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A Milano e Napoli Casa San Benedetto dialoga con i consumatori

san Benedetto temporary 2

Puntuale con l’arrivo dell’estate, San Benedetto si ripresenta con il suo temporary store. Anzi con i suoi temporary. Perché quest’anno accanto a quello di Milano Stazione Centrale ce n’è un secondo a Napoli sempre alla Stazione Centrale, dove far entrare in contatto i viaggiatori con i brand e con l’ampa gamma di prodotti di San Benedetto. Se il primo coglie l’opportunità di Expo per dialogare con milioni di viaggiatori, il secondo intende ribadire la leadership del gruppo veneto e il presidio sul territorio nazionale.

Spazi acoglienti e funzionali, i punti vendita offrono un’atmosfera green e familiare, veicolando con maggiore forza la scelta eco sostenibile dell’Azienda, rafforzata nel temporay di Milano dall’installazione di un albero tridimensionale. L’attività è stata svolta in collaborazione con NextMaterials, spin-off del Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM).

VincenzoTundo
VincenzoTundo, direttore Marketing Acqua San Benedetto

«Questa iniziativa conferma la vocazione alla multicanalità del nostro Gruppo – dichiara Vincenzo Tundo, Direttore Marketing di Acqua Minerale San Benedetto – e si pone l’obiettivo di verificare un approccio diretto al mercato che consenta di trasmettere al consumatore un’idea di Casa San Benedetto i cui valori di qualità, accessibilità e sostenibilità sono veicolati attraverso un portafoglio prodotti ampio e variegato, da vera Total Beverage Company italiana».

 All’interno di Casa San Benedetto è possibile acquistare tutti i prodotti di prestigio con i quali l’Azienda Veneta firma la gamma completa dei prodotti: dall’acqua minerale al Thè San Benedetto, da Aquavitamin alle bibite gassate San Benedetto e Schweppes fino alle bevande a base succo Batik Succoso. Tra le novità T-Surf, Prima Spremitura e le nuove lattine sleek Special Edition NABA del Thè San Benedetto.

Per il Pwc Total Retail Survey il punto vendita è centrale nel processo d’acquisto

Parlando di multicanalità , seamless è il nuovo termine al quale dovremo fare l’abitudine, vale a dire “senza soluzione di continuità“. Nel mondo multicanale è seamless l’esperienza che si propone al consumatore che naviga tra online e offline, che, proprio per questo motivo tendono a integrarsi. Lo conferma anche la ricerca Total Retal di Pwc, che si basa su due assunti fondamentali: – il consumatore deve essere posizionato al centro del modello di business degli operatori affinché l’offerta che ne consegue copra le nuove esigenze dei clienti e garantisca un’esperienza  continuativa e coerente su tutti i canali di comunicazione aziendali, lungo tutti i touch-point del customer journey; – il modello organizzativo e di gestione del back office deve seguire lo stesso principio di customer-centricity affinché, supportato da un investimento in tecnologie flessibili e innovative, riesca a soddisfare le nuove esigenze degli utenti. La ricerca,  che ha analizzato i comportamenti di consumo online e l’attitudine alla multicanalità di 19.000 consumatori in 19 paesi, tra cui oltre 1000 italiani, conferma infatti che  negozio fisico e e-commerce coesistono e sempre più spesso rappresentano fasi complementari del processo di acquisto. Tra i dati più significativi:

  • il 60% degli italiani si può definire digitale
  • il 75% degli italiani fa showrooming, cioè ricerca in negozio e acquista online, ma il 38% non rinuncia alla visita settimanale sul punto vendita;
  • il 50% usa lo smartphone per confrontare i prezzi o cercare un prodotto;
  • Il 63% dichiara che i social media influiscono nel processo d’acquisto;
  • Wealth effect: i convertiti digitali hanno più potere di spesa dei nativi digitali, ancora troppo giovani.

Ma è interessante, estrapolando dalla ricerca (che può essere scaricata qui), concentrarci sul punto vendita nella multicanalità. Il negozio fisico – afferma la ricerca – resta centrale nel processo d’acquisto, soprattutto per gli italiani: il 38% (36% a livello globale) si reca settimanalmente in negozio, contro il 25% che utilizza il PC, il 13% il tablet e il 12% lo smartphone. Pur rimanendo determinante nel processo di acquisto, il negozio fisico conquista un nuovo ruolo poiché i consumatori sono sempre più propensi ad utilizzarlo come vetrina per poi comprare online, spinti dalla convenienza di prezzo. Chi preferisce il negozio rispetto ai canali digitali, mette ai primi tre posti la possibilità di provare e testare il prodotto (65% Italia, 60% globale), la gratificazione istantanea dell’acquisto in negozio (52% Italia, 53% globale) e la maggior sicurezza sull’adeguatezza del prodotto nel soddisfare le proprie esigenze (33% Italia e campione globale).

Fonte: Total Retail 2015, pwc
Fonte: Total Retail 2015, pwc

Viceversa, riguardo all’acquisto online, per il consumatore italiano la possibilità di ottenere prezzi inferiori sui canali digitali rispetto al negozio è un incentivo molto forte, importante per il 67% dei consumatori, rispetto ad una media del 56% a livello globale (e solo 48% per il consumatore tedesco). In quest’ottica il consumatore italiano esprime una preferenza maggiore anche nella ricezione di offerte promozionali via email o SMS, testimoniando l’importanza degli strumenti di digital marketing. Rispetto al campione globale, il consumatore italiano vede meno “valore” nel fatto che i canali digitali possano sopperire la necessità di recarsi in un punto vendita (28% Italia vs 40% globale); ciò riflette la capillarità del  tessuto distributivo italiano.

Fonte: Total retail 2015, pwc
Fonte: Total Retail 2015, pwc

Tuttavia I negozi devono diventare, anche grazie all’innovazione tecnologica, luoghi dove non soltanto si ottengono risultati di vendita, ma si costruisce una relazione con un cliente fidelizzato. I consumatori però richiedono una digitalizzazione sempre più forte del punto vendita per facilitare il processo di acquisto, pagamento e anche condivisione con i social media. E si rivelano sempre più interessati ad un’esperienza in punto vendita arricchita di innovazioni tecnologiche e digitali. Le aree di maggior interesse sono la possibilità di controllare la disponibilità di prodotto (38% per il campione globale), la presenza di casse self-service e la possibilità di ricevere offerte personalizzate e in tempo reale. Il consumatore italiano è particolarmente aperto e sensibile a innovazioni in quest’ambito, con il 45% degli intervistati che dichiara il proprio interesse. Sempre più richiesto è anche il Wi-Fi nel punto vendita, interessante per il 24% dei consumatori globali e per il 23% di quelli italiani. Il Wi-Fi è ormai un servizio non più negoziabile nel campo dell’ospitalità, e ci si attende che diventi uno standard universale anche nel retail.

tecnologie nel pdv
Fonte: Total Retail 2015, pwc

Nielsen: con il mobile, gli italiani si avvicinano all’e-commerce anche per la spesa

PIano piano ma alla fine, lentamente e buoni ultimi, ci stiamo arrivando anche noi italiani all’e-commerce per la spesa, quotidiana o settimanale che sia. E la punta di ariete che sta convincendo ad utilizzare le vendite online anche i diffidenti nostri connazionali sarebbe proprio lo smartphone, ormai nelle mani di oltre un italiano su due che lo usa a profusione, non potendo più farne a meno. La conferma viene da Nielsen, che sottolinea come, dei 21,7 milioni di italiani connessi al web in media per 1 ora e 55 minuti al giorno, il 39% utilizza esclusivamente lo smartphone (Fonte: Audiweb powered by Nielsen). Ed è un mezzo che viene utilizzato durante tutto il processo di acquisto: il 60% naviga prima di acquistare in negozio, il 46% si fa consigliare da recensioni online e 1 italiano su 4 utilizza lo smartphone in store per cercare sconti e promozioni. Poi c’è l’e-commerce, in crescita e sempre più ricco se lo scontrino medio di chi acquista online utilizzando tutti i devices è 2,3 volte più alto di chi acquista solo da Pc (Fonte: Nielsen Global Survey, 2014).

Il mondo digital in Italia

 

 

GDO, avanti piano ma qualcosa si muove

 

Evoluzione dell’e-groceryIl confronto con gli altri Paesi è impietoso, e in effetti il grocery copre solo l’1% delle vendite online in Italia, contro il 30% e oltre di Francia e Uk. Ma cresce a doppia cifra. A fine 2014 valeva 375 milioni di euro (+18% sul dicembre 2013) con una penetrazione del 16,9% nelle famiglie italiane (+12%). Soprattutto, è un canale interessante, che vanta un’elevata spesa media per atto (35 euro vs. 16 euro a totale Italia) e una fedeltà al canale del 4% (Fonte: Nielsen Homescan, Dicembre 2014). Inoltre, è un settore in cui la frequenza d’acquisto potenziale è molto elevata rispetto al resto degli acquisti di e-commerce (pensiamo all’elettronica da consumo), per cui suscita vivo interesse anche da parte dei players operanti in altri settori.

Su alcune categorie poi si concentra l’interesse: è il caso del caffè dove spicca il successo di Nespresso, o del mondo del fresco che viene acquistato online da quasi il 5% degli italiani, grazie anche a fenomeni quali Cortilia, che consegna a casa i prodotti delle aziende agricole della zona. Infine risulta molto dinamico il mercato delle bevande, che rispetto all’anno precedente cresce del 18% a valore.

Anche le insegne “classiche” però si stanno finalmente muovendo. Unes/U2 pensa al click and collect per fine anno, Carrefour ha appena installato un negozio virtuale per l’e-commerce nella stazione Loreto della metropolitana milanese, MD sta per partire con il click and collect del non-food.

 

Da Végé con i beacon il prodotto parla al cliente

L’amministratore delegato di Gruppo VéGé Giorgio Santambrogio è particolarmente soddisfatto. L’annuncio fatto durante Linkontro Nielsen riguardante l’avvio dell’utilizzo dei beacon in alcuni punti vendita del Gruppo ha colpito nel segno, suscitando interessamento in molti rappresentanti dell’Industria di marca presenti al Forte Village.

Perché è la prima volta che questa tecnologia di marketing di prossimità viene utilizzata in un supermercato (esempi ci sono in COIN/OVS e realtà come Mondadori, Stroili, Adidas tramite piattaforme come Checkbonus), aprendo il mondo del largo consumo alla rivoluzione dell’Internet of things. «Per la prima volta in Italia all’interno di un supermercato il prodotto potrà interagire con il singolo cliente», ha spiegato Santambrogio.

Coupon BeaconGrazie alla tecnologia Bluetooth, la App Delizie Végé e lo smartphone, i sensori beacon posti in prossimità dei singoli prodotti interagiscono con il cliente mentre si sposta tra le corsie, fornendogli informazioni sui prodotti e segnalandogli novità e promozioni, anche personalizzate, direttamente sul suo smartphone.

«È il paradigma delle promozioni che per la prima volta viene capovolto – spiega Santambrogio – perché non è più i cliente che cerca il prodotto, ma è il prodotto che parla direttamente al cliente. Questa tecnologia, che il Gruppo Végé sviluppa per prima in Italia nella Gdo, sintetizza e rende accessibile ciò di cui si parla da tempo: marketing esperienziale, proximity marketing, mobile marketing. E inoltre ha grandi potenzialità di sviluppo nel campo, per esempio, della instore gamification.

Con una valenza positiva da non sottovalutare: il contatto si attiva solo ed esclusivamente perché è il cliente che ne accetta le condizioni. Non è un caso che proprio perché siamo di fronte a una nuova modalità di dialogo con il cliente, che la richiede, diverse aziende abbiano espresso il loro interessamento al riguardo».

Il pilota è in corso da qualche settimana nel punto vendita a insegna Dimeglio a Crevalcore (Bologna) che fa capo all’impresa mandante Market Ingross, relativamente a 6 referenze (quattro di marca e due a marchio Delizie VéGé), ma il progetto va immediatamente a roll out su 100 negozi delle imprese Moderna del presidente Mastromartino, Migros e Gargiulo&Maiello di Napoli (cura persona) per complessivi 10 mila bacon installati (ogni beacon richiede un investimento di 25 euro).

CRAI punta sul format, sulla multicanalità e sul rapporto con la clientela

Con un fatturato della rete totale pari a circa 4 mld e 850 milioni (pari a un incremento del 24% sull’anno precedente e corrispondente a un netto raddoppio rispetto al 2008) e un energico sviluppo della rete (+323 pdv nel settore alimentare) Crai si conferma anche per quest’anno leader qualitativo del mercato di vicinato, in un’ottica di relazione quotidiana e di familiarità con la propria clientela. Non basta: procede a gonfie vele anche il canale drug, che grazie all’apertura di 270 nuovi negozi, oggi può contare su una rete capillare di oltre 3.000 pdv.

“La soddisfazione cresce – dichiara Marco Bordoli, Amministratore Delegato CRAI Secom – se si considera l’attuale situazione economica con trend ancora negativo. Per fronteggiare la crisi dei consumi e attrarre sia nuovi operatori commerciali, sia nuovi clienti, abbiamo attuato alcune azioni per noi determinanti ai fini del successo: nuovo posizionamento strategico della marca “Nel cuore dell’Italia”, nuovo format per i punti vendita; forte spinta alla marca privata con attenzione alla gamma di prodotti di qualità; potenziamento della rete multicanale sul territorio e nuovo assetto organizzativo della centrale. Inoltre, al comparto food si aggiunge la forte presenza anche nel settore Drug, con oltre 1000 negozi in Italia. Oggi – continua Bordoli – siamo tra i principali leader nella formula distributiva multicanale.”

Progetti per il 2015
In un’ottica di sviluppo, crescita e miglioramento, Crai ha stabilito alcune priorità per l’anno in corso. Innanzitutto partendo dal presupposto che il cliente debba stare sempre al centro. Ma cosa vuole esattamente il consumatore? I dati emersi da una recente customer satisfaction, realizzata su un panel di 7300 clienti, rivelano che sul podio dei desideri di chi acquista non vengono messi sconti e promozioni (stabili al quarto posto) ma gentilezza, pulizia, servizio e facilità nel fare la spesa.

Ed è con queste aspirazioni che si deve fare i conti, proponendo iniziative, attività e soluzioni in grado di essere apprezzate e di incrementare la fedeltà all’insegna. Altro elemento strategico in grado di valorizzare le performances del Gruppo è quello di lavorare sul format del negozio. L’obiettivo, con Progetto Format, è quello di uniformare i punti vendita dell’insegna in modo da fornire un format comune e da offrire ai clienti una medesima shopping experience. Partendo dalle metrature più piccole – sotto i 100 mq – fino ad arrivare a quelle più grandi (oltre i 1000 mq). Uniformare quindi i punti focali del negozio, i display, il visual merchandising, le griglie assortimentali, la gestione della comunicazione in-store, le divise, i ruoli strategici dei reparti, la sequenza merceologica, fino ad arrivare al risparmio energetico. Ad oggi sono venti i negozi test, monitorati sulla base di alcuni parametri prestabiliti (come scontrino e margini) e pronti ad essere confrontati con il modello antecedente.

E in questa vision “store centrica”, si innesta il terzo driver di successo: la formazione. Per questo il Gruppo continua anche ad attivarsi con impegno sulle nuove generazioni di imprenditori. Per il 2015 il calendario della proposta formativa prevede:

  • Commercial & marketing retail
  • Il banco ortofrutta
  • Leadership e organizzazione del lavoro
  • La redditività
  • Comunicazione efficace
  • Operatività di punto vendita
  • Giovani Crai “Lo sviluppo della leadership”
  • La gestione del rischio di credito
  • Conoscenza dei vini e valore aggiunto indiretto
  • Il banco SAFO
  • Pane e Pasticceria
  • La gestione delle risorse umane
  • Monitoraggio nuove aperture

Ed eccoci al quarto asset: focalizzarsi sui localismi, un impegno ben sintetizzato dal pay off “Nel cuore dell’Italia” teso a sottolineare il legame con il territorio. E in questa direzione si muove pure il concept “A due passi da qui”, che ha lo scopo di valorizzare i prodotti e le eccellenze locali, dando così la giusta riconoscibilità al territorio, ai piccoli produttori, all’eccellenza italiana. Infine i prodotti a marchio: oggi rappresentano il 19,28% della quota di mercato e registrano un + 1% sul 2013; per questo costituiscono un tavolo di lavoro promettente su cui l’insegna si ripropone di crescere ancora, per superare la soglia del 20%. (C.I.)

Coop a Expo: le parole del cibo del futuro tra timori e aspettative

Coop Expo

Nella grande vetrina-luna park di Expo, lo sforzo maggiore di chi espone è quello di riportare l’attenzione sui contenuti. E non v’è dubbio che Coop con la sua presenza costituisce un laboratorio – insieme ad altre organizzazioni – che cerca di interrogarsi propio sul futuro del cibi e del pianeta. Non è un futuro immediato, è traslato al 2050, ma è un futuro che ci riguarda tutti e soprattutto riguarda le giovani generazioni.

Così Coop si interroga sul cibo del futuro e lo fa non solo con la sua presenza istituzionale, ma attraverso una ricerca commissionata a Doxa in 8 Paesi del mondo esemplificativi di situazioni diverse.

La ricerca si articola sul presente e sul futuro. E il presente è caratterizzati da un proprio stile alimentare, come dichiara quasi la metà del campione (il 45%), ma è sulla via della globalizzazione. Le differenze nell’approccio al cibo iniziano fin dalla preparazione del pasto, a cui si dedica in media 1,3 ore al giorno, ma con valori nettamente più alti per Paesi come il Brasile, l’India e la Russia. Gli italiani non sono da meno e si distaccano in questo dai vicini europei, analogamente si mostrano meno attratti dal take away e dal consumare cibo fuori casa. Per Italia, Cina e India prevale una dieta varia con utilizzo di carboidrati, di frutta e verdura, mentre il consumo di carne si concentra sui Paesi anglosassoni, ma anche in Cina e Brasile.

Emergono anche stili alimentari alternativi e in qualche modo trasnazionali.

I Foodies (cibo  tipico e di qualità) sono il 13% ma occupano posizioni di rilevo anche la dieta ipocalorica (10%), il credo salutista (10%), vegano (8%) o biologico (8%). Solo una minima parte del Pianeta sembra restia alla contaminazione, se è vero che appena il 22% del campione dichiara di non mangiare mai cibo etnico e quasi un quarto afferma invece di consumarlo spesso. Il 90% di tedeschi e inglesi dichiara infatti di mangiare etnico spesso o qualche volta, i più diffidenti sono i brasiliani e gli italiani.

Il cibo domani: cadono i tabù

Nell’infografica che sintetizza i risultati della rierca si colgono gli aspetti più interessanti.

Presentazione standard di PowerPoint

«Vi è un certo ottimismo dichiarato dagli intervistati – afferma Albino Russo, Responsabile Ufficio Studi Ancc-Coop – ma vi è una netta consapevolezza del cambiamento del cibo tra trent’anni, sia perché le tecnologie faranno la differenza, sia a causa dei cambiamenti climatici. dell’inquinamento e dell’aumento della popolazione». Questi fattori di cambiamento, nella percezione del campione intervistato, impatteranno significativamente soprattutto sulla naturalità del cibo (64%) sulla sua qualità e sicurezza (62%), sulla stessa tipologia di alimenti (60%). Proprio l’attesa di tali forti cambiamenti induce specifici timori sulla manipolazione degli alimenti che mangeremo (60%) e sugli effetti indotti dall’inquinamento ambientale (53%). In alcuni Paesi prevalgono al contrario i timori di un innalzamento del costo del cibo (Usa 57% Brasile 61%), un cibo meno democratico e solo per pochi, e del rischio di una futura scarsità alimentare (Brasile 63%). Il 72% del campione mostra infine piena consapevolezza sulla diffusione del cibo ogm.

Peraltro a livello mondiale i consumatori intervistati non prevedono una riduzione delle quantità consumate (solo in Uk e Germania si pronostica una riduzione nella frequenza di consumo di carne) mentre la dieta sembra spostarsi su una maggiore varietà con maggior ricorso a carboidrati, frutta e verdura.

Che cosa ci sarà Nel piatto del futuro? Cadono molti tabù. Troveremo Ogm (il 72% del campione mostra piena consapevolezza sulla loro diffusione), molte pillole (75%) e carne sintetica (60%), non mancheranno insetti e alghe comunque cibi dalle proprietà nutrizionali bilanciate. I più eclettici e aperti al cambiamento del gusto gli indiani, i cinesi e i brasiliani, ma anche un 70% di italiani potrebbe provare il cibo in pillole e il 44% dei nostri connazionali non si tirerebbe indietro nemmeno davanti a un insetto. A fronte di ciò, per tutti prevale comunque la paura sulla possibile manipolazione del cibo (il 60%) e il timore per un pianeta sempre meno controllabile o sull’orlo del precipizio ambientale (53%). Il 43% indica invece come la sua paura più grande sia un cibo troppo costoso.

«Vi è una consapevolezza trasversale del fatto che il rapporto con il cibo cambierà e una disponibilità  e apertura anche a provare ciò che non appartiene alla propria tradizione alimentare – afferma il presidente di Coop Italia Marco Pedroni – nonché una forte tendenza verso il cibo per la salute, per il vivere bene. È un campo di lavoro che ci deve vedere impegnati verso un cibo più salutistico mantenendo però le caratteristiche di gusto, di tradizione, di convivialità. Certo sono forti le paure per la scarsità, le possibili manipolazioni, ma anche per una minore democraticità, che significa contraffazioni, truffe alimentari. La domanda che ci poniamo è se vogliamo un cibo buono, sicuro e accessibile per tutti o se si sceglie di segmentare tra chi ha accesso a questo tipo di cibo e chi invece è destinato a uno più standardizzato e globalizzato.

Ma dalla domanda che abbiamo posto su come si immaginano i consumatori il luogo dove fare la spesa ricaviamo delle indicazioni precise. vVogliono avere  elementi per sapere di più su che cosa mangiano. E non si tratta di una generica rassicurazione, che le marche e le insegne perseguono, ma informazioni sui processi di coltivazione e allevamento, che cosa c’è dietro e dentro i prodotti. Il nostro Supermercato del futuro a Expo è un esempio in questa direzione».

 

Etichettatura d’origine, per la Commissione Ue deve essere volontaria. L’Italia non ci sta

Non convincono il Ministero delle Politiche agricole e forestali i due rapporti  sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti pubblicati dalla Commissione Ue secondo cui per alcune categorie di prodotti alimentari sarebbe meglio optare per un’indicazione volontaria, piuttosto che su un obbligo a livello comunitario.

«Ci aspettavamo molto di più dalla Commissione europea sul fronte dell’indicazione d’origine obbligatoria degli alimenti. Faremo sentire forte la nostra voce nel Consiglio dei Ministri dell’agricoltura Ue, perché riteniamo fondamentale dare informazioni trasparenti al consumatore sulla provenienza delle materie prime», ha affermato il ministro elle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina.

Il primo rapporto riguarda latte, prodotti caseari e altri prodotti trasformati, ma anche le carni di coniglio e di cavallo recentemente oggetto di uno scandalo di dimensioni continentali proprio per la mancanza di tracciabilità. Il secondo rapporto indaga sulla necessità per i consumatori di essere informati sull’origine degli alimenti non lavorati, sui singoli ingredienti dei prodotti e sugli ingredienti che rappresentano più del 50% dell’alimento.

L’indagine ha concluso che i consumatori sono interessati a conoscere l’origine di queste categorie di prodotti alimentari, ma meno che di altre categorie come la carne o alimenti quotidiani. Avendo valutato anche costi e benefici delle nuove regole in etichetta e l’impatto sul mercato interno e su quello estero, il rapporto ha concluso che un’indicazione di origine volontaria, associata all’attuale regime di obbligo d’origine per alcune categorie di alimenti, è la strada più conveniente.

Affronteremo con determinazione la questione tenendo conto delle risposte dei consumatori italiani alla nostra consultazione pubblica. 9 cittadini su 10 ci hanno chiesto di leggere chiaramente l’origine in etichetta. Nell’anno di Expo, mentre l’Italia si candida a guidare il dibattito sullo sviluppo agricolo globale, non possiamo accettare di stare fermi o fare passi indietro su un punto decisivo come quello dell’etichettatura».

Secondo la consultazione pubblica on line del Ministero (concluso a marzo) l’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari, l’87% per le carni trasformate, l’83% per la frutta e verdura trasformata, l’81% per la pasta e il 78% per il latte a lunga conservazione. L’82% ha poi dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e provenienza italiana del prodotto, con quasi la metà pronta a pagare dal 5 al 20% in più.

Negativo anche il giudizio di Coldiretti, secondo cui la Commissione Europea ancora una volta si schiera a difesa degli interessi delle grandi lobbies industriali con pareri in netta contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e italiani. Inoltre, annota Coldiretti,  l’indicazione della Commissione Europea è anche contraddittoria rispetto al percorso intrapreso fino ad ora che ha portato per ultimo all’entrata in vigore del Regolamento Ue 1337/2013 dal primo aprile 2015 è arrivato in Europa l’obbligo per gli operatori di indicare in etichetta il luogo di allevamento e di macellazione delle carni di maiale, capra e pecora.

Con queste premesse si fa più arduo il percorso in Europa per la battaglia volta a fare esporre in etichetta l’indicazione dello stabilimento di produzione, non più obbligatorio dopo l’entrata in vigore a fine 2014 del regolamento 1169 del 2011.

Nielsen: torna a crescere la fiducia dei consumatori nel primo trimestre

Dopo la produzione industriale Istat anche l’indice di fiducia dei consumatori rilevato da Nielsen nel suo Global Consumer Survey torna a crescere e fa sperare in una inversione di tendenza, che dovrà essere confermata, per dichiararci fuori dalla crisi, anche nel secondo trimestre. I dati però dicono che posizionandosi a quota 57, l’indice di fiducia dei consumatori si attesta al livello del secondo trimestre del 2011, ma allora era in caduta libera.

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Rimane tuttavia ancora ampio il gap con la media UE (77 punti). L’Italia si avvicina alle posizioni di Spagna e Francia (rispettivamente a 61 e 59) mentre Germania e Gran Bretagna detengono ancora il primato nel Vecchio Continente (rispettivamente a 100 e 97). Il 93% della popolazione, d’altra parte, ritiene il Paese ancora in crisi (vs 95% di un anno fa), anche se il 16% dichiara che se ne potrà uscire nei prossimi 12 mesi (vs. 12%). In sensibile crescita la preoccupazione legata alla possibilità di attacchi terroristici nel nostro Paese (+ 8 punti verso il primo trimestre 2014), rilevata presso il 9% degli intervistati.

«Ci troviamo di fronte a un dato in decisa controtendenza. Questo, infatti, passa da 45 punti rilevati nell’ultimo trimestre 2014 a 57 punti del primo 2015. Ricordiamo che nel trimestre precedente la tendenza era ancora in calo (-2 punti) », ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia commentando i risultati dell’indagine.

«Le ragioni di questa inversione – ha proseguito Fantasia –  vanno ricercate innanzitutto nella realizzazione di alcune riforme strutturali messe in agenda dal Governo in questi mesi. In secondo luogo nella ripresa economica sia a livello globale che in Europa e in Italia, grazie ad un mantenimento a bassi livelli del costo delle materie prime, e al miglioramento, seppure timido, del mercato del lavoro. In terzo luogo nell’attivarsi della domanda nei consumi, rilevata soprattutto nella Gdo. In altri termini, si assiste al verificarsi di condizioni che permettono alle famiglie di divenire, almeno in prospettiva, fonti di reddito e non più meramente centri di costo. Il vero problema che ora si pone è quello della tenuta di questa ripresa. Una risposta l’avremo dalle prossime rilevazioni della fiducia nel secondo e terzo trimestre. Solo un consolidamento della domanda nei prossimi mesi potrà metterci in condizione di ritenere che ci siamo lasciati la crisi alle spalle».

Più in dettaglio, ecco alcune pillole dell’indagine.

Prospettive lavorative: si prospettano buone per il 13% degli italiani, rispetto al 7% registrato nel 1° trimestre dell’anno scorso.

Finanze personali: la percezione è ora positiva per il 21% del campione, rispetto al 14% su base tendenziale. Sono il 17%, inoltre, gli italiani che ritengono sia il momento di fare acquisti (+5 punti rispetto al 1° trimestre 2014).

Mettendo a fuoco le preoccupazioni degli intervistati, si registra che il 28% del campione si dichiara ancora in apprensione per la stabilità occupazionale, con dato invariato rispetto alle rilevazioni del primo trimestre 2014. Guerra e immigrazione rimangono preoccupazioni rispettivamente per il 4 e 5% della popolazione (rispettivamente all’1 e 2% lo scorso anno). Il 5% si dichiara preoccupato per la propria situazione debitoria, il 6% per la salute, il 9% per l’economia.

Atteggiamenti verso la spesa: dopo gli acquisti per i beni necessari, il 37% degli italiani si orienta a destinare risorse per il risparmio. Seguono quanti intendono comprare vestiti o concedersi una vacanza (entrambi al 27%), mentre il 22% dichiara l’intenzione di volere spendere per il divertimento fuori casa. Si attesta al 25% la quota della popolazione che rimane senza soldi alla fine del mese.

Orientamento al risparmio: si rilevano alcuni segnali di un attenuamento dell’intenzione di tagliare le spese rispetto ai dati dello scorso anno, benché il 72% prosegua a monitorare le uscite finanziarie e la voce risparmio. Spende di meno per l’abbigliamento il 56% del campione (vs. 63%) come per i pasti fuori casa (vs 61%), il 40% per vacanze e gite fuori porta (vs. 46%), il 37% per l’utilizzo dell’auto (vs. 42%).

Nello stesso tempo, tuttavia, si osserva che la crisi ha influenzato in maniera permanente le abitudini di spesa degli italiani. Tanto è vero che è cresciuta la quota di coloro che dichiarano l’intenzione di proseguire a risparmiare sulle bollette di luce e gas (26% vs. 22% del 1° trimestre 2014) e di comprare i prodotti alimentari più economici (23% vs. 20%).

Sono infine il 20% (vs 25%) gli italiani che porranno attenzione sulle spese per ristoranti, e il 19% (vs. 22%) su quelle per nuovi abiti.

Un giovane italiano su 4 cucina in casa per amici, e tra gli under 35 è food-mania

Italia patria del cibo, anche per le nuove generazioni. Un giovane su quattro (24,5 per cento) tra i 18 ed i 34 anni ama stare ai fornelli e la buona cucina e considera il cucinare come un’attività di svago, relax e affermazione personale. È quanto emerge da una analisi Coldiretti/Censis: un amore non nuovo che era dilagato ad esempio nel dopoguerra, con una novità però. La nuova passione per i fornelli oggi ha contagiato sia uomini sia donne. Anzi: secondo la Coldiretti sta emergendo una “mascolinità di nuovo conio che esprime la sua soggettività in termini creativi nel rapporto con la cucina, con la manipolazione del cibo che si afferma come una modalità attraverso la quale si esprime se stessi”.
Tutto ciò si esprime concretamente ad esempio attraverso i classici inviti a cena degli amici nel fine settimana che diventano dei veri e propri show cooking casalinghi. Un fenomeno che sta di fatto trascinando il boom dell’informazione legata all’enogastronomia: infatti, il 32,6 per cento dei giovani legge e utilizza ricettari spesso scaricati su internet, il 31,9 per cento segue programmi televisivi di cucina, il 13,9 per cento non segue religiosamente i consigli di chef celebri. Altra conseguenza è l’attenzione e la ricerca alle materie prime che si vogliono fresche e genuine, possibilmente a chilometro zero direttamente dai produttori agricoli o nei mercati di Campagna Amica, i mercati agricoli di Coldiretti.
La passione per il cibo si esprime anche fuori casa con quasi tre giovani under 35 anni su quattro (71 per cento) che partecipano, specie nel weekend, al rito dell’apericena. Una pratica che piace anche perché consente di risparmiare rispetto alla cena tradizionale fuoricasa, senza rinunciare alla socialità. Sono tutte occasioni per assaggiare e imparare a conoscere i diversi tipi di vino di cui è particolarmente ricca l’Italia, ma anche per gustare formaggi, salumi e prodotti del territorio.
Un interesse sempre più diffuso, tanto che il 48,9 per cento degli under 35 dichiara di partecipare a iniziative di degustazione, il 4,8 per cento regolarmente e il 44,1 per cento di tanto in tanto: parliamo di 5,4 milioni di italiani.
La riscoperta del valore del cibo da parte dei giovani è confermata dalle iscrizioni a corsi di sommelier ma anche da quanti vedono nel cibo una opportunità di lavoro con l’apertura di osterie, vinerie, ristoranti. Non è un caso che l’alberghiero ha raggiunto ben il 9,3 per cento del totale delle iscrizioni al primo anno delle scuole secondarie e si posiziona al secondo posto, dopo lo scientifico, fra le scuole superiori più richieste in Italia. Tanto che, sulla base delle iscrizioni alle prime classi scuola secondaria di secondo grado, statali e paritarie, nell’anno scolastico 2014/2015, si potrebbe prevedere che nell’Italia del futuro ci saranno più di due cuochi per ogni operaio.
“Il boom dei giovani che si mettono ai fornelli conferma il trend che vede oggi in Italia quasi uno studente su quattro scommettere su una prospettiva di lavoro futuro nell’agricoltura e nel cibo – ha dichiarato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -: più in generale, il sempre crescente interesse per la cucina e il mangiar bene è anche ‘figlio’ dei primati che l’Italia ha conquistato in questi anni in termini di qualità dei suoi prodotti agroalimentari e che è una delle leve principali che spingono i visitatori stranieri a venire in Italia per l’Expo”.

Sei modelli di consumo dopo la crisi nella Shopping Map di M&T

Schermata 2015-05-15 alle 12.27.14Ci sono i territoriali e gli i-family, quelli che OK il prezzo è giusto e i Nonno Italo, i Wow shop e gli Hasta il consumo siempre.

Sono i sei cluster individuati dall’edizione 2015 della Shopping Map di Marketing & Trade, che traccia i modelli di consumo degli italiani, individua le tipologie di comportamenti di acquisto, gli atteggiamenti rispetto ai brand, alle promozioni, a qualità e sostenibilità, alle diverse forme della comunicazione. Disegna inoltre la propensione alla multicanalità di acquisto e alle influenze dei social e del web, oltre ad associare a ciascun modello di consumo i format preferite e le insegne retail frequentate e preferite di cui definisce una precisa performance rispetto a tutti gli elementi dell’offerta.

Shopping Map è basata su oltre 1100 interviste a consumatori dentro i luoghi dello shopping realizzate in 9 città metropolitane e in provincia, dal nord alle isole.

“La premessa – Afferma Daniela Ostidich, presidente di Marketing & Trade (scrivi una mail) – è che in questo inizio del 2015 il Il consumo in Italia riprende, ma su terreni del tutto inesplorati, creativi, sorprendenti e in qualche modo persino votati all’ottimismo e alla solidarietà che – prima che per i produttori – si deve esprimere tra i consumatori. C’è tuttavia una fascia di Italiani che ancora appare fuori da questo segnale di crescita: si tratta di una fascia di consumatori rimasta legata ad un consumo arcaico, frutto di una crisi del consumismo che per loro non ha avuto risposta, oppure di una vocazione al tatticismo e all’opportunismo che limita la capacità di costruire nuovi percorsi di shopping ma anche di socialità».

La Shopping Map individua alcuni temi e snodi su cui concentrarsi per leggere queste nuove direzioni di consumo.

Un tema centrale è quello della multicanalità, vista come contemporanea presenza di decisioni di acquisto -ma anche di raccolta di informazioni ‐ che maturano in modo totalmente sostituibile e complementare sul web oppure dentro il punto di vendita (oppure in aeroporto, in palestra, in metropolitana…).

Un altro tema discriminante per capire i differenti modelli di consumo degli italiani, è quello guardare alla dimensione dell’orizzonte percepito delle relazioni personali che appare sovrapporsi in modo importante con quello dell’ambito spaziale in cui gli acquisti avvengono.

L’ultimo tema riguarda l’atteggiamento verso lo shopping visto come attività di entertainment e autogratificazione oppure di mera 3 funzionalità.

Con la metabolizzazione dello shock da “crisi”, in sostanza c’è chi di shopping ha ancora fame e chi invece ne ha avuto abbastanza.

Vediamo allora come si definiscono questi modelli di consumo.

I TERRITORIALI sono gli shopper affezionati: al quartiere, alla prossimità, al prossimo come riferimento per i propri acquisti, dal consiglio del vicino di casa al consiglio del macellaio.

2014-10-10 18.26.43È un cluster formato da persone concrete, amanti dei rapporti diretti e degli acquisti su misura, che si concentrano sulla soddisfazione dei bisogni per loro primari. Senza appiattirsi, ma con poco o nessuno interesse per lo shopping frivolo, questo cluster vuole essere coccolato e viziato, ma nel punto vendita del cuore, vicino a casa. I negozi del centro storico preferiti sono quelli specializzati, sia perché è lì che si percepisce esserci la maggiore qualità, sia perché qui è ancora forte il rapporto umano con il personale.
L’insegna di riferimento è Carrefour Market

Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.
Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.

I-FAMILY è il perfetto risultato dell’evoluzione della famiglia moderna: giovane, attenta, giudiziosa, al passo con i tempi e con l’evoluzione dei modi e delle modalità di consumo. L’I-Family si destreggia su tutti i format e tutti i canali, da fisico a virtuale.

Da consumatori evoluti, quando fanno shopping scelgono insegne distintive, ma il massimo peso è dato al valore e alla sostanza, sono alla loro costante ricerca di innovazione: non per snobismo, piuttosto per ottenere un’esperienza d’acquisto tanto soddisfacente quanto gratificante.
L’insegna di riferimento è Natura Sì

lidlNONNO ITALO rappresenta quella fascia di Italia che continua a invecchiare, persone sempre più costrette a barcamenarsi tra 4 salute, famiglia, spesa quotidiana e gestione della casa.

Il risultato è che aumenta il senso di disillusione e stanchezza nei confronti del consumo come attività e fare acquisti diventa sempre più una sofferenza, una perdita di tempo. Pongono massima attenzione alla semplicità dell’acquisto, evitando di essere abbagliati da mode e novità. Emarginati tanto per necessità che per scelta, acquistano solo in luoghi comodi per vicinanza e orari e preferiscono i negozi facili da girare e da leggere, assortimenti mirati.
L’insegna di riferimeto è Lidl

Schermata 2015-05-15 alle 12.07.12WOW SHOP sono gli animali da consumo, quelli per cui acquistare è uno stile di vita e un modo di presentarsi al mondo, hanno trovato altri canali su cui scatenarsi.

Alla costante ricerca di stimoli, il piacere dello shopping per loro è esaltato dall’innovazione negli spazi fisici del retail. Se lo shopping si fa nei flagship store, l’acquisto dei prodotti alimentari si fa nei negozi diretti di marca, ancora meglio se sotto forma di “eventi” come i temporary store. Internet è costantemente monitorato per poter sapere dell’ultima apertura di locali di tendenza, un’inaugurazione a cui partecipare e magari finire in qualche foto Se potessero mettere tenda da Eataly, l’avrebbero già fatto, magari vicino al carico/scarico per controllare gli arrivi delle novità.
La loro insegna di riferimento è Designer Outlet

Schermata 2015-05-15 alle 12.10.53HASTA IL CONSUMO SIEMPRE è il cluster di shopper che, nel polverone della crisi, sembra non essersi nemmeno scompigliato i capelli: sono i consumatori che amano fare shopping, possono e vogliono farlo e come dargli torto?

Questo cluster infatti tende a frequentare tutti i canali e format della grande distribuzione, reali o virtuali: dal centro commerciale al negozietto vintage, dal negozio sotto casa all’outlet online, senza nemmeno farsi grandi pensieri sullo spendere/sperperare un po’ (anche grazie alla buona disponibilità economica). Aleggiano in una società post-postmoderna, eppure non si sono mai discostati dal passato: si riconoscono dallo sguardo poco attento a volantini e tv ma non sono rimasti indifferenti all’evoluzione dei canali, strada alternativa e pur sempre intrigante per comprare, comprare, consumare.
L’insegna di riferimento è Coin

OVSOK IL PREZZO È GIUSTO minuziosi e pragmaticamente infedeli, perspicaci fautori della spesa economa e misurata, attenti cacciatori del mercato e perseveranti ricercatori di convenienza, sono gli evergreen del mercato, la cui abilità a far la spesa (e farla bene) è il motivo di maggiore orgoglio sulla piazza degli shopper italiani e parte della routine sociale di questo cluster, un aspetto importante per dare senso alla propria giornata.

Il discount, a cui ci si è avvicinati in passato come reazione al periodo di ristrettezze economiche, rimane un buon punto di riferimento, così come il resto della Gdo. I rimanenti canali e formati sono praticamente ignorati, dalla ristorazione commerciale all’entertainment, tranne quelli che permetteno loro di sfoggiare la propria abilità di cherry pickers.
La loro insegna de cuore è OVS

Schermata 2015-05-15 alle 12.32.24

 

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