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Amazon Pay arriva in Italia e la spesa on line diventa più veloce

18 aprile 2017: Amazon annuncia il lancio di Amazon Pay in Italia. In questo modo viene offerta ai clienti la possibilità di pagare prodotti e servizi sui siti web dei merchant aderenti utilizzando le informazioni del proprio account Amazon. Al momento della finalizzazione dell’acquisto, tutti i possessori di un account Amazon possono semplicemente inserire username e password Amazon sul sito del merchant e la transazione verrà così completata, in totale sicurezza, utilizzando le informazioni di pagamento e spedizione collegate automaticamente all’account del cliente.

I vantaggi

Così si riduce significativamente il tempo necessario per il pagamento di prodotti e servizi online, eliminando il bisogno di ricordare tutte le proprie password e di perdere tempo ad inserire i propri dettagli di pagamento e spedizione su ogni sito su cui si acquista. A loro volta i merchant che offrono Amazon Pay come soluzione di pagamento, possono portare nei propri siti web la comodità, la sicurezza e la familiarità che caratterizzano l’esperienza di acquisto Amazon, riducendo, così notevolmente il tasso di abbandono del processo di acquisto e incrementando le vendite e la fiducia dei clienti.

Il servizio Amazon Pay nel mondo

– Il volume di pagamenti nel 2016 è quasi raddoppiato rispetto al  2015;
– clienti da oltre 170 Paesi hanno utilizzato Amazon Pay per effettuare un acquisto online;
– il 32% delle transazioni effettuate con Amazon Pay sono state realizzate da un dispositivo mobile;
– l’Amazon Global Partner Program è stato lanciato nel 2016 con l’obiettivo di aiutare i provider di piattaforme eCommerce ad accrescere il loro business offrendo una facile integrazione con Amazon Pay: nei primi 8 mesi, oltre 50 service provider si sono registrati al Global Partner Program;
i merchant attivi sono cresciuti di oltre il 120% nell’ultimo anno.

Amazon Pay è stato progettato per facilitare una relazione semplice e sicura tra i merchant e i loro clienti. Amazon non riceve alcuna informazione o dati del merchant riguardo alle attività dei clienti sui siti di terze parti.

Il libro, sorpresa, si vende ancora. Ma nella Gdo è in caduta libera

Cinque anni fa al supermercato si vendeva un libro su quattro, il 25%. Un’altra epoca, a giudicare dai numeri dello studio realizzato da GFK e presentato a Bologna alla Children’s Book Fair 2017. Sui circa 18 milioni gli italiani che hanno acquistato libri nel corso del 2016, meno di 3 milioni (uno su sei) li hanno comprati nella grande distribuzione e solo un milione utilizza esclusivamente questo canale. Sul totale di coloro che entrano nelle catene della Gdo, solo 3 su 50 frequentano il reparto libri, ma sono anche molto pochi gli acquirenti della categoria che scelgono il canale.

In questo scenario le vendite di libri nella grande distribuzione calano nel 2016 a doppia cifra percentuale, per il quinto anno consecutivo, diminuzione confermata anche nel primo trimestre 2017. Eppure negli altri canali le vendite di libri tengono, per la prima volta nel quinquennio, sebbene con performance diverse a seconda dei segmenti, con un’importante (quanto scontata) crescita dell’e-commerce.

La Gdo sta avviando da tempo una profonda riduzione degli spazi riservati al libro ed in generale al non-food. Si rende pertanto necessario per gli operatori della filiera del libro aggiornare le modalità operative con le quali presidiare questo canale.

«Il mercato del libro è sempre stato, anche nel canale GDO, dominato dalla logica dell’offerta. Fin quando il canale è riuscito ad assorbire l’eccesso di offerta non ci sono stati problemi. Da alcuni anni a questa parte però la crisi economica, la crisi del format ipermercato, i limiti imposti dalla legge Levi hanno cambiato lo scenario e la filiera distributiva del libro in GDO non si è adeguata. Bisogna ripartire dal consumatore, dai suoi bisogni e dai suoi comportamenti – ha detto Stefano Giubertoni, Direttore generale Mach 2 Libri, azienda leader in Italia nella vendita di libri nel canale  -. Da qui bisogna costruire un’offerta molto più centrata con i moderni strumenti di category management, di trade marketing, di visual merchandising, di cross category, che si applicano nel canale da parte delle categorie più dinamiche del mass market. Editori e distributori dovranno investire su questo nuovo approccio e Mach 2 Libri, intermediario leader in questo settore, porterà il suo know how nel collegare i due estremi della filiera in questo canale. Canale che non solo può arrestare la caduta, ma può tornare a crescere, offrendo opportunità di crescita per il libro e di traffico per la GDO. In questo senso anche un cambiamento della legge in vigore sul libro, che magari riduca anche lo sconto praticabile, ma che liberi il mercato in più momenti e stimoli quegli acquisti di impulso che sono il motore del comportamento di acquisto del consumatore, potrebbe essere il benvenuto».

Secondo Filippo Gugliemone, Direttore commerciale trade di Mondadori Libri «In un Paese dove in gran parte dei comuni non sono presenti librerie, spesso la grande distribuzione assume un ruolo chiave nella promozione della lettura, essendo il luogo dove può avvenire la scoperta di nuovi autori e libri.  Oggi solo tre milioni di persone acquistano libri nella grande distribuzione: partendo da questo dato credo si renda necessario rilanciare la relazione tra editori e insegne, lavorando per intercettare gli altri 47 milioni di potenziali lettori che oggi non trovano un’offerta in linea con le loro aspettative nei punti vendita. L’esposizione ad un pubblico più ampio non può che essere un bene per tutto il sistema della lettura in Italia».

 

Acquisti d’impulso di un cliente opportunista

La ricerca di Gfk ha tracciato anche un profilo del consumatore nella GDO, che è risultato essere anche in questa categoria opportunista e non esclusivista: compra dove capita tra i vari canali a disposizione, dove l’offerta è chiara e la shopping experience positiva. In GDO oltre il 60% degli acquisti nasce da stimoli ricevuti sul punto vendita e dunque è assimilabile all’acquisto di impulso: tra le motivazioni più importanti non compare il prezzo, mentre oltre un terzo degli acquisti nel canale è di prodotti di cui viene a conoscenza nel punto vendita stesso. La legge che limita le promozioni sul libro potrebbe avere influito sul trend di mercato, in un canale nel quale il consumatore è abituato a trovare pressione promozionale oltre il 30%.

Analizzando i dati di vendita appare anche chiaro come l’offerta sia eccessiva per il canale GDO: 1.500 titoli all’anno (un quinto di quelli realmente trattati) basterebbe a coprire oltre il 90% dei bisogni. Questo eccesso di offerta porta ad un’esposizione poco funzionale e chiara e a un eccesso di stock sul punto vendita. Le modalità gestionali del libro nella GDO risultano anacronistiche per le esigenze di marketing e di profilazione dei consumatori: ancora metà della distribuzione, per semplificare la gestione dei codici, tratta il libro a punto prezzo e non a titolo, rendendo illeggibili i dati di sell out, le vendite e le abitudini del consumatore.

Lo studio è stato presentato in occasione del convegno “Il libro in grande distribuzione: un approccio diverso che parta dal consumatore”, organizzato da Mach 2 Libri.

Doveconviene prevede una Pasqua tradizionale, tra famiglia, negozio fisico, uova e grigliate

Una Pasqua tutto sommato tradizionale, con l’uovo di cioccolato sulla tavola e la grigliata di Pasquetta a coronare la gita fuori porta, trascorsa in famiglia (contraddicendo il noto adagio): è quella che emerge dal sondaggio di DoveConviene, la piattaforma digitale sulla quale oltre dieci milioni di italiani si informano e pianificano il proprio shopping. 

Secondo la ricerca resiste l’associazione Pasqua – uova di cioccolato, irrinunciabile per il 51% degli intervistati, mentre c’è evidentemente voglia di primavera tanto che un 19% la associa alla grigliata di Pasquetta o ai pic nic. Meno quotati gli altri simboli classici come la colomba (8%) e l’agnello (7%). Anche se poi quasi tutti compreranno un dolce pasquale (87%), che sia artigianale o confezionato. Tradizione, famiglia, ma non manca nemmeno la ricerca dell’offerta che, segno dei tempi, si cercherà online (74%). Per poi però recarsi in negozio: qui avverranno la quasi totalità degli acquisti (86%). Interessano non solo dolci e food (47%), ma anche tutte le offerte dedicate al mondo casa (24%), forse per trovare gli elementi decorativi ideali poiché i pranzi saranno organizzati principalmente a casa nel 77% dei casi. Solo un 9% prevede di andare al ristorante e un 5% a casa di amici. Inoltre, un 12% dichiara di prestare attenzione alle offerte legate all’elettronica: potrebbe sempre scappare un acquisto interessante.

Una Pasqua in casa e in famiglia dunque (per l’81% degli intervistati), con l’88% che dichiara di non andare in vacanza, contro un 12% che invece si concederà qualche giorno fuori porta.

Alla survey, lanciato da DoveConviene, hanno partecipato oltre 7.500 maggiorenni, distribuiti in tutta Italia: Nord (41%), Sud (39%) e Centro (20%). Il campione è rappresentato in prevalenza da utenti donne (64%) rispetto agli uomini (36%) e ha coinvolto principalmente la fascia 32-40 (33%) e la fascia 41-60 (27%), seguita dalla fascia 26-31 (21%).

Trump, Brexit? Ma no, Produit en Bretagne, il marchio regionale che salva posti di lavoro

È ormai chiaro che uno dei temi più caldi del momento è quello della perdita di occupazione in tutti i settori, dall’agricoltura al commercio all’industria, già colpita in passato. Tanto caldo da aver fato da sfondo a decisioni importanti quali la vittoria del sì al referendum sulla Brexit nel Regno Unito e all’elezione del tycoon Donald Trump negli USA. Sono milioni i posti di lavoro a rischio per una serie di motivi: dall’automazione all’ingresso delle intelligenze artificiali in tutti i campi, dalla medicina al commercio, dall’e-commerce ai mutati stili di vita. Ciò su cui più si discute è piuttosto come fare a salvare o addirittura creare nuova occupazione.

Una risposta viene – almeno nelle intenzioni – dal “marchio regionale” lanciato in Francia già da qualche anno con l’obiettivo dichiarato di promuovere le produzioni locali, spingendo i consumatori a fare acquisti a chilometro zero, o quasi. Una sorta di “spesa sociale” che dovrebbe fare da volano, o quanto meno mantenere, posti di lavoro “della porta accanto”. Si chiama “Produit en Bretagne” ed è costituito da “una rete di imprese che hanno come obiettivo la difesa del lavoro locale attraverso la promozione del know-how delle imprese bretoni”. che impiegano 110mila persone.

 

Il ruolo della Gdo

Fin dalla nascita, avvenuta in tempi non sospetti, nel lontano 1993, un ruolo determinante è stato assegnato alla distribuzione, che ha lavorato insieme alle imprese produttrici per creare forti operazioni commerciali con al centro i prodotti bretoni (oltre 4mila). I quali per poter usare il marchio, devono avere dei requisiti specifici, verificati per ogni prodotto che ne fa richiesta: utilizzo di materie prime locali se disponibili, trasformazione nel caso di materie prime esterne in loco secondo criteri specifici, relazioni con altre imprese della regione.

Le insegne che partecipano al progetto si impegnano a promuovere i prodotti a marchio all’interno di un progetto comune, mentre a fine maggio viene lanciata una settimana dedicata nella quale tutte le insegne propongono una stessa selezione di prodotti. 

Un modello replicabile, certamente, anche in altri Paesi e regioni d’Europa e in particolare in Italia, così ricca di specificità territoriali. Un modo chiaro e forte di promuovere non solo i prodotti del territorio, che tutte le ricerche ormai indicano come richiesti dal consumatore e sinonimo di qualità e genuinità, ma anche per sensibilizzare quest’ultimo alle tematiche sociali e fargli sentire che, con la spesa, può dare una mano. 

Cibo über alles. Ma non ci sono più gli italiani di una volta, parola del Censis

Prudenti e risparmiosi, gli italiani hanno affrontato la precarietà economica di questi anni da vere formichine, tanto da avere accumulato ben 133 miliardi di euro di cash cautelativo dall’inizio della crisi a oggi.

E i consumi ne hanno fatto le spese. Anche quelli alimentari (sebbene in misura minore).

Oggi la macchina sembra essersi rimessa in moto e la spesa alimentare oggi ha raggiunto il 14,3% sul totale dei consumi delle famiglie. Ecco quanto è emerso da “Il futuro dell’alimentazione: tra stili di vita contemporanei e nuovi modelli di fruizione”, la nuova ricerca Censis per Nestlé Italiana1 presentata dal direttore generale dell’Istituto, Massimiliano Valerii.

Ovviamente però il consumatore che sta rimettendo mano al borsellino ha assunto un profilo ben diverso da un tempo.

Sceglie in maniera sempre più soggettiva e si rivela pragmatico nelle scelte. A spingerlo alcuni specifici driver: funzionalità, qualità, sicurezza, eticità e italianità.

L’esito di questo mix è la scelta di prodotti diversi: dal cibo pronto e semipronto (utilizzato da oltre 31 milioni di italiani) ai cibi salutisti che siano “free from” o “plus” (26 milioni), dal take-away acquistato on line (19,4 milioni), al cibo dei distributori automatici (25,3 milioni).

E in ogni scelta non si muove a casaccio, ma si informa prima. Sul web soprattutto (con una media del 57%, che sale al 74,2% nel caso dei Millennial).

In rete si cercano e si verificano i requisiti ritenuti veramente validi e in questo la mallevadoria della marca gioca un ruolo ancora molto importante: “Gli italiani – spiega infatti Valerii – compresi i Millennial, sono disposti a pagare di più per il prodotto di marca, soprattutto quando comprano alimenti salutistici (71,1%), cibi pronti o semipronti (69,6%), prodotti nei distributori automatici 71,3%)”.

Perché la Marca è strettamente collegata al concetto di reputazione, e la reputazione è un concetto molto importante al punto che per il 35% degli italiani vale più del prezzo.

L’italianità all’estero

Se il made in Italy è importante per noi italiani, anche all’estero ha ormai assunto un ruolo interessante. Dalla ricerca Censis, emerge infatti che l’esportazione di prodotti (food e beverage) italiani nel 2016 ha toccato quota 31,3 miliardi, crescendo dal 2010 al 2016 del 41,5% e solo in un anno (dal 2015 al 2016) del 3,5%.

E non sono solo i Paesi “storici” (estimatori assodati delle nostre produzioni) ad apprezzare i nostri prodotti: è infatti sorprendente la crescente attenzione che molti paesi asiatici rivolgono ormai al made in Italy.

E questa logica conseguenza della globalizzazione, non è certo a senso unico, ma si riverbera anche nel nostro paese. E ben lo dimostra l’andamento del carrello etnico che anche in Italia è sempre più ricco (cresce infatti dell’8% nel primo semestre del 2016). Un esempio per tutti ce lo fornisce il sushi che nei primi sei mesi del 2016 in GDO ha sviluppato un giro d’affari di 31,3 milioni di euro.

Mareblu coinvolge i consumatori nel suo crowfunding

Mareblu lancia Dalla parte del blu, originale campagna di crowdfunding che da oggi chiama i consumatori a scegliere online come saranno ripartiti i 50.000 euro che l’Azienda conserviera mette a disposizione di Legambiente per sostenere quattro importanti progetti a difesa del mare:

la pulizia dei litorali e dei fondali marini della campagna Spiagge e Fondali Puliti,

le attività del Centro Recupero Tartarughe di Manfredonia (FG) per la cura e la riabilitazione di esemplari feriti,

la ricerca SOS Marine Litter sull’inquinamento dei mari italiani,

le iniziative didattiche del MuSea – Museo Vivo del Mare e della dieta mediterranea di Pollica (SA).
L’iniziativa: come funziona
Con Dalla parte del blu, la seconda azienda italiana nel mercato delle conserve ittiche si rivolge ai consumatori, facendone i protagonisti assoluti di un’innovativa campagna di sensibilizzazione ambientale capace di coinvolgere il grande pubblico e sviluppata in collaborazione con Legambiente e la piattaforma di CSR 1ClickDonation di CrowdM (https://www.1clickdonation.com/).
Collegandosi al sito www.dallapartedelblu.it, infatti, gli utenti hanno la possibilità di informarsi sui quattro progetti di Legambiente a salvaguardia dell’ecosistema marino e scegliere quello a cui “donare un click”. Questo gesto di preferenza semplice e gratuito, inoltre, potrà essere condiviso dagli utenti sui principali social network. A conclusione della campagna, che proseguirà fino al 22 maggio, Mareblu regalerà a Legambiente 50.000 euro: 25.000 euro saranno distribuiti in parti uguali fra i quattro progetti, mentre i restanti 25.000 saranno suddivisi in base al numero di click ricevuti da ciascuna iniziativa.

Una partnership per la sostenibilità
Dalla parte del blu rappresenta una significativa evoluzione e integrazione nella partnership che Mareblu ha stretto dal 2012 con Legambiente nell’ambito del suo percorso di sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Mareblu, infatti, ha individuato e condiviso con la più importante associazione ambientalista italiana iniziative e progetti finalizzati al consumo responsabile, alla riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti nel loro ciclo di vita e alla difesa dell’ambiente.
Thai Union, la multinazionale thailandese di cui fa parte Mareblu, si è infatti impegnata per far sì che tutto il suo tonno branded sia sostenibile e che entro il 2020 almeno il 75% del tonno branded sia certificato dal Marine Stewardship Council (MSC).

“Mareblu collabora con Legambiente già da qualche anno – ha dichiarato Matteo Scarpis, Direttore Generale Mareblu – “Questa collaborazione in Italia si inserisce in un più ampio e ambizioso piano strategico di sostenibilità del gruppo Thai Union, di cui Mareblu fa parte, chiamato SeaChange. Questo programma è articolato in 4 aree principali: l’Approvvigionamento Responsabile, i Processi di produzione sostenibile, la Legalità e sicurezza sul lavoro e l’attenzione per le Persone e le Comunità in cui Thai Union opera.”

Stefano Ciafani, Direttore Generale di Legambiente, ha commentato: “La partnership con Mareblu prosegue su un percorso di confronto e collaborazione fecondo per noi e per l’azienda, che in questi anni ha sviluppato un approccio alla sostenibilità sempre più proattivo, concreto e virtuoso anche per il suo business. Il lavoro messo in campo per migliorare le prestazioni ambientali della filiera produttiva di Mareblu è il risultato concreto e tangibile di questo lavoro comune.”

Big data e realtà aumentata: le nuove frontiere dello store

Big data, realtà aumentata  e tecnologia indossabile: l’esperienza d’acquisto si fa sempre più personalizzata sia online sia in negozio. Morale? Ci sono tutti i presupposti perché il futuro della vendita al dettaglio venga rivoluzionato.

Ecco quanto emerge da un nuovo studio europeo condotto da Epson (il principale produttore di POS in Europa) al quale hanno preso parte 17 esperti di settore provenienti da tutto il mondo e oltre 7.000 dipendenti full-time europei. Il 72% degli europei (il 77% degli italiani) attualmente impiegati nel settore retail & hospitality intervistati ritiene che le vendite diventeranno sempre più personalizzate e che il personale contribuirà a migliorare l’esperienza di acquisto, confermando il ruolo dei negozi fisici nel ciclo d’acquisto.
Vediamo più nel dettaglio quanto emerge della ricerca.

Big Data
Se da un lato circa la metà degli intervistati (49% europei; il 52% degli italiani) è dell’idea che i big data avranno un impatto positivo sull’intero settore, il 42% degli europei (il 36% degli italiani) teme che i clienti non rinunceranno alla protezione dei loro dati a favore di un’esperienza di acquisto più personalizzata (percentuale che raggiunge il 64% tra gli over 50 e si attesta invece sul 50% per i Millennial). Ciò solleva importanti questioni circa la relazione tra rivenditori e clienti.
 
Questo aspetto è molto importante e deve essere valutato attentamente affinché i punti vendita possano sfruttare appieno le opportunità offerte dalla tecnologia. Dallo studio è emerso che il 73% (e ben il 79% degli italiani) dei dipendenti nel settore in oggetto ritiene che mediante l’uso dei dispositivi personali sarà possibile intensificare la relazione tra clienti e rivenditori.

Brick and mortar store

I negozi fisici continueranno ad avere un ruolo prioritario: secondo le stime, in media il 56% (il 57% italiani) delle decisioni di acquisto continuerà, almeno per i prossimi anni, ad essere presa in negozio.
 
Tuttavia, subiranno probabilmente profondi cambiamenti. Verranno introdotte nuove iniziative, ad esempio il riconoscimento automatico dei clienti, per fornire un’esperienza di acquisto ultra-personalizzata, come previsto dal 72% degli intervistati (e ben il 77% degli italiani). Secondo il 46% (il 50% degli italiani), inoltre, i negozi non terranno più merci a magazzino e sfrutteranno la realtà aumentata per fornire ai clienti suggerimenti e servizi personalizzati (63% vs il 66% degli italiani), creando on-demand prodotti su misura all’interno del punto vendita.

Gli ostacoli non mancheranno e tra questi i i costi associati all’implementazione delle nuove tecnologie (considerati una problematica dal 63% degli intervistati, il 62% degli italiani) e la formazione dei dipendenti (necessaria secondo il 40%; il 32% degli italiani).
 
Le principali tendenze
Ecco le principali tendenze emerse dallo studio:
Nascita degli Augmented Shopper:  il 69% (77% degli italiani) sostiene che, attraverso la simulazione in qualsiasi ambiente (a casa, al lavoro o in negozio), i clienti potranno immaginare l’utilizzo di un determinato prodotto. Di conseguenza, la realtà aumentata fornirà loro un’esperienza sensoriale unica. Nello stesso tempo, il 57% (67% per gli italiani) ritiene che la realtà aumentata offrirà un’esperienza di acquisto sociale e divertente, creando un senso di comunità attorno al marchio. Inoltre, con l’evoluzione del POS, i tempi di attesa nei negozi verranno eliminati. Questo è ciò che afferma il 45% degli intervistati europei (il 42% degli italiani). Il riconoscimento automatico dei clienti nei punti vendita consentirà un’esperienza ultra-personalizzata con un servizio velocissimo: il 53% (60% degli italiani) ritiene, infatti, che le transazioni verranno effettuate automaticamente grazie ad appositi sensori.
 
Maggiore afflusso di clienti grazie alle driverless car: quasi la metà degli intervistati (46% e il 55% degli italiani) ritiene che l’utilizzo delle auto senza conducente potrebbe essere un fattore determinante, in quanto comporterebbe la riduzione del traffico nelle principali aree commerciali.
 
Consulenti di fiducia all’interno dei punti vendita: il 60% degli intervistati europei (58% degli italiani) ritiene che in futuro non ci saranno più responsabilità a livello di transazioni e di cassa, mentre il 74% (e ben l’81% dei rispondenti italiani) sostiene che i dipendenti diventeranno veri e propri esperti e “consulenti di fiducia” nel loro settore, capaci di fornire immediatamente informazioni aggiornate ai clienti per soddisfare le loro esigenze. Affinché il personale possa fornire valore aggiunto dove la tecnologia non arriva, è necessario acquisire nuove conoscenze seguendo più corsi di formazione.
 “Gli ambienti di lavoro e gli spazi in cui viviamo diventeranno sempre più interconnessi – ha commentato  Minoru Usui, Presidente di Epson -. La tecnologia, inoltre, sta trasformando negozi, fabbriche, uffici, case, ospedali e scuole, ovvero i luoghi che determinano il corso della nostra vita. Come azienda, Epson promuove il cambiamento tecnologico sviluppando soluzioni in grado di aumentare l’efficienza e la produttività di collaboratori e dipendenti. Le tecnologie Epson, tra cui i dispositivi indossabili, i robot, le stampanti e le soluzioni di visual imaging, sono progettate per offrire nuove opportunità nel settore retail secondo una prospettiva futura”.

Smartphone batte pc 1 a 0. E il ROPO ci mette lo zampino

Smartphone, grande passione degli italiani. Anche e soprattutto nello shopping. A dirlo L’Osservatorio Tikato che ne ha misurato le performances su Piucodicisconto,  piattaforma leader in Italia nel settore della scontistica online.

L’esito dell’indagine? I numeri parlano chiaro: nel 2016 si è avuto il punto di svolta si è avuto. Se durante il 2015, infatti, gli accessi al sito erano ancora dominati dal personal computer (il 57,24% delle sessioni erano provenienti da desktop, solo il 33,75% da mobile e una quota del 9,01% da tablet), lo scorso anno le cose sono radicalmente cambiae.

In cima al podio, infatti, troviamo nel 2016 i dispositivi mobile, attraverso i quali viene effettuato il 46,55% delle sessioni; la visione via desktop è invece misurata nel 46,37% delle sessioni annuali; infine la quota tablet viene ancora più compressa, e totalizza solo il 7,08% delle sessioni.

«Il sorpasso dei dispositivi mobili è ormai un dato appurato – afferma Alberto Reghelin dell’Osservatorio Tikato, che analizza le tendenze degli acquisti sul web –. Dal punto di vista dei comportamenti diffusi, si può spiegare con il cosiddetto ROPO, acronimo inglese che sta per “Research offline, purchase online”. Il consumatore frequenta ancora il negozio fisico, vuole toccare con mano prodotti di elettronica e capi di abbigliamento, elementi spesso imprescindibili per la scelta. Ma poi, al momento di fare il passo successivo, l’acquisto, tende a rivolgersi al mercato online, dove va alla caccia dei prezzi più convenienti. Complice di questo comportamento è ovviamente lo smartphone, che consente di effettuare ricerche “in diretta”: mentre si osserva l’oggetto dal vivo del negozio, con gli occhi sul piccolo schermo digitale si scandaglia il web alla ricerca dell’offerta imperdibile».

Milano la città più “mobile” fin dal 2015

L’analisi degli accessi svela un dato interessante: Milano era una città “mobile” già nel 2015. Nella metropoli lombarda infatti le sessioni da smartphone superano in quell’anno quelle da desktop (l’8,86% degli accessi totali al sito contro il 6,92%), contrariamente a quanto accade a Roma (accessi desktop al 7,80% del totale, accessi da mobile al 6,93%) e a Napoli (2,85% da desktop, 1,87% da mobile). Il 2016 vede invece gli acquisti da smartphone affermarsi in tutte le tre città sul podio dello shopping online: Milano (mobile 9,32%, desktop 5,09%), Roma (mobile 9,15%, desktop 6,31%) e Napoli (mobile 2,50%, desktop 2,04%).

 

Crai aiuta lo sport sostenendo le società sportive

Si chiama CRAI aiuta lo Sport l’iniziativa appena partita nei punti vendita CRAI, storico gruppo della distribuzione moderna attivo in Italia da più di quarant’anni, e che si protrarrà per 14 settimane, fino al 10 giugnoDestinatari del progetto sono le famiglie dei giovani che praticano sport e le società sportive.

Le famiglie che fanno la spesa nei punti vendita CRAI raccoglieranno due bollini ogni 15 euro di spesa in un unico scontrino: un bollino che il cliente conserverà per sé e un bollino da consegnare all’associazione sportiva preferita. Il cliente, una volta completata la raccolta dei bollini, con l’aggiunta di un piccolo contributo finale, potrà ritirare uno degli esclusivi premi della collezione “Colazione da Campioni”: tazze mug, tazzine, caffettiere, zuccheriere, ciotole, toastapane, e il libro che lo chef stellato Davide Oldani ha dedicato agli sportivi: “D’O eat better: ricette per lo sport”. Le società sportive, dopo essersi registrate sul portale online dedicato www.ioamolosport.it, riceveranno la scheda raccolta punti da completare. Sempre online prenderanno visione del regolamento, richiederanno duplicati delle schede di raccolta, e soprattutto sceglieranno i premi: oltre 780 articoli tra materiale tecnico e abbigliamento sportivo, come tute da allenamento e uniformi da partita, palloni e borsoni, forniti dai noti marchi quali Errea, Gilbert, Mikasa e Okeo.

«Siamo davvero orgogliosi di questo progetto perché ci avvicina ancora di più alle comunità locali che quotidianamente rappresentiamo con i nostri negozi. – dice Mario La Viola, Direttore Marketing, Format, Rete e Sviluppo –. Praticare sport vuol dire fare squadra, fare squadra vuol dire essere come una famiglia e non c’è niente di più bello e forte che unirsi, insieme, apportando valore alle comunità attraverso un’iniziativa sociale concreta e piena di valori».

Il progetto, che si rivolge a consumatori e società sportive, raggiunge tantissimi giocatori grazie al supporto delle Federazioni coinvolte, le quali comunicheranno direttamente con le loro rappresentanze territoriali e le singole associazioni in tutti i comuni d’Italia. Ulteriore obiettivo: raggiungere un grande numero di clienti abituali dei punti vendita CRAI e di attrarre clienti nuovi.

CRAI aiuta lo Sport è parte di un progetto più ampio che CRAI da anni sta implementando in ambito sportivo: dalla sponsorizzazione delle Nazionali Maschile e femminile di Pallavolo, alle Finali Nazionali Giovanili di Pallavolo, alle partecipazioni a manifestazioni come “Giochi senza Barriere”, promossi da Art4sports.

Vino e Millennial: scelte d’acquisto e modelli di consumo

Vino e Millennials: si profilano nuove scelte d’acquisto e modelli di consumo.

È quanto emerge dalla ricerca di PwC “Il settore del vino in Italia e la generazione Y”, condotta tra 450 consumatori online italiani tra i 18 e i 34 anni.
 
“Per le aziende del settore – precisa Erika Andreetta, Retail Consulting Leader di PwC –  è oggi fondamentale capire chi sono i Millennial, come si muovono nelle diverse fasi del processo di acquisto, online e offline, come influenzarli e ingaggiarli utilizzando i loro codici comunicativi per proporre l’esperienza del vino in nuove forme e cosi fidelizzarli al brand”.
 
I numeri dei Millennial
In Italia il 32% delle clienti donna che consuma vino è della generazione Millennial, il 25% tra i consumatori uomini.  Il dato di consumo 2016 registra, rispetto al 2014, una crescita del +12% tra le Millennial donna e del +13% tra gli uomini.
 
In generale, i Millennial si rivelano poco fedeli ad un solo brand o uno specifico gusto; a guidarli nella scelta è  – in primis – il prezzo –  seguito da caratteristiche del prodotto come uvaggio (3°), annata (4°) e provenienza (5°), e fattori più “sociali” come l’occasione (2°) di consumo ed il packaging (6°).
 
Il canale e-commerce
La vendita di vino online registra su scala globale una forte crescita, sia in mercati già più avanzati nell’e-commerce come USA e Cina, sia in paesi meno maturi sotto tale profilo come l’Area Euro. I Millennial rappresentano il vero motore di questo trend: da un lato perché i loro consumi di vino sono maggiori rispetto alla Generazione X, dall’altro perché si avvalgono con più facilità dell’offerta online.
 
Sono significativi i dati della generazione Millennial in Cina, fortemente “wine-lover”. Il 26% dei Millennial cinesi comprano vino da consumare a casa attraverso il canale online e WeChat è la piattaforma più utilizzata del settore. Inoltre il 40% preferiscono scoprire le caratteristiche del prodotto consultando siti e blog.
 
A livello di scelte, il vino italiano è al 5°posto tra i paesi fornitori, con il 5% di quota di mercato contro il 44% della Francia. Il dato è tuttavia in crescita, confermato dal +32% a valore (+15% a volume) registrato nel 2016 dall’export di vini italiani in Cina rispetto al 2015. A questo contribuiscono i Millennial cinesi, che gradiscono il vino italiano, con il 14% dei consumi dietro soltanto ai francesi (30%). Inoltre, l’89% dei winelover cinesi frequenterebbe un corso per conoscere meglio i vini italiani.
 

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