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Job Week Esselunga, iscrizioni fino al 24 settembre, al via il 17 ottobre a Milano

C’è tempo fino al 24 settembre per iscriversi alla Job week di Esselunga, la settimana di seleziona del personale che si svolgerà dal 17 ottobre a Milano. Entro la fine dell’anno altri Job day sono previsti a Verona e a Varese. È possibile candidarsi www.esselungajob.it, il sito dedicato alla selezione del personale, è il canale attraverso il quale è possibile candidarsi. L’insegna milanese opera oggi attraverso una rete di oltre 150 negozi e 23.000 dipendenti. Come si legge in una nota. “Nell’ottica di un ulteriore potenziamento, l’azienda ha un interesse costante ad incontrare candidati ai quali offrire nuove possibilità di impiego. Attraverso iniziative mirate, diffuse sul territorio, si propongono posizioni in diversi ambiti: allievi per la carriera direttiva e specialisti di reparto nei negozi, nonché altre figure professionali nelle funzioni centrali“.

 

390mila ore di formazione

Esselunga offre ai neo assunti e a tutti i suoi collaboratori un percorso di crescita e di formazione continua, con 390.000 ore di corsi tenuti ogni anno. L’insegna si è dotata di un Learning Center interno per accompagnare le persone nello sviluppo di nuove abilità e competenze. Tutte le attività si svolgono in poli all’avanguardia, tecnologicamente innovativi, dotati di ambienti e strumentazioni polifunzionali. 

Al fine di ampliare la propria squadra di professionisti, dal 18 settembre e per due settimane, è stata avviata una campagna pubblicitaria dell’agenzia Armando Testa, destinata alle regioni in cui Esselunga è presente con i propri negozi. La creatività verte sui principali valori dell’azienda – passione, crescita, merito e impegno – sintetizzati dal pay off “Valore al tuo lavoro”. In Esselunga, da sempre, l’impegno delle persone è coniugato con lo sviluppo dell’azienda, attraverso la qualità dei prodotti e del servizio, il radicamento nel territorio e la crescita professionale dei collaboratori. Il lavoro è un valore e per questo l’azienda promuove l’apprendimento continuo e premia il talento e la capacità delle persone, partecipando alla costruzione del loro futuro.                                       

I tre fattori che cambieranno i luoghi di lavoro del futuro: al centro, il Workplace Wellbeing

Il benessere di chi lavora negli uffici è sempre più importante. E l’attenzione degli investitori su questo tema, il cosiddetto “workplace wellbeing”, è premiante in termini di profitto dei canoni di locazione. Lo dice chiaramente il nuovo report pubblicato da Cushman&Wakefield, società leader a livello globale nei servizi immobiliari, che rileva i principali trend e le sfide che dovranno affrontare proprietari e conduttori di spazi a uso ufficio.

Sono tre in particolare le previsioni contenute nel report, riguardo all’impatto del “Wellbeing” sull’industria immobiliare. Ci sarà prossimamente una moltiplicazione delle professionalità legate al tema del “workplace wellbeing”, e nascerà la figura del “community manager” che grazie a una serie di strumenti ad hoc si occuperà di adattare lo spazio fisico alle esigenze dei suoi occupanti trasformando l’ufficio tradizionale in uno spazio permeabile che avrà un prezzo premium in funzione della sua fruibilità e del contributo al benessere degli occupanti così come all’andamento delle performance.

Secondo trend, il “wellbeing“, il benessere sarà decisivo nella scelta dei locali da affittare, soprattutto per le aziende operanti in settori ad alto contenuto intellettuale, e attirerà i maggiori “tenant”; gli uffici intelligenti diventeranno una scelta prioritaria per i talenti migliori e la locazione di spazi concepiti per il benessere degli occupanti sarà imperativa per le società leader.

Infine i parametri di misurazione del “workplace wellbeing” saranno sempre più tecnologici e sarà possibile analizzare lo stato di salute del personale in relazione agli spazi fisici di lavoro, ciò che naturalmente proporrà delicate questioni di privacy. Conterà molto, quindi, quanto i dipendenti siano disposti a concedere per avere luoghi di lavoro migliori.

 

Un ambiente piacevole aumenta la produttività

Fin d’ora è possibile osservare come migliorare l’illuminazione e il layout degli spazi e inserire ad esempio delle piante aumenti il comfort dello spazio di lavoro e quindi incrementi la produttività dei dipendenti in misura assai maggiore dei risparmi che l’azienda otterrebbe attraverso un utilizzo più efficiente degli spazi. Allo stesso modo, i proprietari traggono un vantaggio sotto il profilo commerciale e possono beneficiare di una quotazione “premium” per quegli asset che incorporino soluzioni volte al benessere sul luogo di lavoro. In base a uno studio di Dodge Data & Analytics, oltre un quarto dei proprietari ritiene di affittare prima e di chiedere canoni di locazione più elevati per spazi concepiti secondo criteri del benessere del luogo di lavoro.

«L’importanza crescente che il tema del benessere ricopre nell’industria del real estate – garantisce Sophy Moffat, Emea Research & Insight team di Cushman&Wakefield – non è una moda passeggera, ma il riconoscimento a posteriori di un dato di fatto: le risorse umane rappresentano la principale voce di costo e, allo stesso tempo, i maggiori generatori di successo per ogni azienda».

Eppure sono ancora pochi gli esempi di immobili nei quali il benessere degli occupanti è compiutamente integrato, e tra essi Moffat indica l’Edge di Amsterdam (nella foto). «Questa contraddizione, che vede da una parte i benefici prodotti da una forza lavoro motivata e in buona salute e dall’altra le problematiche causate da un ambiente di lavoro inadeguato, non può continuare. Così come la rapida evoluzione tecnologica sta condizionando le tipologie di lavoro che le persone possono svolgere e gli spazi richiesti per queste attività, anche l’attenzione al benessere degli occupanti sta emergendo come un tema fondamentale e ineludibile per l’industria immobiliare».

 

 

A Rimini ex dipendenti riaprono un supermercato con l’insegna Despar

L’apertura di un supermercato è sempre una buona notizia, ma alle volte lo è di più. Quando ad esempio ad aprirlo, anzi a riaprirlo, sono gli ex dipendenti. Accade a Rimini, in via Covignano, dove lo scorso 23 febbraio è stato inaugurato con l’insegna Despar un supermercato gestito dalla SGS, società fondata da alcuni ex dipendenti che fino al marzo 2016 aveva gestito lo stesso punto vendita sotto un’altra insegna. Un negozio di vicinato (250 metri quadri di superficie di vendita, con un reparto di macelleria servita e una fornitissima gastronomia), piccolo ma con dietro una storia grande.

Una storia che sembra tratta da un film di Ken Loach, una storia di coraggio, incoscienza e solidarietà. Una lotta per salvare il proprio posto di lavoro e magari fare il salto di qualità, svoltare una volta per tutte. Perché alle volte o si annega o si vola.

«Ci siamo trovati nelle condizioni di doverci reinventare un lavoro – spiega Maria Cristina Bucarelli, amministratore delegato della SGS – e non è stato facile alla nostra età (tutti i neoimprenditori hanno tra i 40 e i 50 anni, ndr) e con una vita da dipendenti alle spalle. Ma ci siamo guardati in faccia e ci siamo resi conto che, per quanto caratterialmente molto diversi tra di noi, avevamo per le mani un tesoro fatto di esperienze professionali e di vita davvero significative, e soprattutto tanti valori positivi condivisi. Abbiamo deciso di rischiare e metterci in gioco fino in fondo».

La nuova società degli imprenditori di mezza età ha stentato a mettere in moto il progetto. Poi, dopo avere finalmente individuato il partner giusto nella Aspiag Service, la società concessionaria del marchio Despar nel Triveneto e nell’Emilia-Romagna, tutto ha preso a correre. E gli ex dipendenti ora padroni pensano già in grande: a primavera inoltrata aprirà il secondo punto vendita griffato SGS, quello di Ospedaletto di Coriano. «Guardando indietro all’ultimo anno – pensa ad alta voce Bucarelli – e ai mesi difficili che lo hanno preceduto, sentiamo di dover ringraziare tutte le persone e tutte le aziende che hanno contribuito alla realizzazione del nostro progetto. Ma siamo anche orgogliosi di noi stessi, del nostro coraggio e della nostra collaborazione. Sappiamo che il momento economico e sociale per il nostro Paese è particolarmente sfidante, ma noi tutti faremo il possibile per far sì che la nostra idea imprenditoriale si concretizzi felicemente e resti fedele ai valori umani che l’hanno fatta nascere”.

Chi andrà a fare la spesa nel piccolo supermercato di via Covignano acquisterà un pezzetto di sogno. E non capita tutti i giorni,

La tecnologia è amica o nemica del lavoro? Italiani ottimisti, manager e giovani preoccupati

Che le tecnologie stiano trasformando il mondo del lavoro è cosa evidente: macchine sempre più intelligenti e precise, veloci e in grado di eseguire ogni genere di compiti sono pronte a sostituire cuochi e cassieri, autisti e infermieri (anche nel retail, vedi I robot prenderanno il controllo del supermercato del futuro?). Per contro, la tecnologia rende più semplice svolgere varie mansioni, evitare di recarsi i ufficio ma lavorare da casa, analizzare i Big Data, organizzare il lavoro e programmarlo per prendersi spazi di vita, in tutti i settori. Ma qual è la percezione “sul campo”, delle persone, a proposito? Lo ha indagato uno studio condotto da Epson su oltre 7.000 lavoratori nei cinque principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Anche perché il mondo del lavoro sarà trasformato dalle nuove tecnologie in tempi più brevi di quanto si pensasse: molti infatti ritengono che non sia così lontano un mondo dove la produzione di massa appartiene al passato.

 

Il 64% di posti in meno, il 63% disposto a cambiare

Eppure, c’è poco spazio per l’ottimismo. Oltre la metà (57%) dei dipendenti europei – ma ben il 62% di quelli italiani – che lavorano nella sanità, formazione, retail e produzione ritiene che la tecnologia rivoluzionerà settori e modelli aziendali. Soprattutto, il 6% degli intervistati in Europa (e il 4% in Italia) crede che nel futuro la propria mansione non esisterà più: una previsione addirittura al ribasso, visto che stando ai modelli attuali si parla di una possibile riduzione dei livelli di occupazione in Europa al 64%, un valore inferiore a quello registrato nel 2005. Ciò nonostante, chi lavora mostra di essere cittadino a pieno titolo della learning society e gli italiani (86%) si dichiarano ancora una volta più ottimisti degli europei (72%), con il 63% disposto ad aggiornare le proprie conoscenze per poter svolgere nuove mansioni.

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Tuttavia, questo ottimismo potrebbe essere vanificato dal fatto che, nelle opinioni dei dipendenti, le aziende sembrano non voler trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie: infatti solo il 15% dei lavoratori italiani considera la propria organizzazione “eccellente” nel monitorare i nuovi sviluppi tecnologici e meno di un terzo (27%) la ritiene particolarmente abile quando si tratta di implementare nuove tecnologie. In questo scenario, sostanzialmente allineato ai valori europei, rimane quindi una certa sfiducia da parte dei lavoratori sulla capacità o volontà delle organizzazioni circa l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Lo studio che ha messo a confronto le opinioni fornite da 17 esperti di vari settori con quelle di oltre 7.000 dipendenti e manager, evidenzia come singoli individui, datori di lavoro e istituzioni debbano affrontare scelte non facili circa l’adozione delle nuove tecnologie. Le opinioni siano contrastanti sia sui potenziali vantaggi che sulle possibili minacce circa l’avvento dell’innovazione tecnologica nei vari settori e nelle diverse economie.

In ogni caso, il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno.

Il settore manifatturiero, probabilmente perché già ampiamente colpito in passato dalla “caduta di teste” risultato della robotizzazione della produzione, si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.

Nel settore della formazione l’ottimismo è meno diffuso: mancanza di finanziamenti, formazione degli insegnanti e tecnologie obsolete vengono indicate come le principali minacce per il futuro della formazione. Il 61% a livello europeo (68% in Italia) degli intervistati, inoltre, ritiene che gli insegnanti non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie nei prossimi 10 anni, con conseguenti difficoltà nell’impartire lezioni agli studenti.

Oltre i tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che la tecnologia potrebbe aumentare i profitti delle aziende e offrire nuove opportunità di crescita. Tuttavia, per le realtà che vogliono investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di mantenere la loro competitività e trarre vantaggio dal cambiamento, lo studio ha evidenziato tre tendenze principali che non devono essere trascurate:

I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Mentre in media solo il 6% dei dipendenti ha dichiarato di voler fermare o impedire di proposito l’introduzione della tecnologia qualora questa rappresentasse una minaccia per la mansione svolta, sorprendentemente questa percentuale aumenta tra i Millennials (giovani tra 18 e 29 anni) con il 12% e tra i dirigenti, con addirittura il 17%.

Le nuove tecnologie esercitano un forte fascino, ma sono poche conosciute.
In media, gli intervistati sono affascinati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà` aumentata, i dispositivi indossabili, le tecnologie per la collaborazione e la robotica, ma la loro conoscenza e` piuttosto limitata.

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C’è grande disponibilità a “rimettersi in gioco” per acquisire nuove competenze.
Quasi un terzo degli intervistati ritiene che la propria azienda non comunichi in maniera efficace quale possa essere l’impatto generato dai cambiamenti tecnologici sulle varie mansioni. Inoltre, benché il 65% (63% in Italia) degli intervistati ritenga che la propria azienda abbia la possibilità di formare i dipendenti nell’utilizzo di nuove tecnologie, crede anche che i datori di lavoro siano molto più propensi ad assumere nuovo personale già competente anziché formare e riallocare i dipendenti potenzialmente in esubero. Di questi, solo il 47% valuta positivamente la capacità del proprio datore di lavoro nel ricollocare i dipendenti in esubero. Ciò nonostante, ben il 72% degli italiani (il valore più alto registrato, con una media europea del 65%) si dichiara disposto ad acquisire nuove conoscenze per poter svolgere mansioni diverse qualora il proprio ruolo fosse minacciato.

«L’attuale preoccupazione legata al progresso tecnologico è del tutto comprensibile ma la tecnologia offre enormi opportunità, se gestita in maniera corretta. Indipendentemente dalla nostra attuale situazione lavorativa, essa è destinata a cambiare in futuro e, come evidenziato anche dai risultati dello studio, occorre intensificare il dialogo tra la Pubblica Amministrazione, le aziende e la società in generale affinché tutti possano acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per assumere nuovi ruoli e sfide. Le modalità con cui gestiremo l’evoluzione determineranno il nostro ruolo lavorativo – e non solo – per i prossimi 10 o 20 anni» ha dichiarato Minoru Usui, Presidente di Epson.

Lo studio in due fasi è stato condotto da FTI Consulting. Durante la prima fase (settembre – ottobre 2016) si sono svolte interviste telefoniche basate sul metodo qualitativo a 17 persone fra esperti di previsione di scenari futuri provenienti da vari Paesi ed esperti europei in vari settori, per ottenere informazioni e formulare ipotesi sull’ambiente di lavoro del futuro e su come cambieranno ruoli e funzioni dei dipendenti nei prossimi anni, fino al 2025. La seconda fase, che si è svolta online nel dicembre 2016, consisteva invece in un’indagine quantitativa condotta dal team Strategy Consulting &Research di FTI Consulting. All’intervista hanno partecipato i dipendenti full-time di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna impiegati in cinque settori principali (corporate, produzione, formazione, settore sanitario e retail) per un totale di 7.016 dipendenti.

Retail e Grande Distribuzione sul podio nella top ten di Jobrapido

Retail e Grande Distribuzione svettano in cima. Ma ottimo piazzamento anche per Risorse umane,   Informatica e Manifattura: sono questi i settori maggiormente attivi (agiugno) nella ricerca di personale in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi.
I risultati emergono dall’analisi condotta da Jobrapido nell’ambito del suo semestrale “Osservatorio sul mondo del lavoro”.

Con i suoi 202 mila annunci di lavoro, in Italia è il settore del Commercio/Retail/GDO quello più attivo nella ricerca di personale. Nella top 3 dei settori “a caccia di talenti”, il secondo gradino del podio va all’ambito Amministrazione/Risorse Umane, presente con 93 mila annunci, seguito dalle 85 mila offerte del comparto dei Servizi. Altrettanto ricercati sono gli impieghi nel settore della Manodopera; nel mese di giugno, infatti, gli annunci specifici per questo comparto lavorativo sono circa 80 mila.

La top 10 degli annunci di lavoro per tipologia in Italia (giugno 2016):

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Germania e Baesi Bassi

Secondo lo studio, a guidare la classifica delle offerte di lavoro in Germania è  invece il comparto Informatico, con 457 mila job post, il secondo posto lo ottiene il settore Manifatturiero con le sue 388 mila offerte, mentre il settore Logistica e Trasporti, con 327 mila job post, si colloca in terza posizione.

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Mentre nei Paesi Bassi, con 153 mila annunci, è il settore Manifatturiero a raggiungere la prima posizione, l’ambito IT (93 mila offerte) a raggiungere la seconda posizione, a cui seguono Commercio ed Export con 59 mila annunci.

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“Abbiamo analizzato diversi mercati nel corso del mese di giugno, e in ciascuno di essi abbiamo constatato che la ricerca di personale è in forte attività – ha affermato Rob Brouwer, CEO di Jobrapido – Lo studio che abbiamo condotto ha evidenziato come il comparto Informatico tedesco sia tra i più attivi nella ricerca di personale, insieme all’ambito Manifatturiero (540 mila job post tra Germania e Paesi Bassi) segno di una crescente attenzione non solo verso le attività digitali, ma anche verso la produzione industriale più tradizionale. Il numero di annunci dedicati al comparto Commercio/Retail/GDO presenti in Italia, invece, ci permette subito di avere un’idea della straordinaria forza di questo importante settore economico”.

Kiabi offre 30 posti di lavoro a Torino nel nuovo store, con il Kiabi Job Dating

Un “dream team” per il nuovo punto vendita di Torino, che sarà inserito (come da nuova strategia del gruppo che punta sui centri commerciali, leggi Kiabi punta sull’Italia e sui centri commerciali, con un nuovo layout) nel Cci Parco Dora e negli altri store torinesi: lo cerca Kiabi Italia che offre 30 posti di lavoro al Kiabi Job Dating. In programma martedì 14 giugno, è un’opportunità concreta rivolta a “giovani appassionati di moda e in cerca di lavoro”.

L’idea nasce dagli speed date americani, gli appuntamenti al buio nei quali, in meno di 7 minuti, è possibile incontrare l’anima gemella; Kiabi è invece alla ricerca di una squadra “capace di esprimere i valori stessi del brand: colore, divertimento e unicità”. Il brand di fast-fashion francese, in espansione in Italia, cerca in particolare ragazzi giovani, studenti o neolaureati, con una forte passione per la moda e occhio per le tendenze.

Il Job Dating si svolgerà martedì 14 giugno dalle 18.00 alle 22.00 presso il locale Boccaccio80 in via Giovanni Boccaccio, 80 a Torino. Tutti gli interessati in cerca di un nuovo impiego dovranno presentarsi nel locale e, curriculum alla mano, convincere Kiabi di essere il candidato perfetto, in soli 7 minuti.

I tre consigli di Kiabi per superare con ottimi risultati un colloquio di lavoro? Puntualità, serietà e fiducia.

Randstad Award: Ferrero, Apple e Maserati le aziende più amate dai lavoratori

Randstad Award: Ferrero, Apple e Maserati si sono aggiudicate la palma della vittoria nella sesta edizione, come aziende più attrattive.

Lo studio, commissionato da Randstad all’Istituto belga ICMA e condotto su oltre 200.000 persone in 25 Paesi in modo indipendente (nessuna azienda si può iscrivere volontariamente per partecipare), ha misurato il livello di attrattività percepita da parte dei possibili dipendenti, ovvero quanto e per quali fattori le aziende sono capaci di attirare chi cerca lavoro o chi vuole cambiarlo.

I vincitori

Dai risultati dell’indagine, Ferrero risulta l’azienda italiana più attrattiva come datore di lavoro da parte dei potenziali dipendenti, con il 76,5% delle preferenze (tra tutti coloro che conoscono il brand), una percentuale che vale il primo posto al Randstad Award 2016. Tra i 10 fattori oggetto d’indagine, primaggia in quattro: sicurezza del posto di lavoro, atmosfera di lavoro piacevole, buon equilibrio tra vita professionale e privata, responsabilità sociale d’impresa.

Secondo posto sul podio ad Apple con il 75,4% di preferenze dei lavoratori italiani. L’azienda è apprezzata per buone condizioni economiche della società, formazione di qualità, opportunità di carriera, forte gruppo manageriale, contenuto di lavoro interessate, stipendio competitivo e benefit. Maserati è la terza azienda più ambita dai potenziali dipendenti italiani, scelta dal 72,3% di lavoratori: sebbene non si posizioni al primo posto in nessuno dei fattori, la casa automobilistica di Modena ottiene buoni risultati generali in tutti gli elementi di employer branding.

Analizzando l’area geografica, Ferrero primeggia nel nord e nel sud del Paese, Apple nel centro, Maserati nelle isole. Scomponendo il campione per genere, l’azienda della Nutella è il datore di lavoro più ambito dalle donne, mentre la casa del tridente dagli uomini. Ferrero primeggia anche tra i lavoratori di quasi tutte le età e livelli di istruzione.

Le aspirazioni degli italiani

Il fattore più importante ricercato in un datore di lavoro è rappresentato da retribuzione & benefit, (55% degli intervistati) seguito dalla sicurezza del posto di lavoro (53%) e dall’atmosfera di lavoro piacevole (49%). Poi vengono un buon equilibrio tra vita professionale e privata (43%), buoni condizioni economiche dell’azienda (41%), crescita di opportunità di carriera (38%), contenuto di lavoro interessante (35%), un luogo di lavoro comodo da raggiungere (30%), formazione di qualità (29%) e lavoro flessibile (28%).
Naturalmente poi il sesso e l’età comportano specifiche differenziazioni: le donne  ricercano maggiormente sicurezza del posto, atmosfera piacevole e equilibrio vita professionale-privata, mentre gli uomini sono più attenti alla solidità finanziaria, alle prospettive di carriera e  alla formazione. I giovani sono più orientati alle opportunità di carriera, alla formazione di qualità e all’atmosfera di lavoro piacevole, mentre i più anziani guardano con attenzione alla stabilità finanziaria dell’azienda e alla sicurezza del posto di lavoro. Analizzando i livelli di istruzione, chi ha laurea o master appare più stimolato dal contenuto del lavoro e dalle prospettive di carriera, mentre chi ha un’istruzione inferiore ricerca maggiormente sicurezza del posto, buona atmosfera e accessibilità.

I settori più ambiti
Il più gettonato è quello fashion & luxury (58,8%), seguono media (58,4%) ed elettronica (56,9%). Il dutto, ancora una volta, con le debite differenze: le donne sono più attratte da fashion & luxury, mentre gli uomini preferiscono l’elettronica. I lavoratori con livello di istruzione oltre il master sono orientati verso i media.

Orario di lavoro
Dalla ricerca del Randstad Award emerge che – sebbene in base al contratto i dipendenti dovrebbero lavorare in media 41 ore a settimana per il tempo pieno e 29 ore in media a settimana per il part time – i dipendenti lavorano in media 42 e 31 ore a settimana per tempo pieno e part time. Circa un terzo degli italiani, in maggioranza uomini, dichiara di lavorare più di 40 ore a settimana. Il 46% dei dipendenti è soddisfatto del proprio orario di lavoro attuale, mentre il 45% lavorerebbe di più per uno stipendio più alto e il 2% lavorerebbe di più per la stessa retribuzione. Il 7% lavorerebbe di meno guadagnando di meno.
Ma perché lavorare di più? Una retribuzione superiore è la motivazione indicata dall’83% dei dipendenti. Solo per il 38% al primo posto c’è l’avanzamento di carriera (e specialmente in ottica maschile e dei lavoratori tra i 25 e i 44 anni), per il 22% lo sviluppo personale. Poi vengono anche maggiore influenza sul lavoro, maggiore autostima e una via di fuga dalle attività domestiche.

Chi lavora di meno, invece, lo fa per avere un maggiore tempo libero per sé (74%) e una vita più sana e meno stressante (58%). Dopo vengono l’esigenza di più tempo da passare con i figli (esigenza avvertita più dalle donne), più tempo da dedicare a sport e hobby, più tempo per scuola, studio, formazione, ma anche la volontà di prendersi cura di un familiare, di fare volontariato a scopo sociale o di avviare un’attività in proprio.

Se l’orario flessibile conferma l’elevato gradimento, si va pure affermando lo Smart Working: il 68% dei dipendenti italiani desidera lavorare da casa (tra questi prevalgono i lavoratori più anziani) almeno occasionalmente: di questi il 39% preferirebbe il telelavoro occasionale, il 19% un numero fisso di giorni, il 10% ogni giorno.

Donne ai vertici di Gdo e largo consumo? Sono solo il 15%

Come sempre ogni anno c’è poco da festeggiare, quando si guardano i numeri. Non è purtroppo una sorpresa scoprire che solo il 14,9% del management esecutivo nelle aziende della grande distribuzione e del largo consumo è donna. Lo rivela uno studio di Esm: The European Supermarket Magazine.

La questione è sempre la stessa: nonostante ormai le donne rappresentino la maggioranza delle laureate (il 60% in Italia nel 2013 secondo Alma Mater) e mediamente si laureano prima e con voti più alti, una volta entrate con il mondo del lavoro la musica cambia. E il soffitto di cristallo è ancora troppo spesso. Secondo l’analisi di Esm infatti meno di una donna su sei è rappresentata nei comitati esecutivi.

Sono state prese in considerazione 150 aziende, a livello globale, della grande distribuzione e del largo consumo, che hanno un totale di 1.354 membri nei comitati esecutivi: di questi, 1.152 (l’85,1%) sono uomini e solo 202 (il 14,9%) donne.

Solo quattro tra le aziende prese in considerazione (ovvero il 2,67%) hanno almeno la metà del comitato esecutivo rappresentato da donne, 13 aziende includono almeno un terzo di donne nel comitato (8,6% delle aziende), e 34 ne hanno almeno un quarto (22,67%). Per contro, ben 55 delle aziende prese in considerazione non  hanno alcuna donna nel comitato esecutivo (36,67%). E questo dopo che ormai da anni (vedi lo studio storico di Catalyst confermato anche recentemente da Dow Jones e dal Peterson Institute for International Economics), i dati rivelano come le aziende che hanno donne nel top management sono quelle più redditizie e che hanno i risultati migliori in Borsa.

Senza parlare del fatto che le donne sono e restano i maggior decisori di acquisto all’interno della famiglia praticamente in tutti i campi, dalla spesa all’automobile, ai prodotti finanziari.

Tra le compagnie più “women-friendly” l’analisi individua Kimberly-Clark (detentore tra gli altri dei marchi Kleenex e Huggies, con cinque donne nel Senior Leadership Team, 62,5%), Diageo (sette donne nel comitato esecutivo, 43,75%); il russo X5 Retail Group (cinque donne nel comitato esecutivo, 38,46%); il retailer svedese Axfood (quattro donne nel comitato esecutivo, 36,36%); L’Oréal (cinque donne nel comitato esecutivo, 31,25%, che ha anche una donna a capo della filiale italiana, Cristina Scocchia), la multinazionale del food General Mills (sette donne nel comitato esecutivo, 31%) e il produttore di prodotti cartacei svedese SCA (sei donne nell’Organisation & Management Team, 30%).

Tra gli amministratori delegati donne si segnalano Indra K. Nooyi di PepsiCo, Alison Cooper di Imperial Tobacco, Annikka Hurme dell’azienda di latticini finlandese Valio, Joanne Denny-Finch della britannica IGD, Denise M. Morrison di Campbell Soup, Siobhán Talbot del gigante del latte irlandese Glanbia e Irene Rosenfeld di Mondelez International.

 

 

I 10 settori lavorativi più promettenti: sul podio Retail e Gdo

Lavorare sì. Ma dove? Quali sono i settori più promettenti, quelli con le maggiori potenzialità?

Lo svela una ricerca di Jobrapido che ha sondato il terreno in Italia, e in alcuni Stati europei, analizzando le offerte di lavoro pubblicate sul proprio sito da novembre 2015 a gennaio 2016.

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In Italia è emerso come il settore del Commercio / Retail / Grande Distribuzione sia il più attivo nella ricerca di personale, con 157 mila annunci, seguito da quello dell’ Amministrazione / Risorse Umane con 69 mila e dall’Informatico con 68 mila. Al quarto posto dei mestieri più ricercati ci sono quelli legati all’ambito dei Servizi, con 64 mila offerte. Sono invece tra le meno ricercate le figure nel settore tecnico, con 816 annunci, e in quello agricolo, con 370.

Ecco la top 10 degli annunci di lavoro per tipologia in Italia (novembre 2015-gennaio 2016):

  1. Commercio / Retail / Grande Distribuzione: 157.000
  2. Amministrazione / Risorse Umane: 69.000
  3. Informatica: 68.000
  4. Servizi: 64.000
  5. Vendite: 59.000
  6. Manodopera: 57.000
  7. Ingegneria: 53.000
  8. Export: 39.000
  9. Marketing / Pubblicità / Pubbliche Relazioni: 28.000
  10. Servizio Clienti / Customer Care: 21.000

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E poi veniamo a Germania e Olanda, paesi importanti e rappresentativi per la dinamicità del mercato del lavoro. Qui notiamo qualche variazione nei trend, nel primo è infatti emersa una predominanza di offerte di lavoro in campo informatico (410 mila annunci), seguito da Manifatturiero con oltre 320 mila annunci e Sviluppo e Programmazione con 192 mila job post.Nei Paesi Bassi invece è il Manifatturiero/Artigianato a prevalere con 134 mila job post, seguito dal settore Informatico, con circa 103 mila, dal Trading/Export con 55 mila. Meno ricercati, invece, giornalisti e ingegneri, ciascuno con 1.600 job post.

Federdistribuzione: adesione al 10%. Punti di vendita aperti e servizio ai consumatori regolare

In relazione allo sciopero indetto oggi l’adesione, misurata puntualmente presso le imprese associate a Fededistribuzione, ha raggiunto una percentuale media complessiva del 10%, tale da non compromettere la funzionalità delle strutture di vendita. I negozi sono rimasti aperti (su oltre 15.000 punti vendita delle aziende aderenti all’associazione, solo una dozzina di piccoli supermercati ha dovuto chiudere) e il servizio al consumatore è regolare.

Lo dichiara Federdistribuzione in una nota e sottolinea che le e negoziazioni con isindacati sul Contratto Nazionale di Lavoro per la DMO si sono interrotte per una mancanza di volontà di dialogo da parte sindacale rispetto ad una proposta seria e credibile avanzata da Federdistribuzione, finalizzata alla complessiva tutela dei livelli occupazionali e alla sostenibilità delle imprese. All’interno di tale proposta non vi è alcuna pregiudiziale – afferma l’organizzazione dei retailer – nel riconoscere gli aumenti retributivi richiesti dai sindacati, purchè erogati nel triennio 2016-2018 e accompagnati da forme di sostenibilità, flessibilità e produttività.

Lo sciopero è stato motivato con la volontà da parte dei rappresentanti dei lavoratori per difendere il contratto nazionale scaduto 22 mesi fa.

Ciò in un quadro economico ancora complicato, con solo timidi e incerti segnali di uscita da una crisi profonda che ha avuto pesanti impatti sul settore e che richiederà tempi lunghi per essere superata.

Federdistribuzione conferma infine il proprio impegno a trovare soluzioni concrete che consentano al settore della DMO di superare questi anni di difficoltà e diano nuovo slancio agli investimenti e allo sviluppo.

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