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Bayernland inaugura un completo restyling del packaging

Bayernland, realtà tedesca, leader nel comparto del lattiero-caseario, inaugura il completo restyling del packaging, nell’ottica di consolidare il posizionamento nel mercato italiano.
L’azienda ha infatti coinvolto il team di grafici creativi dell’agenzia White Red & Green di Verona, per realizzare una soluzione del tutto nuova, essenziale e chiara nell’esplicitare le componenti del prodotto.
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Più di 80 prodotti coinvolti, e distribuiti dall’Alto Adige alla Sicilia: dai formaggi stagionati ai freschi, al latte, ai formaggi a fette, ai dessert, con una coerenza che conferisce unicità e forza al prodotto stesso. L’immagine che ne deriva è una grande dinamicità nello sviluppo della qualità, a garanzia del gusto e della salute del consumatore.
La prevalenza del bianco, come simbolo di purezza e trasparenza e igiene, trasferirà al cliente la freschezza e l’alta qualità del latte bavarese con cui la gamma dei prodotti deriva. L’immagine del prodotto ben visibile sul pack anticipa la freschezza del contenuto. Ad arricchire le nuove confezioni, le foto dei verdi prati bavaresi, garanzia di affidabilità dell’origine del latte. Ben visibile la mucca “coccolata” sul sofà, protagonista delle campagne di marketing e di spot televisivi.
La pratiche confezioni sono tutte richiudibili per mantenere inalterato il prodotto dopo l’apertura.
Ad accomunare il packaging di tutte le referenze, messaggi studiati per creare una comunicazione diretta con il consumatore, quali “il gusto della campagna, “squisito, fresco e cremoso”, “gusto delicato e tradizionale”, che si aggiungono a claim dirette come “senza conservanti”.
L’identificazione del prodotto a scaffale sarà in questo modo semplice e immediata e per il consumatore  sarà facile reperire con facilità le informazioni che cerca.

Indovina chi viene al supermercato, i 5 profili di chi acquista (infografica)

Dimmi chi sei e ti dirò che spesa farai. Già perché, volenti o nolenti, siamo tutti inquadrabili in grandi “tipologie” di comportamento, anche quando facciamo la spesa: per la precisione sono cinque i profili di chi entra in un supermercato individuato da ADM (Associazione della Distribuzione Moderna) e GfK
Sono cinque le figure emergenti in questo contesto: i cacciatori pari al 15% delle famiglie; i prudenti pari al 23% delle famiglie; i pragmatici pari al 21% delle famiglie; i brand fan pari al 23% delle famiglie e gli esperti pari al 18% delle famiglie.

I “cacciatori” (15%) sono orientati quasi esclusivamente al prezzo, scelgono il canale discount e quando frequentano gli altri punti vendita acquistano prevalentemente prodotti in promozione e i primi prezzi. Sono famiglie preoccupate per il futuro e difficilmente raggiungibili con messaggi diversi rispetto a quelli relativi alla convenienza.

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Un nucleo consistente di famiglie (il 44% del totale), costituite da “pragmatici” e “prudenti” ha un approccio alla spesa razionale e oculato, con un limitato coinvolgimento nell’acquisto, che avviene con alta frequenza e per un importo limitato. Persone adulte e pensionate, con limitate risorse culturali e livelli di reddito medio o basso, ancorate ai valori della famiglia, poco propense al cambiamento, sono Per lo più localizzati al Sud e sulle isole.

I “pragmatici” (21%) sono orientati al discount, ai piccoli supermercati ma anche ai negozi tradizionali, facendo della prossimità il loro fattore di scelta. Sono poco attratti dai brand, disinteressati alle novità e agli aspetti emozionali di prodotti e punti vendita; mostrano attenzione al prezzo e alle promozioni.

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I “prudenti” (23%) sono sempre in cerca di rassicurazioni e si affidano a fonti reputate competenti: gli amici, i negozianti, la pubblicità per le marche. Sempre propensi alla ricerca del miglior rapporto qualità/prezzo, definiscono un paniere di fiducia di riferimento stabile e reiterato nel quale sono presenti marche e follower, tra cui scegliere sulla base dell’offerta del momento.

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Un 40% di famiglie e costituito da “esperti” “brand fan”. Localizzate principalmente al Nord e al Centro, con elevate disponibilità culturali ed economiche che dimostrano un forte coinvolgimento nella spesa. Sono persone attive, dinamiche, informate e alla ricerca di innovazione, emozione e soddisfazione delle proprie esigenze.

I “brand fan” (23%) cercano il meglio, sempre, indipendentemente dal prezzo. Scelgono la grande marca (prodotti leader e premium), garanzia di qualità, fiducia e servizio; sono attratti da elementi sovrastrutturali ed emozionali, come il packaging, la pubblicità, il servizio.

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Gli “esperti” (18%), forti della propria competenza, scelgono con oculatezza, alla ricerca del reale valore dell’offerta, senza farsi attrarre dalla notorietà della marca, dalla comunicazione o dalla bella confezione. Frequentatori di ipermercati e supermercati, non hanno preclusioni verso i prodotti premium o la grande marca, che acquistano però solo se “ne vale la pena”.

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La Marca del Distributore si dimostra una scelta prioritaria tra gli “esperti” ed è ben presente negli acquisti di “brand fan” e “prudenti”. È una opzione razionale e consapevole (da parte degli “esperti”), con un chiaro posizionamento di marca a tutti gli effetti (“brand fan”) che è in grado di trasferire fiducia e rassicurazione (“prudenti”).

Spesa del futuro? Resta il risparmio, entra la personalizzazione

La ricerca di GfK traccia anche un quadro per individuare gli aspetti che guideranno la spesa in futuro: per la maggioranza delle persone (54%) prevarrà ancora la ricerca del risparmio economico, seguito dalla certezza di avere acquistato prodotti validi (42%). A seguire l’assortimento e la libertà di scelta (35%), la fiducia nel punto vendita (32%), il risparmio di tempo e la personalizzazione (entrambi 25%), cioè la possibilità di avere un’offerta tagliata sulle proprie esigenze.

Casa connessa pronta a decollare, arrivano gli assistenti vocali, c’è spazio per retailer “smart”

Cresce impetuosamente il business della casa connessa in Italia, con un giro d’affari che nel 2016 è stato di 185 milioni, in crescita del 23% rispetto al 2015. Ma il vero boom deve ancora arrivare, perché la Smart Home si propone come fulcro dell’Iot, l’Internet delle cose, capace di interessare molti settori chiave del made in Italy. E anche il pubblico mostra molto interesse per la casa connessa, ma attende soluzioni più mature e con una maggiore garanzia di sicurezza e di privacy. Sono i risultati della ricerca Smart Home dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano.

Ma in che cosa consiste la casa connessa? Delle oltre 290 soluzioni censite in Italia e all’estero, il 31% è dedicato alla sicurezza – videocamere di sorveglianza, serrature, videocitofoni connessi e sensori di movimento – mentre altri àmbiti di applicazione sono il controllo remoto degli elettrodomestici (10%), la gestione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento (8%), il monitoraggio dei consumi dei dispositivi elettrici (10%) e la gestione energetica. Ma l’offerta di prodotti per la Smart Home è in continuo divenire. Il 52% delle soluzioni oggi è offerto da startup, che spesso sviluppano proposte complementari a quelle dei brand affermati. Ma in questi mesi si stanno affacciando sul mercato italiano anche i grandi operatori con hub dotati di assistente vocale per dialogare con gli oggetti connessi (Google Home, Amazon Echo): l’ingresso dei grandi marchi spingerà certamente lo sviluppo della casa connessa, renderà più facile l’interoperabilità tra i vari oggetti (che resta ancora una grande barriera) e sarà fondamentale per aumentare la fiducia dei consumatori.

 

Spazio per “nuovi” canali, anche nel retail

Se l’82% del mercato è ancora legato alla filiera tradizionale, composta da installatori e distributori di materiale elettrico, cresce la quota dei “nuovi” canali come retailer, e-Retailer e assicurazioni che insieme rappresentano il 18% con un giro di affari di circa 30 milioni di euro. In particolare però i retailer si scontrano con alcune difficoltà oggettive come una comunicazione poco incisiva e dettagliata dei prodotti smart, in particolare nei volantini, e un personale ancora poco preparato. Oggi in Italia anche sei compagnie di assicurazione propongono polizze casa legate alla presenza di oggetti connessi ma il mercato appare ancora embrionale e poco dinamico. Va detto che se il 68% delle soluzioni sul mercato è do-it-yourself, con un processo di installazione semplificato, sono ancora pochi gli utenti in grado di fare a meno del tecnico: il 70% di chi ha acquistato prodotti connessi si è rivolto a installatori (come idraulici o elettricisti) o piccoli rivenditori.

Il 31% invece ha comprato online e il 30% nelle catene di bricolage o elettronica. Proprio i negozi di elettronica spiccano come canali emergenti: metà dei consumatori intende acquistare oggetti smart in futuro direttamente in questi negozi.

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«L’Internet of Things sta iniziando a entrare nelle case degli italiani, ma quello a cui stiamo assistendo è solo l’inizio di un percorso di crescita dal grande potenziale – dice Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things -. Verso la casa connessa infatti oggi si muovono grandi player globali, startup, retailer, produttori, assicurazioni, utility e operatori delle telecomunicazioni. Per aprire davvero la porta all’innovazione è fondamentale offrire nuovi servizi ai consumatori: quelli più elementari come l’installazione, ancora indispensabile per una fetta importante della popolazione, e quelli evoluti che possano convincere gli utenti ancora scettici sul valore di una casa connessa».

 

I Big Data fanno paura

Un tema senz’altro cruciale è quello della privacy  del trattamento dei dati personali. «Le applicazioni Smart Home consentono di raccogliere moltissimi dati sul funzionamento dei dispositivi connessi e sul comportamento delle persone nell’abitazione: questo sarà uno degli aspetti cruciali per lo sviluppo del mercato, anche se le strategie per la valorizzazione dei dati sono ancora poco definite dalle aziende – aggiunge Giulio Salvadori, Ricercatore dell’Osservatorio Internet of Things -. Ed è fondamentale prestare molta attenzione alla tutela della privacy e della sicurezza, perché i consumatori sono tendenzialmente restii a condividere i propri dati, a meno di ricevere in cambio vantaggi concreti».

Eppure i consumatori stessi manifestano un certo interesse per la domotica. Secondo un’indagine commissionata a Doxa dall’Osservatorio Internet of Things, il 26% dei consumatori italiani dispone di almeno un oggetto intelligente e connesso nella propria abitazione e il 58% ha intenzione di acquistarli in futuro. Ma gli italiani tra i 25 e i 70 anni non ritengono ancora sufficientemente pronta l’offerta Smart Home: chi non dispone già di oggetti connessi nella sua abitazione nel 50% dei casi è “in attesa di soluzioni tecnologicamente più mature” per acquistarli. E c’è scarsa fiducia sulla possibilità che i dati personali siano protetti da eventuali attacchi da parte di hacker: il 67% dei potenziali acquirenti è preoccupato per i rischi di accesso o controllo degli oggetti connessi da parte di malintenzionati. La sicurezza si conferma al primo posto anche tra le preferenze dei consumatori che hanno già acquistato prodotti (13%), seguita da climatizzazione (8%), riscaldamento (8%) e gestione degli elettrodomestici da remoto (6%).

Il problema maggiore di questo mercato in crescita appare al momento è la frammentazione delle soluzioni e delle tecnologie per la Smart Home. Ma il fenomeno è in contrazione: “Le aziende – spiega Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things – si alleano tra di loro, si consolidano alleanze e consorzi grazie ai quali oggi è possibile integrare i servizi a livello cloud con un’interfaccia unica verso gli utenti, ad esempio lo smartphone o un assistente vocale per la casa”.

Fiducia, per Nielsen italiani avanti pianissimo, ma uno su 5 è pronto agli acquisti

Cresce piano la fiducia degli italiani, con l’indice che, secondo la Global Consumer Confidence Survey di Nielsen effettuata a livello mondiale su un campione di 30mila individui in 63 nazioni, nel nostro Paese si colloca nel quarto trimestre 2016 a quota 58. Un dato molto inferiore alla media europea (81, con davanti a tutti la Germania, 101), ma comunque in aumento di un punto rispetto al trimestre precedente: un dato inferiore al 61 registrato un anno prima ma molto al di sopra rispetto alla soglia minima dei 39 punti del quarto trimestre 2012, e comunque tra i valori più alti dal 2010.

Insomma, un segnale tutto sommato positivo che si riflette anche sulla propensione al consumo. Un italiano su cinque (19%) dichiara che quello presente è il momento giusto per fare acquisti, sulla base di una valutazione positiva dello stato della propria situazione finanziaria. Il 25% è infatti convinto che quest’ultima migliorerà entro dodici mesi. Questo risultato si configura sensibilmente in crescita sia su base tendenziale (+2 punti) che congiunturale (+6 punti). Dall’altra parte c’è però chi pensa che il risparmio resti la migliore collocazione del denaro dopo le spese essenziali (39%), in calo di tre punti rispetto allo scorso anno (42%) ma in linea con il terzo trimestre 2016. Il 32% degli italiani dichiara anche che ha intenzione di spendere per le vacanze (due punti in più del quarto trimestre 2015), il 31% per l’abbigliamento (un punto più del 2015), il 25% per l’intrattenimento fuori casa (due punti più dell’anno precedente).

 

Un italiano su due ha cambiato i consumi per risparmiare

Sempre restando ai consumi, l’indagine Nielsen registra che il 52% degli italiani ha modificato le proprie abitudini di spesa per poter risparmiare, molto meno rispetto al 72% dello stesso periodo del 2015. Tra le azioni intraprese dagli intervistati per ridurre le spese nel budget familiare, lo studio di Nielsen evidenzia la decisione di ridurre i pasti take-away (62%, tre punti in più rispetto al dato di fine 2015), l’acquisto di nuovi capi di abbigliamento (57%) e l’intrattenimento fuori casa (53%). Al contempo, nel settore food, si cerca di scegliere i brand più economici all’interno dei supermercati (51%), di spendere meno per vacanze/weekend fuori porta (40%) e limitare i consumi di gas ed elettricità (37%).

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«Dall’ultima edizione della Survey di Nielsen sull’indice di fiducia dei consumatori, a livello globale e italiano – commenta l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – emergono segnali, seppure non eclatanti, tuttavia evidenti, di inversione del ciclo congiunturale. L’indice di fiducia tiene, anzi è in lieve crescita, la propensione ai consumi si configura in aumento, la tendenza al risparmio, seppure ancora consistente, ha imboccato la via del decremento. Un italiano su quattro ritiene che la propria posizione economica sia in miglioramento. Tali indicazioni, che vengono evidenziate nello studio, si possono leggere anche dal punto di vista dell’economia reale. Ci riferiamo, per esempio all’incremento dell’e-commerce, al rialzo delle vendite dei prodotti premium, al miglioramento, seppure timido, del mercato del lavoro, all’aumento costante delle immatricolazioni di nuovi veicoli, all’inversione dell’indice dei prezzi non più in contesto deflattivo. La sfida che quindi ci si pone è quella di investire in tutte quelle risposte che siano all’altezza delle attese del consumatore. Colpire i sensi, imprimere nei ricordi le offerte, offrire la possibilità di interagire costituiscono i passi per incrementare l’esperienza di valore che viene richiesta oggi da chi si accinge a perfezionare l’acquisto. La moltiplicazione dei touchpoint risulta un elemento fondamentale nel rapporto domanda/offerta. In sintesi – ha concluso l’amministratore delegato di Nielsen Italia – crediamo che sostenere la ripresa della domanda sia il primo compito che dobbiamo affrontare all’interno del presente quadro congiunturale, senza farci scappare l’occasione fornita da uno scenario socio-economico in lenta ma costante risalita».

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All’interno della Survey, il dato italiano della fiducia dei consumatori viene raffrontato con quello della media europea, che raggiunge un valore sensibilmente più alto (81 punti vs 58), trainato dalle performance di Germania (101) e Regno Unito che, nonostante la Brexit, detiene il primato nel Vecchio Continente (102). Germania e Regno Unito sono rispettivamente in crescita di 3 punti e 1 punto rispetto al quarto trimestre 2015. Rimane alto il gap che ci divide anche dalla Francia (66 punti) e dalla Spagna (86) e l’unico Paese con un livello di fiducia più basso del nostro resta la Grecia (53).

Mercati contadini, agli italiani piacciono: cosa possono insegnare alla Gdo?

È boom dei mercati contadini in Italia, con un aumento del 55% dei consumi negli ultimi cinque anni, in controtendenza con il calo dei consumi alimentari generato dalla crisi. Un mercato che non rappresenta una vera alternativa alla spesa nella Gdo, ma che piuttosto viene vissuta come un’esperienza “militante” ma estemporanea, e che pure rappresenta un modello di cui la grande distribuzione deve tener conto.

I dati arrivano dall’indagine su dati Ipr presentata a Roma al Parco della Musica in occasione dell’apertura del mercato degli agricoltori Campagna Amica, di recente “sfrattato” dalla ormai tradizionale sede del Circo Massimo (con coda polemica e petizione con 50mila firme raccolte su change.org per il ritorno): ebbene, oltre 4 italiani su 10 (il 43%) nel 2016 hanno fatto la spesa dal contadino nei cosiddetti mercati degli agricoltori con un aumento record del 55% negli ultimi 5 anni.

 

Più “green” e sicuri, vari e “social” della Gdo

Dal dopoguerra non era mai successo che tanti italiani si rivolgessero direttamente agli agricoltori. Merito, sottolinea Coldiretti, della maggiore attenzione al benessere e alla salute, alla sostenibilità ambientale e in parte anche alla voglia di difendere e valorizzare l’economia e l’occupazione del proprio territorio. L’83% degli italiani considera l’acquisto di prodotti alimentari direttamente nei mercati degli agricoltori sicuro, con una percentuale che è superiore del 23% rispetto ai supermercati e del 15% rispetto al dettaglio tradizionale. Non è un caso che l’81% degli italiani se fosse libero di scegliere preferirebbe comperare la frutta direttamente dagli agricoltori e l’88% degli italiani vorrebbe avere un mercato vicino a casa per avere più possibilità di scelta ed acquisto.

I mercati degli agricoltori vengono scelti per trovare prodotti locali del territorio, cosiddetti a chilometri zero, messi in vendita direttamente dall’agricoltore nel rispetto della stagionalità dei prodotti in alternativa ai cibi che devono percorrere lunghe distanze con le emissioni in atmosfera dovute alla combustione di benzina e gasolio. Gli effetti positivi per i consumatori si fanno sentire anche sugli sprechi che vengono ridotti per la maggiore freschezza della frutta e verdura in vendita, che dura anche una settimana in più, non dovendo rimanere per tanto tempo in viaggio. Oltre a ciò, nei mercati dei contadini è possibile trovare specialità del passato a rischio di estinzione che sono state salvate grazie all’importante azione di recupero degli agricoltori e che non trovano spazi nei normali canali di vendita, dove prevalgono rigidi criteri dettati dalla necessità di standardizzazione e di grandi quantità offerte. I mercati si sono in realtà trasformati nel tempo da luoghi di commercio a momenti di aggregazione, svago e socializzazione. L’Italia vanta la leadership mondiale nei mercati contadini davanti agli Usa e Francia grazie anche alla rete di Campagna Amica alla quale vanno riferimento oggi circa 20mila agricoltori e che è composta da 9.030 fattorie, 1.135 mercati, e 171 botteghe, cui si aggiungono 485 ristoranti, 211 orti urbani e 34 punti di street food, dove arrivano prodotti coltivati su circa 200mila ettari di terreno.

 

Dal mercato allo scaffale…

Un fenomeno che la Grande distribuzione non può ignorare. Per questo sempre più spesso ipermercati e supermercati propongono sugli scaffali prodotti bio e a chilometro zero o comunque regionali, con linee dedicate di prodotti nazionali “private label”, oppure corner in cui i contadini del territorio propongono i loro prodotti, o con degustazioni degli stessi. E sempre più spesso i punti vendita della grande distribuzione sono concepiti con soluzioni architettoniche e tecnologiche che ne abbassano l’impatto sull’ambiente e sul clima. Non solo: le grandi catene stanno sperimentando tecniche per cambiare l’esperienza di acquisto in un ipermercato rendendola sempre più personale e soddisfacente. Anche il contadino ha molto da insegnare.

Dura la spesa da single, costa il 44% in più

Archiviati cuori, fiori e cioccolatini di San Valentino sorge spontanea la domanda: ma i single? Tanto per cominciare sono un esercito di otto milioni in Italia, per lo più ignorato da retailer e Gdo. O quanto meno così sembra se si considera che, secondo un’indagine della Coldiretti su dati Istat, la spesa media per alimentari e bevande di un single è di 277 euro al mese, il 44% superiore a quella media di ogni componente di una famiglia tipo di 2,3 persone che è di 192 euro.

Insomma c’è proprio poco da festeggiare per i sempre più numerosi single italiani che per vivere da soli devono affrontare un costo della vita superiore in media del 64%. Ad incidere di più sono la casa e l’affitto, ma la spesa non è da meno: complici spesso i formati delle confezioni, family friendly magari, ma sicuramente non amici delle persone che vivono (e mangiano) da sole e che portano spesso i single di acquistare più cibo del necessario. E quando la confezione è piccola, gioco forza risulta molto più cari di quelle tradizionali. 

Un problema non da poco nel nostro Paese dato che, secondo l’Annuario 2016 dell’Istat, i single non vedovi sono più che raddoppiati in vent’anni e possono ora contare su un esercito di 4,8 milioni di persone, ma a questo vanno aggiunti anche vedovi e divorziati che non si sono risposati, celibi e nubili che non vivono nella famiglia di origine, monogenitori con figli, tanto che il numero delle persone sole in Italia sfiora gli 8 milioni, con le famiglie composte da un solo membro che sono quasi un terzo del totale. Ci sarebbe da tenerne conto, perché purtroppo spesso l’offerta sugli scaffali non rispecchia la reale composizione della clientela, sempre più single e anziana ad esempio.

Certo non è solo la spesa il problema, e per chi vive da solo i costi lievitano in ogni aspetto della vita: più del doppio (100%) per l’abitazione rispetto alla media per persona di una famiglia tipo, perché gli appartamenti e le case più piccole hanno prezzi più elevati al metro quadro sia in caso di acquisto sia di affitto. Ma anche usare l’automobile da soli costa di più come pure riscaldare un appartamento. 

La scelta di non stare in coppia non è peraltro sempre volontaria ma è anche determinata dall’invecchiamento della popolazione con un maggior numero di anziani rimasti in casa da soli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Non è un caso che ben il 6,2% delle persone che vivono da sole sopra i 65 anni si trova in una situazione di povertà.

Il lungo viaggio della Gdo verso l’esperienza mobile

Il 60% degli utenti naviga da smartphone, il mobile advertising aumenta del 53% in un anno, le applicazioni si moltiplicano, dalle app che monitorano la salute all’auto connessa al supermercato senza cassa di Amazon, sono oltre 830 le start-up finanziate in questo ambito a livello internazionale negli ultimi due anni ma solo il 14% delle aziende italiane ha una visione strategica sul canale mobile. Gli ostacoli sono sia tecnologici sia di ordine culturale e organizzativo secondo Marta Valsecchi che presenta le evidenze emerse dal nuovo Osservatorio Mobile B2c Strategy della School of Management del Politecnico di Milano
L’80% dei navigatori internet Mobile utilizza lo Smartphone per prendere decisioni d’acquisto o relazionarsi con i propri marchi preferiti. Il 34% lo usa anche per finalizzare la transazione. È alta la percentuale dei Mobile Surfer che non disattivano mai la connettività dei propri Smartphone: oltre due terzi (68%) ha il wi-fi sempre attivo, mentre la percentuale scende a poco più di un terzo (37%) per la geo-localizzazione e al 19% per il bluetooth.
Per quanto riguarda la tipologia di App di brand scaricate sugli Smartphone: il 72% ha installato almeno un’App di un gestore di telefonia, il 61% di una banca (valutate come le qualitativamente migliori), il 39% di un’insegna della Gdo, il 29% di un gestore utility e il 23% di un brand dell’abbigliamento. Rispetto ad altri settori è leggermente più basso il voto che gli utenti danno alle app della grande distribuzione, che sono usata in media 1,8 volte al mese: il 31% le giudica molto negativamente e il 36% pensa sia inutile. Fondamentale dunque è trovare i servizi e i contenuti che possano risultare utili ai consumatori.
Infatti, ben il 57% dei Mobile Surfer negli ultimi tre mesi ha abbandonato un sito/App perché non funzionava o non era sufficientemente veloce. Oltre all’usabilità, un tema caldo è quello della privacy: la sensazione che le aziende monitorino le ricerche personali è molto forte per tutte le fasce di età, mentre il consenso al tracciamento per ottenere offerte e messaggi mirati genera sensazioni ambivalenti, a metà tra il fastidio per l’intrusione e l’utilità percepita per possibili vantaggi che ne deriverebbero.

Fiducia e consumatori italiani ed europei: le stime di GFK

Fiducia e consumatori, qual è in merito il quadro europeo?

Ahimè, si configura, ante litteram, un’Europa a due velocità: da una parte la maggior parte dei Paesi decisamente ottimisti (a dicembre l’indice di fiducia rilevato da GfK è passato da 5,6 a 17,9 punti. Un record dal 2008!), dall’altra la nostra Italia, con un  clima di fiducia in ribasso (anche se la propensione all’acquisto e le aspettative di reddito permangono in area positiva).schermata-2017-02-09-a-14-46-50

Di fatto sembra che i temi caldi dell’ultima parte del 2016 (la guerra in Siria, il terrorismo in Europa, le elezioni presidenziali americane e la continua crescita di movimenti e partiti nazionalisti in quasi tutti i Paesi europei) non siano riusciti a minare la fiducia degli europei nè le loro aspettative economiche e di reddito.

Il Belpaese

Lo scenario cambia in Italia dove continua il trend negativo per le aspettative economiche degli italiani, che ha caratterizzato la maggior parte del 2016.A novembre 2016, con -41,6 punti, l’indicatore GfK per l’Italia ha raggiunto il livello più basso dal 2013 (ripresa minima, a -38,2 punti a dicembre). La portata di questo radicato pessimismo nei confronti del futuro è particolarmente evidente se si confrontano i dati di dicembre 2016 con quelli di dicembre 2015, quando l’indicatore delle aspettative economiche si attestava a -1,4 punti, 37 in più di quelli attuali.schermata-2017-02-09-a-14-49-07

Per fortuna che…
Qualche sprazzo di positività, tuttavia, permane: nel quarto trimestre del 2016 si sono registrati dati positivi per quanto riguarda le aspettative di reddito degli italiani.

schermata-2017-02-09-a-14-51-57Il relativo indicatore è infatti passato dai -10 punti di settembre ai 3,2 di dicembre (+13,2 punti), rientrando finalmente in area positiva. A dispetto delle previsioni pessimistiche sulla crescita economica, i consumatori italiani sembrano credere che i loro redditi rimarranno stabili. Ciò potrebbe essere dovuto all’andamento del tasso di disoccupazione in Italia, rimasto costante all’11,6% durante tutto il 2016.
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E non basta: dopo una leggera decrescita nel mese di settembre, il desiderio di spesa degli italiani ha avuto un leggero recupero nel quarto trimestre dell’anno. Nel complesso, la propensione all’acquisto è aumentata di 4,8 punti, raggiungendo a dicembre gli 11,6 punti. Non è male, certo.

Però non dobbiamo sottovalutare che si tratta comunque di 13 punti in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Cittadini contro il glifosato: sarà il prossimo olio di palma?

Un milione di firme: è l’obiettivo che si pone l’iniziativa dei cittadini europei (ICE) per chiedere alla Commissione Europea il bando totale dell’uso del glifosato, l’erbicida più venduto al mondo, accusato di causare problemi per la salute e l’ambiente.

Con eventi in diverse città europee, tra cui Roma, Bruxelles, Parigi, Berlino e Madrid, una coalizione di organizzazioni della società civile ha lanciato l’Iniziativa, che invita la Commissione a proporre obiettivi ambiziosi per ridurre l’uso di pesticidi e consente ai cittadini europei di partecipare direttamente al processo decisionale politico. Una volta raggiunto un milione di firme, la Commissione dovrà adottare una risposta formale per illustrare le eventuali azioni che intende proporre a seguito dell’iniziativa dei cittadini.

L’ICE è sostenuta da decine di organizzazioni in 15 paesi, tra cui Greenpeace, la coalizione StopGlifosato, il Pesticide Action Network, la Health and Environment Alliance, Corporate Europe Observatory e WeMove.EU. Le associazioni di tutela dell’ambiente e della salute chiedono alla Commissione europea, non solo di vietare il glifosato, ma anche di riformare il processo di approvazione dei pesticidi e fissare obiettivi vincolanti per ridurre l’uso dei pesticidi in Europa.

«Quest’anno abbiamo finalmente l’opportunità di togliere il glifosato dai nostri campi e dai nostri piatti. Sono sempre di più i corsi d’acqua in Italia e in Europa contaminati con questo diserbante, classificato come “probabile cancerogeno” dallo Iarc, l’International Agency for Research on Cancer. Si trovano tracce nel cibo, nelle bevande e persino nelle urine. Il messaggio alla Commissione Ue e ai Paesi membri è chiaro: l’interesse e la salute delle persone devono venire prima dei profitti delle aziende agrochimiche» ha spiegato Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia.

Le firme necessarie per l’Iniziativa dei cittadini devono essere raccolte in un anno e in almeno sette Paesi dell’Ue. Per partecipare si può firmare la ICE #StopGlifosato su www.greenpeace.org/STOPGlyphosate e www.stopglyphosate.org

I “vegetali storti” di Asda votati prodotto dell’anno in Uk

Segno dei tempi, quest’anno tra i tipici prodotti confezionati, pizze in scatola e biscotti Oreo, detersivi monodose e salsicce gourmet, i consumatori britannici hanno votato come prodotto dell’anno le cassette di “Vegetali storti” (wonky in inglese o brutti, come li chiamano i francesi, noi diciamo brutti ma buoni) che da un anno Asda, insegna britannica, propone, al 30% in meno con frutta e verdura di stagione buona ma “poco presentabile”, ovvero fuori standard perché troppo piccola, bitorzoluta o, appunto, storta.

Da gennaio 2016, Asda ha venduto 120mila scatole di vegetali “fuori forma”, ovvero 10mila la mese,  “salvando” dalla discarica 600 tonnellate di ortofrutta.

Spiega Ian Harrison, direttore tecnico della produzione Asda: «Siamo fieri di essere stati dei pionieri nella rivoluzione dei vegetali brutti e la vittoria come prodotto dell’anno lo testimonia, soprattutto perché è votata dai consumatori. La risposta del pubblico alle nostre scatole di vegetali brutti è stata incredibile. La lotta allo spreco è una priorità per noi e abbiamo lavorato con i nostri fornitori e rivisto le specifiche in modo che finisca sugli scaffali la maggior quantità di prodotto possibile. Il feedback dei nostri clienti da quando vendiamo le scatole è prezioso, soprattutto quando ci sono problemi di approvvigionamento come in questo momento [le condizioni meteo avverse hanno causato grossi problemi nei supermercati inglesi con tagli delle consegne specie dalla Spagna, tanto che insegne come Tesco e Asda hanno messo un “tetto” all’acquisto da parte di una singola persona di melanzane, zucchine e peperoni, ad esempio non è possibile comperare più di tre insalate iceberg, ndr]. Le nostre specifiche flessibili consentono ai nostri fornitori di vendere i loro prodotti e mantenere la disponibilità per i nostri clienti senza compromettere la qualità».

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