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I Roero di Panificio Spar portano la tradizione di qualità sullo scaffale dei grissini

Da settembre i grissini Roero di Panificio Spar arriveranno sugli scaffali di molte catene. Fin qui nulla di particolarmente eclatante: un’altra referenza ad affollare la categoria dei derivati del pane. Ma se si considera il progetto che sta alla base e la storia del Panificio Spar, allora le cose cambiano. Non poco.

Cominciamo dalla storia, che è paradigmatica di quella di tante piccole e medie imprese familiari cresciute con in testa un’idea precisa: produrre con un processo di artigianato industriale le specialità del territorio dove operano. La storia di Spar comincia nel 1982 con l’dea di creare un consorzio di panificatori nella zona del Roero, nella Provincia Granda di Cuneo, dove la passione per il lavoro e per fare le cose bene è connaturata alle persone (Farinetti docet!).

Poi negli anni Novanta subentra la famiglia Bertolusso che imprime una svolta, avendo capito che il pane in grande distribuzione stava cominciando ad avere un ruolo diverso. E così si comincia a pensare al pane surgelato da cuocere nel punto vendita.

Enrico Bertolusso
Enrico Bertolusso

«Da quattro persone siamo presto cresciuti a oltre trenta – racconta Enrico Bertolusso, uno dei tre fratelli della seconda generazione oggi alla guida del Panificio Spar – e l’azienda si è strutturata e organizzata in modo da poter affrontare la supply chain del freddo senza derogare ai principi di qualità del prodotto, che amiamo riassumere in tre concetti di base: procedimenti di lavoro artigianali, ingredienti garantiti, territorialità. A supportare il nostro impegno sono poi arrivate le certificazioni BRC/IFS per i fornitori della Gdo riconosciute a livello internazionale».

Consolidato nel corso degli anni il ruolo di fornitori della grande distribuzione, la famiglia Bertolusso ha cominciato a pensare allo sviluppo di un proprio marchio, con un percorso inverso rispetto a quello di molti altri fornitori e copacker della Gdo.

Nasce così la linea di grissini Roero in otto varianti rigorosamente stirati a mano. «Siamo partiti da alcune considerazioni di fondo», spiega Bertolusso. «È vero che per quanto riguarda la categoria dei grissini abbiamo di fronte decine di proposte per diverse scale di prezzo. Ebbene, c’è una cosa che li accomuna tutti, compreso i nostri. Sono prodotti poveri: acqua, farina, lievito essenzialmente. Ma secondo noi è il processo di produzione che fa la differenza. I Roero hanno una percentuale bassa di lieviti, ma la lievitazione della pasta madre dura dalla 16 alle 24 ore, utilizzano solo olio di oliva italiano, nessuna margarina e niente olio di palma. E soprattutto sono stirati a mano. Tutto ciò conferisce al grissino quella leggerezza e quella fragranza tipica delle produzioni del nostro territorio. Senza dimenticare il gusto e il sapore del vero grissino originale. Non dimentichiamo che nel Roero il grissino ha una tradizione che data dal Seicento, quando apparve per la prima volta».

stiratura grissini
Una fase della stiratura a mano dei grissini Roero

Otto referenze non sono un po troppe?

«Abbiamo considerato che fossero necessarie per allargare il target dei consumatori. Se in Piemonte la cultura del grissino classico all’olio d’oliva o all’extravergine è fortissima, nelle altre regioni la modalità di consumo può essere quello dello snacking, dello spezzafame nel corso della giornata. Così si spiegano le varianti alla pizzaiola, alle olive, al sesamo tostato, al rosmarino, al mais e alle cipolle fritte. Il nostro obiettivo è quello di raggiungere tutti i potenziali utilizzatori in tutte le regioni d’Italia. E stiamo cominciando anche a proporre i Roero all’estero».

 

Packaging fuori dai luoghi comuni e qualità e cura nella produzione ne fanno un prodotto premium?

«Sicuramente non si rivolge a chi cerca solo il prezzo. Diciamo che il posizionamento di prezzo non è nell’area del superpremium, ma crediamo a un giusto compromesso in grado di valorizzare la qualità che vogliamo proporre. Se riusciremo a far capire ai figli dei nostri acquirenti che questo è il gusto del grissino, i risultati non mancheranno».

 

Il lancio è previsto per settembre. Quali azioni di comunicazione prevedete?

Gli investimenti saranno concentrati in oltre 4.000 passaggi su radio locali e nazionali oltre ad affissioni nelle principali stazioni delle città italiane e al web. Per il 2016 sono previsti investimenti in tv, radio e web.

OECD and FAO: price of agricultural products in decline, protein and meat rising, grains and biofuels falling

Stable production and consumption, falling prices: according to the Agricultural Outlook 2015-2024 by OECD and FAO. The report by the two organisations shows a world divided into two, with the more affluent population groups of emerging countries demanding more animal proteins and sugar, whilst in the “Old world” these same products are increasingly the cause of illnesses related to obesity and overweight, especially amongst the poorer and less-educated groups.

Prices: cereals down, meat up

In 2014, the prices of cereals and meats have gone in opposite directions. Two years of abundant harvests have led to further pressure on cereal and oilseed prices. On the other hand, meat prices have hit record highs, due to factors such as herd-rebuilding and disease outbreaks.

In real terms, the prices of all agricultural products should decrease over the next ten tears thanks to growing productivity and lower input prices, which have outpaced slowing demand increases for staple foods, due to the slowing increase of per capita consumption which, in emerging economies is reaching saturation. This is in line with the century’s downward trend, but it is predicted that prices will remain higher than in the period prior to the 2007-08 rise.

Changing diet in emerging economies

Slowing population growth, urbanisation and rising per capita incomes have led to an increase in demand for food, and particularly for certain items like animal proteins. For this reason the price of meat and dairy products will remain high compared to cereals and oilseeds. In addition, the price of coarse seeds used for feed will rise. According to the director general of FAO, José Graziano da Silva, the increase of calories in the diet of developing countries “is good news”, but it is also true that these countries “remain significantly behind advanced economies, [and this] means that hunger in these countries could persist.” And that’s not all: malnutrition is also a problem: “developing countries now have to face problems of overweight, obesity and other diet-related non-communicable diseases”.

Biofuels no longer so cheap

The price of petrol at historical lows has led to a fall in the price of biofuels and cultivation is generally less profitable than in the past in the absence of incentives, and these are unlikely to be adopted by European or American governments. In Brazil on the other hand, the production of sugar-based ethanol will increase thanks to tax incentives and an increase in the mandatory ratio in petrol.  The cultivation of biofuels is also actively promoted by the Indonesian government.

Few exporters, more importers

An increase in farmland is predicted only in South America, whilst in Asia, Europe and North America the increase in production will be the result of improved productivity. Modest growth is predicted for Africa. It is predicted that the export of agricultural products will be increasingly concentrated towards few countries, whilst more countries will rely on imports.  This will lead to an increase in market fluctuations, caused by natural disasters or the introduction of particular trade measures. In general, it is thought that trade will grow at a slower rate than in the last decade. Nevertheless it will maintain a stable share in relation to global production. The report shows that if historical variations on yield, the price of oil and economic growth are maintained over the next decade, we should expect a strong crisis in international markets.

Increases and decreases on the global dinner table

The high demand of protein will lead to further growth in the production of edible seeds, in particular soy, especially in Brazil.

The increased demand of sugar in developing countries will help prices recover from record lows and could lead to investment in this sector. In Brazil, the leading producer worldwide, this will depend on the profitability of sugar in relation to ethanol from the same source.

It is predicted that fishing production will increase by 20% by 2024, with aquaculture possibly surpassing the production of capture fisheries in 2023.

Exports of dairy products will be concentrated towards four regions: New Zealand, the European Union, USA and Australia, where there are limited opportunities for domestic demand growth.

The price of cotton will fall due to the crisis of Chinese production, but could return to stable levels in the rest of the period; in 2024 neither real nor nominal prices are expected to reach the levels of 2012-14.

Le previsioni IRI 2015-2016 sulle vendite nel retail del largo consumo: la stagnazione è finita

Note positive dall’analisi elaborata da Iri sulle vendite del largo consumo nel primo semestre.

La prima parte del 2015 ha superato le aspettative di ripresa per i prodotti confezionati di largo consumo (LCC) espresse a fine del 2014, complice anche un rimbalzo su una controcifra particolarmente negativa nello stesso periodo dell’anno precedente. Il preconsuntivo del primo semestre sancisce perciò la fine della fase critica che ha caratterizzato le vendite del comparto nel biennio 2013-2014.

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Il miglioramento della fiducia delle famiglie – scrive Iri in una nota -ha consentito di riportare gli acquisti sui livelli del 2012. Il dato confortante, secondo gli analisti di Iri è che questi risultati sono ottenuti senza un’ulteriore accelerazione della pressione promozionale di prezzo, un fatto nuovo dopo molti anni di crescita costante del ricorso a questa leva, così come si registra il traino dei prodotti di marca e  si conferma il rallentamento delle vendite dei prodotti a marchio del distributore

Questi elementi hanno contribuito alla ripresa del valore del carrello della spesa che si traduce in un moderato aumento dell’indice medio dei prezzi, nonostante l’inflazione a parità di paniere resti praticamente nulla.

Le previsioni di IRI indicano una chiusura del 2015 positiva (+1,4% a volume e +1,7% a valore) anche se probabilmente nella seconda parte dell’anno ci sarà un affievolimento della spinta dei primi mesi. Ciò a causa delle turbolenze finanziarie innescate dalla crisi greca e dalle crescenti incertezze sul fronte geopolitico che potrebbero influenzare negativamente il sistema di aspettative dei consumatori italiani. Inoltre la ripresa dell’occupazione (ritenuto il principale fattore per sostenere la ripresa) è ancora incerta (i dati ufficiali che si sono succeduti negli ultimi mesi sono spesso contraddittori) e più che altro «annunciata».

Per il 2016 Information Resources prevede un consolidamento dei volumi attorno al punto percentuale di crescita a fronte di un maggiore spunto dei prezzi. Questo scenario fa riferimento all’ipotesi che l’azione di espansione monetaria portata avanti dalle autorità finanziarie europee abbia successo e ridia vigore al sistema dei prezzi dei paesi membri.

Questo scenario – conclude la nota di Iri -non contempla la possibilità che il governo possa ricorrere alla «clausola di salvaguardia» nel caso che non vengano raggiunti gli obiettivi di bilancio concordati in sede di comunitaria. In questo caso il rialzo dell’IVA avrà un effetto sull’inflazione del comparto e bloccherà la crescita dei volumi. Purtroppo questa possibilità rischia di divenire più concreta se gli spread BTP/Bund torneranno a salire sensibilmente come conseguenza della crisi greca.

L’avanzata dei “Grocerant”: John Lewis apre altri ristoranti Rossopomodoro

Il ristorante Rossopomodoro all'interno del flagship John Lewis di Oxford Street, a Londra.

Risparmio di tempo, qualità, salute ma anche convenienza: sono questi i fattori che spingono l’avanzata dei “Grocerant”, ovvero i ristoranti (restaurant), aree ristoro, bar aperti all’interno di un supermercato (Grocery stores, da qui la “parola macedonia”). Un trend che in Paesi come Canada, Usa e UK è in forte espansione. E che piace molto ai Millennials: foodie, vanno di fretta e spesso saltano il pasto pur di stare dietro ai loro impegni, sociali o lavorativi, e apprezzano i punti vendita in grado di avere un “approccio olistico” al cibo. Soprattutto, apprezzano l’opportunità di risparmiare tempo mangiando un boccone mentre fanno la spesa.

L’ultima conferma viene da John Lewis, insegna britannica di alta gamma, che ha deciso di introdurre entro il prossimo anno altri dieci ristoranti Rossopomodoro e caffè Joe & The Juice nei suoi punti vendita del Regno Unito. Le due catene sono inoltre presenti con locali temporary sulla terrazza estiva del flagship John Lewis di Oxford Street a Londra, che già ospita al suo interno due ristoranti Ham Holy Burger e Rossopomodoro.

Secondo Carman Allison, VP of consumer insights di Nielsen, la presenza di ingredienti freschi e sani è una delle chiavi del successo, insieme a una proposta diversificata atta a incontrare i gusti di clienti foodie sempre più esigenti e curiosi. “Le vendite nei supermercati sono statiche e le persone tendono a spendere di più per mangiare fuori casa. I retailer stanno cercando di intercettare questo mercato”.

La proposta ideale è quella che passa per alimenti freschi, sushi e insalate, ma i retailer più accorti stanno iniziando a “creare ambientazioni”, magari con uno “spazio caminetto” che faccia sentire i clienti “al ristorante”, ma anche a consentire loro di bere solamente un bicchiere di vino o una birra come aperitivo, come succede già ad Eataly Smeraldo. 

Le strategie sono varie: l’insegna può siglare una partnership con vere e proprie catene già strutturate, come ha fatto John Lewis con Rossopomodoro, ma anche “rifornire” l’area ristorazione con l’offerta del punto vendita, offrendo ad esempio un sushi presso il banco pesce o addirittura cucinando il pesce acquistato dal cliente, che si può sedere e consumarlo sul posto. In ascesa ci sono anche gli spazi mutifunzionali, come il nuovo Sapori&Dintorni di Napoli che nell’area Gourmeet opera a fianco di un bistrot e a “Bombe”, locale ideato dal tre stelle Michelin Niko Romito e gestito dagli allievi della sua scuola di cucina, dove si può acquistare il suo famoso street food.

Sun rafforza Consilia e sceglie Polli per i sottoli e sottaceti

La centrale di acquisto Sun – Supermercati Uniti Nazionali, gruppo di acquisto attivo nel Nord e nel Centro Italia – ha scelto come partner l’azienda Polli, leader nel settore delle conserve vegetali e protagonista anche nel mercato internazionale, per la realizzazione dei sottoli e sottaceti con il marchio del distributore Consilia.

Sono molte le referenze a marchio Consilia che si possono acquistare in uno dei tanti punti vendita delle aziende aderenti al Consorzio Sun, come Magazzini Gabrielli, Italbrix, Cadoro e Gros, le quali vantano una presenza particolarmente capillare nei territori in cui operano. Il 2014 ha registrato per i prodotti a marchio Consilia una crescita delle vendite del 19,5%. In valori assoluti si è passati dai 35.579.095 euro delle vendite del primo semestre 2013 a 42.523.638 euro dello stesso periodo del 2014, con una nostra stima delle vendite sull’intero 2014 di circa 90 milioni di euro (il 2013 si era chiuso con vendite pari a oltre 76 milioni di euro), grazie alle strategie adottate dal Consorzio Sun, che si basano essenzialmente su quattro fattori: qualità, vicinanza, innovazione e impegno nel sociale.

I sottoli e sottaceti Consilia, che rientrano nella linea “Saper Scegliere”, sono articolati in sei referenze di sottoli (Farcitoast, Funghetti, Carciofini interi, Carciofini Tagliati); sette di sottaceti/agrodolci (Cetriolini, Cipolline, Insalatina, Giardiniera, Capperi, Cipolline agrodolci, Peperoni agrodolci); tre Specialità (Funghi Trifolati, Carciofi alla Paesana e Condimenti per Insalata di Riso) e quattro di Olive (Olive Verdi Intere, Olive Verdi Giganti, Olive Nere Denocciolate, Olive Verdi Denocciolate).

«Sin dai prossimi mesi negli scaffali dei diversi punti vendita si potranno acquistare anche Olive Verdi denocciolate in lattina a marchio Consilia sempre prodotte dall’azienda Polli – ha dichiarato Sfefano Rango direttore generale Sun –. Questo a conferma del forte sodalizio che ci lega ad un’azienda importante. Insieme stiamo intraprendendo un percorso comune che si basa sulla qualità e su un’offerta sempre variegata di prodotti con un giusto prezzo».

Per garantire la qualità del prodotto il Consorzio Sun ha attuato una serie di collaborazioni con importanti multinazionali del settore impegnate nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni per migliorare gli standard qualitativi attraverso servizi mirati per le filiere alimentari, nutrizionali e ambientali. Vengono infatti eseguite regolarmente verifiche ispettive negli stabilimenti di produzione del marchio Consilia.

Si consuma troppo sale. Arriva Essenziale con il 50% di sodio in meno

In Italia il consumo medio di sale è di 10,8 g tra gli uomini e di 8,4 g tra le donne, una quantità superiore al fabbisogno consigliato dall’OMS, secondo cui gli adulti dovrebbero consumare non oltre i 2 grammi. La stessa OMS ha dato indicazioni che in WEEuropa il sale quotidianamente consumato va ridotto del 30%.

«Vi sono solide evidenze che un eccessivo apporto di sodio, in particolare di cloruro di sodio, si associ con un aumento del rischio cardiovascolare – dichiara Maria Letizia Petroni, Medico Nutrizionista Clinico, Professore Associato settore Endocrinologia, Nefrologia, Scienze dell’Alimentazione e del Benessere – Questo aumentato rischio è dovuto a vari fattori, il maggiore dei quali è quello dello sviluppo di ipertensione arteriosa. Anche se questo vale soprattutto per quel 40% della popolazione che è sensibile al sale per predisposizione genetica».

La dottoressa Petrone ne ha parlato durante un incontro in occasione del lancio sul mercato di un nuovo sale marino a ridotto contenuto di sodio.

Essenziale_foto prodottoIl sale innovativo “Essenziale”, prodotto da Gemma di Mare (Compagnia Italiana Sali) contiene infatti  il 50% di sodio in meno rispetto al sale comune e percentuali significative di magnesio, potassio e calcio.

«Un sale naturale a basso tenore in sodio e di gusto gradevole, che si presta a tutti gli usi in cucina, rappresenta una vera e propria rivoluzione in campo nutrizionale – ha osservato Petroni – sia per la normale nutrizione umana che per la nutrizione clinica, cioè l’utilizzo in pazienti con ipertensione, cardiopatie, nefropatie lievi-moderate, osteoporosi e calcoli renali».

Il nuovo sale, già in distribuzione con il favore dei consumatori, ha richiesto alla Compagnia Italiana sali quattro anni di ricerche per arrivare a un prodotto che mantenesse sapidità e gusto pur con il 50% di sodio in meno. I sali iposodici in commercio, infatti, sono ottenuti tramite una preparazione farmaceutica degli ingredienti e vengono quindi percepiti come un “sale medicinale”, chimico, trattato e di sapore amaro.

Meno volumi, più valore. Il futuro del cibo e i consumi passano da qui

Mentre si celebrano i fasti dell’italian food di cui Expo sta diventando sempre più il portabandiera, si rincorrono le occasioni di riflessione sul cibo, sulla sua produzione e sul suo consumo. Davide Paolini proprio nel corso di un incontro a Expo ha fatto un’affermazione sacrosanta: si parla troppo di cucina, di ricette, di chef e si parla poco della produzione, delle storie che stanno dietro alla materia prima.

È la battaglia pluridecennale di Carlo Petrini che, intervenendo alla presentazione del Food Industry Monitor realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e BSI Bank ribadisce: «Dobbiamo liberarci dal raptus della crescita e concentrarci sul valore, non sulle quantità. È il valore che conta, vale a dire la qualità e, in altri termini, l’economia sana».

CIBO ANAFFETTIVO. Non ci stupiamo allora se  alla presentazione della ricerca voluta da Coop sul Futuro del cibo, il dibattito si è focalizzato sui risultati della ricerca Doxa sui consumatori di otto Paesi che parlano di un mondo futuro popolato di cibo anaffettivo ma utile a stare bene dal punto di vista fisico, più controllato e globale, più pratico e veloce ma non uno strumento di scambio affettivo. Un cibo che ci renderà meno felici, tanto è vero che se  in questo quadro il cibo sarà più “tecnologico”, le paure maggiori dei consumatori intervistati riguardano la manipolazione, l’inquinamento, l’elevato costo del cibo, la sua carenza.

C’è voluto un teologo come Vito Mancuso a sottolineare come lo scenario della ricerca sia gravido di preoccupazioni perché occorre pensare al cibo come nutrimento non solo per il corpo. «L’uomo è ciò che mangia – dice Mancuso – ma è anche emozioni e ideali. Il cibo nutre il corpo, la psiche, lo spirito. In una parla è libertà. E se non c’è capacità di relazione affettuosa non c’è l’uomo».

coop il futuro del ciboCIBO E UGUAGLIANZA. E proseguendo nel ragionamento, anche Marco Pedroni, presidente di Coop Italia ribadisce che il cibo è uno scambio di relazioni, di storie. Ed è l’idea di fondo del Supermercato del futuro, dove la tecnologia è al servizio di questa idea di scambio. «Vi è poi un tema sociale. In futuro non è detto che avremo il cibo uguale per tutti. ma il rischi è una dicotomia tra alta gamma per i pochi che se lo possono permettere e il cibo standardizzato e anche poco sicuro per molti. E quindi il tema del futuro del cibo riguarda la disuguaglianza. Oggi il 40%& delle famiglie italiane accetta compromessi sulla qualità e sicurezza di ciò che mangia. Su un altro versante molti guru del marketing ci dicono di occuparci di quel 10-20% di cosiddetti supershopper con ottimo potere d’acquisto. Noi diciamo che il nostro mestiere è offrire cibo buono e sicuro per tutti».

LE RAGIONI DELL’AGRICOLTURA. Da qui a qualche ragionamento sull’agricoltura scevro da prese di posizione di difesa, il passo è breve, perché tutto si tiene. Ebbene sull’agricoltura italiana ed europea le questioni da risolvere sono tante. «Compito della politica – afferma l’economista Giacomo Vaciago – è elaborare un piano di settore che abbia un orizzonte temporale sufficientemente lungo. Lo si può fare solo se si comincia a parlare di comunità. Oggi l’immagine del cibo italiano è alta: se è imitato, è perché è buono e piace. Ma l’agricoltura sconta i problemi strutturali delle dimensioni delle aziende, di un insufficiente raccordo con la vendita, di mancanza di persone, di difficoltà di un ricambio generazionale, anche se oggi molti giovani stanno tornando alla terra. Ma soprattutto occorre un piano strategico che solo la politica può mettere in campo, fatta da governi che durino nel tempo».

I problemi infatti sono molteplici. Li enumera il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: «Nel mondo agricolo operano soprattutto imprese familiari e la questione fondamentale è come tutelare il reddito di queste imprese. Vi sono problemi su alcune filiere come la zootecnia, dopo la fine delle quote latte. Vi  è un problema generazionale. Ma ricordo che le politiche di sostegno all’agricoltura sono di medio-lungo periodo, non di breve. E se guardiamo l’Italia da mondo, nei prossimi 15 anni 800 milioni di persone della classe media in molti paesi cambieranno dieta e sitile di vita. Se dobbiamo posizionare il prodotto alimentare italiano è lì che dobbiamo guardare».

CIBO DI QUALITA’ E LOCALE. Ancora Petrini fornisce qualche indicazione: «Alcune cose devono essere chiare all’industria italiana e alla distribuzione: a primeggiare sarà la valorialità del cibo, non si vince più applicando le tecniche del marketing. La gente non sposa più le quantità. Le riduce. Noi oggi globalmente produciamo cibo per 12 miliardi di persone. Lo spreco è enorme. E ricordo che Expo non è fatto per rendere forte l’offerta italiana, ma per discutere di questi temi.

Su valore del cibo ricordo solo che nel 1997 in tutti gli Stati Uniti c’erano circa 80 mercati dei contadini. Oggi sono 12 mila. Prima erano riservati alle élite, oggi si trovano anche nei quartieri ispanici delle grandi città. La richiesta è per il cibo di qualità e locale.Stanno cambiando molte cose e il trend del cambiamento è fortissimo. l’industria italiana delle capire in quale direzione va il trend.

Un’alto messaggio. La sostenibilità e la responsabilità sociale non sono elementi da prendere sottogamba. Ogni processo produttivo deve durare di più nel tempo. La sostenibilità è economica, produttiva, ambientale e la responsabilità sociale si misura sui produttori ben pagati, sui clienti ai quali comunicare non solo il buono ma anche il pulito e il giusto e sui collaboratori che devono essere messi nelle condizioni di trasferire la passione».

Il valore, quindi è l’asse attorno al quale sta ruotando il cambiamento. E anche Gianmario Tondato, Ceo  di un’impresa globale come Autogrill, è sulla stessa lunghezza d’onda quando osserva che anche nella ristorazione la formula del quick service restaurant sta cedendo il passo al casual dining. Il volume sta arretrando di fronte al valore. «I consumatori stanno convergendo a livello mondiale verso questo spostamento. O ce ne rendiamo conto o usciamo dai mercati. Come imprese dobbiamo attenderci risultati nel medio periodo creando storie coerenti a livello di sistema. Dobbiamo sempre porci il problema dove andare, in quale direzione muoverci».

Barilla e Whirlpool, una partnership per sperimentare la cucina del futuro

Un forno intelligente che “sa” cosa deve fare e limita al minimo i gesti e il tempo di chi a casa cucina, e che di tempo ne ha sempre meno, coadiuvato da “kit” per preparare piatti di tutti i giorni, come pasta, pane e focaccia: è questa la cucina del futuro, fatta di domotica e semplificazione, senza abdicare alla qualità e al controllo sugli ingredienti base? Così sembrano pensare Barilla e Whirlpool, che hanno unito le proprie competenze per dare vita a CucinaBarilla: un sistema composto da un forno tecnologicamente avanzato realizzato da Whirlpool e da una gamma di kit studiati e prodotti da Barilla contenenti gli ingredienti per cucinare piatti come pasta, risotti, pane, pizza, focacce e torte.

Ogni confezione, con due porzioni, presenta un codice RFID: avvicinando l’etichetta all’apposito lettore del forno, quest’ultimo riconoscerà il kit e imposterà automaticamente modalità, tempi di preparazione e di cottura.

I kit, utilizzabili solo nel forno CucinaBarilla, saranno in vendita su www.cucinabarilla.it con prezzi compresi tra i 2 e i 4 euro a partire dalla fine di luglio, in concomitanza con l’inizio delle vendite del forno, che sarà acquistabile nei negozi di elettronica ad un prezzo compreso tra i 600 e i 700 euro. Oltre a pizza, focaccia, pane, torte, pasta e risotti, sono già allo studio altri kit per arricchire la gamma di ricette firmate CucinaBarilla.

I piatti sono cucinati al momento e preparati con ingredienti semplici, senza conservanti, e di qualità, con un minimo sforzo da parte delle persone ma seguendo i tempi della cucina tradizionale per un risultato finale del tutto “casalingo”: per preparare un primo piatto occorrono circa 20 minuti, la preparazione del pane (tra impasto, lievitazione e cottura) richiede circa 3 ore. Grazie alla funzione “Delay”, sarà però possibile programmare la cottura ed avere il piatto pronto ad un orario predefinito: il che consente di svegliarsi la mattina con il profumo del pane fresco o rientrare a casa dopo il lavoro e trovare la cena pronta.

“Con CucinaBarilla inauguriamo un nuovo modo di vivere la cucina che unisce la tradizione della buona tavola, di cui Barilla è un importante rappresentante, con la più moderna tecnologia per rispondere davvero alle esigenze delle persone. Siamo molto soddisfatti di questo progetto: è davvero un modo per portare il futuro nelle nostre cucine”, afferma Matteo Gori, Managing Director di CucinaBarilla.

“Con CucinaBarilla diamo vita ad una nuova categoria di elettrodomestico che rappresenta la risposta innovativa alle esigenze del consumatore moderno sempre in cerca di soluzioni che concilino la scarsa disponibilità di tempo con il desiderio di mangiare bene ma anche di tutti coloro che sono poco esperti in cucina ma amano gustare ricette sempre nuove. Siamo certi che questo progetto stupirà ed affascinerà i consumatori”, dichiara Andrea Riggio, Direttore Marketing Italia Whirlpool Group & Indesit Group.

Food Industry Monitor: l’industria alimentare ha bisogno di più investimenti e innovazione

Non mancano in questo periodo di Expo le analisi sull’industria alimentare italiana. Ma quando a proporle è la Banca della Svizzera Italiana con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, la cosa diventa interessante. E la chiave di lettura di questa strana coppia la dà proprio Carlo Petrini, fondatore dell’Università e di Slow Food che rimarca come sia «impossibile parlare di cibo senza parlare di economia». E quando si parla di economia, guardando ai risultati della ricerca Food Industry Monitor, si guarda alla solidità finanziaria delle aziende, alla loro capacità di dare continuità all’attività e di disporre dei capitali sufficienti.

Gabriele Corte, responsabile del mercato italiano di Bsi Europe, spiega i motivi che hanno spinto la banca a lanciare l’osservatorio insieme all’Unisg. «Il settore agroalimentare, nelle sue varie sfaccettature, è una delle colonne portanti dell’economia italiana. Paradossalmente risulta uno dei meno studiati e di conseguenza valorizzati. Bsi e Unisg hanno quindi deciso di dar vita ad uno studio sistematico e pluriennale del mondo alimentare italiano con un approccio fortemente pragmatico tipico dei due istituti. Analizzando le singole aziende la volontà è quella di evidenziare punti di forza e di debolezza del settore, individuando fattori critici di successo da condividere con i nostri partner. Il Food Monitor porta all’attenzione l’enorme valore intrinseco nel settore e fornisce elementi utili agli imprenditori per ulteriormente affinare le proprie strategie aziendali».

È in chiaroscuro il quadro che ci restituisce la ricerca, che ha analizzato le performance economico-finanziarie di 520 aziende suddivise in 10 comparti (acqua, caffè, distillati, dolci, food equipment, latte e derivati, olio e condimenti, pasta, salumeria, vino) dal 2009 al 2013. Il campione delle aziende prese in esame, in media le prime 50 per dimensioni di ogni comparto, hanno generato complessivamente 43,5 miliardi di euro di ricavi nel 2013, pari a circa il 71% di tutte le società di capitale operanti nel settore in Italia. Nell’analisi sono stati considerati tre indicatori: crescita, sostenibilità finanziaria e redditività.

Il settore, nonostante la caduta dei consumi interni è uscito meglio di altri da questi anni di difficoltà, registrando dal 2009 al 2013 un Cagr del 4,1%, (merito dei risultati ottenuti sui mercati esteri) e una sostanziale crescita del valore aggiunto superiore a quella dei ricavi, che denota la messa in marcia di processi di miglioramento dell’efficienza. Mediamente positivi sono gli altri indicatori di redditività commerciale (6%), del capitale investito (8,9%), dei mezzi propri (8,8% contro il 4,8% del Roe delle imprese italiana).

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Ovviamente all’interno dei dati medi vi sono alcuni comparti che registrano migliori performance.:

CRESCITA –  Il caffè, il vino, l’olio e il food equipment per quanto riguarda la crescita dei ricavi, tutti comparti rappresentativi dell’eccellenza italiana strutturalmente più votati all’estero. I meno brillanti sono quei comparti più dipendenti mal mercato nazionale o che hanno subito una maggiore pressione sui prezzi come l’acqua, la pasta, i dolci, la salumeria.

REDDITIVITÀ – Il food equipment è il comparto che evidenzia la relazione più favorevole tra crescita e redditività (Ros), ma anche i distillati, la pasta e i dolci registrano un risultato superiore alla media. Caffè, latte, olio e vino hanno sviluppato una crescita soddisfacente tuttavia questa crescita è stata ottenuta sacrificando una parte della redditività del capitale investito. I settori dell’acqua minerale e dei dolci hanno invece sviluppato una crescita insufficiente preservando tuttavia la redditività del capitale investito.

SOSTENIBILITÀ  FINANZIARIA –   Caffè, vino e food equipment insieme ai distillati appaiono  ben posizionati per cogliere le sfide dei mercati anche in futuro poiché, proseguendo su questo percorso, potranno essere in grado di garantirsi una crescita sostenibile sul lungo periodo. Il confronto tra indebitamento e crescita, infatti, mostra che le aziende di questi comparti sono riuscite a crescere mantenendo l’indebitamento finanziario sotto controllo e rimanendo sotto la media del settore, pari al 2,7%.

Salumeria e acqua non sono riusciti a sviluppare una crescita soddisfacente e hanno una struttura finanziaria debole con una forte esposizione a breve.

I BEST PERFORMER – Il risultato combinato di crescita, reddittività e sostenibilità evidenzia ai primi tre posti i comparti del caffè, distillati e food equipment. Ciascuno dei tre comparti occupa il primo posto in uno dei tre indicatori utilizzati per la classifica. Il caffè ha la struttura finanziaria più solida, i distillati la maggiore redditività commerciale e il food equipment la maggiore capacità di crescita sui mercati. Tuttavia i tre comparti hanno performance molto equilibrate anche negli altri indicatori, questo fa si che siano posizionati ai vertici della classifica come aziende in grado di sviluppare una crescita redditizia e sostenibile dal punto di vista finanziario.

Schermata 2015-06-25 alle 22.21.05I comparti della pasta e dei dolci, che occupano la quarta e la quinta posizione, hanno buone performance per quanto riguarda la marginalità commerciale e il tasso di indebitamento, tuttavia hanno performance poco soddisfacenti per quanto attiene la crescita. Il comparto del vino occupa una posizione mediana in tutti e tre gli indicatori. L’olio ha un tasso di crescita molto elevato a cui corrisponde una forte criticità dal punto vista della redditività e della struttura finanziaria. Il latte ha un discreto posizionamento per quel che riguarda la crescita ma performance negative in termini di redditività e sostenibilità finanziaria. I comparti dell’acqua e della salumeria presentano forti criticità nei tre indicatori ed evidenziano la presenza di problematiche strutturali.

«Le aziende del settore alimentare – commenta Carmine Garzia, professore di management all’UNISG e coordinatore scientifico del Food Industry Monitor – sono state colte in contropiede dalla crisi del mercato interno e dalla caduta dei consumi e gli investimenti ne hanno sofferto. Il tasso di indebitamento inferiore alla media di molti comparti e il rapporto del valore della produzione con le immobilizzazioni materiali denotano un forte rallentamento degli investimenti nei beni strumentali e nelle innovazioni di processo. Un tema fortemente critico rimane la logistica e l’efficienza. Se ne ricavano due messaggi: in primo luogo la crescita virtuosa non può prescindere dall’innovazione di prodotto e processo, che consente di incrementare i margini, in secondo luogo le aziende devono dedicare alla gestione finanziaria lo stesso livello di attenzione che dedicano all’innovazione, in quanto la crescita profittevole deve poggiare su solide basi patrimoniali».

Gourmet e regionalisti i Millennials bevono birra e mangiano sano

Valentina Simonetta, Marketing Manager HEINEKEN ITALIA, Federico Quaranta della trasmissione RAI Decanter, Alfredo Pratolongo, direttore comunicazione e relazioni istituzionali Birra Moretti e Marilena Colussi alla presentazione.

Amano il cibo e considerano l’alimentazione come identitaria. Si rapportano al cibo in termini di sapere, e hanno un forte legame con il territorio d’origine, ma sono anche attenti alla salute e all’ambiente e sono disposti, per il cibo, a spendere di più per acquistare cibi di qualità. È questa la fotografia del Millennial italiano, di entrambi i sessi, tra i 18 e i 35 anni, che emerge dal quinto Osservatorio Birra Moretti “generazione Buongustai” diretto da Marilena Colussi, sociologa dell’alimentazione e ricercatrice delle tendenze alimentari in collaborazione con Doxa Marketing Advice.

Infografica-Osservatorio-Birra-Moretti-2015_Generazione-BuongustaiUn’indagine interessante perché indaga una generazione, fatta di 12 milioni di individui, emergente e pronta a prendere le redini del Paese in un vicino futuro, ma già protagonista nei consumi, e perché, dopo tante ricerche anglosassoni, indaga nelle pieghe dello Stivale. “In questo se da un lato i Millennials italiani hanno molto in comune con i loro coetanei di tutto il mondo, la connettività, le dinamiche social, l’atttenzione alla salute e all’ambiente, ed è vero che le differenze con gli altri Pesi rispetto alle generazioni precedenti si attenuano, dall’altro hanno delle loro specificità forti – spiega Marilena Colussi -. Ad esempio, il forte legame con il territorio, che si esplica soprattutto nel food. Amano i piatti regionali e quando cucinano a questi si rivolgono per lo più. Però è una preferenza senza preclusioni, che non impedisce loro di apprezzare altre cucine regionali. È una generazione che si sente “italiana” solo quando va all’estero. Si sentono più legati alla propria regione.

 

Tutti pazzi per la birra, “facile” e informale

I Millennials italiani, 9 su 10, dichiarano di bere birra (525 intervistati su 602, pari all’87%) e, dato inimmaginabile fino a pochi anni fa, il 71% ama abbinarla a ciò che mangia, ritenendola degna compagna della cucina italiana e regionale nel 59% dei casi. E i dati si impennano ulteriormente quando a rispondere sono i “Beer Lover*, ovvero quei 3,4 milioni (il 28% dei Millennial) che nutrono nei confronti della birra una vera e propria passione privilegiandola, in maniera assoluta, rispetto a tutte le altre bevande e attribuendole valori che esulano dal puro contesto gustativo. Un trend in significativa crescita se consideriamo che solo nel 2010 non superavano il 17% (Osservatorio Birra Moretti “Italiani a Raggi Eat”).

 

Cibo buono, ma anche sano

Ai Millennial piace mangiare bene ma tra i primi pensieri c’è anche la salute. Se è vero, infatti, che per ben il 93% di essi la ‘buona tavola’ rappresenta uno dei piaceri della vita e che l’85% predilige la cucina saporita, è altrettanto vero che il 77% evita di mangiare ciò che pensa potrebbe nuocere all’organismo. L’aspetto salutistico, dunque, pare controbilanciare la pura ricerca del piacere del palato nel momento in cui si prendono in mano le posate: il 92% ritiene l’alimentazione uno dei pilastri fondamentali del proprio benessere, l’87% cerca di consumare prodotti freschi, il 67% cerca di ridurre i grassi, il 61% sta attento alle calorie, il 60% consuma alimenti integrali. Da evidenziare che 1 su 2 (il 54%) dichiara di consumare prodotti biologici e ben 1 su 3 (30%) cerca di evitare la carne.

 

Ieri astronauti (o rivoluzionari), oggi chef: l’aspirazione dei Millennials

L’82% dei Millennial italiani si considera un buongustaio. E buona parte di essi (77%) ama cucinare a tal punto che il 33,7% di loro ha frequentato corsi amatoriali di cucina o di degustazione di vini e di birre. Non a caso, il 44% e il 27% del campione indica rispettivamente fra le professioni preferite per il proprio futuro quella di chef e di sommelier e la percentuale sfiora il 48% quando a rispondere sono le donne, che reputano la professione dello Chef particolarmente aspirazionale. Potere dei media? Forse anche, visto che il 53% degli intervistati dichiara di apprezzare e seguire Master Chef. Infine, e nonostante le limitazioni economiche, ben l’86% degli intervistati si dichiara disposto a spendere di più per acquistare cibi di qualità.

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