1886Bonomi firma una propria linea di capsule monodose compatibili con le macchine Nespresso. Tre miscele, giallo Kaffa, rosso Special Bar e celeste Decaffeinato, per gustare, anche a casa, un caffè di qualità. Le miscele 1886Bonomi nascono dalla profonda conoscenza della materia prima, sin dalle origini, e dall’esperienza nella sua lavorazione in ogni fase del processo produttivo. Dopo accurate analisi di laboratorio, le diverse varietà di caffè sono state combinate e adattate al processo di estrazione per la macchina Nespresso, per garantire una perfetta conservazione delle qualità organolettiche del caffè, dalla polvere macinata alla tazzina. Confezionate in blister da 10 unità, le capsule presentano un involucro trasparente per esaltare il colore bruno delle miscele e un sigillo ermetico a tinte vivaci per preservare la fragranza del caffè appena macinato.
Kaffa deve il suo corpo pieno e ricco ad una miscela di caffè Arabica dell’America Centrale e di Robusta Indiano. Note di cacao si sprigionano dal suo aroma intenso e fragrante. L’equilibrio della miscela di Arabica dell’America Centrale, sottoposta a leggera tostatura, unita a un tocco di Robusta Indiana, conferisce a Special bar note dolci e un gusto persistente sul palato. Per il Decaffeinato le varietà di Arabica selezionate dal centro America vengono tostate separatamente e in maniera leggera per sottolineare le loro caratteristiche e rivelare note dolci e biscottate.
Le ricerche lo confermano, la sostenibilità sociale è ormai richiesta e ricercata dai consumatori, e i recenti fatti di cronaca confermano come il pomodoro, non c’è Made in Italy che tenga, sia uno dei prodotti più a rischio di “contaminazione” mafiosa e utilizzo di mano d’opera in condizioni di lavoro al limite dello schiavismo. Per questo giunge a proposito l’arrivo nella famiglia del Solidale ItalianoAltromercato della nuova passata di pomodoro bio Solidale Italiano, nata dalla collaborazione tra il Consorzio fair trade e NCO – Nuova Cooperazione Organizzata. Coltivati in Campania su terreni sottratti alla criminalità organizzata, i pomodori utilizzati per la passata vengono raccolti, nel rispetto del lavoro e dell’ambiente, contro ogni forma di sfruttamento e caporalato. Costituito nel 2012, il Consorzio NCO – Nuova Cooperazione Organizzata parte dalla coltivazione dei terreni confiscati alla camorra per realizzare un modello di agricoltura biologica e sociale, che coinvolge lavoratori svantaggiati e guarda a garanzie di tracciabilità, sostenibilità, filiera corta ed etica.
Il progetto Solidale Italiano Altromercato ha l’obiettivo di valorizzare i prodotti fatti in Italia da realtà produttive di qualità, ecologicamente e socialmente responsabili. Prodotti biologici e d’eccellenza, che tutelano la biodiversità e le tipicità del territorio. Un valore che va oltre la produzione, portando con sé libertà, rispetto dei diritti, della terra e di chi la coltiva, secondo i princìpi del Commercio Equo e Solidale.
I pomodori del Consorzio NCO si affiancano a quelli della Cooperativa sociale Pietra di Scarto di Cerignola, in Puglia, coltivati su terreni liberi dalle mafie e dal caporalato e già utilizzati per i pelati bio Solidale Italiano Altromercato. Questa nuova collaborazione ha quasi raddoppiato la produzione di Solidale Italiano Altromercato nel comparto e segna un ulteriore passo avanti per realizzare una visione della coltivazione del pomodoro, che passi dalla riaffermazione dei diritti dei lavoratori.
Il caporalato è una piaga che coinvolge in Italia oltre 400.000 persone (Fonte: Secondo Rapporto Agromafie e Caporalato/ Flai Cgil), che lavorano in condizioni al limite della dignità. «Un’iniziativa come quella del Solidale Italiano Altromercato è molto importante come risposta concreta al fenomeno, soprattutto per quanto riguarda un’agricoltura etica” – ha commentato Yvan Sagnet, Coordinatore Regionale per l’Immigrazione della Flai Cgil Puglia e autore del libro “Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso” (Fandango Libri, 2012). – I consumatori hanno preso ormai coscienza del fenomeno e ci chiedono dove possono trovare prodotti di qualità. Noi indichiamo Altromercato: un soggetto credibile che può portare una risposta in tal senso, anche perché è una realtà diffusa sul territorio grazie alle sue Botteghe, e questo agevola il nostro lavoro perché possiamo raggiungere i consumatori in tutte le parti d’Italia».
La passata di pomodoro bio Solidale Italiano Altromercato, prodotta dalle cooperative Un fiore per la vita e Al di là dei sogni, socie di NCO, sarà tra i protagonisti delle due settimane dedicate da Altromercato al Solidale Italiano, fino al 7 novembre, nelle Botteghe Altromercato aderenti e nella Bottega Online. Per invitare ad assaggiare i prodotti del Solidale Italiano, con una spesa minima di 10 euro di prodotti a marchio Solidale Italiano Altromercato regala la pasta di farro bio e, su una spesa di almeno 25 euro, aggiunge anche la passata di pomodoro bio.
Laquarta edizione della classifica “Rompiscatole” di Greenpeace, che valuta la sostenibilità del tonno in scatola venduto in Italia non lesina sorprese. Greenpeace ha analizzato gli 11 marchi di tonno più diffusi sugli scaffali, che rappresentano circa l’80% del mercato italiano, in base alle loro politiche di sostenibilità e equità, le specie catturate, i metodi di pesca usati e le informazioni che forniscono ai consumatori. A due anni dall’ultimo ranking – illustra una nota dell’organizzazione ambientalista – c’è chi scende e c’è chi sale.
ASdoMAR è l’unico produttore che si posiziona in fascia verde, con il prodotto più sostenibile: “Sempre attento alle tematiche ambientali, AsdoMar offre un’ampia gamma di prodotti sostenibili: manca poco per essere 100% sostenibile!” è il verdetto finale.
In fascia gialla, si classificano i prodotti di Esselunga, Conad, Rio Mare, Coop, Nostromo e Carrefour perché, secondo Greenpeace mancano ancora dei passi per essere sostenibili (alcuni marchi hanno però gdelle referenze sostenibili, altri sono impegnati per inserirle). Rio Mare, leader del mercato italiano, resta al quarto posto perché dimostra di voler mantenere gli impegni, ma non ha fatto ancora abbastanza.
Infine nella fascia rossa, i bocciati, vi sono i prodotti MareBlu, Auchan, Lidl e Mareaperto. “Mareblu – si legge – nonostante le promesse di bandire i metodi di pesca distruttivi, usando solo tonno da pesca a canna o senza FAD entro il 2016, oggi non arriva neanche allo 0,2% di prodotti sostenibili e finisce sul fondo. Nella maggior parte delle sue scatolette finisce infatti tonno pescato con reti a circuizione usate con sistemi di aggregazione per pesci (FAD), che svuotano i nostri mari uccidendo ogni anno migliaia di giovani esemplari di tonno (baby-tuna) e numerosi animali marini, tra cui squali e tartarughe. Non è l’unico neo: Thai Union, l’azienda che dal 2010 è proprietaria del marchio Mareblu, è stata recentemente coinvolta in uno scandalo internazionale che riguarda la violazione dei diritti umani lungo le sue filiere di produzione”.
La classifica di Greenpeace è stilata tenendo conto di una serie di parametri: tracciabilità, politica per un approvvigionamento sostenibile, metodi di pesca, stato di salute delle specie di tonno usate, etichettatura del prodotto e informazioni ai consumatori, responsabilità e impegni per una pesca equa e giusta, supporto alla creazione di Riserve Marine e promozione di un cambiamento dell’industria del tonno, impegni precisi per evitare tonno che proviene pesca illegale, non documentata e non regolamentata (IUU).
Il suino italiano d’allevamento soffre, diminuisce la produzione di uno degli asset della nostra gastronomia ed aumenta l’import da Paesi europei. I dati che certificano lo stato di sofferenza della suinicoltura italiana sono eclatanti.
L’ultimo censimento dell’agricoltura ha fotografato una forte diminuzione degli allevamenti di suino pesante (165 kg e oltre), con un deficit produttivo rispetto ai consumi del 34%. In Emilia-Romagna, tra il 2006 e il 2014, i capi allevati sono diminuiti del 17,5%, con un picco negativo per le scrofe del 19%. A livello nazionale, oggi i suini pesanti allevati sono 7,93 milioni (erano 8,72 milioni nel 2010) con circa 4.000 aziende fornitrici di materia prima per i salumi DOP e IGP.
«Le macellazioni di suini pesanti DOP sono in diminuzione: il dato relativo al 2013, con 8,02 milioni di capi macellati, rappresenta il numero più basso dal 2003 dei suini immessi nel circuito dei prodotti tutelati – ha spiegato Carlo Galloni, Presidente di Fratelli Galloni azienda specializzata nella produzione di Prosciutto di Parma -. Assistiamo quindi a due fenomeni: da un lato, è in aumento il numero di capi allevati al di fuori dei vincoli previsti dai disciplinari di produzione, con 437.000 suinetti importati per lo più dal Nord Europa e una diminuzione del numero di scrofe allevate. Dall’altro lato, per via del costo più competitivo, è in crescita la percentuale di carni fresche provenienti da Paesi stranieri, pronte per essere trasformate in prodotti di salumeria: nel 2014 le importazioni sono cresciute del 15,2% rispetto al 2013 e la crescita nel primo trimestre del 2015 è stata di un ulteriore 15,7%».
La suinicoltura italiana, che in passato ha beneficiato delle rigidità delle DOP, è quindi di fronte a una sfida cruciale: adeguarsi alle logiche del mercato moderno senza rinunciare alla qualità. La soluzione secondo Fratelli Galloni sta nella ricerca, e in particolare dalla genomica. Lavorando con gli Istituti di Ricerca e coinvolgendo attori accademico/scientifici e naturalmente i produttori. il Consorzio del Prosciutto di Parma e le associazioni di categoria, la suinicoltura dovrà individuare nuovi genomi che le permettano in un orizzonte di tempo di cinque anni di recuperare in termini di competitività nei riguardi dei produttori/allevatori comunitari.
Come ha spiegato il prof. Paolo Zambonelli, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari (DISTAL) dell’Università degli Studi di Bologna in occasione dell’incontro organizzato ad Expo dalla Fratelli Galloni nello spazio di Intesa Sanpaolo: «La qualità della carne suina è un carattere determinato dalla somma dell’azione di più geni. Il pH, la capacità di ritenzione idrica, la tenerezza, il colore, la percentuale di grasso intramuscolare, la succosità, il calo di sgocciolatura, la capacità di assorbimento del sale, il contenuto di acido oleico. Occorre sfruttare le conoscenze maturate in materia di genetica molecolare per selezionare a livello di DNA i marcatori che controllano la variabilità fenotipica di questi caratteri: nel genoma dei suini ci sono oltre 25.000 geni che interagiscono tra di loro in modo complesso per definire le caratteristiche di ciascun individuo. L’attività pilota del progetto che auspichiamo di realizzare si baserà sulla selezione di alcuni allevamenti, sulla scelta dei tipi genetici da studiare e sul confronto tra prosciutti crudi eccellenti e prodotti mediocri. L’obiettivo è individuare bio-marcatori a fini selettivi nell’allevamento suinicolo per migliorare l’adattamento del sistema produttivo zootecnico alle esigenze dei produttori e del mercato».
È piaciuta ai consumatori l’attività di co-marketing tra Motta e Sun – Supermercati Uniti Nazionali, gruppo di acquisto attivo nel nord e nel centro Italia. Semplice ed efficace: acquistando una confezione di Buondì Motta nei punti vendita delle aziende aderenti al Consorzio Sun (Magazzini Gabrielli, Italbrix, Cadoro e Gros) è possibile comperare a solo 1 centesimo un litro di latte Consilia, private label della centrale di acquisto Sun.
«Da sempre il latte rappresenta un alimento indispensabile della nostra dieta Mediterranea – ha dichiarato Sfefano Rango direttore generale Sun – per questo abbiamo voluto andare ancora di più incontro alle esigenze dei nostri consumatori vendendo 1 litro di latte a solo un centesimo grazie a questa attività di co-marketing con un’azienda storica e importante quale Motta».
La scatoletta di tonno, poi, non manca mai nella dispensa degli italiani: in media 4 scatolette, ma nel 93% dei casi almeno una è sempre a disposizione. Del resto, sottolinea il presdiente di Ancit Vito Santarsiero «nel 2014 i consumi di tonno sono aumentati a dispetto di una situazione economica complessiva non proprio favorevole».
La metà degli italiani (45%) – riporta la ricerca – acquista il tonno in scatola perché è gustoso, il 33% perché è un cibo antispreco, il 31% perché è conveniente (per la presenza di proteine nobili a basso costo) e sicuro, il 25% per il suo alto contenuto di servizio.
Come lo preferiscono? Oltre la metà degli italiani (57%) toglie l’olio d’oliva presente nel tonno, ma il 17% ne lascia una metà e il 18% lo versa nel piatto. Anzi, 1 italiano su dieci riutilizza l’olio per cucinare e condire.
Il tonno conferma la sua versatilità anche per il fatto che il 65% degli italiani, se ne avanza, lo conserva e lo consuma nel giro di qualche giorno come condimento di pasta o insalate.
A utilizzo completato, poi, l’84% butta la scatoletta nella raccolta differenziata: i tre quarti di loro lava la scatoletta, mentre il 23% la getta senza lavarla.
Un momento del convegno organizzato da Cir Food a Expo: da sinistra Luca Ponzi, moderatore, Andrea di Stefano (Novamont), Silvio Barbero (Slow Food), Gian Carlo Caselli e Alessandro Leo (Libera Terra).
L’agroalimentare è un settore che si presta ancor più di altri alle infiltrazioni mafiose, fatto di piccole aziende “aggredibili” da quella “mafia liquida” che penetra ovunque ci sia la possibilità di fare o riciclare denaro: 15,4 miliardi di euro è la stima dei guadagni dalle agromafie nel 2014 (secondo il terzo rapporto Agromafie Coldiretti / Eurispes). «Quando entra in un settore la mafia tende a impadronirsene e a svuotarlo – spiega l’ex pocuratore Gian Carlo Caselli – cancellando i diritti sindacali e ricorrendo anche alla forza per risolvere problematiche che gli altri imprenditori devono affrontare rispettando le regole. L’agroalimentare è un settore florido, che non subisce più di tanto la crisi, l’appeal del Made in Italy nel mondo è innegabile. Dunque presenta alla mafia grandi possibilità di guadagno, in tutta la filiera, dalla coltivazione alla distribuzione e ristorazione, passando per il trasporto». Insomma, “il piatto è ricco”. E il rischio di avere conseguenze, in caso di frodi e contraffazioni, oggi è basso.
Contraffazione bio e mancato ritiro della merce nuovi reati
Gian Carlo Caselli e a sin. Silvio Barbero.
Servono nuove leggi più incisive: il 14 ottobre la Commissione ministeriale presieduta da Gian Carlo Caselli presenterà al ministro della Giustizia Andrea Orlando il testo definitivo della riforma dei reati agroalimentari. Volto ad aggiornare una legge “obsoleta e financo criminosa nella sua incapacità a rendere poco conveniente la contraffazione” ha detto lo stesso Caselli al convegno “Filiera della legalità nel settore alimentare” organizzato dalla cooperativa di ristorazione Cir Food a Expo. Il testo prevede nuovi reati come il disastro sanitario (avvelenamento, contaminazione o corruzione di acque o sostanze alimentari), l’omesso ritiro dal mercato di sostanze alimentari pericolose nel ciclo produttivo e distributivo, il reato di agropirateria ovvero il crimine agroalimentare perpetrato da organizzazione criminale non ascrivibile ad associazione mafiosa (che non rientra dunque nel 416bis), la simulazione di metodi di agricoltura biologica e la falsa indicazione geografica di un prodotto. Sono poi previsti modelli organizzativi aziendali che individuino responsabilità amministrativa anche alle persone giuridiche come strumento di prevenzione dei reati alimentari.
«Il fulcro della nuova normativa è la tutela dei prodotti alimentari imperniata sulla figura del consumatore finale – ha spiegato Caselli -. La frode è considerata lesiva soprattutto dei suoi interessi, tendendo anche conto del maggior valore che ha progressivamente assunto l’identità del cibo nella cultura dei territori, delle comunità locali e dei piccoli produttori. È una legge pragmatica, con sanzioni pesanti, tra cui la sospensione ed espulsione dal mercato, che valorizza il ravvedimento operoso. E c’è la prospettiva di un’etichetta “narrante”, comprensibile e trasparente, che faccia capire chiaramente cosa c’è dentro cibi e bevande». «Una buona legge insomma ricordando – ammonisce Caselli – che anche la legge migliore se non è applicata, se il processo non funziona rimane sulla carta. Non servono solo nuove norme ma controlli e la diffusione di una cultura della legalità».
Slow Food: la distribuzione deve assicurare la pulizia della filiera «Dobbiamo cambiare il paradigma del nostro rapporto con il cibo cambiando la scala di valori: non è più sufficiente che il cibo sia “buono” nel senso della sicurezza alimentare, ma deve anche essere “legale” per poter essere messo sul mercato. Deve includere valori quali i diritti dei lavoratori, deve essere il frutto di un corretto rapporto con il territorio che lo produce, di un’economia democratica, di piccola e media scala, e di una filiera trasparente» ha detto Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università delle scienze Gastronomiche di Pollenzo e tra i fondatori di Slow Food. «Al mondo della distribuzione chiediamo che assuma alcuni elementi di codice per cui certi prodotti siano esclusi dalle politiche di acquisto, garantendo al consumatore la pulizia della filiera. Non è difficile, in questo Paese le cose si sanno. Ma è necessario fare formazione sulle tematiche della legalità agli addetti agli acquisti. I consumatori devono essere messi in condizione di poter scegliere in modo chiaro: oggi non lo sono».
Chiara Nasi, presidente Cir Food.
“Pessimista” si è dichiarata Chiara Nasi, presidente di Cir. «La politica del contenimento dei prezzi per forza di cose apre le porte a player che non sono legali, praticano il lavoro in nero, non rispettano i capitolati. È vero, le aziende che praticano l’illegalità devono uscire dal mercato, ma spesso anche quando ciò avviene rientrano con un altro nome. Oggi, anche grazie alle nuove tecnologie, alle app che leggono le etichette ad esempio, si potrebbe fare moltissimo. Non è però solo questione di buone norme, il problema è applicarle e diffondere una rivoluzione culturale che vedo ancora molto lontana. Ma è una battaglia che dobbiamo vincere».
Caporalato si deve fare di più La piaga del caporalato balzata alle cronache questa estate non è considerata nel disegno di legge «ma – ha annunciato l’ex procuratore – chiederemo al ministro l’istituzione di una Commissione apposita. È una piaga di cui sappiamo tutto, eppure si sta espandendo nelle aree più ricche, come dimostrano i recenti casi in Piemonte. Si tende ad appocciare secondo logiche emergenziali, se c’è un morto o nella stagione della raccolta, per poi dimenticarsene il resto dell’anno: andrebbe invece affrontata in una logica strutturale, come un’economia perversa che ha legami con la mafia». «Si è scoperto che un fenomeno che sembrava toccare solo stranieri e migranti riguarda, complice la crisi, anche cittadini italiani, soprattutto donne – dice Alessandro Leo, presidente del Consorzio Libera Terra Mediterraneo – . Noi ci opponiamo a questo modello dimostrando che sui terreni confiscati alla mafia si può praticare un’economia diversa, che crea lavoro e valore tramite il biologico e le eccellenze agroalimentari. Ricordando che chi è schiavo non controlla il proprio lavoro, e utilizzerà e sarà vittima dell’uso di diserbanti e pesticidi ad esempio».
Il prezzo della legalità Tutto ciò si scontra spesso con un consumatore abituato a scegliere i prodotti alimentari guardando al prezzo più basso. «La sintesi del nostro lavoro sono i prodotti venduti sugli scaffali dei supermercati – dice ancora Leo -. Coop ma ora anche Auchan e Carrefour, segno che stiamo riuscendo ad avere prezzi sostenibili con il mercato anche non cooperativo -. Dimostrano che l’acquisto di un prodotto è una presa di posizione, un atto politico che però presuppone una conoscenza da parte del consumatore. Il rispetto dei diritti dei lavoratori per noi è scontato ma non lo è per tutti, e nemmeno la paga minima ai braccianti agricoli. Siamo un’impresa pulita che crea opportunità di lavoro, tutelando il territorio e il reddito dei contadini che lo custodiscono, anche attraverso l’agricoltura biologica, creando lavoro e rapporti». «I cittadini devono capire che il prezzo non è tutto, specie per quanto riguarda i prodotti alimentari: ogni anno ne buttiamo via 13 miliardi di euro. Bisogna diffondere e far vincere la cultura di consumare meno ma consumare meglio su quella del prezzo più basso» ha commentato Andrea Di Stefano di Novamont, azienda attiva nel settore delle plastiche biodegradabili. «I consumatori devono sapere che, se spendono un po’ di più per un prodotto, lo fanno per un Paese più pulito» conclude Barbero.
Un settore in crescita costante dal 2008, che ha superato indenne la crisi: è quello degli integratori alimentari. «Da settembre 2014 ad agosto 2015 sono state vendute 180 milioni di confezioni per un valore di 2,5 miliardi di euro, con una crescita anno su anno del 9,8% a valore del 9,2% a volume. Il mercato è triplicato negli ultimi 15 anni. E ha ormai superato le vendite dei farmaci senza obbligo di ricetta» ha spiegato Marco Fiorani, presidente di Federsalus, l’Associazione Nazionale Aziende Prodotti Salutistici (che comprendono integratori alimentari, alimenti arricchiti, prodotti dietetici, functional foods). Otto italiani su dieci dichiarano di aver usato un integratore nell’ultimo anno (+15% dal 2012), ed è sempre più diffuso il consiglio da parte dei medici, praticato dal 55% dei medici di medicina generale e dal 33% degli specialisti. In quanto a canale, la stragrande maggioranza delle vendite avviene in farmacia e parafarmacia, con un valore di 2.285,3 milioni di euro e 151,6 milioni di confezioni vendute (+9,7% a valore e +9,2% a unità venduta) mentre la GDO ha movimentato 197,3 milioni di euro con un trend di crescita però superiore: +10,8% a volume e +10,4% a unità. Le tipologie più richieste nella grande distribuzione sono i prodotti a base di vitamine e minerali, i coadiuvanti del controllo di colesterolo e del peso, gli energetici, le barrette energetiche o sostitutive del pasto, e i probiotici.
Marco Fiorani, presidente Federsalus, al convegno “Gli integratori alimentari in pillole: vero o falso?”.
«Dietro a questi numeri c’è un la progressiva evoluzione del rapporto degli italiani con la salute, non più passivo ma attivo e progettuale – ha detto ancora Fiorani -, che si traduce in un’attenzione agli ingredienti contenuti negli alimenti e al cibo in generale, e nella pratica dell’attività fisica. Secondo una ricerca Eurisko chi consuma integratori è più attento alla salute ed effettua più controlli medici della media».
Fermenti lattici, primi consumatori in Europa In Europa il mercato degli integratori vale 11,3 miliardi di euro nel 2014. Tra le differenti categorie (esistono 8000 integratori diversi) l’Italia in UE è prima nelle vendite di fermenti lattici, mentre i botanicals (estratti vegetali) si privilegiano in Germania, seguita però da Italia e Francia. In Italia piacciono anche le combinazioni (prodotti formulati con più sostanze), nel Regno Unito i grassi essenziali. Mentre nel Nord Europa l’uso di integratori tende ad essere quotidiano, nell’Europa mediterranea è più saltuario e legato a specifiche esigenze di salute. «Per quanto riguarda la scelta, per i due terzi è influenzata dal medico o dal farmacista e solo per un terzo dalla pubblicità» conclude Fiorani.
È gourmet e sostenibile, come vogliono i dictat food del nuovo milllennio, con un’etichetta che ne narra la storia il panettone dell’azienda artigianale veneta Fraccaro Spumadoro “Tre Presìdi – Eccellente e Solidale” realizzato per il secondo anno in collaborazione con la Fondazione Slow Food, che sosterrà progetti solidali per la Biodiversità. Il panettone tra l’altro promette di essere il dolce dell’anno, complice le tante iniziative che lo hanno riguardato in concomitanza con Expo coinvolgendo anche chef stellati e pop-up dedicati.
Il “Panettone Tre Presìdi”, prodotto in edizione limitata, senza conservanti e aromi, ha tra gli ingredienti i datteri dell’oasi di Siwa (Egitto), la vaniglia di Mananara (Madagascar) e i canditi provenienti dagli agrumi del Gargano (Puglia), tutti Presìdi Slow Food, che assieme all’antico lievito madre che ha oltre 80 anni e alla farina tipo 0 prodotta da un mulino di Vicenza, al miele italiano e alle uova fresche, rendono questo panettone un dolce della tradizione natalizia “Eccellente e Solidale”. «Con la partecipazione anche quest’anno ai progetti della Fondazione Slow Food per noi è la conferma di un nuovo percorso – afferma Luca Fraccaro – non vincolato ai soli concetti di redditività, ma che sostiene una causa valida come la salvaguardia della biodiversità».
Proposto nelle eleganti scatole di latta in acciaio riciclato realizzate da Ricrea (Consorzio Nazionale Riciclo e Recupero dell’Acciaio), il panettone ha ricevuto, durante la scorsa edizione del Salone del Gusto, la prestigiosa Menzione Speciale del Premio Slow Pack per la Sostenibilità Sociale.
Questo panettone presenta anche “l’etichetta narrante”, dove si racconta descrivendo chi lo produce e tutta la filiera. Un cammino verso la completa trasparenza dell’etichetta, che spiega in modo dettagliato l’origine, la storia e la tecnica di trasformazione, consentendo così al consumatore di capire meglio come la produzione avvenga nel rispetto dell’ambiente.
Il 14 ottobre rappresentanti del circuito Fairtrade da tutto il mondo saranno in Expo a Milano in occasione del Fairtrade Day, la giornata dedicata al ruolo dei piccoli produttori agricoli del commercio equosolidale per nutrire il pianeta. Saranno molte le iniziative organizzate da partner e sostenitori per valorizzare produzioni ottenute nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Tra queste, alle 17 al Future Food District un gruppo di persone unite dall’interesse per la spesa responsabile si incontrerà per un realizzare un cash mob, ovvero un flash mob in cui i partecipanti si impegnano a fare acquisti di prodotti che migliorano la vita delle persone e rispettano l’ambiente, a testimonianza di come ciascuno attraverso le sue scelte può fare la differenza. L’evento è realizzato in collaborazione con Next Nuova Economia per tutti, GVC e Banca Etica.
Durante l’incontro “Fairtrade energia positiva per le persone e il pianeta” sarà presentato un report di Fairtrade International sul ruolo che Fairtrade può svolgere in partnership con i governi nell’implementazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) nell’agenda post-2015, e ci sarà spazio per approfondire le tematiche riguardanti specifici prodotti come un focus sulla filiera della banana e sulle noci di anacardio del Brasile.
Nuovo standard Fairtrade sul clima
Per dare uno strumento ancora più incisivo ai contadini e ai produttori del Sud del mondo di fronte ai cambiamenti climatici l’associazione ha appena presentato il nuovo Standard Fairtrade sul clima, un protocollo elaborato dall’organizzazione internazionale di riferimento per la certificazione del commercio equo, Fairtrade International. Vi potranno aderire aziende, organizzazioni e privati interessati a ridurre il loro impatto ambientale e a compensare le proprie emissioni.
La diffusione dello Standard è l’ultimo passo prima del lancio dei Crediti di Carbonio Fairtrade a Parigi il prossimo dicembre in occasione della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico – COP21. Il nuovo Standard Fairtrade si aggiunge alla certificazione della riduzione di emissioni di CO2. Grazie al nuovo Standard gli agricoltori Fairtrade e le comunità più vulnerabili dei Paesi in via di sviluppo avranno accesso al mercato dei crediti di carbonio attraverso progetti di efficienza energetica, energia rinnovabile e riforestazione. «Questo è il primo Standard che cerca di dare una risposta alle disuguaglianze nel mercato dei crediti di CO2. E per la prima volta si fa in modo che i produttori che vi partecipano abbiano un tornaconto equo – ha dichiarato Andreas Kratz, Direttore dell’unità Standard e Pricing in Fairtrade International -. Inoltre assicura un supporto reale ai produttori nel contrastare i cambiamenti climatici».
Attualmente sono al vaglio alcuni progetti che possono ottenere la certificazione. I primi Crediti di Carbonio Fairtrade saranno disponibili dall’inizio del 2016
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