CLOSE
Home Tags Consumatori

Tag: Consumatori

Nielsen: cambia il consumatore, avanzano i punti vendita più piccoli

Il “salto di canale” è una pratica ormai consolidata nel nuovo consumatore multicanale, che tranquillamente passa dal discount al super, al farmer’s market allo store online per i suoi acquisti, ma con quali logiche? Ad indagare i meandri della mente di questa nuova specie antropologica c’è l’ultima indagine di Nielsen su retail ed e-commerce “The Future of Grocery”, effettuata su 30mila consumatori in 60 Paesi. La quale rivela anche come, se i grandi formati restano per ora dominanti, le piccole superfici (e non è una sorpresa: lo vediamo anche con i nostri supermercati di prossimità) sono le più dinamiche.

A valore, super e ipermercati coprono il 51% delle vendite mondiali, La ricerca evidenzia le differenze regionali, ma i formati più piccoli, piccoli supermercati e negozi tradizionali, sono cresciuti di più negli ultimi 12 mesi (dal 4 al 6% contro il 2% dei formati più grandi). “In tutto il mondo stiamo assistendo alla crescita del retail di prossimità – ha detto Patrick Dodd, president, global retailer vertical, Nielsen – Agli occhi del consumatore globale al momento piccolo è bello”. Evidente è l’influenza dell’e-commerce sul concetto di prossimità e comodità, sta di fatto che i formati più piccoli stanno crescendo in tutti i mercati, evoluti o in via di sviluppo, e sono utilizzati principalmente per piccoli acquisti urgenti o prodotti particolari.

È dunque interessante considerare come la categoria di prodotti influenzi di fatto la scelta del canale per gli acquisti “fisici”. Nei mercati maturi se le vendite sono concentrate nei grandi formati per il 61% nell’igiene personale, 62% di alimentari e bevande e 79% dei prodotti per la casa, i minimarket hanno quote di mercato interessanti intorno al 20%. In tutte e tre le categorie la crescita maggiore si è registrata nei piccoli formati, con una tendenza alla frammentazione. Nel settore alimentare sono proprio i negozi tradizionali e i chioschi a venire incontro alle esigenze di velocità e comodità.

Il prezzo prima di tutto, ma anche la qualità del prodotto influenzano il “salto di canale”.

“I grandi supermercati e gli ipermercati sono attori importanti nel paesaggio mondiale del retail, e continueranno a esserlo in futuro – ha detto Dodd -. Ma i formati più piccoli hanno una quota importante in certe categorie e stanno crescendo in altre. Gli sforzi della distribuzione dovrebbero concentrarsi su un mix di entrambi, capire dove fa acquisti il consumatore e per quali categorie, fornisce la visione necessaria per sviluppare strategie distributive più precise per ogni mercato”.

GS1 Italy: la condivisione delle informazioni coinvolge anche il consumatore

Soluzioni e servizi di sistema finalizzati ad aumentare efficienza ed efficacia in tutti i processi di interfaccia tra fornitore e distributore. È quanto fa GS1 Italy | Indicod Ecr per la filiera del largo consumo, e a questi argomenti ha dedicato un convegno nel corso dell’edizione di Tuttofood appena conclusa.

I servizi Immagino e Catalogo elettronico – GS1 GDSN hanno infatti questa finalità: offrire alle aziende un unico modello di condivisione e comunicazione delle informazioni di prodotto nel rispetto delle recenti disposizioni normative.

Queste soluzioni contribuiscono inoltre a migliorare anche il trasferimento di informazioni al consumatore finale, che grazie al progetto GS1 Source e alla tecnologia dei dispositivi mobile potrà beneficiare di informazioni di prodotti provenienti da fonti note ed attendibili.

 

Quale onda della ripresa cavalcherà il retail? Il convegno Iri a Tuttofood

Cavalcare l’onda della ripresa. Si, ma come? È stato questo il tema dell’incontro organizzato da Iri nell’ultima giornata di Tuttofood. E in effetti di fronte alla crescita delle vendite in valore del 3,7% e in volume del 3,2% a marzo, il retail alimentare italiana non può pensare di essere uscito dalle secche, anche se una boccata d’ossigeno è innegabile, dopo quattro anni di apnea, durante i quali ne sono successe di ogni, con cessioni, uscite dal mercato, nuove alleanze, fino ad arrivare all’unione delle tre Coop emiliane.

La realtà è che questi quattro anni consegnano a Idm e Gdo un’eredità che è fatta di non certezze e di una buona dose di confusione. Lo dimostra il fatto che il brand, la grande marca non è più intoccabile: dal 2011 le top 25 aziende alimentari che valgono più di un terzo delle vendite hanno perso circa 800 milioni, quanto cioè hanno guadagnato le Pmi, le quali, però, non solo hanno registrato aumenti delle promozioni, ma non hanno intaccato le vendite regolari (Iri).

2015-05-06 10.57.20

E i casi di eccellenza nelle Pmi non sono forse il risultato del grande lavoro fatto insieme alla distribuzione, che nello stesso quadriennio ha aumentato le vendite dei prodotti Mdd di oltre 500 milioni? Ma anche qui qualcosa sta cominciando a incrinarsi, anche se la realtà non è univoca e le medie danno sempre un quadro non veritiero della realtà. Ancora confusione, quindi.

Perché confusione? Perché nonostante se ne parli da sempre, le promozioni continuano ad aumentare e nonostante si parli da tempo di razionalizzazione degli assortimenti, Iri certifica che questi sono cresciuti, che l’industria sta rispondendo alla crisi con nuovi lanci (e Tuttofood ne è stato un esempio concreto). Perché? Perché di fronte a categorie che crescono e che vanno meglio di altre si verifica un repentino affollamento, con il rischio – abbastanza probabile – che tra non molto avremo per esempio una mezza dozzina di yogurt greci sugli scaffali che faranno fatica a mantenere tassi di crescita come quelli  registrati nell’ultimo quadriennio (+264% a valore) o nell’ultimo anno (+79%). Ma di quanto potrà crescere l’attuale valore di 97 milioni di euro? Come spiegare questo ipertrofismo assortimentale?

2015-05-06 10.50.51

 Per l’amministratore delegato di Unes Mario Gasbarrino, la risposta è nel fatto che volendo intercettare quelle aree di nuovi consumi che sono i più dinamici, dal senza glutine al vegano, al salutistico, all’etnico, ai food lovers, si inseriscono prodotti nuovi senza però volere-potere abbandonare il core business. «Però – segnala Gasbarrino – la numerosità delle referenze in sé non dice niente, non dà ragione delle cose, perché dietro questo movimento bisogna leggere il tentativo dei distributori di scegliere come vogliono collocarsi sulla scacchiera. Tutto ciò avviene lentamente, perché non si ha il coraggio di prendere una strada e quindi si aumentano le referenze per intercettare un certo tipo di domanda, senza voler perdere il resto. Ma non potrà durare all’infinito».

2015-05-06 11.13.29
Da sinistra, Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia; 
Mario Gasbarrino, Amministratore Delegato Unes; Ivo Ferrario, giornalista; 
Roberto Gheritti, direttore commerciale Italia Alimentari; 
Giorgio Santambrogio, amministratore delegato Gruppo VéGé

In questo contesto va anche letto il fato che se vi sonno categorie che crescono e insegne che vanno bene è perché sono state fatte scelte precise.

Eppure, di fronte allo stato delle cose, qualcuno torna a percorrere la strada del prodotto a marchio del distributore di fantasia, «non troppo impegnativo», come ha riferito Roberto Gheritti, direttore commerciale di Italia Alimentari.

Scelta meditata o ulteriore conferma di questa mancanza di coraggio a volere “decidere che cosa voler fare da grandi”?

E ancora (sempre Gasbarrino) sono pronti i 9000 supermercati italiani a contrastare gli attacchi portati non solo dagli specializzati (cura persona e cura casa, petfood e i vari non food) ma anche da quella nuova generazione di category killer che sono i negozi di prodotti biologici, i diversi formati distributivi di prossimità che stano nascendo un po’ dovunque, fino ai monomarca tipo Nespresso? «Non dimentichiamo che il 30% dei supermercati ha una redditività inferiore ai 3.000 euro al metro quadrato e che in Italia abbiamo più di 2000 supermercati che sarebbero da chiudere. La verità è che stiamo vivendo una crisi di formati distributivi. Per questo la diversità è un grande vantaggio».

E il vantaggio è nel consumatore che cerca qualcosa di diverso, che non si accontenta più di avere lo stesso tipo di proposta commerciale. Un concetto fatto proprio da Gheritti quando esorta da  un lato a guardare con attenzione ai trend di consumo ma anche a ricordare che la ancora eccessiva frammentazione distributiva frena i processi di innovazione, e differenziazione primo tra tutti quello dei prodotti a Mdd.

Del resto però Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di Gruppo VéGé sottolinea che in generale non ha senso avere come obiettivo un numero smisurato di prodotti Mdd. «Il ruolo del punto vendita è fare Ebit e non lo fa certo ampliando indefinitamente la marca del distributore. Lo deve però fare in quelle categorie dove è strumentale all’aumento della redditività. Per le altre l’industria assolve egregiamente al compito. Piuttosto, si guardi al consumatore, o meglio ai milioni di consumatori diversi: oggi la tecnologia ce lo consente e dobbiamo incamminarci lungo quella strada», ha detto Santambrogio. Secondo il quale sulla base di questo ragionamento occorrerebbe abolire il listing fee così come è sempre stato, ma cominciare a pensare di correlarlo alle performance a scaffale del prodotto su una base variabile. «Purché sia in percentuale», ha risposto Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia. «E che lasci prevalere il buonsenso, perché interesse comune è inserire un prodotto che si venda», gli fa eco Gheritti.

Una provocazione o il cambiamento delle relazioni tra industria e distribuzione passerà anche da qui? Vero è che probabilmente il vero fattore di cambiamento sarà abbandonare i riti e le modalità di confronto del passato e rifocalizzarsi sul consumatore (sull’individuo, meglio ancora, come dice Santambrogio) e fare le cose utili per lui:  «Fargli risparmiare tempo, denaro o risorse per l’ambiente», spiega Gasbarrino.

Intanto però dietro l’onda da cavalcare si profilano ancora dei marosi, che hanno il nome dei dieci miliardi di euro da recuperare per le pensioni e, soprattutto, la spada di Damocle dell’aumento dell’iva. In altre parole minore potere d’acquisto e minori risorse nelle tasche degli italiani.

 

Lo shop del futuro a Tuttofood: gli interventi

Di prossimità, ecologico, interattivo, connesso, di dimensione media: sarà questo, a grandi linee e mutatis mutandis, lo shop del futuro. La fotografia è emersa dal convegno organizzato da Oddone Sangiorgi. presidente Consorzio FIA, nello spazio convegni di Shop 2015, l’area dedicata alle tecnologie all’interno di Tuttofood. Di seguito alcuni spunti.

“Bisogna dialogare con la cultura del territorio”:  Oggi si costruiscono ancora CCi come 30 anni fa e ciò è drammatico. Il cliente è spesso più preparato del venditore, ma cerca comunque un contatto nel pdv. La vendita non si può standardizzare, non si può vendere a Firenze come a Napoli. Il cliente vuole uno spazio meglio calcolato, scaffali più bassi, materiali diversi, illuminazione migliore, corridoi più ampi.  Va sempre considerato l’interscambio con il cliente, mentre la proposta deve essere più complessa perché in uno stesso territorio vivono persone di origini diverse e con esigenze diverse. E il supermercato è ancora luogo di aggregazione sociale, frequentato da tutti gli strati sociali. Il centro commerciale non sparisce, cambia e torna dentro la città, dove abbiamo questi centri commerciali spontanei (le vie dello shopping del centro), squilibrati, non coerenti. Lo hanno capito anche in Cina, è necessario riumanizzare la nostra visione del futuro e ridare un senso logico alla vita in queste parti della città dedicate al commercio, e questo si può fare solo recuperando i fattori che caratterizzano la cultura locale”.

Alain-Jean Tusseau, architetto, padre dei centri commerciali “alla francese”.

 

“Le tendenze future? Semplificazione nella spesa, anche grazie all’Internet of things [un esempio è Amazon Dash, un pulsante attaccato alla lavatrice che manda un ordine di acquisto ad Amazon quando il detersivo sta per finire], ottimizzazione della supply chain e della produzione tarata sulle richieste dei consumatori e non secondo una logica di spinta delle vendite di prodotti già realizzati, shopping experience coinvolgente che comprende la trasmissione di conoscenza al cliente.

Mike Neal, cofondatore e Ceo DecisionNext

 

“Riempire i propri prodotti sempre più di servizi: la distribuzione moderna deve superare il concetto di canale e dialogare con la ristorazione. Il consumatore è cambiato, ma le istituzioni devono lavorare nell’educazione alimentare, specie presso i ragazzi che saranno i consumatori di domani che potranno cambiare il mercato. Se anticipiamo i cambiamenti saremo noi i protagonisti del mercato del futuro. I sei mesi di Expo ci daranno un patrimonio culturale nel settore food che non abbiamo mai visto”.

Riccardo Garosci, politico, economista, presidente del Comitato Scuola e Cibo EXPO 2015 del MIUR

“I pagamenti elettronici svolta per il cambiamento: il problema sono i piccoli commercianti, quasi 750mila nel nostro Paese, rinchiusi su se stessi e che fanno fatica ad innovare. Penso che la diffusione dei pagamenti elettronici, che obbligherà gli esercenti a registrare tutto ciò che vendono, e il Dl 21 aprile 2015 sulla fattura elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi che porterà Internet nei negozi causerà un salto in avanti nella gestione e nell’analisi dei dati e per una gestione moderna del commercio”.

Fabrizio Venturini, direttore generale Comufficio.

Il popolo del web su Expo: occorre fare di più per farlo conoscere all’estero

Expo Milano si è aperta nel segno di uno spirito positivo, macchiato da qualche centinaio di antagonisti che mai come in questa occasione hanno dimostrato tutta la pochezza culturale, laridità di sentimenti, la mancanza di ideali e di progetti che vengono trasformate in un cupio dissolvi che accomuna l’odio contro le multinazionali, contro le auto parcheggiate, contro le banche e contro un progetto, criticabile per taluni versi fin che si vuole, ma che alla prova dei fatti potrà contribuire in maniera decisiva a dare una visione di futuro a questo paese, che ne ha molto bisogno. 

Tornando a Expo, l’apertura – con gli aerei sfreccianti delle Frecce tricolori e le massime autorità strette intorno a un progetto sul quale , questo sì bisogna dirlo, l’Italia si gioca gran parte della faccia –  è solo il primo passo di un cammino lungo sei mesi su cui occorre fare ancora molto. Se i venti milioni di visitatori sono l’obiettivo dichiarato, occorre fare ancora molto per difendere la conoscenza di Expo anche all’estero, come testimonia l’indagine svolta da Gian Marco Sefatni di Web Research ascoltando le conversazioni in rete nei blog e nei social network sull’Expo. Ecco che cosa ha scoperto.

Dopo avere analizzato, come riassunto nell’articolo precedente, i pareri lasciati in rete in lingua italiana riguardanti EXPO 2015, abbiamo indagato il sentiment del popolo del web intercettando i commenti in inglese, francese, tedesco e spagnolo, sempre inerenti ad EXPO 2015, in Social Media, Blog e Forum, (ovviamente stranieri). Anche in questo secondo rilevamento abbiamo escluso, per scelta metodologica, news e siti di addetti ai lavori, con l’obiettivo di esaminare solamente i mood espressi liberamente dagli internauti.

Considerando di ripartire in base alla lingua i pareri rinvenuti in rete su EXPO 2015, si ottiene una distribuzione di questo tipo: Inglese 32%, Spagnolo 30%, Tedesco 26%, Francese 12%.

Analizzando i contenuti dei commenti si scopre che è l’esperienza personale più che l’informazione o la comunicazione a determinare un minimo di conoscenza/attenzione/curiosità su EXPO 2015: in Spagna si è tenuta l’EXPO a Saragozza nel 2008, in Germania ad Hannover nel 2000, nella Svizzera Francese nel 2002 (non dimentichiamo inoltre che il Bureau International des Expositions ha sede a Parigi).

Per trovare un’edizione di EXPO in un Paese anglofono dobbiamo risalire al 1988 ma soprattutto andare dall’altra parte del Mondo: Brisbane. Sembrerebbe che l’Esposizione Universale abbia un’eco soprattutto nazionale.

Che l’esperienza di un’Expo recente a casa propria sia alla base della talkability spiega anche una distribuzione tra i pareri nelle differenti lingue che non rispecchia la diffusione delle lingue stesse.

Quando si parla di EXPO 2015 nel web straniero, dopo Milano ed eventualmente l’edizione tenutasi “a casa propria”, la più citata è Shangai 2010.

infografica esteri expo.001

 

A proposito di Shanghai
Gli argomenti maggiormente citati riguardo Shangai 2010  e riguardano nel 36% dei casi i risvolti economici, con il 32% delle citazioni le opportunità di penetrazione in un mercato dalle elevatissime potenzialità, nel 18% dei pareri il significato politico e nel 14% delle menzioni l’impatto sociale dell’ulteriore apertura da parte della Cina verso il resto del Mondo.

 

Ma quali argomenti trattano i naviganti stranieri quando scrivono in rete di EXPO 2015?

Gli argomenti più trattati sono (pareri multipli) l’occasione di un viaggio in Italia, soprattutto per chi parla tedesco e inglese), il richiamo del Made in Italy (un po’ meno per i francofoni). Milano come città della moda, poi è motivo di conversazione per tutti abbinata a Expo, mentre la città meneghina è meno presa in considerazione quando si parla di Expo e delle città d’arte italiane. Il mare esercita sempre il suo fascino tra gli anglofoni e chi parla tedesco.

Molto poco frequentata è invece la conversazione sul tema dell’Expo e della storia dell’Expo.

Schermata 2015-05-01 alle 21.30.12

EXPO 2015 quindi è sentita come vetrina per l’Italia, il Made in Italy, la moda, le città d’arte, il “mare nostrum”  (quest’ultimo anche per la stagione in cui si svolge EXPO 2015)?

Sicuramente i netsurfer stranieri associano questi driver del turismo incoming nazionale ad EXPO 2015, ma purtroppo queste sono le intenzioni di visita:

• nel 58 % dei casi si parla genericamente di Italia, parlando di EXPO 2015,
• nel 34 % dei pareri intercettati ci si dice intenzionati a visitare EXPO 2015 all’interno di un viaggio o vacanza già previsto nel Bel Paese
• nell’8% delle rimanenti opinioni si valuta di/se venire in Italia appositamente per visitare l’EXPO 2015.

Passiamo a considerare quanto sono stati trattati nelle altre lingue i temi dibattuti in rete in lingua italiana (parei multipli).

Paragoniamo ora la conoscenza del tema di EXPO 2015 di chi si è espresso in rete nella lingua di Dante con quella di chi lo ha fatto nelle altre quattro lingue considerate (tra coloro che hanno lasciato opinioni su EXPO 2015).

Dalle ultime due tabelle dell’infografica si evince che se tra i naviganti italiani che ne scrivono in rete la disinformazione su EXPO 2015 è elevata, tra coloro che ne digitano in inglese, francese, tedesco è spagnolo, la disinformazione è decisamente superiore.

Globalmente i meno disinformati risultano essere i netsurfer di lingua tedesca, seguiti da coloro che scrivono i propri pareri in spagnolo, quindi dai francesi ed infine, ultimi, gli anglofoni (che sono però i più numerosi).

Abbiamo visto, nel precedente articolo, che gli italiani sono particolarmente negativi nei confronti di Expo 2015; e gli stranieri ? Abbiamo riclassificato i pareri intercettati in rete in giudizi positivi, negativi, neutrali.

Se ne deduce che l’eco di ritardi, possibili disservizi, appalti truccati, tangenti, infiltrazioni mafiose non sia giunto all’estero o che, comunque, non cambi l’immagine dell’Italia e le aspettative degli stranieri su EXPO 2015.

Conclusioni

La comunicazione su EXPO 2015 è giunta solo in parte all’estero.
La notizia ha colpito soprattutto chi ha avuto nella propria nazione recenti esperienze di Esposizione Universale. La conoscenza del tema di EXPO 2015 all’estero è ancora più bassa che in Italia. Ma mentre Shangai 2010 ebbe risonanza mondiale per i contenuti economici e socio-politici, per ora l’interesse riservato dagli stranieri ad EXPO 2015 è quasi esclusivamente turistico.

Ciononostante solo un terzo di chi ha già in previsione un viaggio in Italia per altri motivi, e meno di un decimo di chi scrive di EXPO 2015 in rete senza avere già in programma una visita al Bel Paese, sembra intenzionato a valutare l’opportunità di visitarla.

Detto ciò le buone notizie sono le seguenti:

• i driver storici del Made in Italy e del turismo in Italia sono ben presenti in  coloro che scrivono nel web riguardo l’EXPO 2015;
• è l’immagine positiva di cui gode l’Italia nel Mondo a veicolare EXPO 2015 all’estero e non viceversa;

• i giudizi positivi su EXPO 2015 sono in ogni lingua superiori al 50% e quelli negativi tutti inferiori al 7%(al contrario di quanto avviene per i pareri espressi in italiano).

WWW.WEB-RESEARCH.IT Srl
È un istituto di ricerche di mercato e consulenze di marketing che offre servizi rivolti ad aziende e multinazionali presenti nel mercato domestico. Ha portato tra i primi in Italia una nuova metodologia di ricerche ed analisi di mercato: Web listening – Web research – Web monitoring. Utilizzando software di intelligenza artificiale che emulano il funzionamento delle reti neurali effettua un’analisi semantica e psicometrica dei testi presenti nel Web attribuendo loro personalità e punteggi. www.web-research.it ascolta il Web per scoprire, analizzare, razionalizzare cosa i clienti reali e potenziali pensano e dicono oggi e indietro nel tempo fino agli ultimi tre anni. È il partner ideale di aziende, marchi, prodotti, servizi e personaggi pubblici con esposizione mediatica significativa.

info@web-research.it – gianmarco.stefanini@web-research.it

Italiani e verdure: le consumano, le amano e le sprecano di più secondo una ricerca Saclà Doxa

Le verdure sono amate dal 91% degli italiani, soprattutto giovani. Sei su 10 ne hanno aumentato il consumo nell’ultimo decennio. Alti gli sprechi: un italiano su due (52%) dichiara di essere costretto a gettare nella spazzatura le verdure che acquista. Però, sette su 10 le mangiano perché sono buone, svincolandole dalla logica “punitiva” di alimento da consumare solo “perché fa bene”, in cui sono state confinate per anni. Sono i risultati principali della ricerca “Gusto verde. Gli Italiani e le verdure” che Saclà ha commissionato a Doxa.

sacla_Doxa

Lontani i tempi del “contorno” punitivo, oggi le verdure, grazie anche all’attenzione crescente dedicata loro da chef stellatissimi, hanno scalato posizioni e anzi il 64% degli italiani le considera “piatto principale” del menu. Le consuma un esercito di 50 milioni di italiani (91%) e ben 7 su 10 le mangiano perché sono buone. Tra i giovani, il 58% dichiara di averne aumentato il consumo negli ultimi 10 anni. Per ragioni poi di gusto e praticità, ma anche per l’innata natura “anti spreco”, le verdure conservate risultano essere le preferite da due italiani su 10.

Nord e donne ne consumano di più
Gli italiani mangiano verdura in media una volta al giorno e il 20% le mangia più di 10 volte a settimana. In generale le donne (7,2 volte a settimana) consumano verdure più spesso degli uomini (6). Il Nord è un vero e proprio caposaldo del consumo di verdura (7,5 volte a settimane) mentre nel Sud Italia (ma dov’è finita la dieta mediterranea?) le porzioni settimanali scendono molto (5,3 volte). Nella media il Centro Italia (6,9).
In realtà questi consumi potrebbero essere anche più alti, se non sussistessero alcune barriere al consumo di verdura: secondo gli intervistati, ci vuole troppo tempo per prepararla (28%), la verdura non piace a tutti in famiglia (19%), mancano idee creative per cucinarla (14%) e, ma solo per ultimo, il fatto che non se ne apprezza il gusto (7%).

Conservate in crescita
Forse anche per questi motivi oggi 11,5 milioni di italiani si rivolgono alle verdure conservate, con un trend positivo nei consumi negli ultimi 10 anni del +5%. Il segreto di questo fenomeno? La metà degli italiani (52%) pensano che la qualità dei prodotti sia migliorata mentre per il 23% è rimasta stabile ed è peggiorata solo per il 9% degli italiani. Al top nell’apprezzamento olive (38%), carciofini (35%), e funghi (30%). In particolare tra i plus riconosciuti ad una verdura conservata ci sono la varietà offerta dalle aziende (63%), l’alto contenuto di servizio (49%) e il miglioramento del gusto (35%). I tre cardini su cui poggiano le aspettative dei consumatori nei confronti di una verdura conservata sono che sia sicura (57%), buona e gustosa (50%) e salutare (49%).
Insomma, la passione per le verdure, in Italia, non è la conseguenza di scelte di vita “estreme” o “ideologiche”: il consumo di verdure è considerato da 9 italiani su 10 (89%) importante per la propria alimentazione ma non a scapito di altri cibi. Vegani e vegetariani sono il 5% (1% i primi, 4% i secondi) della popolazione.

Survey Nielsen: fisico e digitale, gdo e retail tradizionale gli italiani li frequentano tutti

Via Flickr, M. Montanari

Andare al supermercato può essere anche un’occasione di svago per il 47% degli italiani, ma l’80% frequenta anche i mercati rionali e i negozi tradizionali e il il 22% va più spesso al discount per gli acquisti food&grocery rispetto a un anno fa.

I dati emergono dall’indagine Nielsen Retail Store Format Preferences, svolta online su più di 30.000 consumatori in 60 Paesi.

Le casse self service dei supermercati vengono utilizzate dal 33% dei consumatori (23% la media UE) e solo il 17% dichiara di non volerne ancora fare uso.

Il 50% dei consumatori, emerge ancora dalla ricerca, acquista online. Ma l’esperienza del virtuale sta prendendo piede anche all’interno del canale fisico.

Inoltre, il 42% degli intervistati si dichiara favorevole a fare uso dei buoni sconto promozionali online o mobile, con un gradimento significativamente superiore rispetto agli europei (30%).

“I consumatori italiani sono più propensi rispetto agli europei a rivolgersi a diverse tipologie di punti di vendita coniungando la frequentazione delle grandi superfici a quella di superette e negozi tradizionali – commenta l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – ma contemporaneamente  il canale fisico e il digitale stanno avendo sempre più punti di intersezione e si configurano come uno complementare all’altro”.

Un percorso della spesa da intercettare sia con il canale digitale sia con quello fisico, quindi. E sono gli stessi intervistati a indicare la strada: il 45% desidera collegarsi alla rete WIFI del distributore per rendere l’esperienza d’acquisto più personalizzata, il 41% vorrebbe poter esporre le proprie esigenze personali al retailer per avere offerte più personalizzate.

 

Doxa-Aidepi: prima colazione dolce o salata? Così la fanno gli italiani

Dolce o salata? È questo il tema al centro dell’indagine svolta dall’Osservatorio Doxa-Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta) sulla prima colazione degli italiani.

Secondo l’indagine Io comincio bene, chi salta la colazione passa in soli 2 anni dal 14% al 9%. Una tendenza molto netta (parliamo di una riduzione del-35%) che riguarda, per fortuna, soprattutto i giovani: oramai fa colazione il 98% dei ragazzi (15-24 anni), mentre nel 2013 erano l’84%.

I risultati confermano che il 65% degli italiani la fa abitualmente all’insegna del dolce, cosi come da tradizione mediterranea e italiana. Mentre 2 su 10 (19%) alternano la colazione dolce e quella salata e solo il 7% la fa esclusivamente salata.

Anche il caffè, a colazione, è per la grande maggioranza degli italiani solo e sempre dolce: il 68% dei nostri connazionali lo completa con l’aggiunta di zucchero, miele, o dolcificante, mentre 1 su 4 lo prende amaro (25%). Una modalità, quest’ultima, che è particolarmente apprezzata dai giovani under 35.

La minoranza che sceglie di aprire la giornata all’insegna del “salato” lo fa soprattutto per una ragione di gusto: in primis perché il salato, piace di più rispetto al dolce (49%), e in secondo luogo perché il dolce non piace molto in generale (21%). Alcuni confessano però che si svegliano affamati e il salato li sazia di più (16%). Solo una piccola parte (16%) considera invece la colazione salata “più salutare di quella dolce”.

Re della colazione salata è il pane che tra pane del panificio (44%) e versione confezionata (28%) raccoglie il 72% delle preferenze.

Al contrario il modello di breakfast anglosassone sembra non attecchire proprio.

Molto bene il toast (34%) che è un vero e proprio “must” nella colazione dei più giovani tanto da raggiungere il 70% delle preferenze di chi fa colazione salata. Crakers, salumi, uova e focaccia si attestano nella fascia 24-27%, mentre più indietro troviamo i grissini (14%) e la pizza (10%).

infografica_colazioneDEF-01

Ma com’è composta la colazione dolce?

Tra i prodotti preferiti dagli italiani a colazione al primo posto troviamo infatti i biscotti, scelti da 6 italiani su 10 (58%), seguiti da fette biscottate, con o senza marmellata, miele e creme spalmabili alla nocciola o al cacao (19%).

A seguire, più o meno a pari merito (tra il 7% e il 9% dei consensi), 3 gruppi di alimenti: cereali/muesli; merendine/brioches/cornetti confezionati e yogurt.

La colazione dolce è particolarmente amata dalle donne che la preferiscono agli uomini (71% contro 59%) ed è anche la tipologia preferita dai più giovani (70% contro media del 65%).

Inoltre c’è una schiera di aficionados del dolce a colazione (43% degli italiani) che lo consumano solo in questa occasione e per niente nel resto della giornata.

«La colazione dolce – spiega la nutrizionista Valeria Del Balzo – a base di latte o yogurt e accompagnata da biscotti o cereali da colazione o fette biscottate con marmellata o crema spalmabile alla nocciola e un frutto, presenta un contenuto calorico che si colloca in un range di 290-315 kcal, più basso di circa 100-150 kcal rispetto a quella salata, ma è senz’altro un’ottima scelta dal punti di vista nutrizionale grazie al giusto mix di carboidrati, in particolare zuccheri, che sono fondamentali al mattino per migliorare la performance cognitiva, proteine, vitamine e una bassa quantità di lipidi».

I motivi per i quali la grande maggioranza degli italiani preferisce la colazione dolce sono quattro: al mattino il dolce aiuta ad attivarci prima (48%, con punte del 69% per i giovani); in generale il dolce piace più del salato (46%); la colazione è il momento del dolce (28%) e infine perché una colazione a base di dolce è più leggera (23%).

Infine 1 italiano 2 pensa (indipendentemente dal fatto che personalmente scelga un modello o l’altro di colazione) che la colazione dolce sia più adatta a bambini e adolescenti rispetto a quella salata (56%) o al massimo un mix delle due (41%).

Ipsos per Tuttofood delinea il futuro del cibo, in un confronto tra generazioni

Due generazioni a confronto per delineare il futuro del food: è l’operazione svolta da Ipsos e commissionata da Tuttofood (dal 3 al 6 maggio 2015 a fieramilano Rho) che ha messo i “Millennials” (18-29 anni) e i “Baby Boomers” (50-64 anni). La ricerca, di ambito internazionale ma focalizzata sull’Italia, ha delineato alcune tendenze, atteggiamenti e desiderata nei riguardi dell’alimentazione, dentro e fuori casa.

Occhi puntati sull’etichetta
Molti i punti di contatto tra generazioni quando si parla di food: l’importanza della gratificazione emotiva ad esempio, che accomuna il 77% dei Millennials e il 76% dei Baby Boomers, ma anche il cibo sano, importante per l’87% dei “grandi” e il 75% dei giovani. Il risultato è un approccio che sposa piacere e salute, una sorta di salutismo non punitivo. Proprio per questo aumenta l’attenzione verso le etichette, un tempo inutile orpello del retro confezione ed oggi sempre più lette, alla ricerca di due elementi: le proprietà nutritive (le cerca il 56% dei Baby Boomers e il 54% dei Millennials) e i valori nutrizionali (importanti per il 48% dei junior e il 56% dei senior).


Al prodotto industriale, che non è demonizzato ma visto come necessario, si chiede però di essere “smart”, meno corrente, mantenendo le sue caratteristiche di economicità ma insieme a un approccio sostenibile, per la salute e l’ambiente

Un’ondata che non accenna ad arrestarsi è quella del biologico: oltre un quinto dei consumatori più giovani (23%) compra solo prodotti biologici, quota che scende al 18% tra le schiere dei loro genitori.

Nel fuori casa vince lo street food, a casa fusion e creatività
Quando si mangia fuori casa lo street food si candida come concorrente di cibi pronti o confezionati: oltre al piacere di mangiare bene e provare sapori diversi dal solito, sempre più il consumo di pasti fuori casa sarà orientato alla comodità, come richiedono i Millennials (+10% rispetto ai loro “genitori”).
La cucina domestica, tratto distintivo del Bel Paese, che totalizza il valore indice più alto in assoluto (47) seguito da USA (42), Giappone (38), Cina (37) e Brasile (27), vede dominare sperimentazione e creatività, condivisione sui social, apertura alla cultura etnica, superamento di vecchi stereotipi con l’uomo sempre più presente dietro ai fornelli, utilizzo di strumenti tecnologici e prodotti come preparati e basi che velocizzano tutti i processi. I cibi stranieri che più hanno influenzato la cucina italiana sono Kebab, Hamburger e Sushi mentre se si esaminano piatti e ricette made in Italy che maggiormente hanno influenzato la cucina di altri Paesi, secondo i Millennials si tratta senza dubbio di pizza, pasta ed espresso/cappuccino sostituito dal parmigiano/grana per i Baby Boomers.

I sapori del 2015: salato, leggero, tradizionale rivisitato
Quali sono i sapori che si imporranno nell’anno a venire, cosa ricercheranno i consumatori a tavola? La ricerca Ipsos risponde anche a questa domanda: il mood generale è verso il salato, ma con poco sale. Il 66% degli intervistati pensa che nell’anno in corso ci sarà una ricerca di gusti sapidi, più maturi, che si rifletterà nella tendenza a piatti e alimenti salati piuttosto che dolci. Per il 2015 il 70% degli intervistati ritiene però che sarà necessaria la ricerca di piatti e ricette in grado di coniugare gusto e attenzione alla salute. La maggioranza degli italiani infine (il 60%) ritiene che il 2015 gastronomico sarà l’anno della riscoperta delle origini e dei sapori tradizionali, con una polarizzazione netta: gli intervistati più maturi sono orientati verso un ritorno dei grandi classici della cucina italiana, mentre i più giovani sono più propensi a pensare che il 2015 sarà un anno di svolta orientato a una cucina innovativa e a una ricerca dell’atipico. La “quadratura del cerchio” potrebbe essere quel che Ipsos chiama un “ritorno all’innovazione”, con una rivisitazione di piatti tradizionali alla luce di nuovi gusti.
Parimenti, il 53% degli intervistati ritiene che il 2015 gastronomico sarà nel segno del rassicurante, con cibì delicati, in grado di soddisfare il palato senza stufare; mentre il 47% ritiene invece che il 2015 sarà l’anno delle sensazioni forti, da esplicarsi nella ricerca di gusti decisi e sapori piccanti.
Spostando l’orizzonte ai prossimi 2-3 anni, ci sarà una crescita del fresco e del biologico.

Marca: affascina soprattutto gli uomini
La pubblicità non domina più la mente dei consumatori, che tendono ad affidarsi molto più al passaparola e alle opinioni degli altri consumatori. Sostanziale in questo la differenza di genere, con le donne che prestano molta attenzione ai giudizi sui prodotti mentre gli uomini saranno sempre più brand oriented e quindi portati all’acquisto di prodotti di marca. Nel medio periodo la reputazione dei brand passerà sempre di più attraverso la rete di relazioni (on e off line) e sempre meno dall’etichetta e dall’esperienza storicizzata.

Il decalogo del supermercato ideale per i consumatori

IperConad di Corciano (PG)
M. Dona,jpg
Massimiliano Dona

Nel corso del convegno di presentazione del Bilancio di Sostenibilità Sociale della distribuzione moderna curato da Federdistribuzione, il segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona ha evidenziato il possibile rischio di autoreferenzialità del bilancio, pur dando atto della meritorietà dell’impegno nella misurazione di un intero settore.

Dona, che ha citato i risultati di uno studio dell’Unione Consumatori sui desideri dell’utenza, ha quindi spronato la distribuzione moderna a fare di più agli occhi del consumatore. E ha citato le dieci cose che i clienti dei supermercati vorrebbero vedere migliorare.

1) INTERAZIONE. Prevedere strumenti più efficaci di interazione con la clientela: non solo con il classico punto di ascolto presso il supermercato (o il call center), ma anche App e altri canali digitali come i social network;

2) INFORMAZIONI. Maggiori informazioni sulla provenienza dei prodotti, anche oltre le previsioni normative, a cominciare dall’introduzione in etichetta dell’informazione sullo stabilimento di produzione;

3) AVANCASSE. Divieto di collocare i prodotti per bambini alle casse, così da non sollecitare gli acquisti di impulso dei più piccoli;

4) PERCORSI. Predisposizione dei prodotti all’interno del grande magazzino secondo le esigenze consumatore (e non secondo le tecniche di visual merchandising del supermercato): quindi prima l’acqua minerale, per evitare che schiacci altri prodotti, poi prodotti in scatola, quindi i freschi come formaggi, frutta e verdura e per ultimo i surgelati vicini alla casse, per non interrompere la catena del freddo;

5) DISPOSIZIONE. Impegno a non cambiare la disposizione dei prodotti solo per disorientare il consumatore e costringerlo a peregrinare per le corsie;

6) CONVENIENZA. Indicazione del prodotto più conveniente per facilitare gli acquisti di chi si indirizza ai prezzi più vantaggiosi;

7) AMBIENTE. Impegno per la sostenibilità ambientale: dall’uso di materiali riciclabili ai contenitori per la raccolta delle batterie esaurite, dal divieto di uso della pellicola pvc per salumi e formaggi alla istallazione di termometri visibili al pubblico nei congelatori, fino alla corretta raccolta del RAEE;

8) FORMAZIONE. Seri investimenti sulla formazione degli addetti ai punti vendita anche per introdurre nuove figure di assistenti alla clientela che possano indirizzare il consumatore per trovare i prodotti tra gli scaffali e le notizie necessarie per acquisti di buon rapporto qualità prezzo;

9) ACCOGLIENZA. Migliore accoglienza per la clientela: dalla disponibilità di cartellonistica sui diritti di garanzia e post-vendita alla presenza di etichette “green” e di prodotti per particolari esigenze dei consumatori, dal contenimento delle file alle casse (offrendo percorsi privilegiati o automatizzati), alla disponibilità di aree wifi o per la ricarica di smartphone o tablet, fino a luoghi attrezzati per i minori o gli anziani;

10) CERTIFICAZIONI. Sistemi di certificazione da parte delle associazioni dei consumatori sulla qualità dell’informazione, i servizi di ascolto, la sicurezza prodotti (ad esempio tramite ispezioni o attività di mistery shopping che consentano di pervenire al rilascio di un trustmark di fiducia).

Fino a qui, Massimiliano Dona.

Va da sé che questo “decalogo del buon supermercato” comprende iniziative che molte catene hanno già attivato o hanno in corso di attivazione e altre che sono di difficile attuazione semplicemente per questioni operative o di costi. Tuttavia crediamo che il suo valore consista nell’essere una to do list per gli operatori. Non caso alla fine dell’intervento di Dona c’è stato un intenso scambio di biglietti da visita con i retailer presenti all’evento.

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare