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ref.Ricerche al convegno di Tuttofood: l’economia migliora, ma l’Iva è una minaccia

Il fantasma della clausola di salvaguardia e della riverse charge dell’Iva non fa dormire sonni tranquilli alle aziende del largo consumo. Tanto più ora che Il barometro dell’economia italiana segna un miglioramento. sono due temi emersi durante il convegno Consumi2015 organizzato da Tuttofood, mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano.

Fedele De Novellis (ref.Ricerche) - FotoZil
Fedele De Novellis (ref.Ricerche) – FotoZil

Nell’analisi di Fedele De Novellis Chief economista a re.Ricerche, «forse non si può ancora dire che si sia spostato sul bello stabile, ma quantomeno si interromperà quest’anno e nel prossimo la lunga serie di indicatori negativi che hanno scandito l’ultima lunga crisi. Unica ma rilevante eccezione, la disoccupazione, che resterà  elevata» .

Secondo ref.Ricerche il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016, sostenuto da una ripresa dei consumi. Le esportazioni miglioreranno ulteriormente la loro ottima performance e le importazioni cresceranno trainate dalla ripresina, senza peraltro compromettere il saldo della bilancia commerciale, che si manterrà positivo ed elevato (intorno ai 70 miliardi) grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Il vincolo del 3% nel rapporto deficit pubblico su Pil sarà rispettato e l’inflazione sarà zero quest’anno e 0,7% nel 2016. Unica nota dissonante, il tasso di disoccupazione che beneficerà in maniera contenuta del miglioramento del quadro economico rimanendo stabilmente al di sopra del 12%.

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La convergenza di fattori sistemici favorevoli recentemente emersi, dall’indebolimento dell’euro al crollo del prezzo del petrolio, dall’allentamento della convergenza fiscale al quantitative easing della Banca Centrale Europea (fattori rispetto ai quali ref.Ricerche si chiede nel titolo della sua analisi “Ultima chance per l’Italia?”), sembrano dunque aver creato un contesto più favorevole, contribuendo all’uscita dal tunnel in diversi modi: la discesa del petrolio ha un impatto rilevante su un’economia di trasformazione; il cambio favorevole euro-dollaro, insieme alla ripresa americana, è uno dei fattori trainanti delle esportazioni; l’allentamento monetario della Banca centrale europea agevola in credito e abbassa i costi di produzione.

Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. In questo quadro complessivamente positivo – avverte il ref.Ricerche – non mancano rischi. Due particolarmente significativi sono la caduta delle aspettative di inflazione e il possibile aumento dell’Iva, in base alla clausola di salvaguardia già prevista nell’ambito della discesa del rapporto deficit/Pil dell’Italia, secondo quanto imposto dalle regole europee di finanza pubblica. Qualora l’Iva subisse aumenti, l’impatto sarebbe negativo per la domanda di consumo e – affermano compatti industria e distribuzione – in special modo per i consumi alimentari.

Oltre a ciò, vi è l’incognita sulla riverse charge, che, secondo Roberto Bucaneve direttore del centro studi Contromarca, avrà un impatto di 8 miliardi sull’intera filiera alimentare. Qualora non avesse il via libera da Bruxelles, sarebbe surrogata con un aumento elle accise sui carburanti per circa 800 milioni.

«La motivazione è corretta, ma il settore è sbagliato», commenta lapidariamente Marco Pedroni presidente di Coop Italia. E Valerio Di Natale, vicepresidente di Contromarca aggiunge che «si consolida l’idea che alcune porzioni dell’economia possano diventare creditrici a lungo termine dello Stato. È quantomeno strano che in um momento in cui le imprese dovrebbero investire, sono invece obbligate a pensare a come far fronte a una norma che ne aumenta le difficoltà».

 

a cura di Fabrizio Gomarasca

 

Eccesso di promozioni. Coop cambia strada, l’industria osserva

Il tema delle promozioni ha tenuto banco al convegno sui consumi organizzato da Tuttofood a Milano, di fronte a un parterre da grandi occasioni. A scaldare i motori e a infondere un poco di cauto ottimismo alla platea sono stati Fedele De Novellis di ref.Ricerche e Angelo Massaro, Ceo di Iri. Il primo nel tracciare lo scenario macroeconomia ha ipotizzato un lieggera ma costante crescita del reddito disponibile delle famiglie nel prossimo triennio, con l’avvertenza che il modello previsionale si basa su un’ipotesi di ridimensionamento delle politiche di austerità. In caso contrario lo scenario cambierebbe completamente con l’entrata in vigore delle clausole di salvaguardia sull’Iva e relativo aumento delle aliquote che avrebbe un effetto devastante sui consumi e in particolare il food. Alla domanda di De Novellis se e quando il reddito disponibile si potrebbe trasferire sui consumi risponde il Ceo di Iri Angelo Massaro che prevede per fine 2015 una crescita dei consumi alimentari, pari allo 0,2% in volume e allo 0,6% in valore, grazie a un leggero recupero dei prezzi.

IRI PREVISIONE VENDITE
Fonte: Iri

Ripercorrendo il biennio trascorso caratterizzato da vendite con segno negativo in tutte le categorie, Massaro pone l’accento sulla crescita indiscriminata delle promiozioni, fino a toccare una pressione quasi del 30%.

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Fonte:Iri

Ma il livello complessivo di produttività di questa leva di marketing è sceso ulteriormente rispetto al 2013 aumentando il valore delle perdite di ben 117 milioni di euro.

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Fonte: Iri

Ciò significa che la GDO sacrifica circa un 1 punto di crescita dei ricavi sull’altare delle promozioni. Quali le vie alternative per il governo dei prezzi? Massaro auspica un approccio più analitico alle promozioni. Anche se Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez, osserva che a preoccupare non è tanto il 30% di pressione promozionale, ma la sua inefficienza e non efficacia coop  costa meno La decisione di Coop Italia di abbassare i prezzi  di 2.000 prodotti è stata oggetto del dibattito sia perché è una decisione presa dal leader del retail italiano, sia perché l’attesa è forte sui risultati per capire se i tempi sono maturi per una revisione di pratiche commerciali ormai sclerotizzate, che non accontentano più né l’industria né la distribuzione. «Abbiamo deciso di praticare una strategia di posizionamento di prezzo più sano e di disinvestire gradualmente sulle attività promozionali», spiega Pedroni. «Ma se proponiamo all’industria di spostare il valore verso il prezzo tutti i giorni, bisogna che l’industria non adotti politiche di altro tipo con altri retailer».

Questo è infatti uno dei nodi cruciali per capire se l’azione intrapresa da Coop avrà fiato per durare («e non c’è dubbio che come sistema Coop una volta presa la decisione, siamo in grado di sostenerla», puntualizza Pedroni) e quanta parte dell’industria la seguirà agendo in questo modo da effetto moltiplicatore sull’insieme della distribuzione. Infatti, secondo il presidente di Coop Italia, occorre immaginare che ci sia massa critica sufficiente per un’azione di questo tipo che nasce individuando i prodotti più importanti delle marche importanti e i prodotti più importanti a marchio del distributore, che insieme valgono circa il 35-40% del fatturato grocery.

Un’azione che trova l’industria di marca attenta a seguirne gli sviluppi e a valutarne tutti gli effetti. Dice Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez e vicepresidente di Contromarca: «L’operazione di Coop parla di prezzi, ma in realtà dice tutto sull’equità dell’insegna. Per questo va seguita con attenzione». E aggiunge: «Questa crisi ci ha consegnato un numero crescente di persone estremamente sensibile al prezzo, ma vi è una grande maggioranza che invece chiede convenienza, non prezzo. E la convenienza si declina anche in termini di servizio, di tempo, di innovazione. Vi è uno spazio di miglioramento enorme nella collaborazione tra le imprese».

Il discorso su un diverso modo di affrontare le promozioni – Pedroni segnala anche la campagna Scelgo io dedicata ai prodotti a marchio Coop, che vorrebbe poter allargare anche ai prodotti di marca – si allarga presto alla necessità di una collaborazione più trasparente tra industria e distribuzione, fino a prefigurare da parte del presidente Coop il superamento del listing fee, un diverso modo di lavorare per rendere più vivace lo scaffale, non certo le aree promozionali.

Se siamo alla vigilia di un vero cambiamento nelle modalità anche operative tra industria e distribuzione lo vedremo.

Di certo c’è che la guerra dei prezzi non è sostenibile né per l’industria né per la distribuzione.

di Fabrizio Gomarasca

2015 anno della ripresa? Italiani sfiduciati secondo Nielsen

Per Confindustria sarà questo finalmente l’”anno spartiacque”, che vedrà l’uscita dalla lunga recessione iniziata nel 2008. Ma i consumatori italiani, come la vedono? Nera, anzi nerissima secondo il rapporto Nielsen sulla Consumer Confidence aggiornato al quarto trimestre del 2014.

A livello globale l’anno passato si è chiuso in negativo, con un calo di due punti sul trimestre precedente, anche se rispetto allo stesso periodo del 2013 la fiducia dei consumatori è salita di due punti, e dopo due anni di crescita. Le differenze sono molto marcate da regione a regione. Se gli USA, avvantaggiati dalla ripresa dell’occupazione, registrano un indice sopra la media di 106 l’Europa è fanalino di coda con un indice di 76, ma il Paese con il tasso di fiducia più basso al mondo è proprio l’Italia, che registra un mero 45.

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Vecchio Continente sfiduciato, vecchia Italia ancor di più

La fiducia in Europa è calata in 20 mercati su 32, e solo la Danimarca ha un punteggio positivo (>100) anche se la Germania si avvicina con 98 punti, e solo in Svizzera e Germania oltre la metà degli intervistati sono ottimisti (49% e 56%). Italia e Francia calano di due punti ma è proprio l’Italia il fanalino di coda del continente (con un indice pari all’anno scorso), mentre cresce la fiducia in Irlanda, trainata da tassi di disoccupazioni in calo e dalla crescita del Pil.

“Se nei mercati emergenti si registra un consolidamento della capacità di acquisto della classe emergente, nelle economie consolidate, come quella italiana, questa ha subito un deciso indebolimento, da cui deriva la difficoltà della ripresa dei consumi – ha dichiarato Giovanni Fantasia, amministratore delegato Nielsen Italia -. A questo fattore si aggiungono gli elementi di criticità provenienti dalla congiuntura internazionale (Ucraina e Medio Oriente). Tale scenario spiega i motivi alla base del mancato incremento dell’indice di fiducia registrato da Nielsen nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non da ultimo, inoltre, si riscontra un crescente divario tra la posizione economica dei giovani e quella delle fasce più mature, considerato l’alto tasso di disoccupazione che si registra tra i primi”.

Il 96% degli italiani ritiene che l’Italia si trovi ancora in fase recessiva: il dato più alto rispetto ai principali Paesi dell’Ue. La preoccupazione maggiore per la quasi totalità del campione riguarda le proprie condizioni lavorative, e il 60% degli italiani pensa che la crisi proseguirà per i prossimi 12 mesi, valore tornato ai livelli del primo trimestre del 2014, dopo la fase positiva registrata nel secondo trimestre. Di conseguenza gli acquisti non sono certo in cima alla lista, specie se voluttuari. Solo il 13% si considera pronto a fare acquisti di qualsiasi genere. Una volta sostenute le spese strettamente necessarie (alimentari, cura casa, bollette, tasse, ecc.), il 39% ritiene giusto destinare ciò che rimane a forme di risparmio. Il 26% lo riserva per i vestiti, il 25% per viaggi e vacanze, il 20% per l’intrattenimento fuori casa (ristoranti e cinema). Solo il 13% si dice propenso a spendere per beni tecnologici e, in misura uguale, a immettere denaro per spese dedicate alla casa.

 

USA in ripresa, Asia e Africa bene, Sud America in difficoltà

Nel resto del mondo le cose vanno meglio, la fiducia aumenta lentamente ma aumenta comunque in più della metà dei Paesi (39 su 60).

11 mercati hanno registrato aumenti di fiducia di due cifre sul 2013 tra questi gli USA (+12) e i Regno Unito (+10) ma anche Romania (+15), India (+14), Egitto (+14) Irlanda (+13) e Bulgaria (+13).

Anche se nel 2013 sono scesi tutti gli indicatori di fiducia dalle prospettive di lavoro (-3), finanze personali (-1) e intenzioni di spesa (-1), tutti questi indicatori sono in crescita sul 2013, tanto che il 49% degli intervistati ritiene che nei prossimi mesi le prospettive di lavoro saranno positive (erano il 47% nel 2013) mentre le intenzioni di spesa sono cresciute dal 38 al 40%.

L’area del mondo che ha registrato i miglioramenti più marcati è il Nord America, dove le aspettative nel mondo del lavoro sono aumentate di ben 12 punti al 50%, lo stato delle finanze personali è sopra di 6 punti e le intenzione di spesa di 12 punti.

Incrementi significativi si sono registrati anche in Africa e Medio Oriente mentre l’America del Sud è l’unica regione che ha arretrato in tutti e tre gli indicatori sull’anno precedente.

“Alcune regioni del mondo non sono ancora fuori dal tunnel, ad esempio l’Eurozona, mentre altre, come la Cina e alcuni Paesi sudamericani, probabilmente stanno entrando un periodo di crescita minore nel 2015” si legge nel rapporto.

Il Nielsen consumer confidence index misura la percezione delle prospettive di lavoro locali, sulle finanze personali e sulle intenzioni di spesa immediate. I livelli di fiducia del consumatore superiori o inferiori a una base di 100 indica gradi di ottimismo o pessimismo. Il Nielsen Global Survey of Consumer Confidence and Spending Intentions, nato nel 2005, misura la fiducia del consumatore le preoccupazioni e le intenzioni di spesa di oltre  30mila intervistati tramite web in 60 Paesi.

Più vino nel mondo, ma in Italia si beve sempre di meno: calo del 5% entro il 2018

Bicchiere mezzo vuoto per gli italiani. Foto Vinexpo /Hervé Lefebvre

Un miliardo di bottiglie di vino in più in cinque anni: le prevede uno studio di Vinexpo, la fiera internazionale del vino di Bordeaux (quest’anno dal 14 al 18 giugno) e IWSR che analizza il mercato del vino mondiale dal 2008 al 2018, anno in cui il consumo mondiale salirà a 32,78 miliardi di bottiglie contro una media di 31,7 miliardi nel periodo 2009-2013.

Se i mercati emergenti la fanno da padrone, con la classe media africana ad esempio che promette di incrementare esponenzialmente i consumi, i tradizionali Paesi produttori (e consumatori) europei arretrano. Italia in primis, dove entro il 2018 si berranno 3,1 litri di vino in meno pro-capite all’anno (-5,1%), mentre i francesi abbasseranno  consumi di 2,3 litri (-2,8%), pur restando i due maggiori Paesi consumatori al mondo con 45 litri annui a testa.

Altra musica invece sui mercati internazionali, dove gli Stati Uniti, primo mercato al mondo, aumenteranno ancora il consumo di vino (+11,3% tra il 2014 e il 2018 secondo lo studio), così come la Cina (+24,8%). Ma le importazioni verso il gigante asiatico, previste in crescita di due cifre (+31,3%) non aumenteranno di pari passo con i consumi, che si avvantaggeranno anche dell’incremento della produzione locale.

Perfino sul mercato europeo potremmo venire surclassati da insospettabili vicini quanto a consumo di bottiglie: nel 2018 saranno 3,3 miliardi le bottiglie consumate in Germania (+1%, con circa 36 litri pro-capite all’anno) contro 3,28 miliardi in Italia, mentre nel Regno Unito, che ha vissuto un declino dei consumi dal 2009, è previsto un incremento del 5,5% nei prossimi quattro anni, “tirato” dai consumi di vini frizzanti, rosé e bianchi, che entro il 2018 sorpasseranno i rossi nelle grazie dei britannici.

Concordato preventivo per Mercatone Uno

Alla fine nemmeno la cura di Pierluigi Bernasconi ha potuto fare di più e Mercatone Uno (79 punti vendita, undici milioni di clienti, 3.700 dipendenti) ha chiesto il concordato preventivo.

Una nota dell’azienda spiega che si tratta di “una scelta imposta dal perdurare della crisi e dal continuo calo dei consumi particolarmente grave nel settore dei beni durevoli che ha determinato, a partire dalla ripresa autunnale dell’attività, una costante riduzione del fatturato, il tutto aggravato dal contesto deflazionistico a cui conseguono prezzi di vendita sempre più bassi e perdita di marginalità”.

«Paghiamo la guerra dei prezzi e le promozioni continue di soggetti come Ricci Casa, Grancasa, Ikea, Mondo convenienza sul mobile e Mediaworld e altri sugli elettrodomestici. A questo aggiungiamoci che in questo periodo la priorità delle famiglie non è proprio quella di cambiare arredamento», ha affermato il presidente del consiglio di amministrazione Alessandro Servadei in un’intervista al Resto del Carlino.

Così l’indebitamento complessivo del Gruppo Mercatone Uno, ha aggiunto sotto l’incalzare delle domande, «ammonta a 400 milioni di euro, metà dei quali con le banche e metà con fornitori, erario e altri. I creditori sono circa 1.600 tra fornitori non dell’ultimo periodo e banche».

Ora il tribunale ha dato 120 giorni per mettere a punto un piano di ristrutturazione che dovrà vedere necessariamente l’ingresso di nuovi soci e il ridimensionamento degli storici azionisti di Mercatone Uno, le famiglie Cenni e Valentini.

Venti tendenze mondiali per il cibo nel 2015

Cosa e come si mangerà nel 2015? Un elenco delle 20 tendenze più importanti nel settore dell’alimentazione è stato pubblicato dall’“Arabian Gazette” in occasione della fiera Gulfood 2015,  che si terrà al Dubai World Trade Centre (DWTC) dall’8 al 12 febbraio, nodo mondiale dei commerci di prodotti alimentari verso le economie emergenti. Usciamo (letteralmente) dal nostro orticello e andiamo a vedere cosa succede sul mercato globale e sui mercati arabi d’alta gamma, che possono interessare anche la nostra, richiestissima industria alimentare. Molti di questi trend stanno già suscitando l’interesse dei target più ricettive anche alle nostre latitudini. Eccoli.

  1. Senza glutine – aumentano gli esami per scoprire l’intolleranza al glutine, e di conseguenza le diagnosi. I prodotti gluten free confezionati o le alternative (cereali come quinoa o amaranto) si stanno diffondendo su tutti i mercati.
  2. Etichette trasparenti – sempre più consumatori non si accontentano di vaghi proclami di naturalità di un prodotto: pretendono etichette chiare e comprensibili, con informazioni nutrizionali e sulla provenienza. Non sempre le leggi (Ue ad esempio) sostengono questo desiderio. Le App per smartphone invece sì. Da quelle per la salute a quelle che calcolano calorie e aspetti nutrizionali di un prodotto, scansionando il bar code.
  3. Veganesimo e crudismo – due filosofie alimentari che continueranno a influenzare i menu dei ristoranti (e gli scaffali dei supermercati con la proposta di freschi e prodotti vegan friendly)
  4. Grassi e carboidrati “buoni” – grassi insaturi e trans addio, olio d’oliva e acidi grassi omega 3 entrano sempre più nella dieta di chi ha a cuore la salute. Nella lista nera anche carboidrati semplici (raffinati) e dolcificanti artificiali. Tra gli emergenti c’è lo zucchero di cocco.
  5. Cibo fermentato – i benefici per la salute degli alimenti fermentati, ricchi di batteri vivi, decreteranno il crescente successo di yogurt, kefir, verdure fermentate come kimchi e crauti. Sul fronte bevande ci sono i tè fermentati come il kombucha
  6. Proteine alternative – ok, si mangiano da sempre eppure nel tentativo di trovare fonti alternative alle proteine della carne gli insetti sono davvero pronti per la diffusione globale? Ne parlano, tra gli altri, “Forbes” e il “Daily Mail”. Intanto molti optano per più abbordabili alghe,  siero di latte, legumi e l’intramontabile soia.
  7. Affumicature – le affumicature a caldo o a freddo con vari tipi di legni migra dalla carne ad altri alimenti: burro, formaggio, verdure, cocktail e anche sale, zucchero e paprika

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  8. Alchimia di spezie – la diffusione di cucine da tutto il mondo e il desiderio di limitare l’apporto di sale (causa ipertensione) ha aperto la strada all’uso di spezie e mix per dare sapore e gusto ai piatti. Spezie vecchie e nuove: cumino, zafferano, cardamomo, ma anche harissa, sommacco, zaatar, pepe di Aleppo e pepe di Marsh.

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  9. Semi e frutta secca – come ingrediente in cucina o in snack e barrette, o sotto forma di farina come alternativa al grano o per creare formaggi vegetali (quello con farina di mandorle ad esempio), la frutta secca è protagonista perché ricca di minerali, vitamine, proteine e acidi grassi omega 3.
  10. Fusione di sapori – per stimolare un consumatore esigente ed annoiato, i produttori provano accostamenti inediti di sapori. Dall’ormai classico (da noi) peperoncino e cioccolato e cannella e arancio, a wasabi e cioccolato, sale marino e caramello, fragole e fave, ostriche e kiwi…
  11. Matcha – è il tè verde giapponese, noto da secoli, che si presenta come una polvere finissima. È ricco di antiossidanti e betacarotene, dunque il uso uscirà dal ghetto del gelato verde da ristorante giapponese per diventare, caldo o freddo, il re delle bevande utili per la salute, anche in bevande già pronte in lattina, gassate o a base di latte
  12. productAcqua di … – le bevande gassate e zuccherate, tra le principali cause dell’obesità specie infantile, sono da tempo sotto il fuoco di fila incrociato di medici e nutrizionisti. Il mondo è in cerca di alternative salutari. Dopo l’acqua di cocco, invaderanno il mercato le acque di acero, cactus e anguria, ricche in sali minerali e vitamine e povere di zuccheri e calorie.
  13. La consistenza fa il gusto – fragrante, morbido, polposo in combinazioni variabili all’interno dello stesso prodotto: anche così si conquista il consumatore del 2015 (e oltre)
  14. La rivoluzione del packaging – aumentano le richieste: garantita sicurezza e igiene, i nuovi packaging devono essere anche sostenibili, riciclabili, contenere tutte le informazioni richieste sul contenuto, trasmettere la storia del prodotto, garantire nuove funzioni e creare nuove esperienze
  15. Cibi pronti – L’urbanizzazione e l’aumento della forza lavoro porterà anche nelle economie emergenti a una richiesta di cibi preparati e confezionati, mancando il tempo di cucinare a casa
  16. Alimenti di origine animale da fonti sostenibili – i ristoranti top di gamma dei Paesi del Golfo stanno già andando incontro ai desideri di una clientela internazionale.
  17. Halal – già copre un quinto del commercio alimentare mondiale, e nel 2018 dovrebbe valere 1600 miliardi di dollari. Non solo carne, ma anche scatolame e latticini possono essere halal.
  18. Ingredienti locali, chilometro zero – dalla carne ai frutti di mare alla frutta, dove è possibile si coltiverà localmente.
  19. Salute e biologico – Con l’aumento del benessere aumenteranno anche le malattie del benessere, e quindi la richiesta di cibo sani, naturali, senza additivi: un settore che entro il 2018 varrà nelle economie emergenti 1,5 miliardi di USD.
  20. Più carne. Difficile da sottoscrivere, con tutti gli allarmi di medici e nutrizionisti, ma la domanda di cibo ad alto contenuto proteico come carne e latticini aumenterà nelle economie emergenti, e anche la richiesta di carne halal macellata secondo i dettami della legge islamica.

Prezzi freddi a dicembre. E la deflazione soffia in Europa

Nel giorno in cui Eurostat ha ufficializzato le stime sull’inflazione annuale a dicembre che si attesterebbe al -0,2%, certificando di fatto la deflazione nell’economia del vecchio continente, l’Istat ha anticipato i dati dei prezzi al consumo.

La deflazione in Europa è guidata dalla caduta dei prezzi dell’energia (-6,3% a dicembre rispetto a -2,6% a novembre), mentre i prezzi per il cibo, l’alcol e il tabacco e i beni non energetici si sono mantenuti stabili. L’unica crescita annuale prevista riguarda i servizi (+1,2%, stabile rispetto a novembre).

Prezzi freddi anche in Italia, secondo l’Istat. Secondo le stime preliminari dell’Istituto di Statistica nel mese di dicembre 2014, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, mostra una variazione nulla sia rispetto al mese precedente sia nei confronti di dicembre 2013 (il tasso tendenziale era +0,2% a novembre).

La sostanziale stabilità su base mensile dell’indice generale è la sintesi del calo congiunturale dei prezzi degli Energetici non regolamentati (-3,5%) e del rialzo mensile dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,6%), in larga parte condizionati da fattori stagionali. Si allarga così la forbice tra tra servizi e beni si amplia di mezzo punto percentuale rispetto a novembre 2014.

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I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% in termini congiunturali e fanno registrare una flessione tendenziale dello 0,2% (dal +0,4% di novembre). Scomponendo i prezzi dei prodotti alimentari l’Istat rileva una stabilità su base mensile e una crescita dello 0,9% su base annuale dei prodotti lavorati, contro un lieve incremento su base mensile (+0,2%) e una riduzione annuale dello 0,8% di quelli non lavorati

Da notare che invece l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) dei beni alimentari (incluse bevande alcoliche) e tabacchi diminuiscono dello 0,1% in termini congiunturali e dello 0,3% in termini tendenziali (era +0,3% a novembre).

La carica dei funzionali

Quello degli alimenti funzionali è un settore che si sta rivelando anticiclico perché molto apprezzato dai consumatori,  entusiasmati dalle promesse salutistiche, e più profittevole per i produttori.

La crisi, infatti,  non tarpa le ali alle scelte salutistiche dei consumatori italiani. Anzi, nel corso del 2013 le vendite di alimenti che possono entrare in questa vasta e innovativa famiglia sono cresciute, a conferma del bisogno dei nostri connazionali di fare scelte più sane a tavola e che tutte le preoccupazioni legate al connubio cibo/salute rimangono ben presenti a guidare le scelte di acquisto/consumo nonostante i pochi soldi in tasca.

Non a caso, secondo il Rapporto Coop Distribuzione & Consumi 2014, la metà degli italiani si è dichiarata a dieta, seguendo un regime alimentare particolare, non necessariamente corretto ma sicuramente “gratificante”, per migliorare benessere e forma fisica. Tuttavia la spending review in atto da parte dei nuclei famigliari italiani spinge i consumatori a rimodulare le scelte in virtù della maggiore convenienza, per esempio spostando il baricentro del mercato dal canale specializzato, come farmacie, parafarmacie, a ipermercati e supermercati, che stanno cogliendo la palla al balzo e stanno ampliando lo spazio dedicato a questi prodotti. Non più visti solo come nicchie rivolte a un’esigua percentuale dei clienti, più evoluti e altospendenti, ma come segmento “trasversale” del Lcc, con una forte e crescente capacità di attrazione per diversi cluster di consumatori. Inoltre, la “funzionalità”, ossia la promessa di questi prodotti di aiutare l’efficienza del nostro corpo, si sta allargando e sta coinvolgendo nuove famiglie merceologiche, da yogurt e altri derivati del latte a prodotti da forno, pasta, conserve vegetali, insomma i capisaldi dell’alimentazione all’italiana.

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Rapporto Ismea-Qualivita: export si conferma traino per Dop e Igp

Al primo posto il Grana Padano DOP, seguito dal Parmigiano-Reggiano DOP e, in terza posizione, dalla Mela Alto Adige IGP. Sono i top seller della speciale classifica elaborata da Qualivita, che misura le performance economiche dei 269 prodotti italiani a denominazione di origine.

Seguono Prosciutto di Parma DOP, Pecorino Romano DOP, Aceto Balsamico di Modena IGP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Speck Alto Adige IGP, Mela Val di Non DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP, Taleggio DOP e Toscano IGP.

Entrando nel dettaglio, il Grana Padano guida la classifica 2014 con circa 885 milioni di euro di fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale, 530 milioni all’export e il 30% della sua produzione che varca i confini nazionali. Poco distanziato è il Parmigiano Reggiano DOP: 809 milioni di euro il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Anche in questo caso il 30% della produzione viene esportato. Terza classificata la Mela Alto adige IGP, principalmente riguardo alla quantità percentuale exportata (pari al 61%) ha comunque buone performance economiche.

Significativi i risultati anche del Prosciutto di Parma DOP (4°): 500 milioni di euro per il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 241 milioni all’export. Il Pecorino Romano (4° pari merito) primeggia soprattutto per la quantità di produzione certificata esportata.

prodotti dop e igp

Il Rapporto sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp e Stg, pubblicato da Ismea e Qualivita segnala una flessione del fatturato delle Dop e Igp, anche se cresce l’export, che si conferma fattore di traino.

Produzione in calo
Nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%. Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Passando ad analizzare i valori di mercato, si osserva un giro di affari potenziale di 13 miliardi di euro di fatturato al consumo – di cui 9 registrati sul mercato nazionale – e di 6,6 miliardi di euro di fatturato alla produzione – di cui 2,4 miliardi sono il fatturato all’export alla dogana (+ 5%).

Per numero di registrazioni, l’Italia si conferma leader con 269 prodotti (161 DOP, 106 IGP, 2 STG); seguono la Francia con 219, la Spagna con 180, il Portogallo con 125, la Grecia con 101. Per quanto riguarda la Germania, il numero totale delle sue denominazioni scende notevolmente a causa della cancellazione della categoria delle acque minerali. Si conferma anche nel 2014 il ruolo attivo dei Paesi dell’Europa dell’Est, che continuano ad aumentare il numero di prodotti registrati.

Il numero totale di denominazioni in Europa al 30 Novembre 2014 è di 1249, suddivise in 583 DOP (46,7% sulle denominazioni totali), 617 IGP (49,4% delle denominazioni) e 49 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,9%)

Molti prodotti, pochi vincitori
Le criticità dei prodotti a denominazione sta nei numeri rilevati dal rapporto Ismea-Qualiivita, che non cambiano i rapporti interni ai 269 prodotti. Vale a dire che osservando il fatturato alla produzione generato dai singoli prodotti, si continua a rilevare una forte concentrazione dei valori su poche denominazioni.

Nel 2013 la quota delle prime dieci DOP e IGP è pari all’81% del fatturato. Inoltre si registra per questo valore un calo dell’1,7%, generatosi a causa esclusivamente della flessione del mercato interno (-5,2%) che sconta ancora le conseguenze della crisi dei consumi. Per lo stesso motivo, il fatturato al consumo sul mercato nazionale registra una flessione del 3,8%. In termini assoluti, nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%.

Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Proprio nel comparto degli oli d’oliva (e degli ortofrutticoli) il rapporto Ismea-Qualivita rileva un’asimmetria nel peso sul totale in termini di numero di denominazioni e di fatturato. Tale asimmetria deriva dal fatto che, nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato, mentre la gran parte dei prodotti realizzano fatturati estremamente limitati.

Per quanto riguarda i comparti, gli ortofrutticoli e cereali si confermano a livello europeo la prima categoria per numero di prodotti con il 27,3% del totale (341 prodotti), seguito a forte distanza dai formaggi con il 17,8% (223 prodotti), dai prodotti a base di carne con 12,4% (155 prodotti), dalle carni fresche 11,8% (147 prodotti) e dagli oli e grassi con 10% (125 prodotti).

La cartina al tornasole di questa situazione è il livello di concentrazione dei comparti.

Quello dei formaggi, che rappresentano il principale comparto delle DOP e IGP, con un’incidenza nel 2013 tra il 54 e il 58 % circa, rispettivamente sul fatturato al consumo nazionale e sul fatturato alla produzione, comprensivo dell’export, continua a essere molto concentrato: i primi due prodotti, Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP, rappresentano il 71% del valore totale alla produzione, i primi cinque quasi il 90% e i primi dieci circa il 97%. Nei prodotti a base di carne, i primi cinque per fatturato alla prima fase di scambio (nell’ordine: Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mortadella Bologna IGP e Speck Alto Adige IGP) rappresentano oltre l’89% del valore totale. Per mon parlare degli ortofrutticoli nei quali le due principali mele coprono in termini di fatturato alla produzione quasi il 78% dei 451 milioni di euro complessivi (di cui 194 realizzati sui mercati esteri).

Questioni aperte
Secondo il presidente di Ismea Ezio Castiglione «Il sistema italiano dei prodotti agroalimentari a denominazione protetta mantiene un buono stato di salute. L’export, ancora in crescita sostenuta, resta tuttavia l’unico elemento trainante. Continua invece a drenare fatturato il mercato interno, anche se i consumi, in una situazione quest’anno un po’ meno critica, stanno tendendo gradualmente a stabilizzarsi. Il più 5% delle vendite all’estero – ha proseguito Castiglione – conferma il successo del Brand Italia oltre confine, dove gli spazi di crescita restano ampi e incoraggianti.

Sfruttare i potenziali significa però agire con maggiore determinazione sulle leve aziendali, in particolare sulla competitività, in un mercato reso nel frattempo più trasparente dal Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’,  impone agli Stati Ue la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi. Cruciale sarà anche l’esito dei negoziati nell’ambito dell’accordo bilaterale con gli Usa. L’inserimento della tutela dei marchi di origine tra i punti fondamentali della trattativa rappresenta un importante passo in avanti: bisognerà adesso tradurlo nei testi attuativi».

Alberto Mattiacci, processore alla Sapienza di Roma evidenzia a sua volta come il valore del sistema IG poggi su tre pilastri connessi: il contributo del food a formare l’identità del Paese e dei suoi cittadini, il rilevante peso che riveste nell’economia nazionale e la salubrità che conferisce alla popolazione. «Questi pilastri – evidenzia il docente – vanno consolidati, attraverso programmi, rispettivamente, di tutela, valorizzazione e controllo, così da innescare un ulteriore circuito virtuoso di sviluppo. In tale scenario, i temi aperti da risolvere attengono la ancora bassa e frammentaria consapevolezza e conoscenza delle DO da parte dei consumatori e gli ancora insufficienti sforzi distributivi (sia come penetrazione che merchandising) e comunicativi»

In particolare il rapporto rileva che il budget dichiarato che viene investito in comunicazione si aggira intorno ai 30 milioni di euro, per il 76% speso dal comparto dei formaggi a DO e per il 15% dei prodotti a base di carne a DO. La scelta preminente tra i media rimane quella della televisione, seguita dalla partecipazione a fiere (nazionali ed estere) e dalla stampa. Marginali gli investimenti sul web.

Da segnalare come i Consorzi di tutela non si avvicinino ancora alla comunicazione social, probabilmente la migliore soluzione comunicativa in termini di rapporto costi-efficacia. Solo il 43% degli organismi di tutela dichiara, infatti, di gestire un canale social per valorizzare la propria IG.

 

Fabrizio Gomarasca

Saldi invernali: Federdistribuzione chiede di anticiparli al 3 gennaio

Da Federdistribuzione arriva un grido d’allarme e una richiesta precisa: anticipare le date dei saldi invernali al 3 gennaio. In gioco ci sono circa 600 milioni di euro.

Il perdurare della crisi economica che attanaglia il Paese – si legge in una nota diramata dall’associazione della distribuzione moderna – ha reso quest’anno particolarmente carico di attese il momento dell’avvio dei saldi invernali, sia per i consumatori che per tutte le imprese del commercio interessate. I primi, con un potere d’acquisto costantemente in calo, stanno aspettando i prezzi vantaggiosi che garantiscono le vendite di fine stagione e le seconde vedono in quell’evento l’occasione per recuperare parte delle vendite che non sono riusciti a ottenere nei mesi precedenti, anche a causa del perdurare di una situazione climatica anomala, con temperature eccessivamente elevate rispetto alle medie stagionali, che ha disincentivato i consumatori dagli acquisti di capi invernali.

L’avvio dei saldi è stabilito, prosegue la nota, nella maggioranza delle Regioni, per il 5 gennaio, un lunedì. Ciò in seguito anche a un indirizzo espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha recepito una regola condivisa dagli operatori.

Ma nel 2015 si verifica una situazione anomala, perché il 5 gennaio è un lunedì e, secondo Federdistribuzione, questo fatto rischia di penalizzare l’inizio delle vendite di fine stagione. Non includere il sabato 3 e la domenica 4 gennaio significa perdere uno dei più importanti fine settimana di vendita nel retail.

I calcoli sono presto fatti. I saldi invernali sviluppano vendite per 5,5 / 6 mld € e il primo fine settimana ne rappresenta storicamente il 20%, cioè  1,1 / 1,2 mld €. Un avvio dei saldi invernali come quello previsto per il 2015, tra vendite perse nel week end precedente ed avvio lento lunedì 5 gennaio, potrebbe comportare una perdita di fatturato tra 500 e 600 milioni di euro, che rischierebbe di non essere recuperata in seguito proprio per la mancata spinta iniziale e per il perdurare della grave crisi economica.

Viceversa partendo con quattro giorni utili (dal 3 al 6 gennaio) si potrebbero realizzare vendite pari a 1,7 miliardi di euro, con beneficio a un settore del commercio che non solo soffre per il calo dei consumi, ma anche per la concorrenza dell’online.

Per questo motivo Federdistribuzione ha portato la questione all’attenzione de della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha dimostrato disponibilità ad esaminare la questione.

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