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Etichette alimentari: le informazioni sono importanti ma pochi le leggono

Che cosa significa Made in Italy? In quanti leggono le etichette con attenzione? Che cosa pensano della legalità nella filiera agroalimentare? Sono alcune delle domande poste dall’indagine sui bisogni informativi degli italiani condotta dall’Osservatorio permanente sulla Filiera del Latte costituito da Adoc, Cittadinanzattiva, Federconsumatori e Movimento Consumatori insieme al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e Granarolo.

Il quadro che ne esce è certamente di consumatori sensibili alle qualificazioni dei prodotti, come l’origine della materia prima, il luogo e lo stabilimento di produzione, è certamente pronto a difendere il Made in Italy, ma non sanno esattamente di che cosa si tratta. Anche se è pronto a spendere di più per un prodotto tutto italiano, si perde un po’ nella selva delle sigle dei prodotti a denominazione d’origine: l’Italia è il paese con il più alto numero di Dop e Igp, ma che cosa veramente vogliano dire queste sigle, gli italiani mica lo sanno bene.

« Emerge sicuramente la necessità di importanti sforzi per informare i consumatori sulla filiera produttiva italiana, la conoscenza degli aspetti nutrizionali e della sicurezza alimentare attraverso un lavoro congiunto di tutti,  in primis Istituzioni, mondo associativo e industria alimentare come peraltro negli obiettivi dell’Osservatorio che abbiamo costituito, ha affermato imprevidente di Granarolo Gianpiero Calzolari.

Ma vediamo la sintesi dei risultati.

Per quanto riguarda le etichette alimentari, il 95% del campione intervistato ritiene importante le etichette ma, di questo, solo il 18% le legge integralmente. Le informazioni su cui si concentra maggiormente l’attenzione sono soprattutto la data di scadenza (63%), gli ingredienti (50%), la loro provenienza (49%) e l’eventuale presenza di sostanze dannose alla salute (37%).

Tuttavia una percentuale importante, pari al 48%, considera le etichette poco chiare, troppo tecniche, scritte troppo in piccolo e spesso non le capisce.

Il 96% ritiene importante inoltre avere una filiera agroalimentare controllata.

La nota dolente riguarda, come detto, le denominazioni, perché se la quasi totalità (95%) degli intervistati è a conoscenza del significato di almeno una delle più comuni certificazioni europee indicate in materia di prodotti agroalimentari.(D.O.P., I.G.P., D.O.C., I.G.T., D.O.C.G.),  quando viene chiesto di specificarne meglio la differenza, gli intervistati entrano in difficoltà. L’unica sigla davvero chiara sembra essere la DOC del vino. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, con 261 prodotti riconosciuti su 1.241 totali, l’Italia detiene il primato di paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine.

Nondimeno, l’84% degli intervistati è sfavorevole all’uso del latte in polvere per la produzione di formaggi, anche se una percentuale inferiore (il 64%) sa che in Italia è vietato usarlo. Al riguardo, secondo Calzolari « L’unico modo che l’Italia ha di contrastare le norme europee in merito alla polvere è una iniziativa per una nuova generazione di etichette, semplici, trasparenti e veritiere».

Nell’ambito più specifico dei prodotti lattiero caseari, 5 intervistati su 6 prestano attenzione alle informazioni contenute in etichetta: i consumatori sono interessati in primis alla data di scadenza con l’84%, seguita dall’indicazione del luogo d’origine delle materie prime (61%), dall’elenco degli ingredienti (57%) e dalle modalità di conservazione (52%).

Inoltre circa la metà degli intervistati ritiene importante ai fini dell’acquisto il luogo di trasformazione e confezionamento (45%).

Circa la metà dei consumatori (52%) dice di conoscere la differenza tra un latte standard e un latte di alta qualità e il 58% tra quello standard ed uno biologico.

Nessuno degli intervistati conosce il significato della dicitura “leggero/light” che a norma di Reg. CE n.1924/06 identifica un prodotto che contiene il 30% in meno di grassi rispetto al prodotto di riferimento.

Pochi conoscono (29%) il significato di “Yogurt Con” (aggiunta di altri prodotti), la percentuale più alta (38%) dichiara addirittura di non saper rispondere alla domanda.

Infine, solo metà dei consumatori intervistati conosce la differenza tra la data di scadenza e il termine minimo di conservazione cioè che superato tale termine si modificano alcune caratteristiche organolettiche e nutrizionali ma il prodotto può ancora essere consumato senza rischi.

Prodotto in Italia – Made in Italy –  dall’indagine emerge che una delle maggiori esigenze dei consumatori per un’etichetta trasparente e sicura è che i prodotti alimentari presentino l’indicazione della loro provenienza. Ma circa la metà degli intervistati non conosce il significato di “Prodotto in Italia” (trasformato in Italia e prodotto non necessariamente con materie prime italiane).

Una percentuale non trascurabile, infatti, pari al 31%, ritiene erroneamente che la dicitura si riferisca all’origine italiana delle materie prime.

Ma il 96% (quasi totalità) ritiene importante un prodotto realizzato con materie prime italiane. Il 73% dichiara di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e della provenienza italiana del prodotto nel momento dell’acquisto. Nonostante il periodo di difficoltà economica l’assicurazione di acquistare prodotti provenienti dal territorio italiano porta il consumatore a scegliere di spendere fino al 5% in più almeno per il 41% degli intervistati, tra il 5% e 20% in più per il 26%.

In materia di legalità della filiera agroalimentare, infine, per i consumatori i principali fattori che ne esprimono il concetto (con ancora un po’ di confusione) sono: l’indicazione dell’origine delle materie prime (95%), il rispetto degli standard di sicurezza alimentare (94%), il luogo di trasformazione (91%), l’aderenza a standard di rispetto e tutela dei lavoratori impiegati nella filiera (48%) e la presenza del marchio registrato (42%). Inoltre, il 38% ritiene abbastanza importante che come fattore di legalità il prodotto sia biologico.

L’84% degli intervistati ritiene poi che esista la contraffazione in ambito alimentare.

In caso di sospetto di cibo avariato i consumatori sanno a chi rivolgersi in Italia: 30% contatterebbe le Associazioni dei Consumatori; il 29% il nucleo Antisofisticazione e il 36% ASL di pertinenza. Mentre hanno una scarsa conoscenza delle Istituzioni Europee: il 27% conosce EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e il 16% Rasff  (Sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi).

Made in Italy e agromafie: le filiere sono “pulite”? Caselli presenta la nuova legge

Un momento del convegno organizzato da Cir Food a Expo: da sinistra Luca Ponzi, moderatore, Andrea di Stefano (Novamont), Silvio Barbero (Slow Food), Gian Carlo Caselli e Alessandro Leo (Libera Terra).

L’agroalimentare è un settore che si presta ancor più di altri alle infiltrazioni mafiose, fatto di piccole aziende “aggredibili” da quella “mafia liquida” che penetra ovunque ci sia la possibilità di fare o riciclare denaro: 15,4 miliardi di euro è la stima dei guadagni dalle agromafie nel 2014 (secondo il terzo rapporto Agromafie Coldiretti / Eurispes).
«Quando entra in un settore la mafia tende a impadronirsene e a svuotarlo – spiega l’ex pocuratore Gian Carlo Caselli – cancellando i diritti sindacali e ricorrendo anche alla forza per risolvere problematiche che gli altri imprenditori devono affrontare rispettando le regole. L’agroalimentare è un settore florido, che non subisce più di tanto la crisi, l’appeal del Made in Italy nel mondo è innegabile. Dunque presenta alla mafia grandi possibilità di guadagno, in tutta la filiera, dalla coltivazione alla distribuzione e ristorazione, passando per il trasporto».
Insomma, “il piatto è ricco”. E il rischio di avere conseguenze, in caso di frodi e contraffazioni, oggi è basso.

Contraffazione bio e mancato ritiro della merce nuovi reati

Gian Carlo Caselli e a sin. Silvio Barbero.
Gian Carlo Caselli e a sin. Silvio Barbero.

Servono nuove leggi più incisive: il 14 ottobre la Commissione ministeriale presieduta da Gian Carlo Caselli presenterà al ministro della Giustizia Andrea Orlando il testo definitivo della riforma dei reati agroalimentari. Volto ad aggiornare una legge “obsoleta e financo criminosa nella sua incapacità a rendere poco conveniente la contraffazione” ha detto lo stesso Caselli al convegno “Filiera della legalità nel settore alimentare” organizzato dalla cooperativa di ristorazione Cir Food a Expo. Il testo prevede nuovi reati come il disastro sanitario (avvelenamento, contaminazione o corruzione di acque o sostanze alimentari), l’omesso ritiro dal mercato di sostanze alimentari pericolose nel ciclo produttivo e distributivo, il reato di agropirateria ovvero il crimine agroalimentare perpetrato da organizzazione criminale non ascrivibile ad associazione mafiosa (che non rientra dunque nel 416bis), la simulazione di metodi di agricoltura biologica e la falsa indicazione geografica di un prodotto. Sono poi previsti modelli organizzativi aziendali che individuino responsabilità amministrativa anche alle persone giuridiche come strumento di prevenzione dei reati alimentari.

«Il fulcro della nuova normativa è la tutela dei prodotti alimentari imperniata sulla figura del consumatore finale – ha spiegato Caselli -. La frode è considerata lesiva soprattutto dei suoi interessi, tendendo anche conto del maggior valore che ha progressivamente assunto l’identità del cibo nella cultura dei territori, delle comunità locali e dei piccoli produttori. È una legge pragmatica, con sanzioni pesanti, tra cui la sospensione ed espulsione dal mercato, che valorizza il ravvedimento operoso. E c’è la prospettiva di un’etichetta “narrante”, comprensibile e trasparente, che faccia capire chiaramente cosa c’è dentro cibi e bevande».
«Una buona legge insomma ricordando – ammonisce Caselli – che anche la legge migliore se non è applicata, se il processo non funziona rimane sulla carta. Non servono solo nuove norme ma controlli e la diffusione di una cultura della legalità».

Slow Food: la distribuzione deve assicurare la pulizia della filiera
«Dobbiamo cambiare il paradigma del nostro rapporto con il cibo cambiando la scala di valori: non è più sufficiente che il cibo sia “buono” nel senso della sicurezza alimentare, ma deve anche essere “legale” per poter essere messo sul mercato. Deve includere valori quali i diritti dei lavoratori, deve essere il frutto di un corretto rapporto con il territorio che lo produce, di un’economia democratica, di piccola e media scala, e di una filiera trasparente» ha detto Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università delle scienze Gastronomiche di Pollenzo e tra i fondatori di Slow Food.
«Al mondo della distribuzione chiediamo che assuma alcuni elementi di codice per cui certi prodotti siano esclusi dalle politiche di acquisto, garantendo al consumatore la pulizia della filiera. Non è difficile, in questo Paese le cose si sanno. Ma è necessario fare formazione sulle tematiche della legalità agli addetti agli acquisti. I consumatori devono essere messi in condizione di poter scegliere in modo chiaro: oggi non lo sono».

Chiara Nasi, presidente Cir Food.
Chiara Nasi, presidente Cir Food.

“Pessimista” si è dichiarata Chiara Nasi, presidente di Cir. «La politica del contenimento dei prezzi per forza di cose apre le porte a player che non sono legali, praticano il lavoro in nero, non rispettano i capitolati. È vero, le aziende che praticano l’illegalità devono uscire dal mercato, ma spesso anche quando ciò avviene rientrano con un altro nome. Oggi, anche grazie alle nuove tecnologie, alle app che leggono le etichette ad esempio, si potrebbe fare moltissimo. Non è però solo questione di buone norme, il problema è applicarle e diffondere una rivoluzione culturale che vedo ancora molto lontana. Ma è una battaglia che dobbiamo vincere».

Caporalato si deve fare di più
La piaga del caporalato balzata alle cronache questa estate non è considerata nel disegno di legge «ma – ha annunciato l’ex procuratore – chiederemo al ministro l’istituzione di una Commissione apposita. È una piaga di cui sappiamo tutto, eppure si sta espandendo nelle aree più ricche, come dimostrano i recenti casi in Piemonte. Si tende ad appocciare secondo logiche emergenziali, se c’è un morto o nella stagione della raccolta, per poi dimenticarsene il resto dell’anno: andrebbe invece affrontata in una logica strutturale, come un’economia perversa che ha legami con la mafia».
«Si è scoperto che un fenomeno che sembrava toccare solo stranieri e migranti riguarda, complice la crisi, anche cittadini italiani, soprattutto donne – dice Alessandro Leo, presidente del Consorzio Libera Terra Mediterraneo – . Noi ci opponiamo a questo modello dimostrando che sui terreni confiscati alla mafia si può praticare un’economia diversa, che crea lavoro e valore tramite il biologico e le eccellenze agroalimentari. Ricordando che chi è schiavo non controlla il proprio lavoro, e utilizzerà e sarà vittima dell’uso di diserbanti e pesticidi ad esempio».

Il prezzo della legalità
Tutto ciò si scontra spesso con un consumatore abituato a scegliere i prodotti alimentari guardando al prezzo più basso. «La sintesi del nostro lavoro sono i prodotti venduti sugli scaffali dei supermercati – dice ancora Leo -. Coop ma ora anche Auchan e Carrefour,  segno che stiamo riuscendo ad avere prezzi sostenibili con il mercato anche non cooperativo -. Dimostrano che l’acquisto di un prodotto è una presa di posizione, un atto politico che però presuppone una conoscenza da parte del consumatore. Il rispetto dei diritti dei lavoratori per noi è scontato ma non lo è per tutti, e nemmeno la paga minima ai braccianti agricoli. Siamo un’impresa pulita che crea opportunità di lavoro, tutelando il territorio e il reddito dei contadini che lo custodiscono, anche attraverso l’agricoltura biologica, creando lavoro e rapporti».
«I cittadini devono capire che il prezzo non è tutto, specie per quanto riguarda i prodotti alimentari: ogni anno ne buttiamo via 13 miliardi di euro. Bisogna diffondere e far vincere la cultura di consumare meno ma consumare meglio su quella del prezzo più basso» ha commentato Andrea Di Stefano di Novamont, azienda attiva nel settore delle plastiche biodegradabili.
«I consumatori devono sapere che, se spendono un po’ di più per un prodotto, lo fanno per un Paese più pulito» conclude Barbero.

Sipo promuove l’agroalimentare italiano con visite e pranzi in serra

Far toccare con mano l’eccellenza agroalimentare Made in Italy: è quello che ha fatto SIPO, azienda italiana specializzata in prodotti ortofrutticoli di I e di IV gamma, che ha colto l’occasione della partecipazione al recente Macfrut per organizzare l’evento “Dal Campo alla Tavola … For Real!” al quale hanno preso parte buyers e importatori esteri provenienti da Europa e Paesi del Medio Oriente, oltre a giornalisti, nutrizionisti e addetti ai lavori.

Obiettivo: vedere da vicino e gustare le produzioni di SIPO in serra di melanzane, cetrioli, pomodori e la raccolta in campo aperto in piena lavorazione di lattughe ed ortaggi a foglia larga, in linea con la comunicazione aziendale focalizzata sulla passione per la terra. Durante l’evento è stato visitato anche lo stabilimento di SIPO sotto la guida di Massimiliano Ceccarini, General Manager, per illustrare agli ospiti il processo di cernita, mondatura, lavaggio, asciugatura e il confezionamento dei prodotti pronti per essere spediti.

“Abbiamo avviato un processo di internazionalizzazione che ci ha portato in aree contraddistinte da un elevato potere d’acquisto e da condizioni climatiche avverse alle produzioni agricole – ha dichiarato Massimiliano Ceccarini. Guardiamo con interesse destinazioni come Nord Europa, Scandinavia e Golfo Persico perché particolarmente sensibili al Made in Italy, all’arte culinaria italiana e al biologico. Tutti temi che si sposano con i nostri prodotti di prima gamma evoluta ricettati e con la linea bio”.

Giulia Pieri, chef vegana, con Massimiliano Ceccarini (a destra) e Roberto Bologna.
Giulia Pieri, chef vegana, con Massimiliano Ceccarini (a destra) e Roberto Bologna.

Al termine della visita guidata è stato preparato infine dalla Vegan Chef Giulia Pieri un pranzo speciale in una serra di cetrioli all’interno dell’agricola Roberto Bologna con i prodotti delle linee Sapori del mio Orto, Verdure di Romagna e Sapori Bio, i tre marchi di SIPO. Oltre alla fiera Macfrut, hanno contribuito all’evento le aziende agricole Bruschi e gli sponsor Poderi dal Nespoli (vini del territorio romagnolo), Panattrezzi (attrezzature per la panificazione), Papì (pane e pizza) e Vip Piada (piadina e crescioni vegan).

Il 14 ottobre è il Fairtrade Day: gli agricoltori del mondo si incontrano a Expo

Il 14 ottobre rappresentanti del circuito Fairtrade da tutto il mondo saranno in Expo a Milano in occasione del Fairtrade Day, la giornata dedicata al ruolo dei piccoli produttori agricoli del commercio equosolidale per nutrire il pianeta. Saranno molte le iniziative organizzate da partner e sostenitori per valorizzare produzioni ottenute nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Tra queste, alle 17 al Future Food District un gruppo di persone unite dall’interesse per la spesa responsabile si incontrerà per un realizzare un cash mob, ovvero un flash mob in cui i partecipanti si impegnano a fare acquisti di prodotti che migliorano la vita delle persone e rispettano l’ambiente, a testimonianza di come ciascuno attraverso le sue scelte può fare la differenza. L’evento è realizzato in collaborazione con Next Nuova Economia per tutti, GVC e Banca Etica.

Durante l’incontro “Fairtrade energia positiva per le persone e il pianeta” sarà presentato un report di Fairtrade International sul ruolo che Fairtrade può svolgere in partnership con i governi nell’implementazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) nell’agenda post-2015, e ci sarà spazio per approfondire le tematiche riguardanti specifici prodotti come un focus sulla filiera della banana e sulle noci di anacardio del Brasile.

Nuovo standard Fairtrade sul clima

Per dare uno strumento ancora più incisivo ai contadini e ai produttori del Sud del mondo di fronte ai cambiamenti climatici l’associazione ha appena presentato il nuovo Standard Fairtrade sul clima, un protocollo elaborato dall’organizzazione internazionale di riferimento per la certificazione del commercio equo, Fairtrade International. Vi potranno aderire aziende, organizzazioni e privati interessati a ridurre il loro impatto ambientale e a compensare le proprie emissioni.

La diffusione dello Standard è l’ultimo passo prima del lancio dei Crediti di Carbonio Fairtrade a Parigi il prossimo dicembre in occasione della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico – COP21. Il nuovo Standard Fairtrade si aggiunge alla certificazione della riduzione di emissioni di CO2. Grazie al nuovo Standard gli agricoltori Fairtrade e le comunità più vulnerabili dei Paesi in via di sviluppo avranno accesso al mercato dei crediti di carbonio attraverso progetti di efficienza energetica, energia rinnovabile e riforestazione. «Questo è il primo Standard che cerca di dare una risposta alle disuguaglianze nel mercato dei crediti di CO2. E per la prima volta si fa in modo che i produttori che vi partecipano abbiano un tornaconto equo – ha dichiarato Andreas Kratz, Direttore dell’unità Standard e Pricing in Fairtrade International -. Inoltre assicura un supporto reale ai produttori nel contrastare i cambiamenti climatici».

Attualmente sono al vaglio alcuni progetti che possono ottenere la certificazione. I primi Crediti di Carbonio Fairtrade saranno disponibili dall’inizio del 2016

Immagino Gs1 Italy: la product library di immagini e informazioni per leggere i consumi

Immagino, Gs1 Italy

Partito poco più di un anno fa, sulla spinta del Regolamento europeo 1169/2011 sulle informazioni in etichetta, Immagino di Gs1 Italy ha ormai costruito un database di 50 mila prodotti di oltre 700 aziende che coprono il 100% delle categorie del largo consumo. Ciascun prodotto fotografato è connotato con un set di oltre 100 caratteristiche ricavate dalle imformazioni contenute sul packaging: informazioni nutrizioali, allergeni e additivi, ingredienti, packaging, lifestyle.

«Con questo patrimonio di informazioni – ha detto il direttore generale di Gs1 Italy Bruno Aceto nel corso del convegno Fare Meglio Italiano – Immagino non è solo uno strumento efficiente per tutta la filiera, ma è anche una nuova fonte di informazioni per conoscere determinati fenomeni di consumo».

Da uno studio realizzato in collaborazione con Nielsen su 25.000 prodotti rappresentativi di tutte le categorie per un valore di 30 miliardi di euro di vendite, è stato possibile avere nuove metriche e inedite viste sui consumi degli italiani, da mettere a disposizione di tutti i componenti dell’ecosistema: aziende (industria e distribuzione), terze parti, istituzioni, i consumatori.

Qualche esempio. Analizzando le informazioni nutrizionali di bsicotti e merendine si scopre che i prodotti a basso contenuto di grasso hanno realizzato nell’anno terminante a luglio 2015 un incremento delle vendite rispettivamente di +3,2% e +5% contro il -1,7% e il +1,1% della media dei prodotti. Così i 250 prodotti senza lattosio sono cresciuti del +11,3% contro il +3,2% di quelli con lattosio. E i 717 prodotti biologici con il logo della foglia europea hanno registrato vendite per 251 milioni di euro con una crescita del 14,4%.

Una piccola notazione. Immagino è un servizio studiato e realizzato da Gs1 Italy, l’unico nel sistema GS1 globale. Anche questo significa Fare Meglio Italiano.

Un sistema agroalimentare basato su trasparenza e collaborazione per Fare Meglio Italiano

Quello che è andato in scena venerdì a Expo, con il convegno Fare Meglio Italiano per la regia di GS1 Italy, è con ogni probabilità l’inizio di un diverso approccio nelle relazioni tra industria, distribuzione e mondo agricolo, tutte e tre parti essenziali di un sistema vitale e competitivo, quello dell’agroalimentae italiano che, meglio di altri, ha superato gli anni della crisi.

Non senza difficoltà, indubbiamente. Ma proprio per questo il sistema ha in sé le capacità di segnare un cambiamento nelle relazioni, partendo – ha detto il presidente di Gs1 Italy Marco Pedroni – dalla capacità e dalla volontà di riconoscersi reciprocamente, di riconoscere con un approccio pre-competitivo di essere parte di un progetto comune per far diventare più forte il sistema agroalimentare italiano.

«Riconoscere le specificità dell’agricoltura italiana è importante per tutti gli attori, così come bisogna riconoscere all’industria che è stata fondamentale per dare valore all’agroalimentare italiano. La distribuzione, poi, deve essere considerata fondamentale per l’economia del Paese, come avviene dovunque nel mondo», ha precisato Pedroni.

A dare fondamento scientifico a queste premesse ci hanno pensato Giorgio Di Tullio, filosofo dell’innovazione ed Enzo Rullani, presidente Tedis Center Venice International University.

Per Di Tullio, il concetto di filiera verticale basata sul prodotto deve lasciare il passo a un ecosistema basato sulla condivisione delle conoscenze, sulla trasparenza, sulla tracciabilità e sulla sicurezza. «Il prodotto oggi è il processo ed è un atto di condivisione. È urgente ricercare e fissare i requisiti pre-competitivi del sistema, come primo passaggio di una strategia di revisione dello scenario complessivo, Senza definire il contesto pre-competitivo, si continuerà a interpretare il modello come continua contrattazione tra parti: non l’integrazione governa il sistema, ma la contrapposizione». E ha aggiunto: «Ragionare in prospettiva sistemica e secondo una logica di rete, significa comprendere la propria identità come parte di un ecosistema multidimensionale, dotato di strutture concettuali e di parole chiave, di comportamenti del tutto diversi da quelli conosciuti e attivati».

Sulla stessa onda anche Rullani, per il quale il modello di filiera lineare, ereditato dal Novecento e ispirato alla logica fordista della massima integrazione, ha fatto il suo tempo. Servono relazioni collaborative tra imprese che pur restando autonome, investono sulla relazione. Quali sono queste filiere diverse da quelle passate? «Per stare nelle filiere globali – ha affermato Rullani – bisogna imparare a lavorare in rete. Ma le reti stanno in piedi se rendono e generano valore. Occorre quindi superare i difetti di fondo: le reti spesso nascono per innovare ma nel tempo diventano conservatrici. Per questo sono necessarie idee-motrici, una concezione del vivere e del lavorare con un respiro molto più ampio, come la sostenibilità, l’ancoraggio al territorio (italianità) come differenza distintiva, non solo in termini di origine, ma di qualità e di promesse fatte al cliente. Il sistema agroalimentare italiano può essere la guida di questa trasformazione, valorizzando l’italianità attraverso la tracciabilità dei processi produttivi e presidiando i significati connessi al produrre e al vivere (estetica, sostenibilità, etica)».

I pilastri (i valori) sui quale far poggiare il processo di valorizzazione della filiera agroalimentare italiana sono, per Pedroni, quattro: la condivisione e la collaborazione delle diverse componenti, con il riconoscimento della molteplicità di produzioni, tradizioni e culture legate al cibo; la trasparenza, visibilità e sicurezza nei confronti dei consumatori; l’attenzione estrema alla tutela della legalità; le soluzioni per formare e valorizzare i giovani per la sostenibilità futura del settore stesso.

«Occorre lavorare su due punti – ha poi riassunto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo -, vale a dire prendere atto che ciò che differenzia l’agricoltura italiana (in termini di struttura e di imprese) è figlio della nostra storia e della nostra cultura. Ed è un patrimonio da valorizzare. In secondo luogo spingere su un percorso di trasparenza perché il consumatore possa scegliere. Dobbiamo puntare sulla massima dimensione di italianità dal campo alla tavola. E soprattutto dobbiamo creare modelli nuovi, evitando che una volta terminata la fase di individuazione degli obiettivi comuni, quando si va nella fase operativa ci si torni a chiamare fornitori e clienti».

Da parte delle istituzioni, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina non ha fato mancare il sostegno del Governo a costruire le condizioni per accompagnare la trasformazione. «Lo sforzo che deve essere fatto da tutti – ha spiegato Martina – riguarda la costruzione di un sistema agroalimentare che affronti e risolva il nodo delle difficoltà di rapporti nella filiera e in particolare ripensi a come viene scaricata la catena del valore. Abbiamo agricolture forti con imprese agricole deboli. E per noi il tema dominante è come consentiamo alle persone di stare nell’impresa agricola».

«Le leve su cui agire – ha poi concluso Pedroni – sono la fiducia, la trasparenza, le esperienze di altri sistemi. Accordi di ampio respiro, riduzione delle intermediazioni che creano inefficienza, apertura e dialogo verso i cittadini-consumatori per una trasparenza informativa sui prodotti e sui processi. Queste le sfide che hanno davanti le imprese e le loro persone. Siamo anche convinti che le azioni pre-competitive (dove è importante il ruolo concreto giocato dalle nostre associazioni) siano determinanti per valorizzare l’agroalimentare italiano».

Tra made in Italy o Italian made la risposta giusta è informazione trasparente

Eleonora Graffione (presidente Coralis) presenta Etichètto

Con i riflettori puntati sul cibo e sull’alimentazone (Expo non sta passando inutilmente) il dibattito sul made in italy si fa ogni giorno più stringente. Da un lato l’obiettivo del ministero delle Politiche agricole di portare l’export alimentare a 50 miliardi di euro nel giro di pochi anni, dall’altro la consapevolezza che comincia a farsi strada nei protagonisti della filiera che, per raggiungerlo, occorre unire gli sforzi e agire in maniera coordinata. In mezzo i cittadini consumatori che vogliono sempre più spesso sapere che cosa mangiano, dove e come è allevato l’animale, dove e come è coltivato quell’ortaggio o quel frutto.

Gli esempi di questo concentrarsi di interesse sopra e attorno al cibo si moltiplicano. Si è appena conclusa la battaglia sul ritorno dell’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta, che già se ne profila un’altra per affiancargli la dichiarazione d’origine del prodotto. E il ministro Maurizio Martina lancia una nuova sfida all’Europa: «Ribadito alla Commissione UE il no ai formaggi senza latte fresco. Avanti per la tutela dei consumatori e dei nostri produttori», ha twittato. E venerdì 2 ottobre a Expo il convegno di GS1 Italy | Indicod-Ecr con il titolo Fare meglio italiano vuole sviluppare l’idea di un ecosistema agroalimentare italiano che, come ha spiegato recentemente il presidente dell’associazione Marco Pedroni, «deve fare un passo avanti, superando gli schemi che vedono contrapporre gli interessi di coltivatori, industria di trasformazione, distribuzione. Occorre affrontare e sviluppare insieme i temi precompetitivi nelle relazioni tra imprese».

In questo filone si inserisce anche l’incontro che si è svolto qualche giorno fa al padiglione CibusèItalia-Federalimentare, che ha cercato di trovare una via d’uscita alla contrapposizione tra Made in Italy o Italian Made. Se cioè I prodotti alimentari “Made in Italy” debbano essere prodotti interamente in Italia, dal campo allo scaffale, oppresse sia possibile definire prodotto italiano anche quello che utilizza materie prime estere?

Tema, come si è visto particolarmente spinoso, perché tra chi sostiene il primo e chi invece vede nel mercato completamente aperto una opportunità di crescita del saper fare italiano, le distanze sembrano incolmabili. Peraltro accettando la prima ipotesi, buona parte dell’industria agroalimentare italiana sarebbe fuori gioco, mentre nel secondo caso si premierebbe solo ed esclusivamente l’origine della materia prima.

Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)
Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)

Nela fattispecie il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo afferma: «Secondo quanto emerso dalla consultazione svolta dal Ministero delle Politiche agricole il 96,5% dei consumatori  ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori. E quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole non più coltivate perché non c’era più convenienza, e che invece vanno rivitalizzate».

Proprio questo è il punto di partenza del ragionamento di Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia – in Repubblica Ceca -, burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi): «Per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, cioè prodotti finiti già trasformati all’estero. Diverse filiere alimentari non sono e non potranno essere autosufficienti, tanto è vero che tante produzioni italiane sono autobloccate, per sostenere i prezzi. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?».

Sempre sul fronte industriale la testiminianza di Pasquale Petti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo conserviero va proprio nella direzione di una saldatura con il mondo agricolo: «Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima».

Ragioni che non fanno una piega, quelle dei coltivatori e quelle dell’industria alimentare: entrambi vogliono salvaguardare il proprio business. Ma la questione dirimente sta invece nel consumatore, nel cittadino che vuole trasparenza, informazione chiara. Poi potrà scegliere se acquistare un prodotto che arriva da materia prima estera (lo fa già con l’olio extravergine) o se invece acquistare solo prodotto italiano. Ma almeno che ne sia informato, senza sotterfugi e ipocrisie. L’esempio portato da Eleonora Graffione, presidente di Coralis va in questa direzione. Etichètto è infatti il progetto annunciato alcuni mesi fa e che ora è entrato nel vivo della sua attuazione per 150 prodotti di una clear label che identifica i prodotti italiani (a partire dal campo o dall’allevamento) in seguito a un protocollo messo a punto da Coralis e sottoscritto dai vari produttori. «Etichètto fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. È alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti», ha affermato Graffione.

Sulla questione, quindi, si procede a ranghi separati, anche se in linea di principio vi è un sentire comune, che però non ha trovato ancora una sintesi condivisa. Stanno maturando i tempi perché l’agroalimentare si faccia sistema (come recita il sottotitolo del convegno di GS1 Italy), superando steccati e contrapposizioni di parte e pensi principalmente ai cittadini consumatori?

Con il progetto AgriCultura Zuegg integra la filiera a partire dai campi

Oswald Zuegg

Oswald Zuegg ha di che essere soddisfatto. Non solo perché a luglio ha completata la riunificazione delle quote dell’azienda, che festeggia quest’anno i 125 anni di attività, sotto il diretto controllo della sua famiglia («In questo modo la quinta generazione, i miei figli, potranno prendere decsioni con maggiore libertà d’azione»). Non solo perché il 2015 è avviato a chiudersi con ricavi di 244 milioni di euro, in crescita rispetto al 2014 («Ma l’andamento del cambio con il Rublo è costato circa 9 milioni di euro per svalutazione degli assets») e perché il recente accordo con Wal Mart ha aperto la strada all’espansione nel mercato d’Oltreoceano.

Ma anche perché con l’annuncio del progetto Zuegg AgriCultura rafforza e struttura l’impegno che l’azienda dedica a sviluppare competenze in ambito agricolo da trasformare in prodotti di qualità per i consumatori. Da ormai dieci anni, infatti, l’azienda studia la terra e la frutta e ha intrapreso una politica di approvvigionamento diretto della materia prima scegliendo e fidelizzando aziende agricole con buoni frutteti e varietà prestigiose e sostenendo gli agricoltori con un servizio agronomico gratuito.

Zuegg AgriCultura è un passo avanti e prevede di investire in un’iniziativa interamente dedicata alla materia prima. La cura per la terra e l’attenzione per chi la coltiva diventano un piano strutturato per il futuro con la nascita di un progetto dedicato esclusivamente allo sviluppo agricolo. Con obiettivi precisi: l’acquisto, affitto e ribonifica di terreni agricoli per la coltivazione, il controllo, e la fornitura della frutta, la ricerca e selezione delle migliori varietà di frutta.

Già nel 2015 solo in Irpinia sono stati coltivati 37 ettari di terreni di proprietà o in affitto e ben 700 ettari di campi sotto controllo diretto. Sempre nel 2015 Zuegg ha riqualificato direttamente 20 ettari di terreno, il 10% in più rispetto al 2014. Due agronomi specializzati hanno inoltre supportato 174 agricoltori (il 7% in più rispetto a quelli coinvolti nel 2014).

«Entro il 2020 vogliamo incrementare a 1.100 gli ettari di terreno sotto controllo diretto e coinvolgere 250 agricoltori, con l’obiettivo di portare a 30 milioni di chili il totale di frutta coltivata (dai 20 attuali)» afferma Martina Zuegg, ideatrice e responsabile del progetto.

«Sono sempre più convinto – chiosa Oswald Zuegg – che il nostro lavoro è sempre più vicino a quello di chi produce vino. Così come il vino nasce prima in vigna che in cantina, così anche per noi è il gusto della frutta il primo passo per prodotti soddisfacenti per i nostri consumatori: L’investimento che stiamo facendo nell’integrazione e nel controllo della filiera agricola direttamente o supportando agricoltori, è un passo essenziale per la qualità dei nostri succhi e marmellate, per offrire trasparenza nell’informazione ai consumatori, per dare sostenibilità e futuro all’azienda. E in ultima analisi per rafforzare e valorizzare il brand».

GS1 Italy | Indicod-Ecr racconta un anno di attività. E il 2 ottobe il Convegno “Fare meglio italiano” a Expo

Schermata 2015-09-14 alle 19.13.05È disponible l’Annual Report 2014 di GS1 Italy | Indicod-Ecr, che sintetizza attraverso il racconto dei progetti, i dati e le analisi il ruolo dell’associazone nel facilitare il dialogo e la collaborazione tra aziende, associazioni, istituzioni al fine di creare valore, efficienza, innovazione e dare più slancio alle imprese e più vantaggi al consumatore.

«Nel 2014 GS1 ha adottato una nuova strategia per la gestione degli standard nel mondo digitale» dichiara Bruno Aceto, Ceo di GS1 Italy | Indicod-Ecr. «Secondo questa strategia il ruolo per GS1 è di continuare a servire il sistema delle imprese e abilitarlo a collegare il più efficacemente possibile mondo fisico e mondo digitale grazie ad una nuova integrazione e alla disponibilità delle informazioni sui prodotti in entrambi i mondi». Nel 2014 infatti gli standard GS1 sono entrati nel mondo digitale, grazie al nuovo GS1 GTIN+ on the web che consente al consumatore di trovare sul web il prodotto che cerca e tutte le informazioni fornite dal produttore.

«GS1 Italy | Indicod-Ecr – afferma il presdiente Marco Pedroni – si pone l’ambizioso obiettivo di contribuire al successo delle attività delle aziende associate. I nostri standard e le nostre soluzioni devono essere considerate come parte integrante del business delle imprese con cui lavoriamo e possono consentire di migliorare le risposte ai bisogni dei consumatori e delle persone».

In questo quadro si inserisce anche il convegno che GS1 Italy | Indicod-Ecr organizza il 2 ottobre a Expo dal titolo “Fare Meglio Italiano – L’agroalimentare si fa sistema”. Il convegno ruota attorno ai temi chiame delle reti, dei modelli collaboartivi, della tracciabilità, di conoscere, informare e condividere, tutte atività core di GS1 Italy | Indicod-Ecr e che fanno parte del sistema agroalimentare italiano di oggi e di domani.

In agenda interventi del filosofo dell’innovazione Giorgio Di Tullio, del Ceo di Sanpellegrino Stefano Agostini, del presidente Tedis Center Venice International University Enzo Rullani e di protagonisti dell’ecosistema Alberto Frausin, Marco Pedroni, Roberto Moncalvo (Coldiretti) e il ministro Maurizio Martina.

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Stabilimento di produzione in etichetta: il Governo reintrodurrà l’obbligo di indicazione

Negli ultimi mesi è stata una lotta che ha coinvolto la GDO nostrana quella contro la norma del Regolamento europeo 1169/2011 che prevede l’eliminazione dello stabilimento di produzione dall’etichetta dei prodotti alimentari. La mobilitazione, partita da Twitter, aveva portato a una petizione e a una raccolta firme che aveva sfiorato quota 30.000 (vd nostro articolo).

Ieri, con una nota, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha reso noto che “il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge di delegazione europea che all’art.4 contiene la delega per la reintroduzione nel nostro ordinamento dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento per i prodotti alimentari e per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 1169/2011 in materia di etichettatura. L’obbligo di indicazione della sede dello stabilimento riguarderà gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano. Allo stesso tempo partirà a breve la notifica della norma alle autorità europee per la preventiva autorizzazione. L’Italia insisterà sulla legittimità dell’intervento in applicazione di quanto previsto dall’articolo 38 del regolamento n. 1169/2011, motivandola in particolare con ragioni di più efficace tutela della salute dei consumatori”.

«Quello di oggi – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – è un passo importante che conferma la volontà del Governo di dare indicazioni chiare e trasparenti al consumatore sullo stabilimento di produzione degli alimenti. Diamo una risposta anche alle tantissime aziende che hanno chiesto questa norma e hanno continuato in questi mesi a dichiarare lo stabilimento di produzione nelle loro etichette. Non ci fermiamo qui, porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l’etichettatura sia sempre più completa, a partire dall’indicazione dell’origine degli alimenti. Per noi si tratta di un punto cruciale, perché la valorizzazione della distintività del modello agroalimentare italiano passa anche da qui. Lo scorso anno per la prima volta il Governo ha chiamato i cittadini a esprimersi ufficialmente su questa materia, attraverso una consultazione pubblica online. Il 90% dei 26 mila italiani che hanno risposto ha detto che vuole leggere la provenienza chiaramente indicata sui prodotti che consuma».

Soddisfazione è stata espressa su Twitter da vari esponenti delle insegne nostrane.

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