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Partita la campagna del Mipaaf a sostegno dei prodotti Dop e Igp nella Gdo

È partita la campagna istituzionale del Ministero delle Politiche agricole di promozione per aumentare la conoscenza e sostenere il consumo dei prodotti Dop e Igp. L’iniziativa, che coinvolge anche i punti vendita della Grande distribuzione organizzata che hanno aderito all’iniziativa, rientra nel quadro di azioni che il Mipaaf ha messo in campo per i prodotti di qualità certificata DOP IGP, protagonisti anche nell’ambito di Expo Milano 2015. Proprio a Expo è stato firmato un accordo con la Gdo (nello specifico con Federdistribuzione, Ancc-Coop, Ancd-Conad) con lo scopo di rilanciare i consumi dei prodotti a denominazione. Il protocollo di intesa garantisce, tra l’altro, una migliore informazione dei consumatori e favorisce una più facile individuazione dei prodotti Dop e Igp presso i punti vendita.

«Con 839 prodotti certificati dall’Unione europea – commenta il ministro Maurizio Martina – siamo leader assoluti nel campo della qualità. Un patrimonio che vogliamo continuare a valorizzare al meglio, attraverso azioni coordinate e strategiche per far crescere ancora un settore che vale già oggi più di 13,5 miliardi e coinvolge circa 150.000 imprese. La campagna di informazione, frutto anche del lavoro del Tavolo permanente istituito per la prima volta dal Ministero tra le associazioni della grande distribuzione organizzata e le associazioni dei Consorzi, ha l’obiettivo di rafforzare il comparto dei prodotti a indicazione geografica anche nel mercato interno. In questi 20 mesi abbiamo lavorato molto su 3 fronti cruciali come quello delle relazioni diplomatiche, della promozione dei prodotti e della lotta al falso Made in Italy agroalimentare.
Nella promozione – spiega ancora Martina – per la prima volta parte un’azione coordinata con la Gdo per mettere in evidenza i prodotti di qualità certificata nei punti vendita, in coordinamento proprio con il nostro spot istituzionale».

https://youtu.be/DRnghOjW8V4

Sul fronte della lotta alla contraffazione sono state superate 700 operazioni a contrasto dei falsi Dop e Igp, tanto nel territorio comunitario quanto sulla rete, e sono stati stipulati anche accordi con player mondiali del web come Alibaba ed eBay per dare al ‘brand geografico’ lo stesso livello di tutela dei più grandi marchi commerciali. «Tradotto in numeri – ha spiegato il ministro – significa ad esempio aver bloccato flussi di commercio di falso Parmigiano per 99.000 tonnellate al mese, ovvero 11 volte la produzione mensile di quello autentico».

I Cagliari Green Med Awards a Consorzio del Fiore Sardo, Matysha e Cepex

Premiare aziende o istituzioni che si sono particolarmente distinte nella promozione di produzioni agricole e alimentari tipicamente mediterranee: è questo il senso dei Green Med Awards. tenutisi a Cagliari lungo tre giorni di lavori che hanno visto la partecipazione di oltre cento aziende dell’agroalimentare dell’isola, buyers e relatori da 11 Paesi.

Dalla prima edizione, a Koper (Slovenia) nel 2008, i premi vengono attribuiti a una realtà che abbia fornito servizi di eccellenza (Best Service Provider), a un’azienda che si sia espressa ad alti livelli di qualità in una produzione tipica indipendentemente dalle quantità prodotte (Best Producer), e a un “campione” dell’export che abbia fatto conoscere i prodotti mediterranei nel mondo (Best Exporter).
Il premio Best Producer è andato al Consorzio di Tutela del Formaggio Fiore Sardo DOP “per la tipicità dei prodotti, portata al più alto livello qualitativo utilizzando i metodi tradizionali di produzione e stagionatura, l’attenzione alla valorizzazione del territorio, l’apertura al biologico e alle fasce dei nuovi consumatori, con formaggi anche a caglio vegetale derivato dal cardo”. Ha ritirato il premio la biologa Maria Cristina Dore per conto del presidente del Consorzio Salvatore Bussu, successivamente raggiunto da una delegazione nella sua azienda pastorale sugli altipiani di Macomer.

Il Best Service Provider per il migliore fornitore di servizi è andato al Centre de Promotion des Exportations Cepex di Tunisi. Questa la motivazione: “Gli Uffici del Cepex in Europa svolgono un ruolo assolutamente positivo nei rapporti economici e commerciali tra Unione Europea e Tunisia rappresentando per questo un elemento di dialogo e di stabilità tra Europa e Tunisia e quindi tra Costa Nord e Sud del Mediterraneo”.

Il Best Exporter, al miglior esportatore mediterraneo, è andato al Gruppo Matysha di Agadir, Marocco. “Matysha – si legge nella motivazione – è il primo produttore di pomodori del bacino del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente ed è produttore ed esportatore di ortaggi e di agrumi. Ha raggiunto alti livelli di qualità, puntando sull’innovazione e sul rispetto dell’ambiente. Produce 40 mila tonnellate di pomodori e ne esporta oltre 30 mila tonnellate. È un esempio di efficienza e buona organizzazione”.
I premi sono stati consegnati nel corso della cena ufficiale del Forum da parte del presidente di Confcooperative Sardegna (principale partner territoriale dell’evento), Carlo Tedde. Nel corso del Forum si sono svolti 145 incontri business che hanno interessato le 5 principali filiere dell’agroalimentare sardo: formaggio, vino, ortofrutta, pane e olio. Tra i buyers italiani le catene Conad, Migross, Eurospin e Eataly, tra gli stranieri la catena londinese Marks&Spencer, oltre a importatori da Emirati Arabi, Corea del Sud, Russia, Polonia, Svezia, Repubblica Ceca e Spagna.

Eblex, l’ente di promozione della carne inglese, diventa AHDB beef & lamb

PrintLa nuova denominazione di Eblex, che diventa AHDB beef & lamb rientra in una più ampia strategia di AHDB – Agriculture and Horticulture Development Board, l’Ente britannico non governativo per il sostengo e lo sviluppo dell’industria agroalimentare, con l’obiettivo di semplificare l’organizzazione interna della società.

Oltre al comprato delle carni bovine e ovine, AHDB opera in altri 5 settori, la suinicoltura, il lattiero-caseario, l’orticoltura, la cerealicoltura e la produzione di patate, che sono stati così rinominati: BPEX = AHDB Pigs; DairyCo = AHDB Dairy; HDC = AHDB Horticulture; HGCA = AHDB Cereals&Oilseeds; Potato Council = AHDB Potatoes.

«La semplificazione della denominazione dei vari comparti che costituiscono AHDB porterà sicuramente maggior chiarezza sia agli operatori del settore sia al consumatore finale stesso, che potranno avere così una panoramica più chiara su tutto il comparto agroalimentare inglese” spiega Jeff Martin responsabile di AHDB Beef&Lamb in Italia. “Il nuovo brand e la nuova riorganizzazione favoriranno inoltre una più forte unione e una condivisione di conoscenze e informazioni, aumentando così la competitività dell’industria alimentare inglese sui mercati nazionali e internazionali. Anche per il mercato italiano, quindi, sarà più semplice avere informazioni o mettersi in contatto con aziende e produttori di tutti i comparti ‘consociati’, oltre alla carne bovina e ovina con cui siamo già presenti in Italia, ad esempio, si potranno avviare rapporti con aziende di formaggi, ortaggi o cereali».

In pratica, il ruolo di AHDB Beef&Lamb in Italia non cambierà: la società continuerà a promuovere l’industria delle carni bovine e ovine e a stimolare la domanda attraverso attività di comunicazione e marketing. Conclude Martin: «Il ruolo di AHDB Beef&Lamb, così come quello delle altre ‘consociate’, è molto importante poiché mette a disposizione risorse per investire nella ricerca, nel marketing e nella promozione con conseguenti miglioramenti di business. L’Italia, seppur sia un piccolo mercato, rappresenta per noi una piazza sempre importante e crediamo potranno esserci buone opportunità anche per gli altri settori che AHDB rappresenta».

Pam Panorama fa comunicazione per “difendere” il suo olio Evo private label

A seguito dei ben noti fatti di cronaca con una decina di aziende indagate per frode in commercio per la vendita di olio extravergine non risultato tale dalle analisi – l’insegna Pam Panorama corre ai ripari con una campagna di comunicazione a sostegno dei “suoi” prodotti. Ricordando ai clienti che sull’Olio d’Oliva Extra Vergine la linea Pam Panorama comprende “una serie di referenze cui vengono applicati dei parametri valutativi addirittura più restrittivi rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente in materia. “I nostri standard – si legge in una nota – vengono trasmessi ai fornitori, i quali hanno il compito di attenersi alle indicazioni condivise: scrupolosi controlli vengono infatti effettuati sia nella fase precedente l’imbottigliamento, sia successivamente, attraverso prelievi diretti nei negozi. Per garantire la qualità del prodotto vengono così implementate rigorose analisi chimiche ed organolettiche, unitamente a panel di assaggi”.

L’Olio extra vergine di Oliva di Pam Panorama è disponibile in tre linee: Pam Panorama (Olio Extra Vergine e Olio Extra Vergine 100% Italiano), Pam Panorama Bio (Olio Extra Vergine Bio) e i Tesori (Olio extravergine da olive taggiasche 100% italiano, Olio extra vergine di oliva monocultivar nocellara 100% italiano, Olio extravergine di oliva umbria d.o.p. Colli assisi-spoleto, Olio extravergine di oliva terra di bari castel del monte d.o.p., Olio extravergine di oliva riviera ligure d.o.p. Riviera dei fiori, Olio extravergine di oliva garda orientale d.o.p. Olio extravergine di oliva toscano i.g.p.).

 

Torna l’olio toscano Evo Igp con un raccolto piccolo ma di qualità

Un momento della presentazione per la stampa della campagna 2015 al Priceless di Milano.

“Bentornato all’olio toscano Igp”: con queste parole il Consorzio dell’olio extravergine Toscano IGP ha lanciato la campagna nazionale 2015 a Milano. Un ritorno che segue un raccolto 2014 è stato rovinoso e per tutto il 2015 la filiera ha portato, e porterà anche in futuro, i segni di una campagna difficile. La nuova e attesissima campagna rimanda dati economici decisamente confortanti.

Deborah Corsi, dei Jeunes Restaurateurs d’Europe.

Il buon andamento climatico nel corso dei mesi, anche se eccessivamente caldo ha portato a una stima di produzione intorno a 140-150.000 quintali, con una flessione di circa il 20% rispetto alla media regionale. Conseguentemente anche la produzione di olio certificato Toscano IGP, si attesterà fra 30-35.000 quintali.
A fronte di ciò, si prevede però una qualità ottima, grazie ad una quasi totale assenza di attacchi significativi della temuta Mosca dell’olivo, nefasta protagonista della scorsa campagna. «È una bella annata – spiega il Presidente del Consorzio Fabrizio Filippi – che la nostra olivicoltura attendeva con paura, ansia e grandi aspettative. Certamente la strada è ancora in salita perché saltare un raccolto si traduce palesemente in gravi perdite economiche nel bilancio, ma siamo fortemente positivi su una ripresa ancora più vigorosa di uno dei prodotti iconici della Toscana. Quanto successo l’anno passato deve rappresentare il punto zero, ossia l’inizio di un nuovo approccio all’olivicoltura, ancora non sempre diffuso nella nostra Regione. Un cambiamento radicale nella gestione dell’oliveto attraverso un costante e corretto monitoraggio, accompagnato da mirate pratiche colturali per il mantenimento di un buono stato di vigoria. Un po’ come noi del resto, se siamo forti ci ammaliamo meno».

 

Produzione di qualità esportata per il 60%

La Toscana produce il 3% dell’olio nazionale ma certifica il 50%, “una proporzione straordinaria che costituisce l’eccellenza nel settore della denominazione, importante per il nostro territorio anche per tutto ciò che evoca il messaggio ‘toscano’. Per noi come per tutto l’agroalimentare italiano, la scommessa di Expo avrà avuto successo solo se riusciremo a mantenere alta la visibilità che l’evento ha dato ai nostri prodotti d’eccellenza. Purché siano quelli veri”. Da qui la scelta di Milano come spiega Christian Sbardella, direttore marketing del Consorzio «È allo studio la costruzione di un progetto promozionale che vedrà proprio la città milanese quale fulcro di una serie di attività per rafforzare il ruolo del nostro marchio ed avvicinare sempre più il consumatore».

La produzione dell’olio Toscano IGP è in media di 30.000-33.000 quintali per oltre 4 milioni di bottiglie e un valore al consumo di circa 55 milioni di euro. Il valore al consumo degli oli DOP/IGP in Italia è di 60 milioni di euro, di cui l’olio Toscano IGP, che rappresenta il 35%, vale quasi 20 milioni di euro.
Il 65% dell’IGP toscano viene esportato, il 75% in USA, il 10% in Canada e il 15% in altri Paesi (Taiwan Giappone Messico Australia e, in UE, Germania, UK, Finlandia, Svizzera, Polonia, Islanda. L’ente di tutela e promozione del marchio Toscano conta oltre 11mila soci, 300 frantoi (l’80% in regione), 600 imbottigliatori.

Notizie positive proprio il giorno in cui scoppia la polemica sull’olio venduto nella GDO come extravergine e rivelatosi semplice olio d’oliva dalle analisi della procura di Torino, e che coinvolge sette grandi marchi, alcuni recentemente acquisiti da gruppi stranieri. Sul registro degli indagati per frode in commercio sarebbero finiti i responsabili legali di Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia.

Secondo Coldiretti l’Italia è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna, con circa 250 milioni di piante e un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro, con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative.

Convegno GS1 Italy: soluzioni Ecr e approcci di filiera contro lo spreco alimentare

Ogni anno 1/3 della produzione mondiale (1,3 mld di tonnellate) di cibo finisce nella spazzatura. In Italia lo spreco almentare è quantificato in 4 milioni di tonnellate, vale a dire 8,1 miliardi di euro, pari allo 0,5% del Pil.

Le cause che determinano eccedenze, rimanenze o sprechi sono molteplici e variano a seconda delle fasi della filiera agro-alimentare. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali (consumo domestico e ristorazione); tuttavia l’entità del fenomeno non è trascurabile anche a monte.

Nella fase di trasformazione e distribuzione, le eccedenze nascono principalmente da difficoltà di previsione della domanda, danneggiamenti riportati sul prodotto e sul packaging degli alimenti in fase di trasporto e stoccaggio, errori nelle procedure di stock rotation, …

Ottimizzare la gestione dell’eccedenza alimentare significa lavorare in un’ottica collaborativa in azienda e su tutta la filiera.

A partire dal 2013, le aziende industriali e distributive hanno costituito un tavolo di lavoro in ECR Italia per affrontare il tema, focalizzandosi sugli aspetti che toccano i processi di interfaccia e ricercando soluzioni e percorsi attivabili per ridurre l’incidenza degli sprechi.

Quali sono le strategie per la prevenzione delle eccedenze e i modelli per una gestione strutturata delle eccedenze?

Quali sono le implicazioni concrete per le aziende?

Quali le principali barriere alla riduzione dello spreco alimentare?

Esistono aree di collaborazione e soluzioni di filiera che permettono di incidere positivamente nella gestione dell’eccedenza?

Questi i temi al centro dei lavori e che saranno discussi al convegno: La lotta allo spreco alimentare: soluzioni e approcci di filiera che GS1 Italy | Indicod-Ecr organizza a Milano Fondazione Stelline – Sala Volta il 17 novembre prossimo

ISCRIVITI QUI

L’incontro consentirà di comprendere quali sono le modalità più efficaci per la gestione delle eccedenze, le best practice di filiera e le soluzioni abilitate dagli standard GS1 e di approfondire il tema attraverso le testimonianze dirette delle imprese impegnate su questo fronte.

Prezzi bassi dell’ortofrutta = pesticidi: guerra di Greenpeace in Francia a Leclerc (e alla GDO)

Foto: Greenpeace.

Che “il miglior prezzo” sui prodotti alimentari non sia necessariamente una cosa positiva ormai lo capiscono anche i consumatori, perché l’altra faccia della medaglia possono essere le filiere sporche, il caporalato e l’uso dei pesticidi.

Lo sa bene anche Greenpeace, che in Francia ha ingaggiato una lotta contro l’insegna della GDO E. Leclerc arrivando ad attuare settimana scorsa un picchettaggio ad opera di 40 attivisti nella centrale di acquisti regionale Socamil presso Toulouse (dopo aver organizzato proteste davanti a vari ipermercati), arrivando ad ottenere dall’insegna l’istituzione di una commissione di controllo. Come di legge nel sito “il numero 1 della grande distribuzione in Francia e campione dei prezzi bassi noto per le sue feroci negoziazioni commerciali, si guarda bene dal comunicare le conseguenze ambientali e sanitarie dei pesticidi”.

Non solo, l’associazione ambientalista con un vero proprio “j’accuse” denuncia a chiare lettere le responsabilità della grande distribuzione, “che incoraggia per le sue esigenze pratiche agricole che hanno conseguenza gravi per l’ambiente e la salute. I due terzi degli acquisti alimentari in Francia si fanno nelle grandi specifici e quasi il 70% dell’ortofrutta fresca passa per questo canale. La grande distribuzione, e Leclerc in particolare (unica insegna a essersi rifiutata di rispondere al questionario inviato da Greenpeace a maggio circa l’uso di pesticidi che mettono in pericolo la vita delle api, ndr), esige dei prodotti agricoli perfetti, prodotti in grandi volumi, ai prezzi più bassi possibili e tutto l’anno. Questa politica di acquisti della grande distribuzione spinge gli agricoltori a coltivare prodotti standardizzati e in grandi quantità: in queste condizioni, non hanno altra scelta che utilizzare pesticidi, che gli assicurano il raccolto. Anche se questa scelta minaccia la loro salute, inquina il terreno – e dunque lo strumento del loro lavoro – e porta i consumatori a ritrovarne tracce nei loro piatti” si legge ancora nel sito dell’associazione. Greenpeace ha rilevato pesticidi nella maggior parte di mele e patate vendute nei supermercati francesi (ma risultati analoghi sono stati trovati anche in Italia per le mele). La campagna per chiedere a Leclerc di fermare l’uso dei pesticidi ha già ottenuto oltre 68mila firme.

Un atto d’accusa preciso, che dovrebbe far riflettere anche le insegne di casa nostra. Visto che da noi, oltre ai pesticidi, c’è anche il problema gravissimo del caporalato (vd Made in Italy e agromafie). Il problema riguarda il controllo delle filiere e la comunicazione ai clienti. Sullo sfondo, una domanda: quanto sono veramente disposti i clienti a spendere di più per salvaguardare la propria salute e condizioni di lavoro dignitose?

Gli standard GS1 alle Nazioni Unite per un’agricoltura sostenibile

 

La tecnologia e i big data possono essere utilizzati dai settori pubblico e privato per collaborare e promuovere pratiche di coltivazione sostenibili nel settore agricolo?

Il Ceo e presidente di Gs1 Global Miguel Lopera lo ha illustrato recentemente al Vertice Sdg (Obiettivi di sviluppo sostenibile) dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

Schermata 2015-10-30 alle 20.00.48«È in atto un cambiamento di mentalità a livello internazionale: le aziende focalizzano maggiormente i propri obiettivi di approvvigionamento responsabile», ha spiegato Miguel Lopera (nella foto durante il suo intervento). «Le multinazionali fanno sempre più riferimento per i propri approvvigionamenti alla supply chain alimentare globale scegliendo, al di là dei costi, la qualità e l’offerta costante. Per realizzare un approvvigionamento responsabile, stanno percorrendo la parte più a monte della supply chain alimentare globale, fino ad arrivare agli agricoltori che producono direttamente le materie prime, per selezionare i partner commerciali che operano eticamente e responsabilmente».

GS1, l’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che sviluppa e mantiene i sistemi standard per la supply chain più utilizzati al mondo (rappresentata in Italia da GS1 Italy|Indicod-Ecr) è parte di uno sforzo collettivo volto a mappare e armonizzare le centinaia di norme e certificazioni relative all’agricoltura sostenibile.

Lo sforzo, noto come “The Blue Number Initiative, A Global Registry for Sustainable Farmers” (www.unbluenumber.org), utilizzerà il registry service di GS1. Il registry consentirà agli agricoltori, ai governi, alle imprese e alle community di comunicare tra loro lungo tutta la supply chain grazie alla definizione di un linguaggio comune e all’identificazione univoca delle aziende agricole a livello globale.

Attraverso il GS1 Global Location Number (GS1 GLN), il registry assegna un identificativo unico per ciascuna azienda – non importa quanto grande o piccola sia – e definisce la posizione della stessa azienda agricola, oltre ad elencarne le relative certificazioni di sostenibilità. Questo permette anche ai piccoli agricoltori dei paesi in via di sviluppo di essere riconosciuti per le proprie pratiche di sostenibilità, aprendo potenziali mercati e consentendo loro di diventare attori più visibili ed attivi nella supply chain alimentare globale.

SUPERMARKET5_iStock_17280106Medium«I consumatori – ha aggiunto Lopera – sono sempre più attenti al contenuto di cibi e bevande. Vogliono essere informati sul biologico e su cosa provenga da allevamento sostenibile. Il registry è uno strumento eccellente per fornire ai consumatori una grande visibilità sui prodotti che trovano sugli scaffali. Questo li aiuterà a prendere decisioni informate riguardo gli ingredienti certificati biologici, provenienti da allevamento sostenibile e da commercio equo-solidale».

Il registry stabilisce inoltre basi importanti affinché i decision maker nei paesi in via di sviluppo accedano a statistiche accurate su dati granulari e big data. «I governi avranno accesso a dati organizzati secondo la geolocalizzazione, per esempio la produzione per singola regione, con le relative informazioni infrastrutturali e le certificazioni. Saranno quindi in grado di fare scelte politiche più informate che facciano crescere la produzione, e di indirizzare le risorse e la formazione verso pratiche agricole sostenibili», ha concluso il Ceo di GS1 Global.

La Passata Altromercato, con pomodori liberi da mafie e caporalato

Le ricerche lo confermano, la sostenibilità sociale è ormai richiesta e ricercata dai consumatori, e i recenti fatti di cronaca confermano come il pomodoro, non c’è Made in Italy che tenga, sia uno dei prodotti più a rischio di “contaminazione” mafiosa e utilizzo di mano d’opera in condizioni di lavoro al limite dello schiavismo. Per questo giunge a proposito l’arrivo nella famiglia del Solidale Italiano Altromercato della nuova passata di pomodoro bio Solidale Italiano, nata dalla collaborazione tra il Consorzio fair trade e NCO – Nuova Cooperazione Organizzata. Coltivati in Campania su terreni sottratti alla criminalità organizzata, i pomodori utilizzati per la passata vengono raccolti, nel rispetto del lavoro e dell’ambiente, contro ogni forma di sfruttamento e caporalato. Costituito nel 2012, il Consorzio NCO – Nuova Cooperazione Organizzata parte dalla coltivazione dei terreni confiscati alla camorra per realizzare un modello di agricoltura biologica e sociale, che coinvolge lavoratori svantaggiati e guarda a garanzie di tracciabilità, sostenibilità, filiera corta ed etica.

Il progetto Solidale Italiano Altromercato ha l’obiettivo di valorizzare i prodotti fatti in Italia da realtà produttive di qualità, ecologicamente e socialmente responsabili. Prodotti biologici e d’eccellenza, che tutelano la biodiversità e le tipicità del territorio. Un valore che va oltre la produzione, portando con sé libertà, rispetto dei diritti, della terra e di chi la coltiva, secondo i princìpi del Commercio Equo e Solidale.

I pomodori del Consorzio NCO si affiancano a quelli della Cooperativa sociale Pietra di Scarto di Cerignola, in Puglia, coltivati su terreni liberi dalle mafie e dal caporalato e già utilizzati per i pelati bio Solidale Italiano Altromercato. Questa nuova collaborazione ha quasi raddoppiato la produzione di Solidale Italiano Altromercato nel comparto e segna un ulteriore passo avanti per realizzare una visione della coltivazione del pomodoro, che passi dalla riaffermazione dei diritti dei lavoratori.

Il caporalato è una piaga che coinvolge in Italia oltre 400.000 persone (Fonte: Secondo Rapporto Agromafie e Caporalato/ Flai Cgil), che lavorano in condizioni al limite della dignità. «Un’iniziativa come quella del Solidale Italiano Altromercato è molto importante come risposta concreta al fenomeno, soprattutto per quanto riguarda un’agricoltura etica” – ha commentato Yvan Sagnet, Coordinatore Regionale per l’Immigrazione della Flai Cgil Puglia e autore del libro “Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso” (Fandango Libri, 2012). – I consumatori hanno preso ormai coscienza del fenomeno e ci chiedono dove possono trovare prodotti di qualità. Noi indichiamo Altromercato: un soggetto credibile che può portare una risposta in tal senso, anche perché è una realtà diffusa sul territorio grazie alle sue Botteghe, e questo agevola il nostro lavoro perché possiamo raggiungere i consumatori in tutte le parti d’Italia».

La passata di pomodoro bio Solidale Italiano Altromercato, prodotta dalle cooperative Un fiore per la vita e Al di là dei sogni, socie di NCO, sarà tra i protagonisti delle due settimane dedicate da Altromercato al Solidale Italiano, fino al 7 novembre, nelle Botteghe Altromercato aderenti e nella Bottega Online. Per invitare ad assaggiare i prodotti del Solidale Italiano, con una spesa minima di 10 euro di prodotti a marchio Solidale Italiano Altromercato regala la pasta di farro bio e, su una spesa di almeno 25 euro, aggiunge anche la passata di pomodoro bio.

 

Suino italiano, produzione giù, cresce l’import. Ma la genomica potrebbe preservarlo

Il suino italiano d’allevamento soffre, diminuisce la produzione di uno degli asset della nostra gastronomia ed aumenta l’import da Paesi europei. I dati che certificano lo stato di sofferenza della suinicoltura italiana sono eclatanti.

L’ultimo censimento dell’agricoltura ha fotografato una forte diminuzione degli allevamenti di suino pesante (165 kg e oltre), con un deficit produttivo rispetto ai consumi del 34%. In Emilia-Romagna, tra il 2006 e il 2014, i capi allevati sono diminuiti del 17,5%, con un picco negativo per le scrofe del 19%. A livello nazionale, oggi i suini pesanti allevati sono 7,93 milioni (erano 8,72 milioni nel 2010) con circa 4.000 aziende fornitrici di materia prima per i salumi DOP e IGP.

«Le macellazioni di suini pesanti DOP sono in diminuzione: il dato relativo al 2013, con 8,02 milioni di capi macellati, rappresenta il numero più basso dal 2003 dei suini immessi nel circuito dei prodotti tutelati – ha spiegato Carlo Galloni, Presidente di Fratelli Galloni azienda specializzata nella produzione di Prosciutto di Parma -. Assistiamo quindi a due fenomeni: da un lato, è in aumento il numero di capi allevati al di fuori dei vincoli previsti dai disciplinari di produzione, con 437.000 suinetti importati per lo più dal Nord Europa e una diminuzione del numero di scrofe allevate. Dall’altro lato, per via del costo più competitivo, è in crescita la percentuale di carni fresche provenienti da Paesi stranieri, pronte per essere trasformate in prodotti di salumeria: nel 2014 le importazioni sono cresciute del 15,2% rispetto al 2013 e la crescita nel primo trimestre del 2015 è stata di un ulteriore 15,7%».

La suinicoltura italiana, che in passato ha beneficiato delle rigidità delle DOP, è quindi di fronte a una sfida cruciale: adeguarsi alle logiche del mercato moderno senza rinunciare alla qualità. La soluzione secondo Fratelli Galloni sta nella ricerca, e in particolare dalla genomica. Lavorando con gli Istituti di Ricerca e coinvolgendo attori accademico/scientifici e naturalmente i produttori. il Consorzio del Prosciutto di Parma e le associazioni di categoria, la suinicoltura dovrà individuare nuovi genomi che le permettano in un orizzonte di tempo di cinque anni di recuperare in termini di competitività nei riguardi dei produttori/allevatori comunitari.

Come ha spiegato il prof. Paolo Zambonelli, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari (DISTAL) dell’Università degli Studi di Bologna in occasione dell’incontro organizzato ad Expo dalla Fratelli Galloni nello spazio di Intesa Sanpaolo: «La qualità della carne suina è un carattere determinato dalla somma dell’azione di più geni. Il pH, la capacità di ritenzione idrica, la tenerezza, il colore, la percentuale di grasso intramuscolare, la succosità, il calo di sgocciolatura, la capacità di assorbimento del sale, il contenuto di acido oleico. Occorre sfruttare le conoscenze maturate in materia di genetica molecolare per selezionare a livello di DNA i marcatori che controllano la variabilità fenotipica di questi caratteri: nel genoma dei suini ci sono oltre 25.000 geni che interagiscono tra di loro in modo complesso per definire le caratteristiche di ciascun individuo. L’attività pilota del progetto che auspichiamo di realizzare si baserà sulla selezione di alcuni allevamenti, sulla scelta dei tipi genetici da studiare e sul confronto tra prosciutti crudi eccellenti e prodotti mediocri. L’obiettivo è individuare bio-marcatori a fini selettivi nell’allevamento suinicolo per migliorare l’adattamento del sistema produttivo zootecnico alle esigenze dei produttori e del mercato».

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