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Personale, ma non troppo: il 28% degli italiani accetta di condividere dati con i brand

Personale, ma non troppo: sempre più consumatori oggi sono disposti a derogare alla propria privacy, condividendo i propri dati personali con brand e retailer.

A patto, però, di ricevere qualcosa in cambio: servizi, promozioni o un’esperienza di acquisto più rapida e personalizzata.
Secondo un’indagine internazionale di GfK – che ha coinvolto oltre 22.000 persone di 17 paesi – circa un quarto degli intervistati (27%) si è dichiarato d’accordo con la possibilità di condividere i propri dati personali in cambio di servizi e vantaggi. Mentre il 19% delle persone ha dichiarato di essere totalmente in disaccordo con questa idea.gfk_condivisione-dati-personali_tot_infografica

In Italia
Le risposte degli italiani si collocano leggermente al di sopra della media internazionale: il 28% degli intervistati ha infatti dichiarato di essere disposto a comunicare i propri dati in cambio di benefici di qualche sorta.

Se in merito la differenza tra i due sessi è pressochè nulla, la situazione cambia invece in rapporto all’età degli intervistati: emerge infatt chiaramente come i più favorevoli alla condivisione dei dati siano i trentenni (32%), seguiti dalle fasce d’età 20-29 anni (31%) e 40-49 anni (30%). Molto refrattari  sono gli over 60 con il 24%, ma (sorprendentemente) i più ostili sono i più giovani compresi nella fascia d’età 15-19 anni: ben il 31% degli intervistati, infatti, si dichiara fortemente in disaccordo.

L’indagine a livello internazionale

La Cina conta la percentuale più alta di persone disposte a condividere i propri dati personali in cambio di benefici: ben il 38% degli intervistati ha dichiarato di essere sicuramente disposta a farlo. Altri paesi dove la percentuale di persone favorevoli è più alta della media sono il Messico (30%), la Russia (29%) e appunto l’Italia (28%).

I cinque paesi con le percentuali più alte di persone fermamente contrarie alla possibilità di condividere i propri dati sono Germania (40%), Francia (37%), Brasile (34%), Canada (31%) e Paesi Bassi (30%).

L’età dell’intervistato sembra influenzare la facilità con cui si accetta di condividere i dati personali. Ventenni e trentenni sono in assoluto i più propensi a comunicare i propri dati: nella fascia 30-39 anni i favorevoli sono il 34%, mentre nella fascia 20-29 anni sono il 33%. A differenza di quanto succede in Italia, a livello internazionale gli adolescenti (15-19 anni) sono abbastanza favorevoli (28%) rispetto a questa opportunità.gfk_condivisione-dati-personali_paesi_infografica

Anche a livello internazionale non emergono  grandi differenze tra uomini e donne su questo tema: entrambi i generi si attestano al 27% di persone favorevoli. Tra le donne è però più alta la percentuale di chi si dichiara fortemente in disaccordo con la possibilità di condividere i propri dati in cambio di un vantaggio (21%, contro il 18% degli uomini).

Quattro minuti per gli occhiali, 4 giorni per un divano: i tempi dell’e-commerce (Infografica)

Praticità e risparmio di tempo sono da sempre i motivi che hanno decretato il successo dell-e-commerce. Ma quanto tempo realmente impieghiamo per acquistare un prodotto sul web? Ce lo dice una ricerca effettuata da Shopalike, portale di shopping attivo dal 2009 in 12 paesi d’Europa: Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Norvegia, Polonia, Svezia e Slovacchia. Già perché oltre al prodotto, il tempo d’acquisto varia anche da Paese a Paese.

infograficaSi scopre così che, se la maggior parte degli acquisti avviene entro le 48 ore, l’abbigliamento, tranne una semplice t-shirt, si trova al centro, richiedono più tempo alcuni importanti complementi d’arredo come divani, mentre accessori e giocattoli solo nella prima sezione della timeline.

Come è il comportamento di acquisto in Italia? Per quanto riguarda le macro-categorie, per abbigliamento e accessori in Italia occorrono circa 60 minuti, così come per le borse. Meno di un’ora (52 minuti) per gioielli e bigiotteria. Nel Belpaese poi si è particolarmente veloci a comprare accessori di cucina (non a caso siamo i più bravi al mondo in quanto a cibo, o così crediamo), con solo 18 minuti, e accessori per gli amici a quattro zampe, con 11 minuti. Più tempo invece per gli orologi, e tutto ciò che è legato allo sport. La categoria che richiede più tempo in assoluto è quella dell’arredamento, dovuto probabilmente ad una spesa media maggiore. Per quanto riguarda i singoli prodotti, nella ricerca è emerso, ad esempio, che per un vestito ci vogliono 30 minuti. Più di un altro prodotto amato dal pubblico femminile, il profumo, con 13 minuti – ma molto meno di un accessorio come gli orecchini. Per questi ultimi infatti c’è bisogno di 17 ore. Il prodotto più amato sembrano essere gli occhiali da sole, con solo 8 minuti. La decisione più ardua è per il tavolo, ben 83 ore.

La differenza nel tempo d’acquisto nei diversi paesi

Se nella maggior parte dei paesi per compare abbigliamento ci vuole all’incirca un’ora, in Francia se ne impiegano fino a 4 – il tempo più lungo per questa categoria. All’opposto, la Slovacchia è il paese più veloce a comprare vestiti, con meno di 20 minuti dal momento in cui il prodotto è visto per la prima volta fino alla decisione finale. Simile situazione per un’altra importante categoria nell’e-commerce, calzature. La media è di 68 minuti in Europa, ma con un massimo – simile al precedente – di 4 ore per la Francia e invece di soli 10 minuti per la Norvegia. Per l’arredamento, la maggior parte degli utenti finalizza l’acquisto entro un’ora, tranne per Italia e Francia.

La ricerca è stata effettuata da Shopalike nel 2016, basata sugli acquisti di 12 paesi lungo l’arco di 18 mesi. Lo studio prende in esame 160 categorie principali, dall’arredamento ai giocattoli, con più di 2000 stili, grazie ad un database di più di 100 milioni di prodotti

L’infografica mostra ore e minuti di cui un utente medio Europeo ha bisogno per finalizzare l’acquisto di alcuni dei prodotti più comuni.

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Nielsen, gli italiani abbracciano l’e-commerce: cosa acquistano online e cosa offline

L’87% degli italiani abituati a navigare in internet dichiara di fare acquisti online. Lo dice la Global Survey di Nielsen Connected Commerce effettuata su un campione di 30mila persone di 63 Paesi tra cui l’Italia. Non scompare però il negozio fisico, il cui ruolo resta decisivo soprattutto per alcune merci come gli alimentari freschi, per i quali il 38% degli italiani afferma che le visite “in store” risultano indispensabili per la formulazione della decisione di acquisto.

Secondo la Survey i prodotti maggiormente acquistati online sono beni durevoli o di svago: i viaggi (acquistati via web dal 47% degli italiani), e a pari merito libri e supporti musicali. Seguono gli articoli di moda e gli accessori (40%), biglietti per concerti, mostre ed eventi sportivi (35%), elettronica di consumo (34%) e informatica (28%). Resta marginale la quota di coloro che si avvicinano online agli alimentari freschi (frutta, verdura, carne) che vengono acquistati sul web solo dal 6% del campione, mentre più alto è il dato per vIno e bevande alcoliche (11%) e per i prodotti alimentari confezionati (12%). Gli italiani sembrano poi diffidare dell’utilizzo dell’eCommerce per la ristorazione a domicilio (7% contro una media UE del 19%).

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Quanto alla soddisfazione per gli acquisti fatti online, essa sembra variare molto a seconda della tipologia dei prodotti. Se è molto alta per i viaggi (71%) e per i biglietti per eventi (60%) e intermedia per libri e musica (48%), crolla per altre merci: addirittura il 41% degli acquirenti di abbigliamento e di arredamento dichiara che ha intenzione per il prossimo acquisto di tornare nello store fisico.

 

Online si vuole garanzia di rimborso

Tra gli strumenti di marketing che maggiormente contribuiscono allo sviluppo dell’eCommerce. Ad esempio molto convincente è la garanzia di rimborso nel caso di consegne non corrispondenti all’ordine, il 36% degli italiani la trova decisiva per la sua scelta, mentre il 32% sottolinea l’importanza del servizio di sostituzione in giornata e il 29% ritiene essenziale la pianificazione precisa delle consegne. Per i prodotti alimentari freschi, il 32% del campione richiede la garanzia di rimborso abbinata al rimpiazzo gratuito del prodotto alla spesa successiva, nel caso in cui il medesimo non soddisfi le aspettative del consumatore, mentre il 30% è orientato al solo rimborso. La completezza e la chiarezza delle informazioni riportate in etichetta costituiscono un fattore fondamentale nell’acquisto online per il 27% del campione, mentre il 25% evidenzia l’importanza di conoscere per quanto tempo saranno freschi i prodotti dopo la consegna.

 

Strumenti digitali nel pdv, touchpoint tradizionali

Ma strumenti digitali sono messi a disposizione anche dai negozi fisici. Lo studio ci dice che il 24% degli italiani utilizza casse self service all’interno dei supermercati, il 13% scanner per evitare le code, l’11% ordina i prodotti online con consegna a domicilio, il 10% ricorre a buoni sconto o coupon digitali. E il 69% del campione dichiara che utilizzerebbe il QR code dal cellulare qualora si rendesse disponibile tale modalità di accesso alle informazioni sui prodotti, il 68% utilizzerebbe scaffali virtuali per ordinare i prodotti tramite smartphone, il 66% scaricherebbe l’app dello store per ricevere offerte all’interno del negozio.

Infine è interessante notare come gli strumenti più efficaci nell’influenzare la decisione di acquisto dei consumatori italiani siano ancora i touchpoint tradizionali e le visite ai negozi fisici, soprattutto quando parliamo di beni di largo consumo. Gli alimenti freschi e i prodotti di bellezza e personal care fanno registrare rispettivamente il 38% e 31% degli shopper online che dichiarano di recarsi anche nello store fisico per acquisire informazioni aggiuntive. Lo stesso dato viene rilevato anche per il settore moda e per l’elettronica di consumo. Ulteriori touchpoint, o fonti informative, che vengono utilizzate per confortare l’acquisto virtuale, sono per gli alimentari freschi i volantini delle associazioni (21%) e il passaparola di conoscenti (18%), mentre per i prodotti di bellezza e personal care i suggerimenti del personale di vendita (20%) e il passaparola (19%). I siti web del negozio vengono consultati dal 28% degli shopper di prodotti di moda, che prendono come punto di paragone anche i siti dei brand (23%). Il 34% dei consumatori visita il sito web del negozio se è interessato all’elettronica di consumo, il 31% il sito web della marca. Nell’acquisto di questa tipologia di beni vengono utilizzate anche le recensioni trovate online (28%), i volantini (25%) e i social media (18%). Un valore questo doppio rispetto a quello registrato in Francia e Gran Bretagna (9%).

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«L’eCommerce – dice l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – sta ridisegnando il concetto stesso di fare acquisti e le sue declinazioni. Occorre inserire l’acquisto in un più ampio processo all’interno del quale sono rintracciabili esperienze valoriali differenti. Ci riferiamo soprattutto all’esigenza dei consumatori sempre più consolidata di richiedere un maggior numero di informazioni relativamente a ciò che devono acquistare rispetto al passato. Ci troviamo davanti alla sfida di dover considerare che i confini tra digitale e fisico risultano sfuocati. Per esempio, si passa dalle recensioni online del prodotto, alla lettura di volantini, al passaparola e, soprattutto, a quanto si può reperire all’interno dello store fisico dal personale addetto alla vendita. Come si vede, si tratta di strumenti a cavallo tra il fisico e il virtuale. Come emerge dalla ricerca, l’obiettivo che si pone attualmente la grande distribuzione deve essere quello di favorire l’engagement e la soddisfazione dello shopper attraverso molteplici touchpoint durante il percorso d’acquisto. Solo in questo modo si può sostenere e corroborare la propensione al consumo del cliente, che deve essere sempre più accompagnato nel sentiero che porta al prodotto».

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Saldi invernali, vince la Liguria. Molto meno appassionata la Sicilia

Saldi invernali c’è chi li ama e li insegue, chi li detesta e li rifugge. Per avere un quadro più organico dei vari mood diffusi nella nostra Penisola, Idealo – il portale di comparazione prezzi che fornisce possibilità di risparmio per gli acquisti digital – ha scattato un’istantanea regione per regione, prendendo in considerazione 4 parametri: 1)i dati Google Trends, con le parole Saldi 2017; 2)i dati Google Trends, con le parole Miglior prezzo; 3)i dati Eurostat; 4)il PIL pro capite (dati Istat).

Ed ecco quanto ne è emerso.

Secondo il primo parametro (il periodo preso in considerazione va dal 1° al 13 Gennaio) le regioni italiane più attente al tema dei saldi sono la Liguria, seguita da Piemonte e Lombardia (rispettivamente con 100, 96 e 95). Ultima in classifica la Sicilia, con un dato pari a 37.

Ottimi piazzamenti anche per Toscana e Lazio (con 82 e 85), per la Basilicata, con un punteggio di 83, e per l’altra isola, la Sardegna, con 81.

Il secondo parametro dà in  tutto il paese numeri molto alti: addirittura il 94% degli gli e-consumer italiani confronta frequentemente i prezzi alla ricerca dell’affare migliore.idealo-saleinteresse_it

Anche in questo caso la Liguria non rinuncia al posto più alto del podio, ma a pari merito con la Basilicata (con 100). Seguono Piemonte (con 96) e Abruzzo (con 95). Più tiepidi verso la questione prezzo sono Trentino-Alto Adige (60), Valle d’Aosta (50), e Sicilia (44).

Il terzo criterio di indagine traccia un quadro che divide l’Italia letteralmente in due: gli e-consumer italiani si concentrano al Nord (Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige al primo posto, con il 39%, seguite da Lombardia con il 38% e Veneto con il 37%) e diminuiscono man mano che si scende verso Sud (in fondo alla classifica troviamo Sicilia con il 17%, Calabria con il 15% e Campania con solo il 14%).

È dunque indubbio il peso del digital divide. Le regioni che troviamo in fondo alla classifica secondo i dati Eurostat sono anche le aree più problematiche dal punto di vista dell’accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione. Una difficoltà di accesso attribuibile più alle strutture e alle reti, che non alla mentalità o alla cultura.

Il quarto parametro offre un quadro piuttosto prevedibile della situazione, con le regioni del Nord ai primi posti della classifica (Valle d’Aosta con € 34.981 e Trentino-Alto Adige con € 34.856) e quelle del Sud in fondo (all’ultimo posto la Calabria con € 15.265). Tuttavia ci sono delle eccezioni: la Sardegna, ad esempio, nonostante un PIL pro capite che la pone al 16° posto della classifica, è fortemente coinvolta dal fenomeno dello shopping online (i dati toccano il 31%) e manifesta molto interesse al tema della comparazione dei prezzi.

Al contrario il Lazio, nonostante  un PIL pro capite decisamente superiore a quello della Sardegna (€ 30.355 contro € 19.021) ha una percentuale di acquisto online molto simile a quello dell’isola, e comunque di qualche punto inferiore rispetto a quello di altre regioni con un PIL pro capite minore del suo.

 

 

Sessismo nel mondo dell’enologia: l’indagine de Le Donne del Vino

Sessismo superiore alle aspettative: questa è una delle prerogative che caratterizzano il mondo del vino italiano al femminile.

E non è tutto. Il “sesso debole” in questo settore, infatti, risulta ancora piuttosto penalizzato per molti altri aspetti: pur avendo infatti un livello d’istruzione medio alto (laurea o diploma) riceve ancora stipendi mediamente più bassi dei propri omologhi uomini e – per esigenze meramente professionali- “indulge” alla maternità quasi sempre dopo i 30 anni.

Ecco alcune delle evidenze emerse un’indagine-sondaggio promossa dall’Associazione nazionale Le Donne del Vino e che in parte andrà a confluire nell’indagine mondiale di Wine Business International, la prestigiosa agenzia britannica di analisi sul vino.

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La presentazione dell’indagine a Roma, nella sala conferenze dell’Associazione Stampa estera.


Commentando l’esito della ricerca, la presidente Donatella Cinelli Colombini, rileva: “Sul ruolo delle donne nel mondo del vino le cose vanno meglio, ma non bene e c’è ancora tanto da fare per raggiungere una reale parità di genere”.

La ricerca dell’Associazione La Donne del vino si basa su un questionario inviato nei mesi scorsi a produttrici, giornaliste, enotecarie, ristoratrici di tutte le parti d’Italia, cioè il 24% della compagine sociale. Diamo un’occiate alle peculiarità di ciascun settore

PRODUTTRICI

Livello di istruzione decisamente alto: il 43% ha almeno la laurea,  il 15% anche un diploma post universitario. Le Donne del Vino produttrici sono all’88% titolari o contitolari della cantina in cui lavorano, ma devono rimandare la nascita dei figli molto avanti nel tempo per cui la metà di chi ha fra i 40 e i cinquant’anni ha ancora figli minorenni. Non va meglio sul fronte pensione: benché il 19% delle produttrici abbia più di 60 anni, nessuna dichiara di essere in pensione.

Ancora più interessanti gli esiti dell’indagine relativa alla sezione che andrà a confluire nell’indagine mondiale di Wine Business International sulla condizione femminile del settore enologico. schermata-2017-01-23-a-15-18-43

Alla domanda “Pensi di ricevere lo stesso stipendio che ricevono gli uomini che svolgono gli stessi compiti?”, il 29,9% ha risposto “no” e il 18% “forse no” benché, come detto prima, a rispondere siano state soprattutto le titolari delle cantine e le stesse abbiano dichiarato di retribuire, nel 96% dei casi, allo stesso modo dipendenti maschi e femmine.

Per gli stessi motivi non sorprende che la domanda sugli atteggiamenti sessisti abbia ottenuto un “no” quasi plebiscitario (85%) benché ci sia anche chi è stata “insultata per non essermi sottomessa al boss” e si ammette che “le donne continuano a faticare il doppio per affermarsi anche nelle aziende familiari dove sono contitolari con uomini”. Più problematica la situazione nelle fiere dove il 21% delle produttrici ha dovuto difendersi dagli attacchi maschili o almeno contrastare un atteggiamento sessista.

ENOTECARIE E SOMMELIER DI ENOTECHE

Ancora peggio sembra andare ad enotecaie e sommelier (in posizione dipendente): nonostante l’elevato livello d’istruzione (per il 75% sono laureate o con diploma post universitario), infatti, lamentano di guadagnare meno dei colleghi maschi (ne è convinto il 63%). Anche in questo caso, infine, si registra un reale disagio a conciliare la carriera e la famiglia: benchè infatti il 50% abbia meno di 39 anni nella stragrande maggioranza dei casi non ha figli. schermata-2017-01-23-a-15-19-31

RISTORATRICI

Meno scolarizzate (33% con laurea o diploma post universitario) e in grande maggioranza ultracinquantenni (72%) le ristoratrici che hanno risposto al sondaggio sono per la stragrande maggioranza titolari dell’esercizio in cui operano e, fra le Donne del Vino, quelle meno colpite dai problemi di genere.schermata-2017-01-23-a-15-19-00

GIORNALISTE ADDETTE ALLE PR E MARKETING, ESPERTE E CONSULENTI

In questa categoria la fascia di età delle intervistate si concentra fra i 40 e i 59 anni (63%) e il livello di istruzione è molto alto con un 66% che possiede una laurea o un diploma post universitario, mentre aumenta il dubbio o la certezza di venire retribuita meno dei colleghi uomini (62%). Il 25% delle intervistate ha subito difficoltà collegate alla maternità arrivate, in un caso, fino al licenziamento. Il 39% ha dovuto difendersi da atteggiamenti sessisti. schermata-2017-01-23-a-15-20-05

CONSUMATRICI

Sul versante del consumo ci sono, invece, più novità positive, anche grazie all’abbandono progressivo del luogo comune che condannava la donna che bevesse vino in pubblico.

Per fortuna i tempi sono cambiati e le wine lovers in rosa sono sempre di più e sempre più consapevoli. Tuttavia (il “ma” non poteva mancare), al ristorante la donna dice la sua nella scelta del vino solo se è in coppia, mentre quando è in gruppo è ancora l’uomo a decidere.

DA SAPERE

Una cosa è certa: donne e uomini hanno un’telligenze di tipo diverso. E su questa poliedricità Gabriele Micozzi, docente di Marketing della Luiss Business School, presenterà una ricerca al prossimo Vinitaly: “Sto analizzando la zona di confort del cervello che differenzia il modo di pensare della donna dall’uomo, la capacità di provocazione della mente, le attività in cui viene coinvolta una donna e quelle in cui viene coinvolto un uomo, le intelligenze diverse: radar per la donna, tunnel per gli uomini, la velocità del pensiero che oggi è molto più sviluppata nelle donne”.

Shopping in negozio? Sempre più consumatori lo trovano noioso

Shopping in store? Piuttosto lavo i piatti!

La sintesi è tranchant, ma non si discosta molto dalla realtà emersa dal report pubblicato dal Digital Transformation Institute di Capgemini con il titolo Making the Digital Connection: Why Physical Retail Stores Need a Reboot’ e realizzato intervistando 6.000 consumatori e 500 executive del settore retail in nove Paesi (Stati Uniti, Cina, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna, Paesi Bassi e Svezia)

Pare infatti che nonostante l’81% dei retailer riponga ancora molta fiducia nelle potenzialità fidelizzanti degli store brick & mortar, tra i consumatori – invece – la percentuale degli ottimista sia molto minore: 45%. Gli altri sono alquanto sfiduciati.

schermata-2017-01-19-a-15-22-31Lo store fisico- dicono- è noioso (40% degli intervistati) tanto che un terzo si dichiara più propenso a rigovernare le stoviglie.

L’insoddisfazione è maggiore in Svezia e Spagna (dove rispettivamente il 54% e il 49% affermano che fare acquisti nei negozi fisici è un’attività noiosa) e minore in Cina e negli Stati Uniti (29% e 31% rispettivamente), mentre in Italia questo dato si attesta al 42%.

Tra le critiche principali:

  • lunghe code alle casse (lamentela precipua dei clienti grocery)
  • assenza di promozioni personalizzate realmente interessanti (recriminazione più diffusa per i settori del fashion e dell’elettronica
  • difficoltà nella comparazione dei prodotti (nel settore del bricolage).

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Tra le aspirazioni più diffuse emergono:

  • la possibilità raffrontare prodotti,
  • di avere consegne in giornata per i propri ordini,
  • scaffali digitali in grado di informare i clienti,
  • opzioni di pagamento di nuova generazione,
  • strumenti come chioschi e tablet per effettuare gli ordini.

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Emiliano Rantucci, Vice President e Responsabile Consumer Products & Retail di Capgemini Italia, ha dichiarato: “Gli acquirenti sono sempre più lontani dall’esperienza in-store, ed è facile capire perché. La maggior parte dei negozi fisici rimane testardamente ‘offline’, incapace di offrire la velocità, la flessibilità e la facilità d’uso che i consumatori si aspettano dai siti web. Le voci diffuse circa il rapido declino del negozio fisico possono essere esagerate, ma si avvicinano comunque alla realtà. Molti retailer con cui abbiamo parlato ammettono di avere difficoltà nella rapida digitalizzazione dei punti vendita a causa della difficoltà nella definizione di business case per i relativi investimenti. Questo report chiarisce che la vera domanda che i retailer debbono porsi non è tanto se possano permettersi di trasformare l’esperienza in-store, quanto piuttosto se possano permettersi di non farlo”.

Allora – la conseguenza è lapalissiana- non resta che puntare sulla digitalizzazione all’interno dei negozi.

Certo e i retailer lo sanno. Peccato, però, che alcune difficoltà si frappongano alla realizzazione dell’obiettivo.

La prima riguarda la scarsità di investimenti: il 40% degli executive afferma di essere ancora impegnato a implementare le basi tecnologiche, come il WiFi in-store.

Il secondo problema è relativo alle capacità del personale in negozio: ancche in questo caso il 40% lamenta il fatto che i responsabili di negozio non promuovano le iniziative digitali presenti nei punti vendita.

Il risultato?

Solo il 18% degli executive interpellati ha implementato iniziative digitali su scala da cui sta ottenendo vantaggi importanti.

 

Acqua Minerale San Benedetto “puffa” tanti premi per le famiglie

Acqua Minerale San Benedetto per la sua linea dedicata ai più piccoli, lancia il nuovo concorso “PUFFA E VINCI SEMPRE” in cui i protagonisti sono i personaggi del film di Sony Pictures “I Puffi – Viaggio nella Foresta Segreta”, in uscita nelle sale cinematografiche il prossimo 6 aprile 2017. Saranno proprio i simpatici e storici ometti blu a diventare i nuovi soggetti  delle grafiche di tutte le bottiglie della linea Baby (Acqua Minerale, The, Camomille e  Bio).

PUFFA E VINCI SEMPRE è il concorso pensato per famiglie e bambini che garantisce un premio certo per ogni partecipazione. Dal 16 gennaio al 31 maggio 2017, infatti, tutti coloro che acquisteranno le bottigliette San Benedetto Baby (più ricche e divertenti grazie alle nuove grafiche che richiamano le immagini del film), troveranno sul retro di ogni etichetta un codice univoco da giocare online o via sms, per ricevere sempre un gadget digitale e provare a vincere i premi in palio.

Inoltre, coloro che parteciperanno a PUFFA E VINCI SEMPRE avranno anche  la possibilità di aggiudicarsi come super premio finale un viaggio per 4 persone (2 adulti + 2 bambini) nella magica  Finlandia, terra che evoca le ambientazione delle avvincenti avventure delle piccole creature blu. Un’esperienza unica che permetterà ai fortunati vincitori di scoprire tutti i segreti di una terra intrigante tra lunghe distese di foreste e l’emozionate spettacolo dell’aurora boreale.

L’estrazione finale premia anche una delle scuole segnalate  che riceverà un buono spesa per l’acquisto di materiale didattico del valore di 1000 euro e un miniset di arredamento in cartone Worldcart.

Coop fotografa il 2017 degli italiani. Su spesa, tecnologie, casa, rallenta il potere d’acquisto

Guardano al futuro tutto sommato con fiducia gli italiani che tornano a voler sperimentare nel 2017 e, seppur non immaginano di cambiare radicalmente stile di vita, ritengono che cresceranno i costi delle utenze e quelli per la mobilità, sognano vacanze all’estero e, per la prima volta dopo molti anni, pensano di aggiungere valore al carrello della spesa alimentare: queste le evidenze del sondaggio di fine anno e le previsioni sui consumi 2017 del “Rapporto Coop” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Ref. Ricerche, il supporto d’analisi di Nielsen e i contributi originali di GFK, Demos, Doxa, Nomisma e Ufficio Studi Mediobanca.

 

Cosa sale e cosa scende

A dispetto di un Paese fermo gli italiani amano sperimentare: il 93% dei campione intervistato si dichiara incuriosito da nuovi prodotti e servizi. E in cima ai desiderata gli italiani mettono proprio il supermercato senza casse, senza file che sfrutti il riconoscimento automatico (è interessato il 74%); segue la casa domotica (73%), il frigorifero “smart”, il camerino virtuale, e fa la sua comparsa nella lista delle preferenze il maggiordomo virtuale (lo vorrebbe testare il 43%).

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Passando alla spesa, nel carrello vince il 100% italiano, dunque la provenienza sicura, e tutti i diktat della spesa degli ultimi anni, dal tipico/tradizionale al Km 0 al biologico, dal vegetariano al free-from, ma anche al pronto per l’uso. Eppure non manca nella fascia alta il desiderio di prezzi bassi, soprattutto nella fascia più giovane (dai 18 ai 29 anni).

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quadroScendendo dai desideri alla realtà, il 2017 farà segnare un rallentamento del potere d’acquisto delle famiglie che fino al 2016 avevano potuto godere di fattori favorevoli ma transitori; di conseguenza il ciclo dei consumi, dopo un biennio a ritmi superiori all’1%, subirà una battuta d’arresto (la stima si attesta su uno 0,7%) dovuto al rallentamento dei redditi e soprattutto alla ripresa dell’inflazione.

In questo quadro è giocoforza operare delle scelte. E dunque, cosa crescerà e cosa perderà terreno nel borsino dei consumi delle famiglie italiane? In crescita figura la solita telefonia (+8%), gli acquisti tecnologici di computer e altri accessori (+ 7,3%), i servizi ricreativi (+ 2,8%); mentre scivolano invece ancora più in basso le spese per la manutenzione della casa, i giornali, i libri.

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Lo stesso mood indirizzerà le intenzioni di spesa degli italiani. Le utenze, il carburante e le spese sanitarie sono i comparti dove il numero di famiglie che prevedono di spendere di più superano quelle che immaginano di risparmiare. Questo è vero anche per la spesa alimentare dove, per la prima volta dopo molti anni, gli italiani che contano di aggiungere valore al carrello alimentare (+13%) sono quasi il doppio rispetto a quelli che pensano di comprimere ulteriormente la spesa (+8%). La Gdo, che nel 2016 ha sofferto una lunga stagione deflattiva, chiude l’anno in perfetta parità rispetto al 2015 beneficiando comunque di un piccolo miglioramento delle vendite nelle ultime due settimane del 2016, che però non supera un +2% ed è concentrato fortemente nei giorni pre-natalizi.

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Il 2017 porterà probabilmente anche nuovo dinamismo nel mercato immobiliare e nei comparti ad esso collegati (arredamento ed elettrodomestici): in tempi di bassi tassi d’interesse e di turbolenza dei mercati finanziari ritorna la casa come sogno nel cassetto degli italiani. Rimarrà in crescita la spesa per i viaggi (la indica come spesa sicura o possibile l’80% degli italiani).

 

Viaggi, svago e benessere nelle spese dei Millennials

I Millennials sono quelli che con più probabilità affronteranno un viaggio in futuro (85% contro il 73% dei Baby Boomers). E sono ancora i Millennials a spingere per l’acquisto di servizi legati a benessere e svago: iscrizione in palestra (prevista dalla metà dei giovani), abbonamento per il teatro o lo stadio (il 36% dei Millennials indica questa voce di spesa, contro il 27% della Generazione X), così come la sottoscrizione di abbonamenti di Pay TV (39% dei giovani contro 30% degli adulti e il 19% degli over 50) sono le tre dimensioni di consumo a cui i giovani non intendono rinunciare.

 

Più speranza nel 2017

Alla fine, il rapporto con la sua indagine di fine anno fotografa un Paese che sta alla finestra e che, passati gli anni bui della recessione, spera nel futuro ma stenta a metterne a fuoco i dettagli.

Tra le parole con cui gli italiani descrivono l’anno che è appena iniziato persiste la triade che già aveva caratterizzato il 2016 ovvero “speranza” (la usa il 33% del campione, era il 33,8% un anno fa), “cambiamento” (12% a fronte di un 14,3%), “timore” (10% rispetto a un più robusto 14,2% del 2016). Scostamenti però tutto sommato poco significativi a dimostrazione di una condizione di stallo che accomuna Italia e italiani. Ancora fra le parole più rappresentative del 2017 “ripresa” e “crisi” registrano l’identico indice di gradimento (entrambe sono state scelte dall’8% del campione) quasi come se l’una neutralizzasse l’altra. La speranza è la ciambella di salvataggio a cui si aggrappano tutti, con qualche sfumatura di genere (il 75% degli uomini utilizza aggettivi positivi per l’anno che verrà rispetto al 70% delle donne), mentre sono più i giovani a inseguire il sogno del rilancio (78% dei Millenials contro il 74% dei Baby Boomers).

Shopping, passione en rose. Cosa desidera realmente l’universo femminile

Lo shopping? Un piacere, non certo un dovere. Fare acquisti rappresenta una delle occupazioni preferite per una donna su tre. Con buona pace della crisi e per il piacere di imprese e distribuzione.

L’indicazione viene dall’indagine “Qual è la tua ambizione”, elaborata dall’istituto di Ricerca Episteme e presentata dal settimanale Gioia! in collaborazione con Centromarca, con l’obiettivo dichiarato di scattare una fotografia delle tendenze che interessano i consumi dell’universo femminile. Una fotografia che lascia intravedere conferme e novità.

Distintività, pubblicità e web

Tra le prime, come detto, si colloca la conferma della passione delle italiane per lo shopping: una buona notizia che diventa ancora più positiva se si considera come la propensione agli acquisti sia particolarmente sentita dal segmento più giovane della popolazione rosa (44,2%). In questo quadro si inserisce però una variazione di non poco conto: la crescente tendenza a scegliere prodotti che consentano di distinguersi, indicata da ben il 63,3% del campione. “Nell’ultimo decennio – spiega Monica Fabris, presidente di Episteme – si è assistito a un progressivo calo degli acquisti indotti dall’omologazione, espressione di uno status symbol condiviso, che hanno lasciato spazio alla necessità di differenziarsi”.

Nel solco della continuità si colloca poi l’influenza esercitata dalla pubblicità. “Nonostante la contrazione degli investimenti che ha segnato gli ultimi anni – osserva Fabris -, l’advertising resta una driver importante nelle decisioni di spesa: quasi due donne su tre dicono, infatti, di essere aiutate nella scelta proprio dai commercial”.

Più recente, e in netta espansione, è invece l’abitudine di acquistare online, che tocca il 62,7% delle intervistate. “L’e-commerce si sta rivelando uno strumento in grado di vivificare i consumi – rileva Fabris – grazie a due importanti plus: la capacità di risparmio e la comodità”. Due aspetti nodali che dovrebbero garantire alle vendite digitali un buon margine di crescita anche per il futuro. A tutto vantaggio delle marche, che proprio grazie all’online potranno ottenere nuova attenzione e lucentezza.

Cambio di paradigma

Per raggiungere questo obiettivo, però, i brand saranno chiamati anche a investire su altri fattori, indicati come premianti dalle consumatrici. “Tra questi – rileva Fabris -, il più rilevante è il tema della tradizione: per ben 8 donne su 10 la marca non può, infatti, esaurirsi nei soli suoi prodotti, ma deve tenere conto – e saper valorizzare – anche la propria storia. E in questo scenario, è evidente che la capacità di raccontarsi fornisce – e fornirà in futuro – ai brand una marcia in più”. “La narrazione della marca – aggiunge Ivo Ferrario, direttore comunicazione e relazioni esterne di Centromarca – rappresenterà sempre più un elemento distintivo fondamentale nella competizione tra imprese. Nell’era del digitale, e del social in particolare, la differenza la fa, e la farà sempre più, la capacità di disporre non solo di una struttura di ascolto dei dialoghi che avvengono in relazione al prodotto, alle categorie merceologiche o più in generale al contesto generale di consumo, ma anche di sviluppare accanto al prodotto giusto, i giusti contenuti da comunicare. Contenuti che dovranno essere di interesse, avvincenti e attuali”.

In seconda battuta, si dovrà considerare poi il fattore ambientale. “Le marche che se ne fanno carico – precisa Fabris – sono preferite al momento dell’acquisto dal 73,2% delle intervistate”. Ma rilevante è anche la capacità della marca di veicolare un’identità forte: il 68,4% delle donne interpellate sostiene, infatti, che i brand acquistati raccontano molto delle persone che li scelgono.schermata-2016-12-22-a-14-51-20

Solo molto più distanziata è invece l’indicazione relativa alla qualità, ferma al 59,8%. Un caso? Tutt’altro. I dati emersi dalla ricerca raccontano, infatti, di un netto cambio di paradigma nella percezione dei brand da parte delle donne. Un cambio che vede gli attributi intangibili della marca prevalere rispetto agli storici caposaldi sui quali veniva costruita la marca, quali appunto la qualità delle referenze o la fedeltà al brand, che per l’appunto scivola tra gli item meno quotati, con un riscontro non superiore al 34,8%. “L’industria – dice Fabris – deve insomma confrontarsi con una consumatrice più libera e più volubile rispetto a un decennio fa”. Un bel problema per le marche che però, rovesciando la prospettiva, può tradursi anche in un’opportunità. “Sulla base delle evidenze di questa come di altre ricerche – osserva Fabris -, rileviamo una crescente disponibilità alla sperimentazione e, dunque, un terreno favorevole all’innovazione”.

Sfide e opportunità

Il panorama futuro lascia quindi intravedere spunti interessanti per i brand, a patto che questi ultimi sappiano restare al passo con la continua evoluzione dei clienti. “Le marche di oggi che vogliono essere le marche di domani – sottolinea Ferrario – devono accettare la sfida: per continuare ad essere leader, occorre rendere attuale la proposta di ogni brand rispetto alle necessità del consumatore di oggi. E questo vuol dire puntare su un contenuto di innovazione costante e allineato alle esigenze di performance, come pure su una qualità dinamica, capace di rispondere all’evolversi dei desideri dei clienti”.

 

La metodologia

Presentata dal settimanale del gruppo Hearst Gioia! in collaborazione con Centromarca , la ricerca “Qual è la tua ambizione” è stata condotta dall’istituto di Ricerca Episteme tra il 3 marzo e il 20 aprile 2016. Sono state intervistate 1.729 lettrici di Gioia! attraverso la raccolta di 1.636 questionari online accessibili dal sito della rivista e 93 questionari cartacei allegati alla rivista. Il campione è costituito nella quasi totalità da donne (1.679 donne e 50 uomini), alto istruite (poco meno della metà laureate e poco meno della metà diplomate), residenti in prevalenza al Nord-Ovest. Per quanto riguarda le fasce d’età, le donne 30-50enni rappresentano il segmento più consistente (quasi metà campione), le giovani under 30 sono il secondo segmento rappresentato (quasi il 40%), mentre le over 50 costituiscono una parte minoritaria del campione (il 15%).

Manuela Falchero

Rio Mare lancia due nuove referenze di tonno pescato a canna

Rio Mare, per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei consumatori orientate sempre più verso prodotti sostenibili e di alta qualità, porta sulle tavole degli italiani due varianti del Tonno Rio Mare Pescato a Canna: all’olio di oliva e all’olio extra vergine di oliva.

Da un’indagine realizzata da Rio Mare, infatti, è emerso che anche nella scelta delle conserve di tonno sono sempre di più i consumatori che in fase di acquisto fanno attenzione alla sostenibilità dei prodotti.

Il tonno da pesca a canna è un prodotto che si basa su un metodo di pesca artigianale, selettivo e rispettoso dell’ambiente che si pratica ancora oggi. La pesca a canna è infatti un metodo sostenibile in quanto ha un ridotto rischio di pesca accidentale perché i tonni vengono pescati uno ad uno. Il lancio del tonno pescato a canna rientra all’interno del progetto di Corporate Social Responsibility di Rio Mare che prevede, tra l’altro, una politica di diversificazione dei metodi di pesca utilizzati con l’obiettivo di bilanciare punti di forza e di debolezza di ciascuna tecnica e garantire l’equilibrio delle risorse.esec-extra-80x31-kadima-pole-line

Rio Mare inoltre, ha deciso di promuovere questo prodotto perché, oltre ad essere rispettoso dell’ambiente, offre opportunità di crescita economica alle comunità dei paesi in cui il pesce viene pescato, trattandosi di pesca artigianale. Questo modello di business permette a Rio Mare di distribuire valore lungo tutta la filiera, dai luoghi di pesca fino all’Italia, dove il pesce viene inscatolato nello stabilimento di Cermenate, il più grande e tecnologicamente avanzato d’Europa e tra i primi al mondo.

 

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