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Nielsen: con il mobile, gli italiani si avvicinano all’e-commerce anche per la spesa

PIano piano ma alla fine, lentamente e buoni ultimi, ci stiamo arrivando anche noi italiani all’e-commerce per la spesa, quotidiana o settimanale che sia. E la punta di ariete che sta convincendo ad utilizzare le vendite online anche i diffidenti nostri connazionali sarebbe proprio lo smartphone, ormai nelle mani di oltre un italiano su due che lo usa a profusione, non potendo più farne a meno. La conferma viene da Nielsen, che sottolinea come, dei 21,7 milioni di italiani connessi al web in media per 1 ora e 55 minuti al giorno, il 39% utilizza esclusivamente lo smartphone (Fonte: Audiweb powered by Nielsen). Ed è un mezzo che viene utilizzato durante tutto il processo di acquisto: il 60% naviga prima di acquistare in negozio, il 46% si fa consigliare da recensioni online e 1 italiano su 4 utilizza lo smartphone in store per cercare sconti e promozioni. Poi c’è l’e-commerce, in crescita e sempre più ricco se lo scontrino medio di chi acquista online utilizzando tutti i devices è 2,3 volte più alto di chi acquista solo da Pc (Fonte: Nielsen Global Survey, 2014).

Il mondo digital in Italia

 

 

GDO, avanti piano ma qualcosa si muove

 

Evoluzione dell’e-groceryIl confronto con gli altri Paesi è impietoso, e in effetti il grocery copre solo l’1% delle vendite online in Italia, contro il 30% e oltre di Francia e Uk. Ma cresce a doppia cifra. A fine 2014 valeva 375 milioni di euro (+18% sul dicembre 2013) con una penetrazione del 16,9% nelle famiglie italiane (+12%). Soprattutto, è un canale interessante, che vanta un’elevata spesa media per atto (35 euro vs. 16 euro a totale Italia) e una fedeltà al canale del 4% (Fonte: Nielsen Homescan, Dicembre 2014). Inoltre, è un settore in cui la frequenza d’acquisto potenziale è molto elevata rispetto al resto degli acquisti di e-commerce (pensiamo all’elettronica da consumo), per cui suscita vivo interesse anche da parte dei players operanti in altri settori.

Su alcune categorie poi si concentra l’interesse: è il caso del caffè dove spicca il successo di Nespresso, o del mondo del fresco che viene acquistato online da quasi il 5% degli italiani, grazie anche a fenomeni quali Cortilia, che consegna a casa i prodotti delle aziende agricole della zona. Infine risulta molto dinamico il mercato delle bevande, che rispetto all’anno precedente cresce del 18% a valore.

Anche le insegne “classiche” però si stanno finalmente muovendo. Unes/U2 pensa al click and collect per fine anno, Carrefour ha appena installato un negozio virtuale per l’e-commerce nella stazione Loreto della metropolitana milanese, MD sta per partire con il click and collect del non-food.

 

Da Végé con i beacon il prodotto parla al cliente

L’amministratore delegato di Gruppo VéGé Giorgio Santambrogio è particolarmente soddisfatto. L’annuncio fatto durante Linkontro Nielsen riguardante l’avvio dell’utilizzo dei beacon in alcuni punti vendita del Gruppo ha colpito nel segno, suscitando interessamento in molti rappresentanti dell’Industria di marca presenti al Forte Village.

Perché è la prima volta che questa tecnologia di marketing di prossimità viene utilizzata in un supermercato (esempi ci sono in COIN/OVS e realtà come Mondadori, Stroili, Adidas tramite piattaforme come Checkbonus), aprendo il mondo del largo consumo alla rivoluzione dell’Internet of things. «Per la prima volta in Italia all’interno di un supermercato il prodotto potrà interagire con il singolo cliente», ha spiegato Santambrogio.

Coupon BeaconGrazie alla tecnologia Bluetooth, la App Delizie Végé e lo smartphone, i sensori beacon posti in prossimità dei singoli prodotti interagiscono con il cliente mentre si sposta tra le corsie, fornendogli informazioni sui prodotti e segnalandogli novità e promozioni, anche personalizzate, direttamente sul suo smartphone.

«È il paradigma delle promozioni che per la prima volta viene capovolto – spiega Santambrogio – perché non è più i cliente che cerca il prodotto, ma è il prodotto che parla direttamente al cliente. Questa tecnologia, che il Gruppo Végé sviluppa per prima in Italia nella Gdo, sintetizza e rende accessibile ciò di cui si parla da tempo: marketing esperienziale, proximity marketing, mobile marketing. E inoltre ha grandi potenzialità di sviluppo nel campo, per esempio, della instore gamification.

Con una valenza positiva da non sottovalutare: il contatto si attiva solo ed esclusivamente perché è il cliente che ne accetta le condizioni. Non è un caso che proprio perché siamo di fronte a una nuova modalità di dialogo con il cliente, che la richiede, diverse aziende abbiano espresso il loro interessamento al riguardo».

Il pilota è in corso da qualche settimana nel punto vendita a insegna Dimeglio a Crevalcore (Bologna) che fa capo all’impresa mandante Market Ingross, relativamente a 6 referenze (quattro di marca e due a marchio Delizie VéGé), ma il progetto va immediatamente a roll out su 100 negozi delle imprese Moderna del presidente Mastromartino, Migros e Gargiulo&Maiello di Napoli (cura persona) per complessivi 10 mila bacon installati (ogni beacon richiede un investimento di 25 euro).

CRAI punta sul format, sulla multicanalità e sul rapporto con la clientela

Con un fatturato della rete totale pari a circa 4 mld e 850 milioni (pari a un incremento del 24% sull’anno precedente e corrispondente a un netto raddoppio rispetto al 2008) e un energico sviluppo della rete (+323 pdv nel settore alimentare) Crai si conferma anche per quest’anno leader qualitativo del mercato di vicinato, in un’ottica di relazione quotidiana e di familiarità con la propria clientela. Non basta: procede a gonfie vele anche il canale drug, che grazie all’apertura di 270 nuovi negozi, oggi può contare su una rete capillare di oltre 3.000 pdv.

“La soddisfazione cresce – dichiara Marco Bordoli, Amministratore Delegato CRAI Secom – se si considera l’attuale situazione economica con trend ancora negativo. Per fronteggiare la crisi dei consumi e attrarre sia nuovi operatori commerciali, sia nuovi clienti, abbiamo attuato alcune azioni per noi determinanti ai fini del successo: nuovo posizionamento strategico della marca “Nel cuore dell’Italia”, nuovo format per i punti vendita; forte spinta alla marca privata con attenzione alla gamma di prodotti di qualità; potenziamento della rete multicanale sul territorio e nuovo assetto organizzativo della centrale. Inoltre, al comparto food si aggiunge la forte presenza anche nel settore Drug, con oltre 1000 negozi in Italia. Oggi – continua Bordoli – siamo tra i principali leader nella formula distributiva multicanale.”

Progetti per il 2015
In un’ottica di sviluppo, crescita e miglioramento, Crai ha stabilito alcune priorità per l’anno in corso. Innanzitutto partendo dal presupposto che il cliente debba stare sempre al centro. Ma cosa vuole esattamente il consumatore? I dati emersi da una recente customer satisfaction, realizzata su un panel di 7300 clienti, rivelano che sul podio dei desideri di chi acquista non vengono messi sconti e promozioni (stabili al quarto posto) ma gentilezza, pulizia, servizio e facilità nel fare la spesa.

Ed è con queste aspirazioni che si deve fare i conti, proponendo iniziative, attività e soluzioni in grado di essere apprezzate e di incrementare la fedeltà all’insegna. Altro elemento strategico in grado di valorizzare le performances del Gruppo è quello di lavorare sul format del negozio. L’obiettivo, con Progetto Format, è quello di uniformare i punti vendita dell’insegna in modo da fornire un format comune e da offrire ai clienti una medesima shopping experience. Partendo dalle metrature più piccole – sotto i 100 mq – fino ad arrivare a quelle più grandi (oltre i 1000 mq). Uniformare quindi i punti focali del negozio, i display, il visual merchandising, le griglie assortimentali, la gestione della comunicazione in-store, le divise, i ruoli strategici dei reparti, la sequenza merceologica, fino ad arrivare al risparmio energetico. Ad oggi sono venti i negozi test, monitorati sulla base di alcuni parametri prestabiliti (come scontrino e margini) e pronti ad essere confrontati con il modello antecedente.

E in questa vision “store centrica”, si innesta il terzo driver di successo: la formazione. Per questo il Gruppo continua anche ad attivarsi con impegno sulle nuove generazioni di imprenditori. Per il 2015 il calendario della proposta formativa prevede:

  • Commercial & marketing retail
  • Il banco ortofrutta
  • Leadership e organizzazione del lavoro
  • La redditività
  • Comunicazione efficace
  • Operatività di punto vendita
  • Giovani Crai “Lo sviluppo della leadership”
  • La gestione del rischio di credito
  • Conoscenza dei vini e valore aggiunto indiretto
  • Il banco SAFO
  • Pane e Pasticceria
  • La gestione delle risorse umane
  • Monitoraggio nuove aperture

Ed eccoci al quarto asset: focalizzarsi sui localismi, un impegno ben sintetizzato dal pay off “Nel cuore dell’Italia” teso a sottolineare il legame con il territorio. E in questa direzione si muove pure il concept “A due passi da qui”, che ha lo scopo di valorizzare i prodotti e le eccellenze locali, dando così la giusta riconoscibilità al territorio, ai piccoli produttori, all’eccellenza italiana. Infine i prodotti a marchio: oggi rappresentano il 19,28% della quota di mercato e registrano un + 1% sul 2013; per questo costituiscono un tavolo di lavoro promettente su cui l’insegna si ripropone di crescere ancora, per superare la soglia del 20%. (C.I.)

Coop a Expo: le parole del cibo del futuro tra timori e aspettative

Coop Expo

Nella grande vetrina-luna park di Expo, lo sforzo maggiore di chi espone è quello di riportare l’attenzione sui contenuti. E non v’è dubbio che Coop con la sua presenza costituisce un laboratorio – insieme ad altre organizzazioni – che cerca di interrogarsi propio sul futuro del cibi e del pianeta. Non è un futuro immediato, è traslato al 2050, ma è un futuro che ci riguarda tutti e soprattutto riguarda le giovani generazioni.

Così Coop si interroga sul cibo del futuro e lo fa non solo con la sua presenza istituzionale, ma attraverso una ricerca commissionata a Doxa in 8 Paesi del mondo esemplificativi di situazioni diverse.

La ricerca si articola sul presente e sul futuro. E il presente è caratterizzati da un proprio stile alimentare, come dichiara quasi la metà del campione (il 45%), ma è sulla via della globalizzazione. Le differenze nell’approccio al cibo iniziano fin dalla preparazione del pasto, a cui si dedica in media 1,3 ore al giorno, ma con valori nettamente più alti per Paesi come il Brasile, l’India e la Russia. Gli italiani non sono da meno e si distaccano in questo dai vicini europei, analogamente si mostrano meno attratti dal take away e dal consumare cibo fuori casa. Per Italia, Cina e India prevale una dieta varia con utilizzo di carboidrati, di frutta e verdura, mentre il consumo di carne si concentra sui Paesi anglosassoni, ma anche in Cina e Brasile.

Emergono anche stili alimentari alternativi e in qualche modo trasnazionali.

I Foodies (cibo  tipico e di qualità) sono il 13% ma occupano posizioni di rilevo anche la dieta ipocalorica (10%), il credo salutista (10%), vegano (8%) o biologico (8%). Solo una minima parte del Pianeta sembra restia alla contaminazione, se è vero che appena il 22% del campione dichiara di non mangiare mai cibo etnico e quasi un quarto afferma invece di consumarlo spesso. Il 90% di tedeschi e inglesi dichiara infatti di mangiare etnico spesso o qualche volta, i più diffidenti sono i brasiliani e gli italiani.

Il cibo domani: cadono i tabù

Nell’infografica che sintetizza i risultati della rierca si colgono gli aspetti più interessanti.

Presentazione standard di PowerPoint

«Vi è un certo ottimismo dichiarato dagli intervistati – afferma Albino Russo, Responsabile Ufficio Studi Ancc-Coop – ma vi è una netta consapevolezza del cambiamento del cibo tra trent’anni, sia perché le tecnologie faranno la differenza, sia a causa dei cambiamenti climatici. dell’inquinamento e dell’aumento della popolazione». Questi fattori di cambiamento, nella percezione del campione intervistato, impatteranno significativamente soprattutto sulla naturalità del cibo (64%) sulla sua qualità e sicurezza (62%), sulla stessa tipologia di alimenti (60%). Proprio l’attesa di tali forti cambiamenti induce specifici timori sulla manipolazione degli alimenti che mangeremo (60%) e sugli effetti indotti dall’inquinamento ambientale (53%). In alcuni Paesi prevalgono al contrario i timori di un innalzamento del costo del cibo (Usa 57% Brasile 61%), un cibo meno democratico e solo per pochi, e del rischio di una futura scarsità alimentare (Brasile 63%). Il 72% del campione mostra infine piena consapevolezza sulla diffusione del cibo ogm.

Peraltro a livello mondiale i consumatori intervistati non prevedono una riduzione delle quantità consumate (solo in Uk e Germania si pronostica una riduzione nella frequenza di consumo di carne) mentre la dieta sembra spostarsi su una maggiore varietà con maggior ricorso a carboidrati, frutta e verdura.

Che cosa ci sarà Nel piatto del futuro? Cadono molti tabù. Troveremo Ogm (il 72% del campione mostra piena consapevolezza sulla loro diffusione), molte pillole (75%) e carne sintetica (60%), non mancheranno insetti e alghe comunque cibi dalle proprietà nutrizionali bilanciate. I più eclettici e aperti al cambiamento del gusto gli indiani, i cinesi e i brasiliani, ma anche un 70% di italiani potrebbe provare il cibo in pillole e il 44% dei nostri connazionali non si tirerebbe indietro nemmeno davanti a un insetto. A fronte di ciò, per tutti prevale comunque la paura sulla possibile manipolazione del cibo (il 60%) e il timore per un pianeta sempre meno controllabile o sull’orlo del precipizio ambientale (53%). Il 43% indica invece come la sua paura più grande sia un cibo troppo costoso.

«Vi è una consapevolezza trasversale del fatto che il rapporto con il cibo cambierà e una disponibilità  e apertura anche a provare ciò che non appartiene alla propria tradizione alimentare – afferma il presidente di Coop Italia Marco Pedroni – nonché una forte tendenza verso il cibo per la salute, per il vivere bene. È un campo di lavoro che ci deve vedere impegnati verso un cibo più salutistico mantenendo però le caratteristiche di gusto, di tradizione, di convivialità. Certo sono forti le paure per la scarsità, le possibili manipolazioni, ma anche per una minore democraticità, che significa contraffazioni, truffe alimentari. La domanda che ci poniamo è se vogliamo un cibo buono, sicuro e accessibile per tutti o se si sceglie di segmentare tra chi ha accesso a questo tipo di cibo e chi invece è destinato a uno più standardizzato e globalizzato.

Ma dalla domanda che abbiamo posto su come si immaginano i consumatori il luogo dove fare la spesa ricaviamo delle indicazioni precise. vVogliono avere  elementi per sapere di più su che cosa mangiano. E non si tratta di una generica rassicurazione, che le marche e le insegne perseguono, ma informazioni sui processi di coltivazione e allevamento, che cosa c’è dietro e dentro i prodotti. Il nostro Supermercato del futuro a Expo è un esempio in questa direzione».

 

Etichettatura d’origine, per la Commissione Ue deve essere volontaria. L’Italia non ci sta

Non convincono il Ministero delle Politiche agricole e forestali i due rapporti  sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti pubblicati dalla Commissione Ue secondo cui per alcune categorie di prodotti alimentari sarebbe meglio optare per un’indicazione volontaria, piuttosto che su un obbligo a livello comunitario.

«Ci aspettavamo molto di più dalla Commissione europea sul fronte dell’indicazione d’origine obbligatoria degli alimenti. Faremo sentire forte la nostra voce nel Consiglio dei Ministri dell’agricoltura Ue, perché riteniamo fondamentale dare informazioni trasparenti al consumatore sulla provenienza delle materie prime», ha affermato il ministro elle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina.

Il primo rapporto riguarda latte, prodotti caseari e altri prodotti trasformati, ma anche le carni di coniglio e di cavallo recentemente oggetto di uno scandalo di dimensioni continentali proprio per la mancanza di tracciabilità. Il secondo rapporto indaga sulla necessità per i consumatori di essere informati sull’origine degli alimenti non lavorati, sui singoli ingredienti dei prodotti e sugli ingredienti che rappresentano più del 50% dell’alimento.

L’indagine ha concluso che i consumatori sono interessati a conoscere l’origine di queste categorie di prodotti alimentari, ma meno che di altre categorie come la carne o alimenti quotidiani. Avendo valutato anche costi e benefici delle nuove regole in etichetta e l’impatto sul mercato interno e su quello estero, il rapporto ha concluso che un’indicazione di origine volontaria, associata all’attuale regime di obbligo d’origine per alcune categorie di alimenti, è la strada più conveniente.

Affronteremo con determinazione la questione tenendo conto delle risposte dei consumatori italiani alla nostra consultazione pubblica. 9 cittadini su 10 ci hanno chiesto di leggere chiaramente l’origine in etichetta. Nell’anno di Expo, mentre l’Italia si candida a guidare il dibattito sullo sviluppo agricolo globale, non possiamo accettare di stare fermi o fare passi indietro su un punto decisivo come quello dell’etichettatura».

Secondo la consultazione pubblica on line del Ministero (concluso a marzo) l’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari, l’87% per le carni trasformate, l’83% per la frutta e verdura trasformata, l’81% per la pasta e il 78% per il latte a lunga conservazione. L’82% ha poi dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e provenienza italiana del prodotto, con quasi la metà pronta a pagare dal 5 al 20% in più.

Negativo anche il giudizio di Coldiretti, secondo cui la Commissione Europea ancora una volta si schiera a difesa degli interessi delle grandi lobbies industriali con pareri in netta contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e italiani. Inoltre, annota Coldiretti,  l’indicazione della Commissione Europea è anche contraddittoria rispetto al percorso intrapreso fino ad ora che ha portato per ultimo all’entrata in vigore del Regolamento Ue 1337/2013 dal primo aprile 2015 è arrivato in Europa l’obbligo per gli operatori di indicare in etichetta il luogo di allevamento e di macellazione delle carni di maiale, capra e pecora.

Con queste premesse si fa più arduo il percorso in Europa per la battaglia volta a fare esporre in etichetta l’indicazione dello stabilimento di produzione, non più obbligatorio dopo l’entrata in vigore a fine 2014 del regolamento 1169 del 2011.

Nielsen: torna a crescere la fiducia dei consumatori nel primo trimestre

Dopo la produzione industriale Istat anche l’indice di fiducia dei consumatori rilevato da Nielsen nel suo Global Consumer Survey torna a crescere e fa sperare in una inversione di tendenza, che dovrà essere confermata, per dichiararci fuori dalla crisi, anche nel secondo trimestre. I dati però dicono che posizionandosi a quota 57, l’indice di fiducia dei consumatori si attesta al livello del secondo trimestre del 2011, ma allora era in caduta libera.

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Rimane tuttavia ancora ampio il gap con la media UE (77 punti). L’Italia si avvicina alle posizioni di Spagna e Francia (rispettivamente a 61 e 59) mentre Germania e Gran Bretagna detengono ancora il primato nel Vecchio Continente (rispettivamente a 100 e 97). Il 93% della popolazione, d’altra parte, ritiene il Paese ancora in crisi (vs 95% di un anno fa), anche se il 16% dichiara che se ne potrà uscire nei prossimi 12 mesi (vs. 12%). In sensibile crescita la preoccupazione legata alla possibilità di attacchi terroristici nel nostro Paese (+ 8 punti verso il primo trimestre 2014), rilevata presso il 9% degli intervistati.

«Ci troviamo di fronte a un dato in decisa controtendenza. Questo, infatti, passa da 45 punti rilevati nell’ultimo trimestre 2014 a 57 punti del primo 2015. Ricordiamo che nel trimestre precedente la tendenza era ancora in calo (-2 punti) », ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia commentando i risultati dell’indagine.

«Le ragioni di questa inversione – ha proseguito Fantasia –  vanno ricercate innanzitutto nella realizzazione di alcune riforme strutturali messe in agenda dal Governo in questi mesi. In secondo luogo nella ripresa economica sia a livello globale che in Europa e in Italia, grazie ad un mantenimento a bassi livelli del costo delle materie prime, e al miglioramento, seppure timido, del mercato del lavoro. In terzo luogo nell’attivarsi della domanda nei consumi, rilevata soprattutto nella Gdo. In altri termini, si assiste al verificarsi di condizioni che permettono alle famiglie di divenire, almeno in prospettiva, fonti di reddito e non più meramente centri di costo. Il vero problema che ora si pone è quello della tenuta di questa ripresa. Una risposta l’avremo dalle prossime rilevazioni della fiducia nel secondo e terzo trimestre. Solo un consolidamento della domanda nei prossimi mesi potrà metterci in condizione di ritenere che ci siamo lasciati la crisi alle spalle».

Più in dettaglio, ecco alcune pillole dell’indagine.

Prospettive lavorative: si prospettano buone per il 13% degli italiani, rispetto al 7% registrato nel 1° trimestre dell’anno scorso.

Finanze personali: la percezione è ora positiva per il 21% del campione, rispetto al 14% su base tendenziale. Sono il 17%, inoltre, gli italiani che ritengono sia il momento di fare acquisti (+5 punti rispetto al 1° trimestre 2014).

Mettendo a fuoco le preoccupazioni degli intervistati, si registra che il 28% del campione si dichiara ancora in apprensione per la stabilità occupazionale, con dato invariato rispetto alle rilevazioni del primo trimestre 2014. Guerra e immigrazione rimangono preoccupazioni rispettivamente per il 4 e 5% della popolazione (rispettivamente all’1 e 2% lo scorso anno). Il 5% si dichiara preoccupato per la propria situazione debitoria, il 6% per la salute, il 9% per l’economia.

Atteggiamenti verso la spesa: dopo gli acquisti per i beni necessari, il 37% degli italiani si orienta a destinare risorse per il risparmio. Seguono quanti intendono comprare vestiti o concedersi una vacanza (entrambi al 27%), mentre il 22% dichiara l’intenzione di volere spendere per il divertimento fuori casa. Si attesta al 25% la quota della popolazione che rimane senza soldi alla fine del mese.

Orientamento al risparmio: si rilevano alcuni segnali di un attenuamento dell’intenzione di tagliare le spese rispetto ai dati dello scorso anno, benché il 72% prosegua a monitorare le uscite finanziarie e la voce risparmio. Spende di meno per l’abbigliamento il 56% del campione (vs. 63%) come per i pasti fuori casa (vs 61%), il 40% per vacanze e gite fuori porta (vs. 46%), il 37% per l’utilizzo dell’auto (vs. 42%).

Nello stesso tempo, tuttavia, si osserva che la crisi ha influenzato in maniera permanente le abitudini di spesa degli italiani. Tanto è vero che è cresciuta la quota di coloro che dichiarano l’intenzione di proseguire a risparmiare sulle bollette di luce e gas (26% vs. 22% del 1° trimestre 2014) e di comprare i prodotti alimentari più economici (23% vs. 20%).

Sono infine il 20% (vs 25%) gli italiani che porranno attenzione sulle spese per ristoranti, e il 19% (vs. 22%) su quelle per nuovi abiti.

Un giovane italiano su 4 cucina in casa per amici, e tra gli under 35 è food-mania

Italia patria del cibo, anche per le nuove generazioni. Un giovane su quattro (24,5 per cento) tra i 18 ed i 34 anni ama stare ai fornelli e la buona cucina e considera il cucinare come un’attività di svago, relax e affermazione personale. È quanto emerge da una analisi Coldiretti/Censis: un amore non nuovo che era dilagato ad esempio nel dopoguerra, con una novità però. La nuova passione per i fornelli oggi ha contagiato sia uomini sia donne. Anzi: secondo la Coldiretti sta emergendo una “mascolinità di nuovo conio che esprime la sua soggettività in termini creativi nel rapporto con la cucina, con la manipolazione del cibo che si afferma come una modalità attraverso la quale si esprime se stessi”.
Tutto ciò si esprime concretamente ad esempio attraverso i classici inviti a cena degli amici nel fine settimana che diventano dei veri e propri show cooking casalinghi. Un fenomeno che sta di fatto trascinando il boom dell’informazione legata all’enogastronomia: infatti, il 32,6 per cento dei giovani legge e utilizza ricettari spesso scaricati su internet, il 31,9 per cento segue programmi televisivi di cucina, il 13,9 per cento non segue religiosamente i consigli di chef celebri. Altra conseguenza è l’attenzione e la ricerca alle materie prime che si vogliono fresche e genuine, possibilmente a chilometro zero direttamente dai produttori agricoli o nei mercati di Campagna Amica, i mercati agricoli di Coldiretti.
La passione per il cibo si esprime anche fuori casa con quasi tre giovani under 35 anni su quattro (71 per cento) che partecipano, specie nel weekend, al rito dell’apericena. Una pratica che piace anche perché consente di risparmiare rispetto alla cena tradizionale fuoricasa, senza rinunciare alla socialità. Sono tutte occasioni per assaggiare e imparare a conoscere i diversi tipi di vino di cui è particolarmente ricca l’Italia, ma anche per gustare formaggi, salumi e prodotti del territorio.
Un interesse sempre più diffuso, tanto che il 48,9 per cento degli under 35 dichiara di partecipare a iniziative di degustazione, il 4,8 per cento regolarmente e il 44,1 per cento di tanto in tanto: parliamo di 5,4 milioni di italiani.
La riscoperta del valore del cibo da parte dei giovani è confermata dalle iscrizioni a corsi di sommelier ma anche da quanti vedono nel cibo una opportunità di lavoro con l’apertura di osterie, vinerie, ristoranti. Non è un caso che l’alberghiero ha raggiunto ben il 9,3 per cento del totale delle iscrizioni al primo anno delle scuole secondarie e si posiziona al secondo posto, dopo lo scientifico, fra le scuole superiori più richieste in Italia. Tanto che, sulla base delle iscrizioni alle prime classi scuola secondaria di secondo grado, statali e paritarie, nell’anno scolastico 2014/2015, si potrebbe prevedere che nell’Italia del futuro ci saranno più di due cuochi per ogni operaio.
“Il boom dei giovani che si mettono ai fornelli conferma il trend che vede oggi in Italia quasi uno studente su quattro scommettere su una prospettiva di lavoro futuro nell’agricoltura e nel cibo – ha dichiarato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -: più in generale, il sempre crescente interesse per la cucina e il mangiar bene è anche ‘figlio’ dei primati che l’Italia ha conquistato in questi anni in termini di qualità dei suoi prodotti agroalimentari e che è una delle leve principali che spingono i visitatori stranieri a venire in Italia per l’Expo”.

Sei modelli di consumo dopo la crisi nella Shopping Map di M&T

Schermata 2015-05-15 alle 12.27.14Ci sono i territoriali e gli i-family, quelli che OK il prezzo è giusto e i Nonno Italo, i Wow shop e gli Hasta il consumo siempre.

Sono i sei cluster individuati dall’edizione 2015 della Shopping Map di Marketing & Trade, che traccia i modelli di consumo degli italiani, individua le tipologie di comportamenti di acquisto, gli atteggiamenti rispetto ai brand, alle promozioni, a qualità e sostenibilità, alle diverse forme della comunicazione. Disegna inoltre la propensione alla multicanalità di acquisto e alle influenze dei social e del web, oltre ad associare a ciascun modello di consumo i format preferite e le insegne retail frequentate e preferite di cui definisce una precisa performance rispetto a tutti gli elementi dell’offerta.

Shopping Map è basata su oltre 1100 interviste a consumatori dentro i luoghi dello shopping realizzate in 9 città metropolitane e in provincia, dal nord alle isole.

“La premessa – Afferma Daniela Ostidich, presidente di Marketing & Trade (scrivi una mail) – è che in questo inizio del 2015 il Il consumo in Italia riprende, ma su terreni del tutto inesplorati, creativi, sorprendenti e in qualche modo persino votati all’ottimismo e alla solidarietà che – prima che per i produttori – si deve esprimere tra i consumatori. C’è tuttavia una fascia di Italiani che ancora appare fuori da questo segnale di crescita: si tratta di una fascia di consumatori rimasta legata ad un consumo arcaico, frutto di una crisi del consumismo che per loro non ha avuto risposta, oppure di una vocazione al tatticismo e all’opportunismo che limita la capacità di costruire nuovi percorsi di shopping ma anche di socialità».

La Shopping Map individua alcuni temi e snodi su cui concentrarsi per leggere queste nuove direzioni di consumo.

Un tema centrale è quello della multicanalità, vista come contemporanea presenza di decisioni di acquisto -ma anche di raccolta di informazioni ‐ che maturano in modo totalmente sostituibile e complementare sul web oppure dentro il punto di vendita (oppure in aeroporto, in palestra, in metropolitana…).

Un altro tema discriminante per capire i differenti modelli di consumo degli italiani, è quello guardare alla dimensione dell’orizzonte percepito delle relazioni personali che appare sovrapporsi in modo importante con quello dell’ambito spaziale in cui gli acquisti avvengono.

L’ultimo tema riguarda l’atteggiamento verso lo shopping visto come attività di entertainment e autogratificazione oppure di mera 3 funzionalità.

Con la metabolizzazione dello shock da “crisi”, in sostanza c’è chi di shopping ha ancora fame e chi invece ne ha avuto abbastanza.

Vediamo allora come si definiscono questi modelli di consumo.

I TERRITORIALI sono gli shopper affezionati: al quartiere, alla prossimità, al prossimo come riferimento per i propri acquisti, dal consiglio del vicino di casa al consiglio del macellaio.

2014-10-10 18.26.43È un cluster formato da persone concrete, amanti dei rapporti diretti e degli acquisti su misura, che si concentrano sulla soddisfazione dei bisogni per loro primari. Senza appiattirsi, ma con poco o nessuno interesse per lo shopping frivolo, questo cluster vuole essere coccolato e viziato, ma nel punto vendita del cuore, vicino a casa. I negozi del centro storico preferiti sono quelli specializzati, sia perché è lì che si percepisce esserci la maggiore qualità, sia perché qui è ancora forte il rapporto umano con il personale.
L’insegna di riferimento è Carrefour Market

Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.
Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.

I-FAMILY è il perfetto risultato dell’evoluzione della famiglia moderna: giovane, attenta, giudiziosa, al passo con i tempi e con l’evoluzione dei modi e delle modalità di consumo. L’I-Family si destreggia su tutti i format e tutti i canali, da fisico a virtuale.

Da consumatori evoluti, quando fanno shopping scelgono insegne distintive, ma il massimo peso è dato al valore e alla sostanza, sono alla loro costante ricerca di innovazione: non per snobismo, piuttosto per ottenere un’esperienza d’acquisto tanto soddisfacente quanto gratificante.
L’insegna di riferimento è Natura Sì

lidlNONNO ITALO rappresenta quella fascia di Italia che continua a invecchiare, persone sempre più costrette a barcamenarsi tra 4 salute, famiglia, spesa quotidiana e gestione della casa.

Il risultato è che aumenta il senso di disillusione e stanchezza nei confronti del consumo come attività e fare acquisti diventa sempre più una sofferenza, una perdita di tempo. Pongono massima attenzione alla semplicità dell’acquisto, evitando di essere abbagliati da mode e novità. Emarginati tanto per necessità che per scelta, acquistano solo in luoghi comodi per vicinanza e orari e preferiscono i negozi facili da girare e da leggere, assortimenti mirati.
L’insegna di riferimeto è Lidl

Schermata 2015-05-15 alle 12.07.12WOW SHOP sono gli animali da consumo, quelli per cui acquistare è uno stile di vita e un modo di presentarsi al mondo, hanno trovato altri canali su cui scatenarsi.

Alla costante ricerca di stimoli, il piacere dello shopping per loro è esaltato dall’innovazione negli spazi fisici del retail. Se lo shopping si fa nei flagship store, l’acquisto dei prodotti alimentari si fa nei negozi diretti di marca, ancora meglio se sotto forma di “eventi” come i temporary store. Internet è costantemente monitorato per poter sapere dell’ultima apertura di locali di tendenza, un’inaugurazione a cui partecipare e magari finire in qualche foto Se potessero mettere tenda da Eataly, l’avrebbero già fatto, magari vicino al carico/scarico per controllare gli arrivi delle novità.
La loro insegna di riferimento è Designer Outlet

Schermata 2015-05-15 alle 12.10.53HASTA IL CONSUMO SIEMPRE è il cluster di shopper che, nel polverone della crisi, sembra non essersi nemmeno scompigliato i capelli: sono i consumatori che amano fare shopping, possono e vogliono farlo e come dargli torto?

Questo cluster infatti tende a frequentare tutti i canali e format della grande distribuzione, reali o virtuali: dal centro commerciale al negozietto vintage, dal negozio sotto casa all’outlet online, senza nemmeno farsi grandi pensieri sullo spendere/sperperare un po’ (anche grazie alla buona disponibilità economica). Aleggiano in una società post-postmoderna, eppure non si sono mai discostati dal passato: si riconoscono dallo sguardo poco attento a volantini e tv ma non sono rimasti indifferenti all’evoluzione dei canali, strada alternativa e pur sempre intrigante per comprare, comprare, consumare.
L’insegna di riferimento è Coin

OVSOK IL PREZZO È GIUSTO minuziosi e pragmaticamente infedeli, perspicaci fautori della spesa economa e misurata, attenti cacciatori del mercato e perseveranti ricercatori di convenienza, sono gli evergreen del mercato, la cui abilità a far la spesa (e farla bene) è il motivo di maggiore orgoglio sulla piazza degli shopper italiani e parte della routine sociale di questo cluster, un aspetto importante per dare senso alla propria giornata.

Il discount, a cui ci si è avvicinati in passato come reazione al periodo di ristrettezze economiche, rimane un buon punto di riferimento, così come il resto della Gdo. I rimanenti canali e formati sono praticamente ignorati, dalla ristorazione commerciale all’entertainment, tranne quelli che permetteno loro di sfoggiare la propria abilità di cherry pickers.
La loro insegna de cuore è OVS

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Gfk Eurisko-Tre Valli: il 9% degli italiani scelgono la dieta vegan e vegetariana

In due decenni, per l’indagine svolta da Gfk Eurisko commissionata da Tre Valli Coooperlat, si registra un’evoluzione senza precedenti nella cultura gastronomica italiana. Dal 1995 a oggi sono infatti aumentati gli italiani che si ispirano alla dieta mediterranea (erano il 41%, oggi sono al 62%), che preferiscono i pasti slow (dal 40% al 21%, alla voce ‘mangio sempre in fretta’) e che sono più attenti all’alimentazione (dal 24% al 13% la quota di chi afferma ‘trascuro molto la mia alimentazione). Non solo: in vent’anni crolla il pasto completo a pranzo (dal 68% al 48%) ma soprattutto alla sera (dal 41% al 25%), mentre cresce la colazione (87% contro 70%) e si fa strada il fuoripasto (36%), non contemplato nel 1995.

Aumenta anche il consumo di prodotti a base vegetale, crolla quello di carne (sono 2 milioni gli italiani che hanno ridotto il consumo di carne negli ultimi 6 anni). Sono il 16% gli italiani che si sentono poi vicini ad almeno un regime alimentare particolare, a partire dalla cucina vegana e da quella vegetariana che, insieme, raccolgono consensi per 9% degli intervistati (3% vegani, 6% vegetariani), seguite dal macrobiotico e dal crudismo (vicini alla sensibilità del 2% del campione).

Quattro italiani su cinque conoscono alimenti a base di soia, e sfiorano il 40% quelli che li consumano abitualmente o ne hanno fatto uso almeno una volta negli ultimi 6 mesi. L’acquirente tipo viene dal nord-ovest (36%), abita in grandi città (13%) e occupa posizioni dirigenziali (25%); sono prevalentemente donne (58%), tra i 45 e i 54 anni (28%) e in possesso di una laurea (17%). A finire più spesso nei carrelli della spesa la panna vegetale (15%), le bevande sostitutive del latte (conosciute da oltre la metà del campione e scelte dal 14%) e i piatti pronti a base di soia (12%).

“La gamma dei prodotti vegetali – spiega Federico Camiciottoli, direttore pianificazione strategica e business innovation di TreValli, che ha presentata oggi a Milano al fuori Expo della Regione Marche la nuova linea di prodotti a base di soia Ogm free (Hoplà Idee di soia)  – va incontro a esigenze relativamente nuove e in crescita. Oltre la metà dei consumatori infatti si è avvicinata al vegetale nell’ultimo anno (54%), e un quarto dei compratori storici ne ha aumentato il consumo. Per questo abbiamo lavorato su una linea tutta italiana OGM-free, ‘Hoplà Idee di soia’, che sta trovando un buon mercato anche in Cina”.

I consumatori e la carne in un’indagine Swg a Eurocarne

Di fronte a un consumatore che alza il livello delle richieste di garanzia, sicurezza, informazione e rassicurazione, il settore delle carni, e in particolare quello della do, deve ripensare agli strumenti dell’offerta se vuole mantenere i livelli di consumo che, oggi, sono in diminuzione per quanto riguarda la carne bovina e domani potrebbero toccare anche quella suina.

Secondo l’indagine presentata da Swg (“la prima indagine completa negli ultimi tre anni con l’obiettivo di sostenere i  consumi di carne”, ha affermato il presidente di Verona Fiere Ettore Riello) rispetto a frutta e verdura, le cui intenzioni di consumi nei prossimi 5 anni indicano un aumento medio mensile, per la carne il futuro è ambivalente. Rimarrà sostanzialmente stabile il consumo di carne avicunicola (da 7,54 a 7,61 atti di consumo dichiarati al mese), mentre potrebbe subire una flessione la carne suina (da 4,95 a 4,63) e quella bovina (da 6,47 a 5,74).

In termini generali, parlando comunque di intenzione al consumo, salgono i legumi, la frutta e la verdura e scendono i carboidrati. La propensione al consumo di carne cambia, con un saldo comunque positivo (+26,8%) per quella avicunicola e negativa per bovino (-13,6%) e suino (-24,7%).

Carne, perché si? Chi manifesta una propensione al consumo di carne lo fa per differenti ragioni legate alla sfera salutistico-funzionale ed edonistica, considerando tale categoria un alimento essenziale per una dieta equilibrata. In particolare, nel caso dell’avicunicolo per il profilo dietetico della carne (53,8%) associato al «piacere di gusto» (40,2%), mentre per la carne bovina le motivazioni trainanti attengono al peculiare apporto proteico (40,2%) e nutrizionale (56,4%); nel suino la propensione al consumo è sostenuta dalla bontà gustativa (53,8%), che fa il paio con la valenza nutrizionale (32,7%).

Anche chi ha manifestato una propensione al consumo, però, evidenzia dei freni di natura essenzialmente economica, a partire dal prezzo elevato (che raggiunge addirittura il 61,5% per il bovino) o dall’assenza di promozioni accattivanti (23,1% sia per la carne bovina che per quella suina, 20,1% per l’avicunicolo). Altro aspetto rilevante attiene all’area dell’“insoddisfazione” nella fase del consumo data dalla scarsa resa in cottura (il 28,5% nel caso dell’avicunicolo), in contrasto con le aspettative di base.

Carne, perché no? Si ispirano a motivazioni di natura salutistica o dietetica quanti invece hanno manifestato in partenza avversione al consumo di carne, dichiarando la volontà di ridurne il quantitativo. Lo afferma il 64% degli intervistati, con riferimento alla tipologia di carne suina, seguita dal 61,5% del bovino e dal 46,3% dell’avicunicolo. Pesano anche i dubbi sulla salubrità del prodotto, che toccano il 53,7% per la carne avicunicola (43,7% per quella bovina, 32,3% quella suina).

I canali d’acquisto. Per quanto concerne i canali d’acquisto, prevale la grande distribuzione (supermercato o ipermercato), seguita dalla macelleria. Le percentuali, però, cambiano a seconda della tipologia di carne scelta. Se il 73,7% degli intervistati si affida alla gdo quando deve comprare carne bianca, tale percentuale scende al 68,6% per gli acquisti di carne bovina (dove in parallelo sale il gradimento del negozio tradizionale al 46 per cento) e al 69,9% per la carne suina.

Differenziata è l’aspettativa sulla qualità del prodotto, in base al luogo di acquisto: nella macelleria, per tutte le tipologie di prodotto, la bontà attesa, ma anche quella percepita, è più elevata rispetto alla gdo o al discount.

Pregi e difetti della Gdo. Fra i pregi del supermercato, i responsabili degli acquisti intervistati hanno indicato i fattori prezzo (inferiore rispetto alla macelleria, presenza di offerte e promozioni), assortimento (maggiore scelta, ampio smercio/freschezza, praticità delle confezioni, visibilità del prodotto), garanzia (sensazione di maggior controllo sull’origine) e servizio (non si fa la fila/estensione oraria), mentre fra le criticità i consumatori hanno menzionato la qualità (diffusa insoddisfazione per la qualità della carne di manzo nella gdo) e il servizio (manca qualcuno a cui chiedere delucidazioni/consigli sulla carne).

Imparare dalle macellerie? Scenario differente per la macelleria tradizionale. I punti di forza individuati dagli intervistati sono risultati essere assortimento (qualità migliore e carne più selezionata, ma anche assenza di carne extra-europea) e servizio (consigli sul taglio di carne e modalità di cottura, servizio dedicato, possibilità di prenotare tagli o carni speciali, rapporto di fiducia, maggiore riguardo se frequentato con assiduità); al contrario i fattori di insoddisfazione sono stati individuati negli elementi prezzo (più alti, nessuna promozione), garanzia (tracciabilità meno visibile) e altri elementi di servizio (minor controllo sulle quantità, si perde tempo in fila, se il rapporto non è costante il trattamento può essere scadente, imbarazzo a rifiutare una carne che non convince).

Le informazioni tra etichette e internet. Tra le informazioni in etichetta nella gdo, il consumatore si mostra interessato a specifici contenuti sul tipo di allevamento, sull’alimentazione e l’età dell’animale alla macellazione. Elementi giudicati di rassicurazione rispetto alla carne e distintivi della reale qualità del prodotto acquistato. Allo stesso tempo, anche la tipologia del taglio carneo; la fascia di prezzo e la provenienza, magari con indicazioni sul luogo di allevamento, le certificazioni di prodotto, il prezzo per porzione.

La preparazione delle carni è un elemento sul quale riflettere, perché accanto ai «consigli della mamma», ai quali ricorrono il 43,4% degli intervistati in caso di dubbio sulle modalità di gestione e cottura, avanza la ricerca autonoma di informazioni su internet (28,7%), soluzione che scavalca addirittura l’aiuto del macellaio (27,3 %).

Riflessioni sul packaging. Quanto alla confezione, chi acquista carne compra preferibilmente nel vassoio tradizionale o termosaldato (se nella gdo) o il prodotto sfuso (se si rivolge al macellaio); in particolare il vassoio termosaldato viene percepito come il più sicuro in termini di igiene alimentare. Lo skin pack, invece, è più utilizzato all’estero rispetto all’Italia.
Del resto considerando la gestione delle carni dopo l’acquisto si dovrebbe pensare a diverse opzioni di confezionamento. Per avicunicolo e suino, le carni vengono spesso acquistate in quantitativi superiori alle necessità quotidiane, per cogliere le opportunità promozionali che quasi tutti gli intervistati ammettono di cercare. Al contrario, la carne di manzo viene acquistata e consumata direttamente.

Due comportamenti che richiederebbero soluzioni diverse anche in termini di confezionamento: un packaging di grande formato pre-porzionato per suino e avicunicolo, una logica di skin pack pre-porzionato per la gestione degli acquisti di carne bovina.

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