Si chiama OMIA EcoBio Cosmetics s.r.l., ed è la società attiva, patrimonializzata e operativa controllata al 100% dalla M.G.A. s.r.l..
È nella new-co OMIA EcoBio Cosmetics che sono confluiti tutti gli asset impiegati nella linea di business che in pochi anni ha reso il marchio OMIA laboratoires il riferimento principale per i milioni di appassionati di EcoBio cosmesi in Italia.
La nuova azienda eredita un fatturato 2017 che supera i 17 milioni di euro, in crescita del 26% sul 2016, e un EBITDA, costante negli anni, superiore al 30% dei ricavi.
L’obiettivo quinquennale deliberato dal Consiglio di Amministrazione è di raddoppiare il fatturato entro il 2022, grazie ad un piano che prevede il consolidamento della distribuzione in Italia, l’ingresso progressivo in altri mercati europei, l’acquisizione di un nuovo, ulteriore, sito produttivo e la partnership con istituti di ricerca d’eccellenza che sosterrà il lancio di nuovi prodotti e la crescita della brand awarness quale riferimento per tutto il mondo della cosmesi naturale e biologica.
“Chiudiamo il 2017 con una crescita del +26% – afferma Gianluca Angioletti, Amministratore Delegato di OMIA EcoBio Cosmetics. Il fatturato di OMIA – continua Angioletti, – è arrivato a poco meno di 17,5 milioni di euro. Abbiamo focalizzato il nostro business su OMIA, divenuta oggi la marca di cosmetici naturali e biologici più amata e venduta in Italia” (Fonte dati IRI).
La distribuzione
I prodotti OMIA, presenti anche all’estero, sono distribuiti in Italia nei negozi della Grande Distribuzione come Auchan, Coop, Ipercoop, Carrefour, Despar, nelle maggiori catene di profumeria e nei supermercati alimentari, nuovo canale distributivo, in espansione per il 2018.
“ Ad oggi i prodotti OMIA sono presenti negli ipermercati e casa toilette, con una presenza distributiva del 40%. Intendiamo ampliare la nostra presenza anche sul canale dei supermercati, con superfici inferiori, dove attualmente non è prevista una proposta nell’area del cosmetico naturale e biologico”
Non si arresta il successo di uno dei prodotti simbolo del made in Italy agroalimentare, il Parmigiano Reggiano: nel 2017 la produzione della DOP che è cresciuta del 5,2% rispetto all’anno precedente con il record di oltre 3,65 milioni di forme (circa 147 mila tonnellate), cifra mai raggiunta prima nella storia (millenaria) del formaggio che ha portato un giro d’affari al consumo pari a 2,2 miliardi di euro. I dati economici del comparto Parmigiano Reggiano sono stati presentati oggi a Milano dal Presidente del Consorzio Nicola Bertinelli, il vice Presidente Guglielmo Garagnani e il vice Ministro alle politiche agricole alimentari e forestali Andrea Olivero.
Produzione a +10%, export a +38%
Negli ultimi tre anni la produzione è aumentata da 3,3 milioni di forme a 3,65 milioni di forme, con una crescita del 10%. Il Parmigiano Reggiano sta vivendo un momento felice anche per quanto riguarda le quotazioni: nel 2016 il costo al kg era pari a 8,60 euro, nel 2017 la quotazione media si è attestata a 9,81 euro con un incremento del 14% (fonte: bollettini Borsa Comprensoriale Parma).
E, se l’Italia rappresenta il 62% del mercato, la parte da leone in questo successo la fa l’export che detiene una quota del 38% (+3,9% rispetto all’anno precedente). La Francia è il primo mercato (9.800 tonnellate), seguita da Germania (9.460 tonnellate), Stati Uniti (9.075 tonnellate), Regno Unito (6.163 tonnellate) e Canada (2.380 tonnellate). Se Francia, Germania, Canada e Regno Unito corrono (rispettivamente +11,3% , + 3,2% , +8,1%, +6,6%), gli Stati Uniti frenano (-9,3%) a causa del rapporto euro/dollaro e della concorrenza dei prodotti similari. Al contrario, cresce il Canada che, grazie agli accordi CETA, conferma le previste opportunità di sviluppo.
Distribuzione dell’export del Parmigiano Reggiano per mercato di destinazione.
2018: ulteriore crescita e 20 milioni di euro di comunicazione
La sfida del Consorzio ora è quella di collocare il prodotto sul mercato a un prezzo remunerativo: nel 2018 si prevede infatti un ulteriore incremento della produzione che porterà il numero delle forme a superare quota 3,7 milioni. Per sviluppare la domanda in Italia e all’estero, il Bilancio preventivo del Consorzio ha previsto un investimento in comunicazione pari a 20 milioni di euro (12 in Italia e 8 all’estero): 7 milioni in più rispetto all’anno precedente.
La strategia del Consorzio si basa su quattro pilastri: distintività di prodotto, incremento dell’export, lotta alla contraffazione e sviluppo delle vendite dirette dei caseifici.
Quanto alla distintività di prodotto: “Ci sono 3,5 milioni di famiglie fedelissime al Parmigiano Reggiano, 3,9 milioni al Grana Padano e 14 milioni di famiglie che comprano indistintamente uno o l’altro. Per aumentare le vendite, abbiamo messo in campo azioni di riposizionamento della marca, rafforzando la comunicazione con l’obiettivo di far percepire al consumatore i plus che rendono il Parmigiano Reggiano DOP un formaggio unico al mondo. Un prodotto che si distingue dai competitor per la selezione degli ingredienti migliori e naturali, la completa assenza di conservanti e additivi, il rispetto della stessa ricetta da mille anni” afferma Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano.
Sul fronte dell’exportil Consorzio ha incrementato gli investimenti all’estero sia in ambito marketing che relazioni pubbliche, creando un network di uffici stampa presenti nei principali mercati di riferimento. L’export rappresenta una delle leve principali per sostenere l’incremento di produzione: il Consorzio si pone l’ambizioso obiettivo di crescere di 2/3 punti percentuali l’anno e di arrivare nel 2021 a quota 1,6 milioni di forme esportate. Fondamentale in questo la lotta alla contraffazione. Dal 2017, il Consorzio ha potenziato i programmi di sorveglianza delle ditte di grattugia e dei laboratori di porzionatura (ora al 100%) così da garantire al consumatore l’autenticità del prodotto.
Ultimo tassello della strategia del Consorzio è il sostegno e promozione delle vendite dirette dai Caseifici che avranno accesso al mercato senza mediazioni, non solo attraverso gli spacci aziendali, ma anche con le vendite online, i rapporti diretti con le piccole catene di supermercati e il canale HoReCa. L’obiettivo è quello di aumentare la quota di vendita diretta fino a raggiungere un terzo della produzione complessiva.
Quando la Dop non basta: le certificazioni aggiuntive
Sono 137 caseifici su 335 quelli che hanno aggiunto altre certificazioni alla DOP per rispondere alle diverse esigenze di mercato. Ci sono il Parmigiano Reggiano Biologico, quello di Vacca Bianca Modenese, di Vacca Rossa Reggiana, di Vacca Bruna, e ancora il Prodotto di Montagna, il Kosher, l’Halal e le lunghissime stagionature “da meditazione”. Oltre 360 mila forme che si collocano a prezzi al consumo stabilmente superiori alla media. L’obiettivo del Consorzio è quello di promuovere questi nuovi segmenti di un mercato, condizionati dalla congiuntura che consente ai produttori una remunerazione più alta.
Una crescita di vendite del 3% nel 2017 rispetto al 2016, a 3,384 miliardi di Euro, supportata dallo sviluppo della rete di vendita per un totale di 1.215 punti vendita, con +4,8% rispetto al 2016. Sono i risultati di Despar Italia, consorzio che riunisce sei aziende associate che operano con le insegne Despar, Eurospar e Interspar, annunciati in occasione della convention nazionale. Gli investimenti per finanziare nuove aperture e relative infrastrutture, ma anche per ristrutturare punti vendita esistenti, nel 2017 sono stati di oltre 80 milioni di Euro.
“Il nostro Gruppo conferma una crescita ininterrotta grazie a un lavoro di squadra consolidato capace di trasmettere sicurezza e affidabilità. Il legame al territorio così come l’attenzione verso l’innovazione sono driver di un percorso virtuoso continuo – ha affermato Paul Klotz, Presidente di Despar Italia -. Anche nel 2017 abbiamo continuato a puntare sul capitale umano aprendo nuovi punti vendita e ristrutturandone altri, e gli obiettivi per il 2018 continuano a essere ambiziosi”.
MDD: obiettivo 19% nel 2018
Un aspetto importante per Despar continua a essere rappresentato dalla Marca del Distributore, che nel 2017 ha costituito il 18,6% delle vendite al pubblico. Per il 2018 Despar ha come obiettivo di superare il 19%. Nel 2017 sono stati inoltre lanciati ben 324 nuovi prodotti, appartenenti a diverse categorie merceologiche, oltre a 202 restyling. Le novità hanno riguardato i prodotti biologici, quelli vegani e i free from oltre che le specialità regionali.
“Continua il successo della nostra MDD: una conferma di come i nostri prodotti riescano a soddisfare le esigenze e la sensibilità degli italiani, sempre più attenti ad abitudini alimentari orientate a principi di salute e benessere. Oggi, infatti, fanno la differenza tutti quei prodotti che fanno parte del biologico, della IV gamma e delle tipicità dei territori, e noi offriamo un assortimento veramente vasto e segmentato con prodotti di qualità, sicuri e in linea con le esigenze dei nostri clienti – ha spiegato Lucio Fochesato, Direttore Generale di Despar Italia -. Solo nel 2017, oltre all’introduzione di importanti novità, abbiamo aggiornato più di 200 prodotti per allinearli con le richieste dei clienti ed eliminato da 175 prodotti l’olio di palma, perché l’attenzione verso le ricette e la qualità è un requisito assolutamente essenziale”.
Nel 2018 l’azienda prevede il lancio di ulteriori 280 referenze principalmente nei segmenti premium, salutistico, biologico e dei prodotti di filiera, con una crescita prevista del fatturato del prodotto a marchio del 3,5%.
Meno vino ma per tutti. E se è green ancora meglio. È il focus di un’indagine realizzata da Nomisma per il Consorzio vini piceni in occasione del Vinitaly 2018 in corso alla fiera di Verona. Ma anche quello che si ricava girando per gli stand di un’edizione, la cinquantaduesima del primo salone italiano dedicato all’enologia, matura e consapevole. Priva forse degli eccessi comunicativi di qualche anno fa, ma assai centrata sui contenuti del bicchiere.
Biologico fuori dal ghetto: La prima tendenza che emerge dai padiglioni quest’anno affollatissimi (e sempre più forte emerge l’esigenza di ripensare la collocazione di una fiera diventata troppo grande per una città come Verona) è quella dell’evasione del vino biologico dal ghetto di un consumo di nicchia, riservato a una élite di consumatori informati, curiosi, aperti a nuove esperienze. Ormai sempre più aziende convertono la produzione al regime biologico, perseguono e vantano la certificazione malgrado i suoi costi, ne fanno una scelta di campo prima ancora che di mercato. E il mercato, per l’appunto, risponde: secondo l’indagine Nomisma succitata, realizzata su un campione di 1200 consumatori su tutto il territorio nazionale, il futuro dei vini italiani è per il 20% nel bio e nel 9% di etichette sostenibili.
Il più amato Il vino resta la bevanda prediletta dagli italiani. L’85% della popolazione tra i 18 e i 65 anni ne consuma più o meno regolarmente, con i testa i baby boomers, ovvero gli over 55 (88%) e gli uomini (88%). I giovani non mollano il colpo imponendo nuovo modelli di consumo: meno a pasto ma più da aperitivo (49%, tre anni fa era il 45), e anche mixati (scelti da sette millennials su dieci).
I più conosciuti E le tipologie? Il Prosecco è la più conosciuta (98% del campione) e amata (71%); ciò può naturalmente infastidire i winelovers più competenti ma riafferma la bollicina della Valdobbiadene e del trevigiano come un ottimo entry level dell’enologia. Poi i vini più conosciuti sono il Chianti (97%), il Pinot Grigio (94) e il marchigiano Verdicchio (88).
La fotografia del consumatore di Tannico: a chi piace cosa? Ma a dirci qualcosa di più su come i consumatori scelgono il vino arriva un’altra indagine presentata al Vinitaly, quella realizzata da Tannico, il primo sito per la vendita di vino online, che ha il pregio di essere la più completa mai realizzata nel nostro Paese sull’argomento, con ben 85mila consumatori interpellati.
La ricerca è articolata per tipologie, e svela che la Barbera (o il Barbera?) piace soprattutto agli uomini del Nord ma ha un trend di vendite in calo. Che il Barolo respinge le donne ma attira i top spender (ma non è una sorpresa, trattandosi di un vino che raramente costa meno di 25 euro a bottiglia). Che l’Alto Adige bianco seduce le donne, gli abitanti delle città e – a sorpresa – i pensionati. Che il Franciacorta per la sua eleganza seduce particolarmente gli abitanti dell’Emilia-Romagna (pur essendo bresciano). Che l’Amarone è un vino invernale, maschile e prettamente nordista. Che il Primitivo invece è il Barolo dei meno abbienti. Che il Prosecco (non chiamatelo prosecchino, per favore!) è molto amato dai più facoltosi malgrado la sua fama di bollicina easy. Che la Lugana (un bianco in grande risalita nei gusti dei consumatori) è un vino “provinciale” per definizione (nelle metropoli stenta). Che l’Aglianico è molto amato dalle persone più avanti con l’età. Che l’Etna (altro vino da qualche anno di grande moda) è invece prevalentemente metropolitano. Ah, gli imprenditori bevono molto Brunello di Montalcino. Beati loro.
Come è evoluto il mondo del gluten free? Ne abbiamo parlato con Sara D’Agostini, Lead Marketing Italy di Schär, azienda italiana da 35 anni leader del senza glutine. Un settore in crescita, senz’altro, all’interno del comparto benessere (prodotti salutistici, integrali, biologici e gluten free) che secondo Nielsen nel corso degli ultimi due anni (anno terminante a maggio), ha guadagnato circa il 2% a valore. All’interno di questo comparto il bakery senza glutine che pesa il 7% a valore ha un trend del +20% rispetto nel 2017 sul 2016, per 56 milioni di euro. Una crescita trainata da merendine, fette biscottate e biscotti.
I canali: la Gdo raggiunge la farmacia, crescono gli specializzati
I canali in cui si vendono prodotti gluten free sono tre: la farmacia, la Gdo e i negozi specializzati, novità degli ultimi anni. “Tre canali che hanno vissuto un dinamismo importante con un passaggio di consumatori dal canale farmacia alla Gdo, dovuto al fatto che alcune insegne (oggi circa la metà) hanno attivato la rimborsabilità dei prodotti con il Sistema sanitario nazionale, con un grosso sforzo per attivarlo nei vari punti vendita perché il sistema varia da regione a regione e a volte anche da Asl ad Asl, ma anche con grandi vantaggi, perché il paziente celiaco spesso preferisce acquistare questi prodotti dove può anche fare il resto della spesa”.
Il canale dei negozi specializzati è costituito di punti vendita che vendono esclusivamente prodotti senza glutine: qui i consumatori hanno una scelta molto più vasta degli altri due canali perché sono metrature completamente dedicate a questi prodotti: è un canale che gode di ottima salute.
“La farmacia, canale storico, resta il più importante perché da un lato i prodotti li posso ordinare e ricevere il giorno stesso (utilizzano i corrieri dei farmaci, ndr) anche se il display è molto piccolo posso acquistare in teoria tutti i prodotti gluten free in commercio. La Gdo è quasi allo stesso livello, ma il passaggio di clienti dalla farmacia al momento si è assestato, mentre i negozi specializzati continuano a crescere a doppia cifra, sono realtà sempre più performanti”.
Ma chi e quanti sono questi negozi? “Ci sono piccole catene e franchising ma sono realtà frammentate, quasi sempre indipendenti. Però il negozio specializzato ha il vantaggio di offrire centinaia di referenze e per il celiaco e chi sceglie di mangiare gluten free un punto di riferimento importante. È un canale non rilevato da Nielsen quindi non sappiamo esattamente quanti sono, ma per noi vale un 20% del mercato, sono molto concentrati al centro nord, nel Sud la farmacia è ancora il canale principe mentre al nord la Gdo è più forte.
Oltre la celiachia: alla ricerca di nuovi cereali
In Gdo c’è tutto un fenomeno di marche che in farmacia non esistono come i brand mass market che attirano anche quel consumatore che non ha problemi di salute ma decide davanti allo scaffale, al momento, di acquistare bio, vegetariano o senza glutine. È salutista e sperimenta con il cibo. Spesso compra prodotti senza glutine perché contengono il miglio, la quinoa, il grano saraceno, cereali diversi dal grano.
“Tradizionalmente i prodotti gluten free sono a base di mais e riso, noi come leader di mercato abbiamo iniziato a differenziare, usiamo i cereali nobili naturalmente senza glutine che nell’industria sono dimenticati: il teff, l’amaranto, l’avena, il miglio. Abbiamo anche contratti con coltivatori, ad esempio in Veneto per il miglio, perché avevamo difficoltà ad ottenere le quantità necessarie in una filiera controllata”.
Il consumatore in 4 tipi
Il consumatore di gluten free può essere segmentato in quattro classi: gli inconsapevoli, che comprano senza sapere di acquistare senza glutine, anche perché fanno confusione, e questo succede soprattutto con i brand mass market: sono il 60% dei consumatori, che spendono pochissimo; i celiaci sono il 4% ma generano un alto valore (in Italia l’incidenza della malattia sulla popolazione italiana sarebbe l’1% ma i diagnosticati sono 200mila dunque in teoria ci sono 400mila malati non diagnosticati, mentre la sensibilità al glutine è più alta – e controversa – e, non riconosciuta dall’Ssn quindi passa per la Gdo). Il 16% è sensibile al glutine, e il restante 20% sono consumatori che acquistano il senza glutine consapevolmente per scelta alimentare: “i motivi sono diversissimi alcuni vogliono variare la dieta, alcuni pensano di avere benefici per la salute, sono tante persone ma con una spesa media relativamente bassa e spesso non scelgono brand specializzati come noi, ma marchi mass market. Sono consumatori che cercano cose diverse nei prodotti e noi cerchiamo di rispondere a tutte le esigenze, anche se siamo nati come marchio dietetico e ancora oggi l’80% del nostro fatturato lo facciamo con i celiaci. La torta in realtà si è allargata, continuano a crescere i light buyer ma aumentano anche le nuove diagnosi, il l’ultima relazione sulla celiachia del ministero della Salute è del 2016 e parla di quasi 200mila diagnosticati, con 15mila diagnosi in più rispetto all’anno precedente”.
“La nostra gamma è fatta da più di 150 referenze che offrono tutti i momenti di consumo e quindi siamo grossi fautori dello scaffale dietetico in Gdo e facciamo molti progetti di category per definire come deve essere organizzato. Aiutiamo a definire la categoria, anche perché con l’aprirsi del mercato si è creata una grande confusione”.
Federico Sarzi Braga, Presidente e AD Sanpellegrino.
Sono pieni di bollicine i risultati del 2017 di Sanpellegrino, azienda italiana leader nel settore delle acque minerali e delle bibite non alcoliche. Lo scorso anno si è chiuso con un fatturato di 895 milioni di euro e 3,7 miliardi di bottiglie prodotte. Fanno sorridere in particolare i dati relativi all’estero, dove il marchio è sempre più identificato con lo stile italiano nel mondo. I mercati internazionali hanno assorbito 1,6 miliardi di bottiglie, con il 54% del fatturato complessivo e un aumento dell’export del 4% rispetto all’anno precedente. Grazie in particolare alle acque minerali S. Pellegrino (+5,2% a volume rispetto al 2016) e Acqua Panna (+7% a volume rispetto al 2016), prodotti venduti in oltre 150 Paesi, il giro d’affari di Sanpellegrino sui mercati internazionali è cresciuto con incrementi del 7,8% a volume in Europa e del 14,8% a volume in America Latina. In Italia le vendite sono state spinte dal marchio Levissima che è cresciuto del 7% a volume rispetto allo scorso anno. Sul mercato domestico il Gruppo Sanpellegrino ha registrato un fatturato di 410 milioni di euro, rafforzando la propria leadership a volume.
Sanpellegrino proprio alla fine del 2017 ha annunciato un investimento di 30 milioni di euro per il restyling dello stabilimento di Cepina Val di Sotto in provincia di Sondrio, dove viene imbottigliata l’acqua Levissima. L’obiettivo è elevare le performance ambientali, rendere il sito produttivo più efficiente e fornire ai lavoratori spazi più confortevoli. Nel 2018 partiranno anche i lavori per la realizzazione della Flagship Factory di San Pellegrino Terme in provincia di Brescia, progettata dallo studio BIG, guidato dall’architetto danese Bjarke Ingels, per valorizzare il territorio attraendo turisti da tutto il mondo.
“Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti nel 2017, trainati dal segmento delle acque minerali che è cresciuto anche grazie a un’estate particolarmente calda – dice Federico Sarzi Braga, presidente e amministratore delegato del gruppo Sanpellegrino –. Numeri che dimostrano che i consumatori italiani e stranieri scelgono sempre più spesso un’idratazione di qualità. Per continuare a mantenere una posizione di leadership in mercato che è sempre più competitivo e a bassa redditività, Sanpellegrino ha sviluppato piani per lavorare con strutture sempre più efficienti e realizzare prodotti innovativi capaci di intercettare nuovi trend in crescita e ad alto valore aggiunto, in grado di garantire sostenibilità al business e di rispondere alle richieste di consumatori sempre più attenti a uno stile di vita sano”.
Spar, quarta catena della Gdo ungherese ha un supermercato aperto in un mercato vittoriano di Budapest, a piazza Klauzál nel rinnovato settimo distretto, l’ex quartiere ebraico della città. In un gioco di rimandi tra dentro e fuori, i banchi esterni vendono frutta e verdura e fiori mentre all’interno lo store di 700 metri quadri ha di tutto un po’, compreso un banco di cibo pronto da portar via. Dunque è possibile per la Gdo cogliere il successo dei mercati storici, tutte volte di ferro e vetro presenti in quasi tutte le città europee, da Genova a Barcellona. Sempre a Budapest c’è una Coop dentro al gigantesco (e un po’ turistico) Mercato centrale. Ma questo di Klauzál ha la particolarità di essere completamente integrato in un’area della struttura, e lasciando ad esempio i caratteristici piloni di ghisa a vista.
[Not a valid template]Spar Ungheria (Spar Magyarország) è una divisione dell’austriaca Aspiag service, costola di Spar Austria che gestisce le operazioni in Nord Italia, Slovenia, Ungheria e Croazia. L’Ungheria è il maggior mercato Spar del dell’Europa centrale e dell’Est con un fatturato annuo di 1,67 miliardi di euro. Ha 493 punti vendita nel Paese.
Tra i prossimi progetti la costruzione di un punto vendita da 4,2 miliardi di fiorini ungheresi (13,4 milioni di euro) a Tata (nel nord-ovest del Paese). E sta completando la costruzione di un impianto per la produzione di panini e insalate alla periferia di Budapest.
I format di Spar Ungheria
Supermercati SPAR. Fino a 2.000 metri quadri, uniscono un approccio moderna al classico supermercato di prossimità
SPAR City Market presenti in Ungheria e Slovenia sono piccoli supermercati in zone di grande traffico cittadino
SPAR 2000. in Croazia, Ungheria e Slovenia su una superficie di circa 2.000 metri quadri sono contraddistinti da una grande selezione di freschi .
SPAR Express lanciati nel 2013, sono inseriti nei distributori di benzina in Ungheria. Aperti 24/7.
Un mercato in crescita
Quest’anno è stata ridata alle insegne della Gdo la possibilità di tenere aperti la domenica, dopo che il governo aveva emanato una legge contraria. Secondo le statistiche la Gdo nell’Europa dell’Est è un settore destinato a crescere (leggi Il grocery europeo varrà 2.289 miliardi nel 2022: la top 20 dei mercati)
Una conferma a viene dai dati di gennaio: le vendite nel retail sono cresciute del 7,8% rispetto allo stesso periodo del 2017, secondo il Central Statistical Office (KSH). Il prossimo 8 aprile si terranno le elezioni parlamentari, nel 28esimo anniversario delle prime elezioni tenute dopo la caduta del comunismo nel Paese. Si voterà per rinnovare il Parlamento, composto da una camera unica da 199 seggi: si prevede una riconferma di Fidesz, partito del nazionalconservatore Viktor Orbán, primo ministro in carica.
Si fa presto a dire crisi, bassa redditività, concorrenza con l’e-commerce: sta di fatto che il mercato europeo del grocery pesa, ed è destinato a crescere: secondo Igd varrà nel 2022 ben 2.289 miliardi di euro, 377,6 miliardi in più di oggi. Con un CAGR del +3,7% tra il 2017 e il 2022, la crescita sarà spinta da Turchia, Russia e Regno Unito che assommeranno il 51% della crescita. Il che concentrerà in Europa il 16% delle vendite globali nei cinque da qui al 2022.
In Europa centro orientale la maggiore crescita
L’aumento della spesa famigliare spinge i consumi dell’Europa orientale, con Ucraina, Russia e Polonia che registrano gli incrementi maggiori.
Layout sempre più attraenti, food court con proposte assai variegate, opzioni di ristorazione anche in negozio tendono ad attirare e convincere i clienti a sostare per più tempo nel punti vendita. Le tecnologie invece rendono l’esperienza della spesa più facile e veloce.
Aumenta la fiducia in Europa occidentale
La fiducia dei consumatori tenderà ad aumentare e spingerà le vendite in Italia, Francia e Spagna. E i retailer continueranno a cercare nuovi modi per aumentare le vendite, puntando anche su prodotti di nicchia e opzioni biologiche, gluten-free e free from. Proseguirà il successo dei discount, che apriranno nuovi punti vendita e massimizzeranno gli assortimenti, traendo profitto anche dal canale online, in uno scenario sempre più competitivo.
Tra i trend più cruciali ci sarà l’alimentazione legata alla salute e il fuoricasa.
La top 20 dei mercati europei grocery 2017-2022
Nella classifica dei mercati europei l’Italia nel 2022 sarà sesta, sorpassata da una Turchia in espansione a due cifre (+11,7%, unico mercato europeo), con un incremento medio basso del 2%, mentre l’Ucraina sorpassa la Svezia.
Un 2017 soddisfacente per Aspiag Service, concessionaria Despar per Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Emilia Romagna, che archivia l’anno con un fatturato di 2,16 miliardi e un incremento del 4,5% sull’anno precedente. Superiore alla media nazionale della Gdo, che è dell’1,4%.
«L’incremento del nostro fatturato al pubblico, per quanto conseguito in un contesto socio-economico ben lontano dall’essere tranquillo, è un indicatore soltanto parziale del successo di Aspiag Service – ha commentato il .Presidente Rudolf Staudinger -. Testimonia però la dinamicità della nostra Azienda, che prosegue il cammino in costante crescita degli ultimi anni, garantendo stabilità e opportunità alle donne e agli uomini che lavorano in Despar, e che sono l’unica e inimitabile fonte della nostra riconoscibilità e della nostra riuscita sul mercato».
264 nuove assunzioni, 21 punti vendita in più
Il numero dei collaboratori di Aspiag Service è cresciuto nel 2017, passando da 7.568 collaboratori di fine 2016 a 7.832 dodici mesi più tardi, con la creazione di 264 nuovi posti di lavoro. Buona parte delle nuove assunzioni sono frutto dell’intenso programma di sviluppo di Despar nel corso dell’anno: l’azienda, infatti, ha inaugurato 21 punti vendita, tra filiali dirette e negozi affidati a dettaglianti associati, e ne ha ristrutturati altri 10, per un investimento complessivo di oltre 52 milioni di euro.
Tredici nuove aperture e cinque ristrutturazioni riguardano il settore dei dettaglianti associati alle insegne Despar e Eurospar. A fronte della chiusura di alcuni market più piccoli e datati, il settore dei ‘negozi sotto casa’ resta uno dei punti di forza di Aspiag Service, che continua a investire nei punti vendita di vicinato. Non solo: nella seconda metà del 2017, Aspiag Service ha dato il via ai lavori per la realizzazione di un nuovo polo logistico a Monselice (PD): si estenderà su un’area di 32 ettari, e ha già in corso un primo investimento di 163 milioni di euro.
Guardando all’Emilia Romagna
Sul fronte internazionale, cresce anche il Gruppo Spar Austria, di cui Aspiag Service fa parte assieme alle organizzazioni Spar di Austria, Slovenia, Croazia e Ungheria: nel 2017 ha realizzato complessivamente 14,64 miliardi di fatturato al pubblico (+6,5% rispetto all’anno precedente), con 3.164 punti vendita e 81.394 persone impiegate.
«Essere inseriti in una solida rete europea ci ha sicuramente aiutati a crescere – dice Staudinger – , e altrettanto sicuramente ci aiuterà ad affrontare gli impegni dei prossimi anni, a cominciare dal consolidamento della nostra presenza in Emilia Romagna».
Parmacotto S.p.A., tra le più note aziende italiane nella produzione e commercializzazione di salumi e affettati pronti, cambia proprietà: l’imprenditore bolognese Giovanni Zaccanti, già co-fondatore di Saeco e Caffitaly, ha acquisito la maggioranza dell’azienda, e assume la carica di Presidente.
Con un fatturato di 58 milioni nel 2017 e 140 dipendenti, Parmacotto opera da 40 anni sul mercato italiano, producendo e commercializzando salumi e affini nel canale Gdo e dettaglio tradizionale. Negli ultimi due anni, la proprietà della Società è passata ad un gruppo di fornitori della stessa, a seguito di un importante piano di ristrutturazione che ha puntato sulla qualità a garanzia dei prodotti e sulla notorietà del brand.
«L’acquisizione di Parmacotto è per me una nuova sfida – ha dichiaratoZaccanti. Ho lavorato tutta la mia vita nel settore delle macchine e delle capsule per caffè, ma quando mi si è presentata questa nuova avventura non ho esitato. Parmacotto è un’azienda che sta riacquisendo la propria solidità: negli ultimi anni, nonostante la contrazione globale del mercato e le vicende che si sono susseguite internamente all’azienda, è riuscita comunque a crescere e performare in maniera ottimale».
«Questo è un momento di grande soddisfazione per tutta la Parmacotto e per tutte le persone che hanno lavorato a questo progetto. Il grande risultato ottenuto lo si deve al lavoro del team e alla condivisione di valori che oggi contraddistinguono la nostra azienda: alta qualità nella preparazione dei prodotti, sicurezza alimentare, grande rispetto nelle relazioni umane, impegno etico e sociale. Questa è oggi la Parmacotto» ha detto Andrea Schivazappa, AD di Parmacotto dal 2017.
Hanno assistito la nuova proprietà nella definizione degli accordi con le parti venditrici i professionisti di RTZ e RTZ Legal. La famiglia Vitali compartecipa in quota di minoranza all’operazione.
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