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Cosa ci ha lasciato in eredità il 2020? Il report di Osservatorio Non Food

Niente è più come prima. La pandemia ha sparigliato le carte e riaperto i giochi nel mondo dei prodotti non alimentari di largo consumo, determinando acquisti in pesante calo in alcuni settori merceologici e formati distributivi, ma anche spingendo lo sviluppo di altri prodotti e canali commerciali. Impossibile, quindi, pensare al futuro del Non Food senza approfondire, con la giusta distanza e la necessaria base numerica, quel che è successo in Italia nell’anno clou della pandemia. A riepilogarlo, raccontarlo e “misurarlo” è l’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy, che offre un patrimonio informativo unico perché rappresenta l’intero universo dei consumi extra alimentari sia sul fronte della domanda sia dell’offerta, dall’andamento degli acquisti all’evoluzione della rete commerciale, fisica e virtuale.

«Il 2020 è stato un anno caratterizzato dal protrarsi dell’emergenza legata al Coronavirus, che, attraverso chiusure forzate e timori sanitari, ha modificato molte abitudini di consumo soprattutto per i prodotti non alimentari» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Il Non Food ha subito un forte rallentamento in quasi tutti i comparti, ma alcune famiglie di prodotti hanno visto un’accelerazione delle vendite, altri una reale rinascita. Anche le modalità di acquisto sono cambiate. L’e-commerce è diventato il canale preferenziale, benché i negozi fisici siano rimasti un punto di riferimento insostituibile per molte tipologie di prodotti non alimentari. Alla luce di quanto accaduto nel 2020, qualcosa andrà ripensato nel grande mondo del Non Food, perché la realtà mutata con cui il consumatore ha dovuto fare i conti durante la pandemia ha lasciato una traccia profonda, spesso arricchita anche da una nota di soddisfazione, esperienziale e personale, nel confrontarsi con le nuove tecnologie digitali».

Le novità dell’edizione 2021 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy
L’Osservatorio Non Food offre una visione unica di un anno di pervasiva discontinuità, qual è stato il 2020, perché integra, sistematizza e correla le rilevazioni effettuate da diverse fonti con la ricerca sul punto di vista del consumatore svolte da Metrica/TradeLab. Per monitorare in modo sempre più efficace il ruolo della distribuzione moderna (specializzata e non) nei 13 principali comparti merceologici del comparto non alimentare monitorati, la nuova release dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy ha potenziato il monitoraggio dei canali di vendita, rendendo visibile separatamente il canale degli acquisti online, e ha ampliato il censimento della rete dei gruppi della distribuzione moderna specializzata non alimentare. Maggiore spazio è stato dedicato all’approfondimento dell’e-commerce ed è stata introdotta l’analisi sull’utilizzo dei social network da parte delle principali insegne della distribuzione non alimentare come strumento di comunicazione. L’edizione 2021, la diciannovesima da quando è nato quest’Osservatorio, non poteva non approfondire l’impatto dell’emergenza Covid-19 sui consumatori. Per questo è stata condotta un’analisi del sentiment degli shopper di prodotti non alimentari finalizzata a monitorare i comportamenti di acquisto e di scelta del canale commerciale, e a comprendere se e quanto queste dinamiche stiano diventando strutturali.

2020: meno consumi, più povertà
Dopo anni di dinamica positiva, seppur molto lenta, i consumi delle famiglie (dato Istat a valori correnti) hanno registrato una pesante flessione (-11,8%) che sintetizza la grave crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia.

2020: un anno “bipolare” per l’universo Non Food. Chi scende, chi sale
Nel 2020 i 13 comparti monitorati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy – che esclude i servizi Non Food e alcuni comparti minori compresi dall’Istat – hanno ottenuto 93,5 miliardi di euro di vendite, in calo di -9,5% rispetto al 2019. Questo risultato ha interrotto bruscamente l’andamento positivo, seppure lento, degli anni precedenti e il trend crescente di medio periodo, che, fino al 2019, aveva rispecchiato un clima di fiducia titubante, ma comunque positivo, grazie al processo di sostituzione di alcuni prodotti caratterizzati da tecnologie e design innovativi. Nel 2020 questo fenomeno di “upgrading” tecnologico domestico si è fermato e la rinuncia agli acquisti ha accomunato ben 11 dei 13 comparti merceologici rilevati nell’Osservatorio Non Food. Gli unici due ad aver chiuso il 2020 con una crescita delle vendite sono stati l’edutainment (il settore che raccoglie tutti i prodotti destinati alla formazione e all’intrattenimento, come film, libri, videogiochi e supporti musicali), avanzato di +9,4% sul 2019, e l’elettronica di consumo (che raccoglie telefonia, hardware, elettrodomestici, fotografia, multimedia storage) che ha ottenuto un +6,3% rispetto all’anno precedente. Tra gli 11 comparti merceologici in calo annuo, la forbice della riduzione del sell-out è stata piuttosto ampia, spesso a due cifre, con valori che vanno dal -2,0% dei prodotti di automedicazione al -17,5% degli articoli per lo sport. Il crollo più pesante del 2020 è stato quello di abbigliamento e calzature: non solo perché ha avuto il maggior calo percentuale degli acquisti (-26,5%) di tutto il Non Food, ma anche perché ha perso il maggior incasso in termini assoluti, vista la sua leadership storica per giro d’affari. Nel 2020 l’elettronica di consumo ha superato il mondo dell’abbigliamento e calzature diventando il comparto più importante nel Non Food per valore delle vendite.

2020: Factory Outlet, e-commerce e prossimità: la rete vendita si riconfigura
A fine 2020 la distribuzione moderna non alimentare contava in Italia 29 mila punti vendita appartenenti a poco meno di 300 gruppi (specializzati e despecializzati) presenti in 20 differenti comparti merceologici. L’Osservatorio Non Food li ha raccolti in sei tipologie di agglomerati commerciali, di cui cinque hanno chiuso l’anno con una rete vendita in calo: agglomerati centrali urbani, centri commerciali, parchi commerciali, aree urbane periferiche, nei luoghi di passaggio e di traffico (come stazioni e aeroporti). Unico agglomerato ad aver chiuso il 2020 con un aumento del numero dei negozi sono i Factory Outlet (+0,7%). Nel 2020 l’e-commerce ha avuto un balzo importante, avvicinando anche molti consumatori tradizionali che non avevano mai usato il canale virtuale. Le vendite via web sono risultate in crescita, sia per giro d’affari che per quota di mercato, in 12 dei 13 comparti analizzati dall’Osservatorio Non Food (unica eccezione i prodotti per la fotografia). Il risultato più eclatante è stato quello nell’elettronica di consumo dove l’e-commerce è stato il canale di vendita a maggior crescita annua in termini di fatturato (+55,5%) e di market share (26,0%).

L’altro fenomeno commerciale del Non Food nel 2020 è stata la forte crescita delle forme di distribuzione alternativa: le vendite a domicilio o per corrispondenza e di quelle realizzate nei distributori automatici e nell’e-commerce sono aumentate a valore del 13,9% rispetto al 2019.
Nel 2020 un consumatore su due ha affermato di aver cambiato permanentemente le proprie abitudini di spesa in seguito alla pandemia: se ne sono avvantaggiati soprattutto le forme di commercio di prossimità e l’e-commerce. I lockdown hanno fortemente penalizzato i centri commerciali, ora chiamati a riposizionarsi come luoghi di ristoro ed entertainment e non solo di shopping. La ricerca di comodità e convenienza, che restano driver importanti nel Non Food, uniti alla ricerca di una qualità accessibile, gioca a favore dei Factory Outlet e dei parchi commerciali. Così come il perdurare dello smart working, con la maggior presenza dei consumatori nei centri minori e nelle periferie urbane, può rappresentare un’occasione di rilancio per le polarità commerciali extraurbane.

Certificazione IFS Food, nuovi obblighi all’orizzonte

Dal 1° luglio 2021 le aziende che necessitano della certificazione IFS Food (secondo la versione 7 di questo standard), utile per lavorare con i retailer internazionali e garantire sicurezza e tracciabilità dei prodotti alimentari, dovranno dotarsi di un codice GS1 GLN  per ogni stabilimento di propria competenza.

Cos’è il GLN?

Il GLN (Global Location Number) è nato per identificare in modo univoco le aziende come entità legali e per molti importanti utilizzi, come lo scambio elettronico dei documenti, l’allineamento elettronico delle informazioni di prodotto, l’adesione a circuiti di pagamento e la tracciabilità dei prodotti.

Come si ottiene il GLN in Italia?

Basta rivolgersi a GS1 Italy, l’unica organizzazione che rilascia i codici GS1 GLN nostro Paese

Le aziende che usano i codici a barre GS1 (ex EAN) per i loro prodotti hanno già a disposizione i codici GS1 GLN e, se dotate di un prefisso aziendale GS1, possono assegnare fino a 1.000 GLN differenti ad altrettanti stabilimenti aziendali. Alle imprese che non usano i codici a barre, invece, GS1 Italy propone il noleggio dei codici GS1 GLN necessari per le loro attività.

GS1 Italy si occupa anche dell’iscrizione dei codici GLN nel registro internazionale Gepir di GS1, anch’essa richiesta a partire dal 1° luglio 2021 per la certificazione IFS.

Tutti i numeri GS1 GLN rilasciati da GS1 Italy vengono automaticamente pubblicati nel Gepir, la banca dati internazionale che consente a tutti di risalire all’azienda proprietaria di uno stabilimento o di un brand partendo dal codice GLN rilasciato a prodotti o luoghi aziendali.

 

Nasce Circol-UP, il tool di GS1 Italy per l’economia circolare

Nasce Circol-UP, lo strumento messo a punto da GS1 Italy – con la partecipazione dell’Istituto di Management della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa – per aiutare le aziende del largo consumo nel loro percorso di sviluppo della circular economy.

Parliamo infatti di check-up tool che consente alle aziende di misurare e di identificare le opportunità̀ per massimizzare la circolarità̀ dei processi produttivi, della filiera e dei prodotti

“Circol-UP è stato sviluppato per fornire alle singole aziende un feedback riguardo la valutazione del loro livello di circolarità e per evidenziare le azioni che potrebbero intraprendere per adottare un modello di business circolare, innovativo e competitivo” – afferma Silvia Scalia, ECR Italia e training director di GS1 Italy. “Con questo progetto GS1 Italy vuole sensibilizzare le aziende italiane sull’importanza di misurare la propria performance di circolarità e contribuire così al raggiungimento degli obiettivi 12 e 17 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta in sede ONU”.

Il tool è stato ideato e sviluppato da un apposito gruppo di lavoro, creato da GS1 Italy nel 2018, a cui hanno partecipato 19 aziende: 3M Italia, Artsana, Barilla, Carlsberg Italia, Colgate-Palmolive, Conad, Coop Italia, Decathlon Italia, Eridania Italia, Fater, Ferrarelle, FGH PRS Management, Marchesi Antinori, Mondelez Italia, Panzeri Diffusion, Parmalat, Sammontana, Sanpellegrino, Simpool.

Circol-UP prende in esame tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto (ossia approvvigionamento, design, produzione, distribuzione, consumo e gestione rifiuti) ed è stato adattato alle specificità degli operatori di tre diversi settori:

  • Alimentari e bevande.
  • Cura persona e cura casa.
  • Retail.

Grazie a questa serie di indicatori l’azienda potrà identificare in maniera autonoma le aree in cui performa meglio e quelle in cui può migliorare la performance di circolarità.

Category management: pareri a confronto

Di Category management si parla da anni, ma qual è oggi lo stato dell’arte?

Il tema è stato trattato nel corso dell’incontro “Category management ieri, oggi e domani” organizzato da GS1 Italy, mettendo a confronto le testimonianze dirette di Aspiag, Barilla e Peroni.

“Partendo dai risultati del report internazionale “Category Management Yesterday, Today & Tomorrow”, abbiamo voluto costruire un piano di attività finalizzate a divulgarne i contenuti, raccontando – e facendo raccontare direttamente alle aziende – come sta cambiando l’approccio al Category management” – spiega Silvia Scalia, ECR and training director di GS1 Italy. “Da sempre la missione della nostra organizzazione è quella di contribuire all’efficienza del sistema nella gestione e nel trasferimento dei dati. Abbiamo il compito di abilitare un nuovo modo di dialogare con il consumatore, grazie alla capacità degli standard GS1 e delle soluzioni GS1 Italy di rendere disponibili tutte le informazioni che servono per instaurare un rapporto continuativo e di fiducia con il consumatore online e nel mondo fisico”.

Come hanno ricordato Brian Harris e Luc Demeulenaere, i due esperti internazionali intervenuti nell’incontro, negli ultimi 10 anni il focus si è spostato da prezzo, assortimento e layout dello scaffale, a un più complesso sviluppo di promozioni, store format, strategie omnicanale, fino all’emergere di nuovi driver che ruotano intorno a valori importanti come salute, sicurezza, ecologia, globalizzazione, convenienza: valori su cui hanno influito fortemente tanto l’ondata pandemica quanto i suoi impatti sull’economia, rendendo ancora più rilevante per il futuro il ricorso ad una precisa segmentazione e alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale per capire e rispondere alle esigenze dei consumatori.

“Oggi il Category management si sta confermando l’approccio di riferimento per il marketing collaborativo nella filiera del largo consumo a livello mondiale”-  ha detto Antonella Altavilla, owner di ADF consulting. “Il futuro lo proietta in spazi di applicazione sempre più ampi, delineando nuove opportunità di collaborazione a valore aggiunto per l’Industria e la Distribuzione. A caratterizzarle saranno una ‘tailorizzazione’ più marcata e la sostenibilità dell’offerta omnicanale di prodotti e servizi mirata a specifici target di clienti”.

“È importante che Industria e Distribuzione migliorino la loro capacità di sviluppare e di condividere nuove visioni di categoria in un’ottica strategica – è stata la conclusione di Brian Harris. Anche la capacità di segmentare e coinvolgere specifici target di consumatori sarà fondamentale: è necessaria una visione integrata e olistica delle persone, dei loro comportamenti, dei loro bisogni e dei loro valori. Infine, le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale saranno imprescindibili per accedere ad una vasta quantità di dati e sviluppare una profonda conoscenza dei consumatori”.

Le testimonianze

Sull’evoluzione del Category si sono pronunciate le tre aziende convenute. Per Roberto Sinigaglia, organizzazione acquisti e business process manager di Aspiag, il Category “deve fondarsi su pilastri come strategia, capacità analitiche, capacità organizzative, information technology, misurazione delle performance. In ognuna di queste troviamo le ragioni che hanno frenato l’approccio e le cause principali del fallimento del Category management”.

Secondo Sinigaglia il Category management per Aspiag “continuerà a essere “shopper centric”, per creare valore alla categoria, aumentando la shopper exhibition. Il passaggio da product oriented a shopper oriented è un passaggio fondamentale che il retailer deve compiere in collaborazione con il fornitore “category captain” della categoria”.

Partendo dagli studi da cui emerge che la penetrazione è il principale driver di vendita e che ispirare le persone è fondamentale per l’acquisto, Barilla ha ideato un approccio di Category management che ha completamente ripensato la categoria “pasta meal” e l’ha declinato sulle specificità di ognuno dei tre paesi coinvolti (Italia, Francia ed Emirati Arabi Uniti). I risultati? In Italia e in Francia, la più chiara segmentazione dell’offerta ha migliorato sia la produttività sia la leggibilità degli scaffali, mentre negli Emirati Arabi Uniti è stata creata una nuova ambientazione degli scaffali, più interattiva ed emozionale, con cui il brand ispira i consumatori attraverso il fascino gastronomico dei piatti.

“Il consiglio per chi sta valutando di investire nel Category management è di partire da uno studio approfondito dei comportamenti degli acquirenti e sviluppare costantemente iniziative per i consumatori, che sono sempre alla ricerca di novità e di ispirazione. Inoltre, l’approccio omnicanale può permettere alla categoria di esprimere ancora un importante potenziale”- ha affermato Marco Greggio, key account category developer di Barilla.

Peroni, dal canto suo, ha sviluppato un nuovo progetto dedicato alla categoria “birra” nel canale supermercati e ipermercati italiani. Partendo dall’analisi delle ragioni del calo delle vendite, l’azienda ha deciso di focalizzarsi sui nuovi trend di consumo salutistici e sull’ottimizzazione dell’assortimento e della visibilità a scaffale, con il duplice obiettivo di invertire il trend delle vendite e di aumentare il closure rate degli acquirenti. Per questo ha proposto un’esposizione a scaffale che riflette i criteri di scelta del consumatore e che faciliti la selezione e il processo di acquisto dei clienti. Il risultato? Il Category management ha contribuito a migliorare il trend delle vendite complessive a valore e di quelle non in promozione e a riportare in positivo il segmento delle birre analcoliche. Ma ha anche fatto diminuire l’out-of-stock e crescere il closure rate degli acquirenti target.

“Per chi guarda al Category management, il consiglio è continuare a investire sull’analisi degli acquirenti e aggiornarla costantemente per cogliere le evoluzioni nel loro comportamento e sfruttare strumenti più interattivi per raggiungere i target di acquirenti chiave” – ha concluso Veronica Maggioni, national account manager di Peroni.

Il treno del digitale corre sui binari dell’EDI. Il monitoraggio di GS1 Italy

L’Italia ha preso il treno della digitalizzazione, tra i temi-chiave del 2021. E l’EDI (Electronic Data Interchange) è uno dei principali vettori del processo di digitalizzazione del paese. Sono 19 mila le aziende che finora hanno adottato l’EDI, condividendo in modo digitale 240 milioni di documenti in un anno. Ma sono ancora poche e sono concentrate in soli cinque settori (il 98% delle aziende appartiene a largo consumo, automobilistico, farmaceutico, elettrodomestici ed elettronica di consumo). Quindi, la maturità digitale nei processi business-to-business è ancora tutta da conquistare.

Trend dei messaggi GS1 Edi scambiati nel LCC nel periodo 2014-2019

Ma quali sono i vantaggi dell’EDI per le aziende?

Come emerge dal “Monitoraggio dell’uso dell’EDI nel largo consumo in Italia”, realizzato da GS1 Italy in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, uno dei plus principali è un importante taglio dei costi: un produttore, infatti, può risparmiare dai 3 ai 5 euro per ogni fattura, dai 10 ai 14 euro per ogni ordine ricevuto e fino a 42 euro a ciclo se completa la dematerializzazione di tutti i documenti del ciclo dell’ordine; mentre un retailer può risparmiare tra 4 e 6 euro per fattura, dai 5 ai 7 euro per singolo ordine emesso e fino a 23 euro a ciclo. Inoltre, l’EDI può essere implementato in modo semplice se si adottano sistemi user friendly e a misura di PMI, come Euritmo, la soluzione web-EDI studiata da GS1 Italy, già usata da 7.500 aziende italiane per lo scambio dei documenti commerciali. Ma i costi non sono tutto: anche la prassi operativa se ne avvantaggia dal momento che, adottando lo scambio elettronico dei documenti (EDI) le imprese possono: ridurre gli errori, velocizzare i pagamenti e i tempi di consegna, eliminare le attività a scarso valore aggiunto (come il data entry), azzerare controlli e verifiche manuali per tutte le transazioni commerciali, diminuire le rotture di stock e le scorte, ridurre i contenziosi, migliorare la tracciabilità dei prodotti, esportare i prodotti.

 

 

Category management: l’agenda di ECR e GS1 Italy per il 2021

Webinar, eventi e corsi di formazione: al via un piano di informazione e formazione su uno dei temi chiave del largo consumo: quello del category management.

L’obiettivo? Aiutare produttori e retailer a soddisfare le nuove esigenze del mercato “stressato” dal COVID-19.

Dovendo rispondere alle mutevoli esigenze del mercato, il Category management è infatti un modello in continua evoluzione e il suo successo è dettato anche dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti dinamici che investono il mass market.

Per questo, in questa fase socio economica decisamente precaria, incerta e volubile, è giusto interrogarsi su come stia funzionando oggi.

La community internazionale di ECR – in Italia parte di GS1 Italy – intende dare una risposta con il progetto dedicato al Category management e rivolto alla business community del largo consumo per condividere con le aziende i contenuti e le best practice internazionali.

L’obiettivo è aumentare la conoscenza su questo tema e contribuire alla costruzione di una piattaforma europea a supporto delle aziende dell’Industria e della Distribuzione per aiutarle ad affrontare i cambiamenti che stanno investendo il mercato.

«Partendo dagli interessanti e stimolanti risultati del rapporto dedicato all’evoluzione del Category management adottato nel largo consumo che l’ECR community ha presentato a fine 2020, abbiamo costruito un piano di attività finalizzate a divulgarne i contenuti, raccontando – e facendo raccontare direttamente alle aziende – come sta cambiando l’approccio al Category management» spiega Silvia Scalia, ECR Italia and training director di GS1 Italy. «Accanto a un ciclo di webinar internazionali, abbiamo in programma un grande evento nazionale a marzo e abbiamo intensificato l’impegno sul fronte della formazione, attivando presso l’Academy di GS1 Italy nuovi corsi e percorsi dedicati al Category management».

16 febbraio: il webinar ECR Community

Proprio ECR Italia sarà protagonista, martedì 16 febbraio, alle ore 16.30, del webinar internazionale dell’ECR Community, in cui, dopo la presentazione della case history di Barilla, affronterà il tema del Category management omnichannel, con un focus sul passaggio dalle categorie di prodotti alle categorie di esigenze e desideri degli shopper. Il webinar è gratuito, previa iscrizione online.

30 marzo: l’evento GS1 Italy

Il 30 marzo sarà la volta di un evento organizzato da GS1 Italy per illustrare le soluzioni e le best practice in ambito ECR Italia e che vedrà la partecipazione di importanti aziende di Produzione e Distribuzione che presenteranno le loro esperienze.

Aprile: partono i corsi Academy

Quindi, a partire da aprile, prenderanno il via i corsi dell’Academy di GS1 Italy, con un percorso di webinar di approfondimento e condivisione dell’evoluzione delle diverse componenti del Category management per affrontare i cambiamenti nelle aspettative e nei comportamenti degli shopper e l’evoluzione dei canali di vendita per il presidio dell’omnicanalità. Ciascuno di questi webinar abbinerà la presentazione dell’approccio teorico supportato da casi di successo a esercitazioni pratiche in cui i partecipanti testeranno concretamente l’impatto dell’utilizzo dei modelli teorici presentati. I webinar potranno essere fruiti singolarmente in contesti multiclient o personalizzati in specifici percorsi aziendali, in funzione delle specifiche esigenze.

GS1 presenta un manuale operativo anti Covid

In che modo le aziende potranno affrotare le nuove sfide nate nell’era della pandemia? Dallo studio coordinato da ECR Italia con il supporto dei team di ricercatori di LIUC Università Cattaneo e Politecnico di Milano nasce  un “manuale operativo” che raccoglie, descrive e sistematizza le 360 iniziative anti-COVID messe in campo nel 2020 da produttori e retailer.

Il nuovo studio, presentato da GS1 Italy nel corso dell’evento online “COVID-19 nel largo consumo: vademecum per il new (ab)normal, mette in evidenza gli effetti della pandemia sui diversi processi delle aziende del largo consumo in Italia e “fotografa” le azioni messe in campo per garantire la catena di fornitura nonostante il momento di difficoltà.

Le pratiche adottate

Ecco alcune delle soluzioni adottate in Italia: prioritarizzazione dell’assortimento, razionalizzazione dei formati, rallentamento nel lancio di nuovi prodotti e riduzione della complessità. E ancora, attivazione di fornitori alternativi di materie prime, packaging e prodotti finiti, ma anche creazione di scorte strategiche e ricerca di soluzioni alternative per il trasporto e il magazzino. E poi snellimento degli iter decisionali e switch dinamico tra stabilimenti produttivi, magazzini e punti di consegna delle merci. Fino alla ridefinizione dei calendari e dei planning di lavoro e maggior ricorso al trasporto intermodale, senza dimenticare la volata della digitalizzazione, con l’aumento dell’EDI, della raccolta di ordini da remoto e dell’e-commerce. Ma, soprattutto, una maggiore collaborazione tra attori della filiera grazie al rafforzamento delle relazioni e alla condivisione delle informazioni per far fronte insieme alle conseguenze della pandemia sulla supply chain.

«Abbiamo voluto approfondire le reazioni delle imprese di produzione e distribuzione dal punto di vista dei processi di filiera» afferma Silvia Scalia, ECR and training director GS1 Italy «e studiare le iniziative e le buone pratiche introdotte per ridurre gli impatti derivanti dalla pandemia e per assicurare la disponibilità dei prodotti lungo la filiera. L’obiettivo pertanto è stato quello di raccogliere e capitalizzare le esperienze direttamente dalle aziende e metterle a fattor comune per creare una base di conoscenza diffusa riguardo alle soluzioni e agli approcci adottati e adottabili in queste situazioni».

«Abbiamo raccolto direttamente dalle aziende le iniziative e le soluzioni collaborative che hanno adottato a causa della pandemia per garantire la business continuity e abbiamo razionalizzato questo patrimonio di informazioni secondo categorie ragionate per facilitarne la consultazione, la diffusione e la condivisione» spiega Giuseppe Luscia, ECR project manager di GS1 Italy. «Dalla raccolta, dall’organizzazione e dalla sistematizzazione di queste informazioni è nato il Vademecum presentato oggi, che mettiamo a disposizione di tutto il sistema come patrimonio di conoscenze condivise e come “manuale” operativo a garanzia della continuità del business e della gestione del rischio».

Il panel delle aziende coinvolte in questa ricerca comprende 21 operatori:

  • Distribuzione: Bennet, Conad Adriatico, Conad Centrale, Conad Nord-Ovest, Coop Nord-Ovest, Esselunga.
  • Produzione: Barilla, Bauli, Bolton, Cameo, Coca Cola HBC, Fater, Ferrero, FHP di R.Freudenberg, Heineken, Kellog’s, Lavazza, Mondelez, Nestlé, Ponti e Unilever.

Complessivamente, dall’analisi dei 21 casi di studio è emerso che, per rispondere alle sfide imposte dalla pandemia, le imprese del largo consumo hanno adottato 360 iniziative diverse, pari a una media di 18 iniziative per impresa. Nel 41% dei casi sono state pensate nella fase pre-COVID, nel 47% sono state sviluppate durante le settimane cruciali del primo lockdown nazionale e nel 12% dei casi sono state intese per essere attivate dopo la prima ondata.

L’adeguamento alle nuove esigenze imposte dall’emergenza sanitaria ha comportato in media per le aziende, nel bimestre marzo-aprile 2020, un aumento del 2-5% dei costi logistici rispetto allo stesso periodo del 2019.

«Le soluzioni sviluppate dalle aziende hanno riguardato soprattutto la semplificazione dei processi logistici e la velocizzazione dei processi decisionali» spiegano Fabrizio Dallari e Alessandro Creazza, del Centro sulla logistica e supply chain management della LIUC Università Cattaneo. «I nuovi rischi emergenti hanno richiesto di introdurre ridondanze nei sistemi, aumentandone la flessibilità e la fungibilità e abilitando una pianificazione dinamica al variare delle condizioni al contorno. In questo contesto la collaborazione di filiera si è confermata elemento cardine per garantire gli approvvigionamenti ed aumentare la resilienza nei processi order-to-delivery e demand-to-supply».

Il team dei ricercatori ha sistematizzato queste 360 attività disegnando l’albero delle soluzioni per la business continuity (Figura 1) – descritto puntualmente nel Vademecum – in cui:

  • I tronchi rappresentano le 8 macro-categorie individuate.
  • I rami le 24 categorie di soluzioni.
  • Le foglie le 60 soluzioni operative adottate.

«L’80% delle aziende ha fatto leva su almeno 7 delle 8 macro-categorie individuate nello studio, mentre tra le 60 soluzioni ben 38 sono state adottate da tutte le imprese del campione, 19 sono state appannaggio delle aziende di produzione e 3 di quelle dei retailer» spiega Marco Melacini, professore di logistics management e direttore dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano. «Se nell’immediato le dotazioni di health & safety hanno consentito di rispondere ai rischi sanitari, per il futuro sono sempre più necessarie nuove capability che consentano di fronteggiare le nuove sfide per la filiera del largo consumo».

L’albero delle soluzioni

Le 8 macro-categorie individuate dal Vademecum GS1 Italy sono:

  • Decomplexity: ridurre la complessità della supply chain, focalizzandosi sull’essenziale per utilizzare al meglio le risorse a disposizione (“Less is more”), ad esempio rivedendo l’assortimento per eliminare temporaneamente le referenze basso-vendenti oppure riducendo gli ordini relativi ad espositori, palbox o display pallet in favore di unità di carico standard non rilavorate.
  • Ridondanza: disporre di risorse aggiuntive/alternative da attivare in caso di necessità per assicurare la continuità delle operations (“Just in case”), ad esempio aumentando lo stock di prodotti alto-vendenti nel caso di emergenza o attivando dei fornitori alternativi di materie prime e packaging.
  • Streamlining: rivedere i processi di supply chain, specialmente in termini di decision making, per renderli più snelli e agili, operando “at the speed of relevance”, ad esempio riducendo la “burocrazia” o estendendo l’orario di ricevimento delle merci nei Ce.Di..
  • Dynamic Planning: modificare in real time le scelte logistiche relative all’utilizzo e all’allocazione delle risorse, per incrementare adattabilità e flessibilità (“It is not the strongest that survives”), ad esempio allocando gli stock in modo dinamico nei diversi nodi logistici del network o ridefinendo i quantitativi da distribuire ad ogni cliente per garantire la disponibilità di prodotto a tutti.
  • Fungibilità: aumentare la sostituibilità di articoli e sistemi produttivi, riducendo gli switching cost, per attivare rapidamente piani alternativi (“Design for resilience”), ad esempio standardizzando formati e confezioni dei prodotti destinati a mercati o canali differenti oppure allocando le produzioni su più siti alternativi in caso di necessità.
  • Collaborazione di filiera: adottare comportamenti virtuosi nelle relazioni di filiera a beneficio di tutti gli attori coinvolti, ad esempio avviando logiche di collaborative planning, condivisione delle previsioni di domanda e aumento della visibilità lungo la filiera oppure riducendo i tempi di pagamento dei fornitori.
  • Health & Safety: tutelare la salute e la sicurezza di dipendenti, fornitori e clienti per ridurre il rischio di contagio e garantire la capacità operativa (“Work hard, stay safe and make history”), ad esempio adottando tutti i sistemi di distanziamento oppure remotizzando e digitalizzando la raccolta degli ordini da parte della forza vendita.
  • New Capabilities: sviluppare competenze innovative per migliorare la capacità di affrontare le nuove sfide (“Bridging the future”), ad esempio introducendo sistemi automatici di gestione del magazzino, potenziando l’e-commerce oppure adottando sistemi di supporto alle decisioni alimentati con dati storici per simulare gli scenari distributivi e fare analisi “what-if”.

La sintesi della ricerca delle soluzioni è stata pubblicata nel Bluebook “Un vademecum per il next normal. Lesson learned post Covid-19 nella filiera del largo consumo” disponibile gratuitamente sul sito di GS1 Italy.

Solo il 6,2% dei prodotti in GDO ha un packaging 100% riciclabile

La sostenibilità ambientale deve essere una priorità: e i pareri sono sempre più concordi su questo punto. Basti pensare che secondo un recente sondaggio pubblicato da Environmental Leader ben il 74% dei consumatori sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto dal packaging sostenibile. Ma se molto è stato detto, poco è stato fatto: secondo uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy infatti soltanto il 25,4% dei prodotti alimentari nella GDO riporta in etichetta le informazioni necessarie su come smaltirne correttamente la confezione e solo il 6,2% dei prodotti ha un packaging completamente riciclabile. Questo significa che il 74,6% dei prodotti non riporta alcuna informazione. Carenze che rappresentano un enorme problema per l’ambiente: il peso del packaging determinato dagli acquisti di prodotti di largo consumo degli italiani nel 2019 ammonta infatti a quasi 3 milioni di tonnellate. Il futuro però appare più roseo: un’indagine di Markets and Markets pubblicata su Food Packaging Forum stima che il mercato globale dei packaging eco-friendly passerà dagli attuali 174,7 miliardi ai 249,5 miliardi di valore entro il 2025 (+42,8%), registrando un tasso annuo di crescita composto del 7,4%. Sono sempre di più infatti le aziende che investono sulla sostenibilità, come l’italiana Vitavigor, pronta a lanciare una nuova linea di snack con carta 100% riciclabile.

Ma quali sono le aree merceologiche che comunicano maggiormente la riciclabilità dei packaging sulle etichette? Secondo lo studio di Osservatorio Immagino di GS1 Italy, ai primi posti possiamo trovare l’ortofrutta (43,7%), il freddo (41,5%) e la drogheria alimentare (31,8%), seguiti dal fresco (26,5%), il cura casa (24,3%) e le carni (14,6%). Le percentuali dei prodotti che indicano la possibilità di riciclo restano basse invece per quanto riguarda le bevande (14,6%), il pet care (13,1%) e la cura persona (11,5%). Per quanto riguarda invece i prodotti all’interno delle singole categorie merceologiche, l’acqua minerale trionfa con il 100% delle referenze dichiarate totalmente o largamente riciclabili sull’etichetta. Poco più in basso, con oltre il 90% delle referenze, abbiamo il cura casa, con prodotti per detergenza bucato e stoviglie, le bevande piatte e gassate, le carni e l’ortofrutta, mentre intorno all’80% ci sono i prodotti di drogheria alimentare, del fresco, del freddo e del petcare. Infine, fra i prodotti con il minor grado di riciclabilità del packaging ci sono i preparati e i piatti pronti (41,2%), i prodotti da ricorrenza (30,7%) e i condimenti freschi (25,3%).

“Diventa sempre più importante comunicare al consumatore le informazioni sulla riciclabilità per favorirne la consapevolezza, aiutarlo nelle scelte d’acquisto e soprattutto nel corretto smaltimento del packaging di prodotto – ha spiegato Samanta Correale, Business Intelligence Senior Manager GS1 Italy – Affinché l’intero processo sia virtuoso, infatti, è necessario che arrivi fino in fondo”.

Interno1: in autunno il debutto del concept center di GS1 Italy

Si chiama Interno 1 ed è il nuovo progetto di GS1 Italy, un concept center nel cuore di Milano che sarà inaugurato in autunno.

Un nuovo canale di comunicazione di GS1 Italy, dei suoi valori, dei servizi che offre alla business community e delle attività di formazione svolte all’Academy di GS1 Italy.

Interno 1 sarà lo spazio dell’innovazione, della ricerca e dello sviluppo di GS1 Italy. Un touchpoint tra mondo digitale e mondo fisico rivolto a un pubblico trasversale, per alimentare il dialogo sui trend contemporanei e creare nuove relazioni con tutti i protagonisti degli scenari più dinamici a livello nazionale e internazionale.

Uno spazio multimediale e interattivo, dove immergersi nella digital transformation. Un contenitore di idee, suggestioni, eventi ed esperienze che faranno scoprire il codice a barre e tutti gli altri standard e soluzioni GS1 in modo nuovo, sorprendente e coinvolgente.

Il cantiere di Interno 1 è appena partito ed è già social: l’avanzamento dei lavori, con il dietro le quinte e le curiosità, si può seguire in tempo reale sul nuovo profilo corporate Instagram, che segna il debutto di GS1 Italy su questo social.

 

Per restare aggiornato su Interno 1, segui GS1 Italy su Instagram e visita il sito di Interno 1.

Capire, prevenire e curare l’out of stock. Il Monitor ECR-OSA

Stando all’ultimo rapporto mensile del Barometro ECR-OSA, complice l’emergenza Covid-19, in marzo il tasso di out-of-stock nel largo consumo confezionato è salito al 4,2% e le vendite perse sono arrivate al 6,4%. Ma cosa fa il consumatore se non trova a scaffale il prodotto desiderato?

Il tema è stato trattato e approfondito nel  report che riporta le evidenze emerse dal progetto pilota “Monitor ECR-OSA” avviato da GS1 Italy in ambito ECR con un gruppo di aziende di produzione e distribuzione del largo consumo italianoBarilla, Ferrero, L’Oréal e Dimarin collaborazione con IRI.

Ecco gli atteggiamenti più comuni nel cliente deluso: nel 25% dei giri si cancella l’acquisto mentre nel 10% si cambia pdv (in entrambi i casi c’è un’inconfutabile perdita di vendite da parte del negozio).

Poi c’è invecce chi sostituisce il prodotto (65% dei giri di spesa), con l’acquisto di un altro prodotto nella categoria (40% dei casi) o con l’acquisto di un prodotto al di fuori della categoria (25% dei casi).

Il tema, a questo punto, diventa: perché mancano i prodotti a scaffale? E come ridurre il fenomeno dell’out-of-stock?

Il report indica alcune strategie:

  • Controllare in modo continuativo la disponibilità dei prodotti a scaffale.
  • Identificare le cause dell’out-of-stock.
  • Costruire, quindi, un modello operativo di Optimal Shelf Availability management.

 “Il Monitor ECR-OSA” è disponibile gratuitamente sul sito di GS1 Italy

 

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