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L’intelligenza artificiale di Maven ottimizza le conversazioni tra brand e clienti

Coversazioni personalizzate con i clienti attraverso i vari canali di messggistica. Ecco raggiunta la nuova frontiera. LivePerson, leader globale in soluzioni di conversational commerce, annuncia infatti le nuove funzionalità di intelligenza artificiale di Maven™, che orchestra le conversazioni tra brand e clienti tramite SMS, Facebook Messenger, WhatsApp RCS, Apple Business Chat, Amazon Alexa e altre popolari piattaforme di messaggistica e assistenti vocali. Il processo decisionale di Maven indirizza la scelta tra agenti umani e bot automatizzati, rendendo possibile per i brand avere conversazioni personalizzate con i loro clienti su larga scala, superando le prestazioni dei siti web tradizionali e dei numeri verdi.

Di fatto, il debutto dei miglioramenti di Maven consente ai brand di utilizzare l’intelligenza artificiale per offrire esperienze di conversazione altamente personalizzate, senza la necessità di progettare, mantenere e scalare un’infrastruttura conversazionale di IA da soli:

  • Maven Assist: raccomanda le prossime azioni ottimali da intraprendere per gli agenti umani, mostrando i contenuti o suggerendo bot in grado di rispondere alle richieste del cliente.
  • Maven AI-Powered Routing: indirizza dinamicamente le conversazioni agli agenti, ai bot o ai giusti contenuti per risolvere rapidamente le richieste del cliente sulla base della comprensione dell’intelligenza artificiale delle “informazioni contestuali”, comprese le informazioni sul profilo del cliente, la cronologia delle interazioni e le operazioni del contact center.
  • Maven Developer API: un insieme di strumenti di sviluppo (Ask Maven e Context Warehouse) per rendere i bot esistenti o altri sistemi più intelligenti consultando Maven sulle azioni ottimali successive, oltre alla possibilità di integrare fonti multiple di dati (per esempio, CRM o cronologia delle conversazioni) nel processo decisionale di Maven.

Maven Assist aumenta l’efficienza degli agenti e la soddisfazione dei clienti grazie alle azioni suggerite in tempo reale. Gli agenti, che con Maven possono condividere rapidamente contenuti personalizzati con i clienti, invece di cercare informazioni attraverso email o appunti, possono anche votare i suggerimenti di Maven così da migliorarli con il passare del tempo.

LivePerson ha sviluppato Maven sulla base della sua esperienza orchestrando miliardi di interazioni tra brand e consumatore, e l’intelligenza artificiale continua a migliorare a ogni conversazione, rafforzando la sua capacità di aiutare le aziende con l’assistenza clienti, il marketing, le vendite e i casi d’uso tradizionali. Maven è stato recentemente selezionato come vincitore della “Best AI-Based Solution for Customer Service” da parte di AI Breakthrough, un’organizzazione leader nella market intelligence, che riconosce le migliori tecnologie nel mercato globale dell’intelligenza artificiale.

LivePerson offre una suite completa di servizi di conversational commerce per le aziende, forniti ad alcuni delle più grandi aziende del mondo. Rispetto alle telefonate tradizionali, le conversazioni tramite messaggi aumentano la soddisfazione dei clienti del 20%, raddoppiano l’efficienza degli agenti e dimezzano il costo lavoro per ogni interazione.

Noovle e TradeLab insieme per leggere i trend di mercato con l’Intelligenza Artificiale

Noovle, azienda Premier Partner Google Cloud specializzata nella integrazione di tecnologie a forte impatto innovativo e TradeLab, società di analisi e consulenza direzionale con una consolidata esperienza nel marketing e nella distribuzione commerciale, hanno annunciato una partnership che unisce i punti di forza delle due realtà.
 
Da questa sinergia nasce OnTheMap, una piattaforma di geomarketing avanzata, erogata in modalità SaaS (Software as a Service), che collega i dati economici a Google Maps e digitalizza l’intero processo di analisi statistica.
OntheMap coniuga, di fatto, l’esperienza ventennale maturata da TradeLab nell’analisi territoriale economico-competitiva con quella sviluppata da Noovle nella creazione della piattaforma GeoCMS, un Content Management System erogato dal cloud di Google per gestire le informazioni georeferenziate.
Grazie ad algoritmi di Intelligenza Artificiale e per mezzo di un’interfaccia semplice e intuitiva, la soluzione fornisce in tempo reale le informazioni utili per la valutazione delle potenzialità di sviluppo su un determinato territorio, definendone le caratteristiche di domanda (in termini di consumi aggredibili) e offerta (valutando il presidio dei competitor presenti).
OnTheMap dispone di informazioni geocodificate quali indicatori demografici, indici di reddito, il valore dei consumi mensili familiari e i livelli di presidio competitivo. Gli algoritmi previsivi e i valori parametrici che costituiscono il modello di TradeLab S.E.M. (Site Evaluation Model) consentono di ottenere una stima del fatturato potenziale di un’attività commerciale, sia in base alla capacità di spesa dell’utenza locale che in base al numero di competitor presenti nella stessa area.

L’interfaccia è stata costruita sulla piattaforma Google Maps: le complesse elaborazioni eseguite dal motore di OnTheMap vengono rappresentate in maniera semplice ed intuitiva su una delle cartografie disponibili (Mappa, Satellite, Terreno, Street View e Earth); Google Places arricchisce inoltre la base informativa con la presenza di tutti i POI (Point of Interest) del territorio italiano.
 
“TradeLab è il partner ideale per arricchire la nostra esperienza maturata nell’offerta di soluzioni di Geo Intelligence e presentare al mercato un prodotto che semplifica i processi decisionali sfruttando i sistemi di Intelligenza Artificiale” – ha detto Piergiorgio De Campo, Direttore Generale e Co-Founder Noovle. “Siamo solo all’inizio della storia di OnTheMap e stiamo già lavorando a nuove soluzioni di Big Data Analysis in grado di  generare algoritmi sempre più performanti e di offrire API avanzate che consentano l’integrazione con i sistemi informativi dei nostri clienti”
 
“Con OnTheMap abbiamo soddisfatto il fabbisogno espresso dai nostri clienti di coniugare la nostra capacità di analisi e l’affidabilità dei nostri algoritmi predittivi con la flessibilità della piattaforma in Cloud sviluppata da un partner all’avanguardia. OnTheMap è il punto di partenza dello sviluppo di strumenti e servizi a matrice digitale finalizzati a semplificare e velocizzare i processi decisionali delle imprese e migliorarne la relazione con il mercato potenziale di riferimento”, ha affermato Massimo Viganò, CEO e Co-Founder di TradeLab.
 
 

Big data: riflessioni scettiche sulla mitizzazione degli algoritmi

 

L’entusiasmo per i Big Data è maggiore nei convegni che non tra coloro che hanno la strumentazione per trattarli. Con una analogia ardita potremmo dire che si tratta in un atteggiamento analogo a coloro che sono entusiasti della guerra imminente, pur non avendone mai combattuta una, e i militari di professione che ne conoscono le conseguenze e sono i più restii ad iniziarla.

La sovrabbondanza di informazioni non significa di per sé un aumento del sapere. Anzi, quasi sempre, un’esondazione di dati distrugge certezze generando dubbi e problematiche impreviste. Ne sanno qualcosa gli astronomi che, ad ogni missione satellitare, si trovano di fronte a incongruenze e a grosse questioni irriconciliabili con le teorie in uso. Ciò equivale a dire, riportando tutto al marketing, che senza criteri interpretativi i Big Data che affluiscono attraverso le loyalty card, i beacon, le carte di credito, le varie transazioni in Internet, i dialoghi sui social network …  possono generare miraggi pericolosi, piuttosto che nuove conoscenze.

Le scienze naturali, al contrario delle scienze sociali male insegnate e ancor peggio applicate, evidenziano un principio: l’informazione utile è sempre quella attinente ad una qualche teoria, spesso puramente deduttiva, di cui si cerca la conferma empirica.

Il marketing, invece, si basa troppo spesso su un approccio puramente induttivo. Ovvero: dato un insieme di informazioni numeriche e/o qualitative si cerca, a posteriori, una spiegazione che sembra possa adattarsi in qualche modo ad una sequenza dei dati resi disponibili. I paradossi che si potrebbero elencare a tal proposito sono innumerevoli. Ancor più fallace è l’idea che un metodo statistico o un algoritmo matematico (data mining, genetic algorithms, neural networks, machine learning, ecc.) possano autonomamente dare un senso ad un insieme di numeri che, nella superficialità imperante, provengono, per di più, da fonti diverse. Il tutto si spiega con il fascino delle narrazioni di coloro che offrono queste soluzioni in termini di applicazioni software o di consulenze varie e che nei vari convegni dedicati, non sono mai soggetti al giudizio di referees qualificati.

Nel campo delle scienze naturali coloro che elaborano le teorie interpretative dei vari fenomeni sono individui o istituzioni diverse da coloro che predispongono gli strumenti per condurre le successive sperimentazioni. In altre parole, chi propone una teoria ovvero, la spiegazione, non è colui che appronta la strumentazione sperimentale. Ed è una bella differenza!

Pro e contro, qualche esempio

Tuttavia, dopo questa icastica premessa cerchiamo di cogliere le effettive opportunità della crescente produzione e disponibilità di dati che verrà offerta alle aziende che operano nel mercato. Un primo aspetto riguarda il miglioramento della capacità previsiva di fenomeni a rapida evoluzione e non lineari. 

Un esempio riguarda il lavoro di ricerca del professor Apurva Jain della Washington University. Nel 2013, una giovane azienda di nome American Giant, propose sul proprio sito Internet un nuovo modello di hoodie, la tipica felpa con cappuccio che indossano i giovani nelle stagioni invernali. Il risultato fu un successo “catastrofico”. In meno di due giorni dall’annuncio gli ordini ricevuti sul sito furono di 500.000 $ e tali da rendere quasi impossibile il loro espletamento. Il professor Jain, esperto di ricerca operativa è dunque al lavoro per elaborare modelli che consentano di simulare questi trend rapidissimi e altamente non lineari. La soluzione (tuttora non consolidata) sembra venire dall’incrocio dei segnali anticipatori raccolti su Google e su Facebook in termini di citazioni e visite con l’andamento reale degli ordini effettuati sul sito.

Ovviamente per evitare il famoso problema del “garbage-in-garbage-out”,  i dati devono essere accuratamente ripuliti e valutati nella loro rappresentatività, il professor Jain cerca di valutare pazientemente la stabilità dei segnali leads & lags, affinché ciò che è valido in un caso non fallisca miseramente in altri.  Si tenga conto poi che il problema illustrato è relativamente semplice se rapportato a ciò che può accadere in quell’ottica di  omichannel che tanto piace ai nuovi “guru” del trade-marketing.   Basti notare che il problema della raccolta simultanea e del cleaning dei segnali è mostruosamente più complesso. I Big Data non debbono servire ad alimentare ex-post un’apologetica dei casi di successo, ma a migliorare effettivamente le performance attese di un’azienda!

Asimmetria informativa

Un “buco nero” della nuova prassi riguarda i tempi con i quali si possono sviluppare  analisi di questo tipo. Un astronomo ha tutto il tempo per analizzare i dati relativi ad un exo-planet. Un manager che si trova di fronte ad un fenomeno di espansione o di contrazione fulminea delle vendite, come quello citato, non ha certo il tempo di dedicarsi alla pura speculazione scientifica. Quindi il rischio riprendere abbagli a causa dei vari automatismi algoritmici è elevato (detto da chi li mette a punto seriamente). Conclusione: diffidare da coloro che affermano, a proposito della varia strumentazione proposta, che “non c’è problema”. Di problemi con i big data ce ne sono e molti. E non abbiamo neppure iniziato a evidenziarli!

Un secondo esempio, in positivo, riguarda un aspetto della teoria del consumo, noto sotto il nome di asimmetria informativa. Il ruolo che giocano i social network e le varie applicazioni reperibili in Internet consente, infatti, un progressivo mutamento di rapporti tra colui che vende è colui che acquista. Questo è vero nello specifico nei mercati a bassa frequenza di acquisto come il mercato dell’auto. Una famiglia normale può riacquistare un veicolo a distanza the 7, 8, 10 anni. In altri casi può acquistare veicoli usati o a km zero, nel qual caso il problema della scelta è ancora più complesso.

Chi vende conosce bene le caratteristiche di quel prodotto. Chi compra ha delle informazioni molto più superficiali. In un’epoca di Digital Transformation, tuttavia, le basi informative di che acquista possono divenire più ampie e accurate. Infatti, alle informazioni tecniche facilmente reperibili e confrontabili si aggiungono le menzioni dei clienti che hanno acquistato in precedenza. Sembrerebbe allora che questa raccolta di informazioni di natura molto semplice non abbia controindicazioni. In realtà, la questione è molto più complessa in quanto è profondamente influenzata da numerose concause attinenti all’economia dell’attenzione, alla rilevanza delle fonti, ai bias delle fake news, alle manipolazioni artificiose dei giudizi, alla tendenza imitativa che può innescare fenomeni mimetici.

 Per capire  se effettivamente i Big Data contribuiscono ad attenuare l’asimmetria informativa occorrono studi seri su come i vari segnali vengono percepiti, compresi, selezionati, memorizzati, ritenuti nel lungo periodo da una mente umana. Ed anche questo non è un gioco da ragazzi!

Di Amagi (Tirelli associati)

Silent selling: la svolta. L’intelligenza artificiale entra nello store

Torniamo a parlare di Amazon e di quella che sembra essere un’innovazione davvero radicale per la Distribuzione Moderna (e senza esagerare) a livello planetario: cioè Amazon GO.

A suo tempo, siamo stati probabilmente tra i primi italiani, in viaggio con il Retail Institute Italy, che hanno potuto sperimentare il nuovo cashierless store, inaugurato il 23 ottobre 2018, al numero 300 di California St., a San Francisco, il quale (dopo il primo Go sperimentale di Seattle) prelude a quelli annunciati di Chicago e New

York City, nonché agli altri 3.000 previsti per il 2021.

Tre sono le considerazioni principali relative a questo prototipo che segna una svolta nella tecnica del cosiddetto “silent selling”.

Cassieri e cassiere sono infatti stati sostituiti da applicazioni di intelligenza artificiale, o meglio di “learning machine”. Prima considerazione: come è riuscita Amazon a realizzare un punto di vendita in cui il cliente è libero di manipolare tutti i prodotti esposti, di qualunque natura, ovvero prenderli, guardarli, eventualmente riporli nello scaffale, oppure nella propria borsa e poi uscire senza alcun controllo e nessun obbligo di pagamento alla cassa? La risposta è data dalla rete interconnessa di videocamere di nuovissima concezione, le quali, assistite da uno specifico software algoritmico, colgono:

  1. a) l’informazione visiva di ogni cliente e di ogni prodotto;
  2. b) la codificano;
  3. c) la condividono per seguire ogni movimento dei due soggetti;
  1. d) la trasferiscono infine alle videocamere che controllano l’uscita;
  1. f) queste ne trasmettono il dato delle avvenute transazioniad un altro centro di controllo.

Quest’ultimo provvede a inviare la notifica della spesa allo smartphone del cliente, identificato da uno scanner all’entrata.

In questo modo, la tecnica adottata riesce a cogliere 4 obiettivi:

1) ridurre le differenze inventariali (dovute in parte al comportamento potenzialmente scorretto del personale);

2) eliminare i costi degli addetti alle casse;

3) ridurre notevolmente i “miliardi di ore umane” trascorse in coda davanti ai cash-counter;

4) raccogliere preziose informazioni sul cliente e sulle sue abitudini di spesa in termini molto più chiari e dettagliati delle abituali loyalty card (spesso familiari e non individuali).

Interazione e straniamento psicologico

Il secondo, grande vantaggio è di emendare il “silent selling” dalla sua tipica freddezza. Infatti, la connessione tra lo store e il cliente attraverso lo smartphone implica nuove forme di interattività, che possono essere sviluppate prima, durante e dopo l’atto d’acquisto.

Il tracciato delle spese su Amazon Online, Amazon Fresh e Amazon Go è una prima informazione oggettiva che può essere arricchita da altre fonti, attraverso metodi di indagine finalizzati a profilare il possessore di smartphone. Altrettanto ovvio può essere l’utilizzo a scopo promozionale di questo contatto pressoché perenne e ubiquo grazie alla combinazione delle varie tecnologie. La terza rilevante opportunità consiste nel mutamento delle reazioni psicologiche all’interno del nuovo ambiente. La prima strana sensazione che il cliente prova è relativa all’apparente totale mancanza di controlli. Il fatto di poter uscire “senza dover pagare”, dopo aver prelevato vari prodotti dallo scaffale, ma soprattutto di poter rientrare con gli stessi prodotti e acquistarne altri e uscire di nuovo e liberamente crea un particolare stato di disagio. Tuttavia le volte successive in cui si realizza una simile esperienza di acquisto, da essa scaturisce una certa euforia consumistica.

Questa eccitazione pare si traduca, a conti fatti, in una maggior propensione alla spesa, divenendo il tutto prevalentemente una serie di acquisti d’impulso. Anche la dilazione dell’addebito sul conto corrente, che viene comunicato almeno una decina di minuti dopo, produce effetti diversi rispetto alle pratiche abituali.

Per quanto sorprendente, la tecnologia messa a punto non è altro che un preludio a ciò che si prospetta in un futuro anche a medio termine, diciamo a 5 anni. In sintesi il sistema informatico di Amazon Go è un mix di statistica computazionale, riconoscimento di pattern, reti neurali, filtraggi adattivi, algoritmi genetici, image recognition, data mining, ecc., tutte tecniche queste padroneggiate da centinaia di laureati con Phd in Matematica, Fisica ed Ingegneria che Amazon assume a ritmo accelerato e concentra nel suo headquarters di Seattle. È tuttavia interessante sottolineare, in conclusione, che l’azienda di Jeff Bezos non è l’unica proprietaria di un simile know-how, in quanto il global technological epicenter di San Francisco e della Silicon Valley produce senza sosta start-up impegnate in una reciproca e agguerrita concorrenza. Mentre Amazon può essere considerato il concorrente di tutti, la dimensione prospettica del business, rivolto al retail tradizionale con tutte le sue categorie, è enorme, in quanto tutto questo universo può essere impattato radicalmente da queste innovazioni.

di Amagi (Tirelli Associati)

Mookkie, la ciotola intelligente che riconosce l’animale

Si chiama Mookkie ed è una ciotola “intelligente” in quanto capace di riconoscere il singolo animale,. Realizzata dall’azienda italiana Volta®  specializzata nello sviluppo di prodotti AI-centrici ha vinto l’Innovation Award nella categoria Smart Home al CES 2019.

Nello specifico, Mookkie è una ciotola per ogni tipo di animali domestici dotata di intelligenza artificiale. Attraverso una telecamera grandangolare registra le immagini dell’animale cui è destinato il cibo, quindi le rielabora con un’architettura di rete neurale profonda. Così facendo è in grado di riconoscere visivamente la presenza dell’animale domestico e attivare l’apertura dello sportello per permettergli di poter accedere al cibo – con una logica del tutto simile al “face-unlock” dei moderni smartphones. Il riconoscimento visuale richiede l’elaborazione di un trilione di operazioni al secondo, potenza di calcolo che Volta è stata in grado di concentrare all’interno della ciotola. Il tutto confezionato in un design elegante, espressione della cura e dell’attenzione prettamente made in Italy. Inoltre, la forma interna della ciotola è ergonomica, raggiungibile da ogni punto, quindi accessibile ad ogni tipo di animale. Mookkie, su richiesta, fornisce notifiche e anche brevi video clip attraverso l’app per smartphone dedicata, per la tranquillità del proprietario dell’animale domestico. Inoltre, può essere comandata ed interrogata attraverso le più comuni interfacce vocali per la casa: il proprietario può controllare con la sola voce la ciotola, chiedere informazioni sui pasti e ordinare il cibo quando si sta esaurendo.

«Abbiamo preso uno dei più semplici e umili oggetti presenti nelle nostre case e lo abbiamo reinventato intorno alle più recenti tecnologie di intelligenza artificiale; questo è ciò che facciamo quotidianamente a Volta con molteplici oggetti e processi – spiega l’amministratore delegato di Volta, Silvio Revelli -. In questo caso il risultato è una ciotola per animali domestici, dal gatto al cane, che riconosce visivamente il suo animale e si attiva di conseguenza mettendogli a disposizione il cibo precedentemente preparato. I vantaggi non sono solamente in termini di sicurezza: avremo la garanzia che l’accesso al cibo sarà solo per il nostro animale; ma anche in termini di freschezza e conservazione dello stesso». La ciotola può inoltre essere collegata ad una applicazione per smartphone dedicata e registrare gli accessi dell’animale, la quantità di cibo presente e anche la necessità di provvedere al rifornimento del cibo per la tranquillità del proprietario.

«Mookkie è la dimostrazione di come sia possibile re-inventare praticamente ogni oggetto che conosciamo – anche il più semplice – mettendo al centro del design di prodotto l’intelligenza artificiale», spiega Revelli. «Volta si occupa sostanzialmente di ripensare e riprogettare prodotti e processi esistenti tenendo conto del nuovo “ingrediente” a disposizione: l’Intelligenza Artificiale. La grande padronanza delle più recenti tecnologie di intelligenza artificiale è stato sicuramente un fattore determinante per il successo di Volta, ma il vero nostro segreto consiste nella cultura aziendale che siamo stati capaci di sviluppare: orientata al re-design da zero sia di oggetti di uso comune, sia di processi industriali. Paradossalmente più che chiederci come l’utente usi il prodotto, noi ci chiediamo come il prodotto AI-centrico “usa” il suo utente, ovvero come ne apprenda le caratteristiche e le esigenze e conseguentemente sviluppi un comportamento che sia simbiotico e complementare a quello dell’utente. Per noi intelligenza fa rima con adattabilità; i nostri prodotti, che escono dalla fabbrica tutti uguali, migliorano nel tempo e si adattano agli utenti e agli ambienti fino ad un grado estremo di personalizzazione. E’ questa particolare prospettiva da cui osserviamo il mondo che ci permette di distruggere le basi sulle quali si fondano gli attuali prodotti e ri-costruirli intorno alle più recenti tecnologie di intelligenza artificiale. Siamo convinti che stiamo entrando nella “golden age” dell’intelligenza artificiale: del totale di prodotti di largo consumo che potrebbero beneficiare delle tecnologie A.I. riteniamo che solo l’1% ne sta effettivamente traendo un beneficio. Non c’è industria che non sia un nostro potenziale cliente».

Volta, in collaborazione con Pet Electronics Company di New York, sta operando per industrializzare il prodotto con l’obiettivo di poterlo offrire al mercato americano ad un prezzo iniziale di 189 dollari a partire indicativamente da settembre 2019. Mookkie sarà disponibile sul sito https://www.mookkie.com/ e sui principali siti di e-commerce.

Volta presenterà Mookkie e altri prodotti al CES 2019: stand #27024 nella South Hall del Convention Center di Las Vegas. Il 6 gennaio 5-8:30 PM Volta parteciperà al CES Unveiled Shorelines Exhibit Hall, Mandalay Bay Las Vegas, NV. Il prodotto Mookkie sarà altresì esposto al Casinò The Venetian, Venetian Ballroom E/F con gli altri prodotti vincitori del CES Innovation Award.

Intelligenza artificiale, anche il retail l’ha scoperta (a metà): ecco le sue applicazioni

L’intelligenza artificiale sta avanzando a grandi passi anche nelle imprese. Ed è il retail uno dei settori in cui trova maggiore applicazione. Dopo il banking-finance-insurance e l’automotive, è, assieme all’hi-tech e alle telecomunicazioni, tra i settori maggiormente interessati a introdurre a livello internazionale soluzioni di intelligenza artificiale.

Il dato emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano presentata al convegno “Artificial Intelligence: prospettive dalla ricerca al mercato”, a Milano. La ricerca ha analizzato 721 imprese e 469 casi, riferibili a 337 imprese internazionali ed italiane, di utilizzo di Artificial Intelligence, quel ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di abilità tipicamente umane, come l’interazione con l’ambiente, l’apprendimento e l’adattamento, il ragionamento e la pianificazione. L’Italia è un po’ più indietro rispetto agli altri Paesi europei: il 56% delle grandi imprese oggetto di indagine ha già avviato progetti di Artificial Intelligence contro circa il 70% di Francia e Germania.

 

Mille soluzioni, dai Big Data agli assistenti vocali, fino al riconoscimento biometrico

I principali ambiti di applicazione riguardano l’Intelligent Data Processing (35%), soluzioni che utilizzano algoritmi di AI per estrarre informazioni e avviare azioni basate sulle informazioni estratte, e i Virtual Assistant o Chatbot (25%), agenti software in grado di interagire con un interlocutore umano per eseguire un’azione o offrire un servizio. Questi trovano particolare applicazione nel sistema della distribuzione, come per l’assistenza al cliente dopo la vendita (87% dei casi), oppure per l’offerta al cliente di servizi che non riguardano direttamente l’ambito in cui opera l’azienda (7%) o per gli assistenti virtuali della tipologia Corporate Knowledge (6%), che hanno il compito di rispondere a domande poste dal personale o da figure esterne. Seguono a distanza le soluzioni di Recommendation (10%), raccomandazioni personalizzate per indirizzare le decisioni del cliente in diversi momenti del percorso d’acquisto basandosi su informazioni fornite dagli utenti stessi, le Image Processing (8%), che analizzano le immagini per il riconoscimento biometrico e l’estrazione di informazioni, le Autonomous Vehicle (7%), mezzi a guida autonoma in grado di percepire l’ambiente esterno e adattare le manovre di conseguenza, e gli Intelligent Object (7%), capaci di eseguire azioni senza intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante tramite  sensori e apprendendo dalle azioni delle persone che li usano. Chiudono l’elenco soluzioni marginali come Language Processing (4%), che elaborano il linguaggio per comprendere un testo, tradurlo o produrlo in autonomia a partire da dati e documenti, e Autonomous Robot (4%), in grado di spostarsi e muovere alcune parti, manipolare oggetti ed eseguire azioni in autonomia.

«L’Artificial Intelligence – spiegano Nicola Gatti, Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence – potenzialmente non conosce confini applicativi e inciderà progressivamente sul tessuto economico e sociale di ogni Paese. La velocità di diffusione nei diversi ambiti non sarà omogenea, ma dipenderà da fattori tecnologici e di conoscenza. Le imprese italiane stanno ponendo a questo tema grande attenzione per non perdere occasioni di miglioramento della competitività. Per coglierne a pieno i potenziali benefici, però, devono innanzitutto conoscere a fondo l’offerta di soluzioni disponibili e poi intervenire sui processi organizzativi e sul rafforzamento delle competenze, perché le persone siano effettivamente in grado di valorizzare le abilità delle macchine».

Dalla ricerca emerge come un qualsiasi progetto di Artificial Intelligence nelle fasi iniziali necessiti di un grande investimento da parte dell’impresa, non solo in termini economici. Al momento, le soluzioni pronte all’uso sono limitate e per raggiungere un livello di prestazioni simile o superiore a quello umano spesso richiedono lavoro sia in fase preparatoria, per le infrastrutture, il patrimonio informativo, le competenze e la cultura, che in corso d’opera, per l’apprendimento della macchina e il miglioramento. 

«Siamo solo agli inizi di un percorso di diffusione e di comprensione del potenziale dell’intelligenza artificiale, che porterà a definire meglio i confini applicativi e il grado di intelligenza di una soluzione – dice Gatti -. Dall’autovettura che si guida da sola all’elettrodomestico che impara stile di vita e necessità della famiglia, dall’assistente personale che consiglia le decisioni di spesa fino ai robot assistenziali per disabili e anziani, ogni esperienza del quotidiano può essere ripensata alla luce delle capacità delle macchine. La velocità con cui questo avverrà dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate, dalla capacità di gestire un delicato cambiamento nelle organizzazioni e dal bilancio tra valore dell’innovazione e costo del rendere intelligenti prodotti e processi».

 

La spesa più personale (e soddisfacente)? La sa l’inconscio, eBay sperimenta a Londra

È una grande notizia per gli eterni indecisi che impiegano ore a scegliere il colore della gonna o dei calzini da acquistare, mentre qualcuno penserà subito a un futuro distopico di controllo delle menti, dove non saremo neppure più in grado di decidere ciò che vogliamo acquistare: di certo è un esperimento affascinante quello fatto da eBay a Londra all’inizio del mese con il pop up “The Art of shopping”. L’ultima frontiera della personalizzazione. Obiettivo: “riportare l’ispirazione nello shopping” combinando neuromarketing, scienza e opere d’arte. Come a dire: solo l’inconscio conosce i nostri più reconditi desideri, anche di acquisto, e le neruoscienze ce li possono rivelare meglio di noi stessi.

In uno spazio che era una galleria d’arte curata da Saatchi Art i visitatori venivano incoraggiati a guardare le opere con una fascia in testa che monitorava le loro reazioni. A questo punto una tecnologia detta MyndPlay creava un carrello su misura de cliente, con una serie di prodotti consigliati. Perché – è il sottinteso – una esperienza di shopping piena e ispirata darebbe lo stesso piacere che può suscitare il godimento di un’opera d’arte, o di un corridore di formula 1 quando giunge alla fine del circuito.

 

Come ha detto il Vicepresidente di eBay UK, Rob Hattrell: «eBay incoraggia i consumatori e rigettare le cose noiose e grigie e smetterla di fare la spesa come tutti gli altri. Vogliamo che i consumatori siano più coraggiosi ed esprimano la loro individualità».

Pe inciso secondo eBay sarebbero circa la metà dei consumatori britannici quelli che sarebbe pronti a un approccio più personalizzato agli acquisti mentre gli altri preferiscono seguire il branco e restare nella comfort zone; ai primi punta eBay.

Fantascienza? Forse, ma intanto il pioniere delle aste online entro fine anno ha intenzione, secondo il Daily Mirror, di lanciare una homepage basata sull’intelligenza artificiale e il machine learning per assicurare un livello di personalizzazione mai raggiunto negli acquisti.

Tutti pazzi per l’intelligenza artificiale, ma a cosa serve nel retail?

Un settore sempre più al centro dei pensieri ma anche concretamente dei progetti dei retailer, sia online sia nel punto vendita: è quello dell’intelligenza artificiale, che già nel 2012 Gartner prevedeva avrebbe gestito entro il 2020 l’85% dei loro rapporti con le aziende senza interagire con una persona (e già i chatbot si diffondono a macchia d’olio). McKinsey profetizza come già ora il 59% della produzione mondiale può essere robotizzata. Venendo a casa nostra, l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, stima che il 39% dei CIO italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come priorità d’investimento principale nel 2017 per l’innovazione digitale.
Se ne è parlato in occasione di Essentials Milano 2017 organizzato da Salesforce.com, piattaforma CRM numero uno al mondo, a Milano la scorsa settimana dove sono state presentate le soluzioni potenziate dall’Intelligenza artificiale, i trend e la visione sull’evoluzione futura della relazione di un’azienda con i propri clienti, temi che abbiamo trattato nell’intervista a Maurizio Capobianco.

 

Gdo all’avanguardia tra le Pmi

Secondo l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, il mercato degli Analytics è cresciuto del 15%, raggiungendo il valore di 905 milioni di euro, con le soluzioni di Business Intelligence che valgono l’80% del mercato. In prima fila ci sono le grandi imprese (sopra i 249 addetti), che hanno implementato soluzioni di Descriptive Analytics nell’80% dei casi, e quelle di predictive analytics nel 30%. Il settore più interessato nel mercato degli Analytics è quello bancario (29%), seguito da manifatturiero (22%), telecomunicazioni e media (14%), Pubblica Amministrazione e sanità (8%)

Nelle PMI (10-249 addetti) le percentuali hanno ancora ampi margini di crescita: il 26% ha adottato descrittive Analytics e il 16% ha implementato le predictive Analytics, ma qui, alle spalle del settore banche e assicurazioni (55%), troviamo la GDO (47%) e seguono, più distaccati, Pubblica Amministrazione e sanità (39%) e manifatturiero (34%).

 

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