania, Australia, Corea, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Sudafrica, Spagna, Svezia e Stati Uniti. L’obiettivo è organizzare l’evento Fairtrade più grande al mondo: un’occasione per i consumatori di sentirsi parte di un movimento globale, con la consapevolezza che tramite le proprie scelte di consumo si possono sostenere i produttori dei Paesi in via di sviluppo.

Si potrà partecipare alla “Grande Sfida” registrando le colazioni Fairtrade consumate nei locali, a casa o negli atenei e i momenti dedicati all’iniziativa, come una pausa caffè con i colleghi di lavoro o una cena con la famiglia, sull’apposito sito web www.fairtradechallenge.org. Una mappa indicherà i luoghi e l’ora di tutti gli eventi nel mondo.

Ciascuno è poi invitato a organizzare la propria colazione “equa” e a postare le immagini che si sfideranno in un contest fotografico ideato per l’occasione da Fairtrade Italia. 

 

I numeri del movimento
Sono oltre 1,6 milioni gli agricoltori e lavoratori in 75 Paesi che aderiscono a Fairtrade. L’ultimo arrivato, l’anno scorso, è il Tagikistan.

Ci sono più di 1.800 Fairtrade Towns, città, villaggi e altre comunità in 28 Paesi, e decine di migliaia di attivisti e consumatori.

I consumatori hanno speso 7,3 miliardi di euro in prodotti Fairtrade nel 2015, +16% sul 2014.

Il Fairtrade Premium è aumentato in modo significativo e ammonta a 138 milioni di euro (dato riferito al 2015), in crescita del 30% a partire dal 2014. 

Caffè: 430 organizzazioni impiegate nella coltivazione di caffè Fairtrade, 856.000 coltivatori di caffè in 30 Paesi hanno ricevuto 71 milioni di euro di Premium +18% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite sono aumentate del 18% rispetto al 2014.

Banane: 131 gruppi di coltivazione in 12 Paesi, più di 22.000 piccoli coltivatori e lavoratori hanno ricevuto più di 27 milioni di euro in Premium +11% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite sono aumentate del 12% rispetto al 2014.

Cacao: 129 organizzazioni in 19 Paesi, più di 197.000 piccoli agricoltori e lavoratori hanno ricevuto 18 milioni di euro in Premium, in crescita del 26% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite di semi di cacao sono aumentate del 27% sul 2014.

Millennials, la rivoluzione sono loro. A Seeds&Chips le ultime tendenze

Millennials: da qui inizia la rivoluzione. Con loro, infatti, sta cambiando il modo in cui si acquista, si ordina, si cucina, si consuma e si condivide il cibo, lanciando nuove tendenze a livello globale. L’affermazione di internet e l’avvento delle nuove tecnologie hanno infatti stravolto le abitudini alimentari dando il via ad una vera food revolution.

Oggi i Millennials rappresentano un pubblico sempre più attento alla qualità, alla salute, alla sostenibilità e alla novità: rispetto alle generazioni precedenti, i nativi digitali spendono di più in cibo – la spesa annua negli USA è di 1,4 trilioni di dollari – ma sono anche più informati su ciò che mangiano. Una generazione molto esigente e consapevole, che rivolge grande attenzione alla qualità del prodotto e alle proprietà benefiche e nutrizionali degli alimenti, l’80% vuole infatti sapere di più sulla provenienza e la tracciabilità del cibo che consuma. Tra i food trend: l’alto gradimento di alimenti organici, biologici e a Km zero, l’attenzione per la sostenibilità ma anche la richiesta di un’offerta più ampia di prodotti.
Un focus su queste nuove tendenze verrà presentato nel corso della  terza edizione di Seeds&Chips – the Global Food Innovation Summit (8-11 maggio a Fiera Milano Rho).
 
“How millennials are changing the food industry” è il titolo della conferenza che l’8 maggio aprirà Seeds&Chips e che vedrà la partecipazione di due millennials diventate guru internazionali nel settore foodtech: Danielle Gould, CEO di Food+Tech Connect, la più grande community al mondo dedicata a tecnologia alimentare e innovazione e Deepti Sharma Kapur, CEO e fondatrice di FoodtoEat, servizio online che permette di ordinare cibo dai migliori ristoranti locali, food truck, chioschi e ristoratori, nato per avvicinare i piccoli venditori alle potenzialità della tecnologia.
 
Durante Seeds&Chips2017, “la parola verrà data” a 4 start up emblematiche:
 
Robonica (http://robonica.it/), giovane startup milanese, con il suo progetto Linfa, un elettrodomestico micro-farm connesso, una sorta di serra in miniatura dal design ricercato, che permette di far crescere ogni tipo di vegetale, come erbe aromatiche, peperoncino o insalata, pronti da mangiare in soli 5 giorni.
 
Foodpairing (https://www.foodpairing.com/en/home), azienda con sede a Bruges e New York, che dispone di uno dei più grandi database di ingredienti e sapori provenienti da tutto il mondo che un algoritmo combina grazie all’elaborazione di dati scientifici. La sua mission è creare cibi e bevande uniche, proporre accoppiamenti sorprendenti.
 
Winnow (http://www.winnowsolutions.com/) società londinese specializzata nella realizzazione di tecnologie all’avanguardia per le cucine professionali. Lo scopo di Winnow è aiutare gli chef a misurare, controllare e ridurre gli sprechi alimentari. Grazie al suo utilizzo è possibile sapere esattamente cosa si sta gettando via, tramite un tablet touch screen, e il costo del cibo che finisce in spazzatura.
 
The Sage Project (https://sageproject.com/), un archivio dati che aiuta a tracciare e conoscere i prodotti alimentari fornendo dettagli non solo su ingredienti, allergeni, proprietà nutritive, apporto calorico ma anche su origine e distribuzione.
 

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare