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M&A, calano le operazioni in Italia e a livello globale

L’ultimo biennio è stato estremamente complesso per le operazioni di M&A nel Consumer Markets, con un calo a volumi di operazioni completate, rispetto al picco del 2021, del 17% a livello globale e del 4% in Italia. Come evidenziato dallo studio PwC Global & Italian M&A Trends in Consumer Markets, a valore il declino è ancora più significativo (-48% a livello globale e -51% in Italia) per la drastica riduzione delle operazioni di grande dimensione e di quelle sponsorizzate dai fondi e finanziate a leva, rispetto a quelle di middle market promosse da operatori industriali.

“Anche se ci sono segnali di calo dei tassi di inflazione e di interesse, nel Consumer Markets stimiamo sia necessario più tempo agli investitori per fare chiarezza sull’evoluzione dei prossimi mesi con riferimento in particolare alle dinamiche inflattive su costi, energia, prezzi di vendita e sulla capacità di mantenere nel medio termine i livelli di marginalità del 2023. Questa situazione di incertezza si tradurrà in un minor numero di operazioni e maggiore cautela nei multipli da applicare” ha commentato Emanuela Pettenò, Partner PwC Italia, Consumer Markets & Markets Deals Leader.

Nonostante l’inevitabile situazione di incertezza, l’attività M&A sarà comunque al centro dell’agenda strategica come leva per accelerare la crescita e il cambiamento: il 52% dei CEO delle aziende di Consumer Markets intervistate da PwC nell’ambito della 27ma PwC Global Annual CEO survey ha dichiarato di voler portare a termine almeno un’acquisizione nei prossimi tre anni. Il costo del debito rimarrà elevato anche nel 2024, per cui ci si attende che le operazioni di M&A promosse da operatori strategici continueranno ad essere guidate da razionali di crescita e cambiamento, mentre i fondi saranno maggiormente focalizzati su operazioni di middle market o strutture complesse per finanziare quelle di maggiore dimensione (continuation funds, JV, deal con forte minoranza del venditore o con formule di earn out / vendor loan, club).

Food & Beverages
Il 2023 ha continuato a risentire di significativi impatti inflattivi sul carrello (13.6% 2022, 5.9% 2023, fonte Rapporto Coop relativamente ai generi alimentari), che hanno eroso il potere d’acquisto dei consumatori e penalizzato la crescita a volume. L’attesa del 2024 è di una normalizzazione dei prezzi (attesa crescita del 3%), volumi in leggero calo ed orientamento dei consumi a livello italiano in funzione delle variabili prezzo e salute. Le aziende che producono per Private Labels della Grande Distribuzione e le marche locali saranno inoltre favorite dall’attenzione alla spesa da parte del consumatore e maggiore sensibilità su aspetti di natura territoriale come sinonimo di qualità, mentre sono previsti in difficoltà i brand sia di grandi dimensioni che minori (fonte Rapporto Coop). Le più significative operazioni del 2023 sono state guidate dal perseguimento di una strategia di crescita internazionale (nuovi mercati, nuovi brand), come l’acquisizione di Beam Holding (produttore di cognac, Francia) e di Del Professore (distilleria, UK) da parte di Campari o della divisione ingredienti di Kerry Group da parte di Irca, al fine di entrare nel mercato americano. Interessante anche l’acquisizione di Fresystem da parte di Ferrero, per mettere in sicurezza il comparto frozen bakery, anticipando il risiko di operazioni del 2024 nel comparto iniziate con Forno d’Asolo / Sammontana / Investindustrial e previste continuare con Gelit (dismissione di Progressio) e altre aziende in portafoglio di fondi di Private Equity. Nel 2024 si continua a vedere spazio per operazioni di rifocalizzazione del portafoglio dei grandi operatori industriali, sia in termini di acquisizioni, che di dismissioni selettive, oltre a investimenti in tecnologie di accesso diretto al consumatore (digital channels, etc…). Potenzialmente c’è spazio per M&A sulle aziende che lavorano per Private Label. Altro segmento interessante è quello relativo ai prodotti a base di ingredienti innovativi / plant based rispetto ai tradizionali prodotti derivati animali. Le tematiche ESG saranno centrali per la valutazione delle opportunità di investimento in questo ambito.

Fashion
In ambito moda, si registra una crescente polarizzazione tra i gruppi e brand del lusso, con alte marginalità e fatturati crescenti e tutti gli altri operatori. I brand del lusso hanno consuntivato una performance di crescita a doppia cifra nel 2023, con poche eccezioni nell’ambito delle aziende quotate. Nel 2024 ci si attende una “normalizzazione” dei tassi di crescita ad un ritmo del 5-7%, in linea con l’andamento di medio-lungo periodo degli ultimi 15 anni, con tassi più sostenuti per i top player, una crescita più moderata del previsto del mercato cinese nei primi mesi dell’anno e il mercato americano che continua a soffrire il rallentamento dei consumi e la crisi dei department stores (es Sacks Fifth avenue). Il settore sportswear è cresciuto a livello globale del 6% (fonte Euromonitor) trainato da America Latina (+22%), ma sostenuto da un buon 8% in Europa. L’outlook di settore vede una crescita più sostenuta dei player specializzati, rispetto ai colossi internazionali (Puma, Adidas, Fila). PwC stima un maggior numero di operazioni sia di consolidamento di brand ad opera dei grandi player di settore (LVMH, Kering, Richemont), che nell’ambito delle piattaforme di filiera (Florence, Minerva, Hind). Il 2023 è stato l’anno dell’acquisizione di Valentino (Kering, minoranza), Gianvito Rossi (Richemont, maggioranza) e di importanti operazioni da parte di fondi di private equity sulla filiera (Minerva/San Quirico, Florence/Permira). Il 2024 si è aperto il delisting di Tod’s ad opera di L-Catterton, l’acquisizione di Autry da parte di Style Capital e ci sono molte attese sulla quotazione di Golden Goose, ed altre operazioni nel settore calzatura / accessori, oltre ad alcuni processi in corso come la cessione di Twinset, Missoni e Arena, mentre è appena stato annunciato il salvataggio di Trussardi da parte di Miroglio. Alcuni risonanti brand ancora a proprietà famigliare e con tematiche di successione / ricambio generazionale stanno facendo riflessioni su opportunità di apertura del capitale. Inoltre si attende entro metà aprile la decisione dell’Antitrust in merito all’operazione Tapestry/Capri Holding, che potrebbe portare ad una razionalizzazione del portafoglio dei brand, inclusa anche l’italiana Versace. Nel retail fashion, gli operatori valuteranno investimenti o alleanze per sviluppare o incrementare la propria presenza online, considerando anche la dismissione di punti vendita non profittevoli. In questo ambito è stato storicamente molto attivo Oviesse sia in Italia che all’estero, Cisalfa ha fatto un’acquisizione in Germania e ci sono state dal 2023 ad oggi vari processi ancora aperti su altre catene di abbigliamento. Il comparto e-tailers, invece, vede un contesto di forte crisi con i principali players del settore oggetto di operazioni straordinarie e riorganizzazioni (es. Farfetch acquisito dal coreano Coupang a Dicembre 2023, che ha annunciato la dismissione dei brand gestiti da NGG) o andati in procedure concorsuali (es. Matches, dopo pochi mesi dall’acquisizione di Fraser).

Health & Beauty
Il mercato mondiale della cosmetica è previsto in crescita del 9% nel 2024 (fonte Euromonitor) e con tassi di crescita costanti fino al 2028, rispetto ad un 3% del 2018, trainato da Stati Uniti, Cina e Brasile. L’industria cosmetica italiana è cresciuta del 13% nel 2023 ed è prevista al 10% nel 2024 (come fatturato delle aziende del comparto), fortemente trainata dall’export (+20% nel 2023 e +12% nel 2024), ma anche sostenuta da una forte domanda interna (+8/9% in entrambi i periodi). Il settore Beauty è stato particolarmente attivo in Italia nei primi mesi del 2024 con i processi di M&A su Beautynova (cessione a PAI), Dr. Vranjes (ceduta a L’Occitane), Veralab (cessione minoranza a Peninsula) e quello annunciato e tutt’ora in corso su Kiko. Il comparto nutraceutico è atteso in fermento sulla scia della dismissione del business nutraceutico da parte di Sanofi, annunciato a ottobre 23, e Bayer (novembre 23). I fondi di private equity hanno investito storicamente nel settore (Ardian/Biofarma, Investindustrial / Procemsa, TA / Nactarome) e sono pronti a raddoppiare il carico in considerazione del fatto che il settore coniuga alcuni dei macro trend più importanti (invecchiamento, prevenzione, salute e sicurezza) con una minore esigenza di R&D e minor pressione regolatoria, rispetto ai business farmaceutici. Vediamo anche ulteriore spazio per consolidamento e aggregazione nel settore farmacie e farmacie online (nel 2023 sono state molto attive Farmacosmo, Neo-Apotek, quest’ultima a sua volta acquisita da Dr.Max)

Grocery e Non-Food Value Retail
Il consolidamento del mercato guiderà i macro-trend del retail del prossimo futuro, destinato ad avere un numero sempre minore di operatori. Il decremento dei volumi di vendita, nonostante i fatturati in crescita, dimostra le difficoltà del settore e dei consumatori post aumenti inflattivi. I principali operatori della Gdo e ovviamente i discount, sono stati in parte supportati dalla crescita dei prodotti di marca (oltre il 30% del fatturato), mentre i piccoli operatori sono sempre più in sofferenza. A livello europeo nel 2023 ci sono state importanti operazioni di aggregazione che hanno visto come protagonisti Aldi e Carrefour, mentre in Italia proseguono le crescite costanti dei principali operatori sia attraverso nuove aperture (in particolare i discount) che soprattutto tramite M&A (nel 2023 si segnala l’acquisto dei punti vendita di Distribuzione Roma da parte di Magazzini Gabrielli). Nel comparto Non- Food Value continua la crescita di Acqua & Sapone, controllata da HIG, che ha anche acquisito la catena di profumerie Pinalli. Si stimano varie operazioni M&A anche nel 2024, che porteranno ad una sempre maggiore concentrazione, spinta dalla ricerca di sinergie ed efficienze operative di scala. L’utilizzo dei canali digitali da parte degli utenti, soprattutto relativamente al canale app, è in continua crescita, di conseguenza un’altra leva per operazioni strategiche sarà l’investimento in tecnologie e forme di comunicazione che consentano di migliorare l’accesso ed il dialogo con il consumatore (loyalty, pricing/promo, AI, marketplaces, etc), oltre che nel comparto dei servizi. Sarà sempre più importante migliorare il customer engagement anche attraverso promo targettizzate su specifici prodotti / comportamenti per guidare upselling e cross-selling, con l’obiettivo di generare vendite incrementali e ridurre il churn.

Pet & Vet
Il mercato dei prodotti per l’alimentazione degli animali da compagnia in Italia valeva all’incirca €2.5 miliardi di euro nel 2022 (Rapporto Assalco-Zoomark). Rispetto alle previsioni pessimistiche per il post-pandemia, dal 2007 ad oggi il mercato del pet food continua a crescere mediamente del 5,7% (tra GDO, canali grocery, negozi specializzati tradizionali e catene petshop), toccando quota +8,4% se si considera anche l’online. I numeri della Pet Economy sono addirittura raddoppiati se si considera il comparto VET (stimato in c. €2.3 miliardi nel ’22). Il numero di proprietari di animali e la spesa relativa a beni e servizi correlate è attesa in ulteriore crescita, soprattutto nei mercati emergenti, trainata in generale dalla crescita dei consumi e dalla premiumization. I fondi di PE hanno recentemente investito sia in ambito catene retail (Cinven / Arcaplanet, Peninsula / Isola dei Tesori), pasti a domicilio (L Catterton e GA in Butternut Box in UK) e catene veterinarie (Animalia, Bluvet), credendo molto nello sviluppo del settore. Vediamo questo trend continuare anche nel 2024.

Hospitality and leisure
Il 2023 è stato l’anno della definitiva ripresa per il settore turistico, con il ritorno dei viaggiatori internazionali e quote di venduto per le imprese ricettive italiane superiori al 2019 (fonte ENIT- Unioncamere a ISNART). Le imprese ricettive italiane hanno chiuso l’anno con una quota di occupazione camere media del 51% (+3.8 p.p. rispetto al 2019, anno di picco del turismo italiano). Il settore dei viaggi è atteso in ulteriore crescita oltre i livelli pre-Covid, grazie anche alla sempre maggior attenzione del consumatore, sia delle generazioni più giovani (Millennials e Gen Z) che più maturi (silver generation), alle “esperienze” (e.g. «viaggi sostenibili», «Bucket-list travel» e «esperienze autentiche ed immersive»). Il settore del turismo, significativamente frammentato in Italia, presenta numerose opportunità di consolidamento per aumentare le quote di mercato o focalizzarsi su segmenti di business specifici o accedere a nuove tecnologie. Il settore ristorazione ha consolidato una crescita dell’8.4% nel 2023 (dati Confimprese), con +10% nel comparto delle catene, che rappresentano ancora una quota inferiore al 10% del mercato della ristorazione italiana. Questo inizia a stimolare l’interesse dei fondi che hanno in passato investito nel settore, soprattutto in ambito turismo e ristorazione, a monetizzare una volta recuperati i valori pre-covid. Alcune catene che non hanno saputo adattare il proprio modello operativo ad una forma di consumazione più veloce (asporto / delivery) rimangono tuttavia in difficoltà rispetto alle formule più innovative di ristorazione veloce con ticket medio più contenuto e minor esigenza di capex per la realizzazione di nuovi punti vendita. Il 2024 si è aperto con la cessione di Piadineria da Permira a CVC, che darà il via ad una stagione di operazioni sul settore sia per quanto riguarda add-on che cessioni di catene in mano a fondi di private equity che sono state rimandate negli scorsi anni. Lo sport e in generale il comparto media associato rimangono segmenti di mercato di attenzione e su cui i fondi di private equity sono sempre più attivi.

Packaging e aspetti ESG
La pressione su aspetti regolatori e ESG ha confermato l’urgenza di investimenti in materiali e processi sostenibili, con conseguente minor attrattività di aziende senza una strategia chiara sotto questo profilo. I settori Food e Cosmetics sono in più attenti su questo fronte in materia di innovazione prodotto, mentre il Fashion ha una maggiore sensibilità su aspetti collegati al riciclo e alla supply chain. Ci si aspetta un 2024 di dismissioni selettive e di investimenti in piccoli player che hanno sviluppato processi sostenibili o materiali innovativi.

M&A in calo a livello mondiale ma non in Italia dove cresce nel retail e fashion

Il primo semestre del 2023 ha segnato un’ulteriore flessione nell’attività M&A (acquisizioni e fusioni) nel consumer markets raggiungendo un minimo storico dall’inizio del periodo pandemico, sulla scia della pressione inflattiva e dei relativi impatti sulla propensione al consumo. Il calo ha colpito principalmente le operazioni annunciate da investitori finanziari (-22% a volumi) e quelle di grandi dimensioni (-41% a valore). I segmenti di mercato maggiormente impattati sono household & personal products (-36%), la cui contrazione è legata al rinvio di decisioni di spesa discrezionale spesso finanziate con il ricorso al credito al consumo, ed e-Commerce (-57%), che aveva beneficiato di un’ondata di attività M&A nel periodo post Covid.

Il mercato M&A nel consumer markets in Italia
In controtendenza con lo scenario mondiale, in Italia l’attività M&A nel consumer markets registra un aumento del 37% a volume, sostenuto in egual misura da investitori strategici e finanziari, confermando il trend di crescita a doppia cifra avviato nel 2018 e arrestatosi solo nel 2020. A livello di volumi, il segmento più ricco di operazioni è stato il food & beverage con 48 deal annunciati (tra cui Red Circle / Poke House, CDP / Granarolo), seguito da specialty retail (31 operazioni, tra cui HIG / Pinalli, Verteq / Epilate) e fashion (28 operazioni, tra cui San Quirico / Minerva Hub, Permira / Gruppo Florence, NB Reinassance & Style Capital / U-Power).

“A livello globale si prospetta un anno complesso per le operazioni di M&A, e, anche se le aspettative per il secondo semestre sono più positive, l’attività rimarrà significativamente più contenuta a causa delle difficoltà di finanziamento delle operazioni di maggiore dimensione e della cautela da parte degli investitori finanziari, soprattutto su segmenti considerati maturi commenta Emanuela Pettenò, Partner PwC Italia, Consumer Markets & Markets Deals Leader. “Lo scenario italiano è complessivamente più favorevole, grazie anche alla dimensione media inferiore delle aziende target, del tessuto industriale più frammentato idoneo per progetti di buy-and-build, di fondi specializzati su questa dimensione di investimenti, più facilmente finanziabile, con potenziali rinvii delle operazioni di M&A di taglio superiore”.

Il comportamento dei consumatori e i driver di crescita
Gli esperti PwC stimano comunque un rallentamento o anche il rinvio di alcuni processi, in attesa di riequilibrare il gap bid/ask tra acquirente e venditore. Nel settore retail e in alcuni segmenti del comparto leisure, si prevede anche un aumento delle operazioni di ristrutturazione e di distressed M&A con controparti industriali “liquide” o fondi specializzati. Dagli investitori strategici è atteso un contributo significativo alle attività di M&A, come strumento per accelerare la trasformazione e il riposizionamento dei propri business. In quest’ottica, si prospetta un crescente interesse per gli investimenti di natura tecnologica, inclusi D2C tramite modelli omni-channel e Intelligenza Artificiale Generativa, per incrementare la share di spesa nel portafoglio dei propri consumatori, oltre che per identificare nuovi potenziali clienti e trasformarli in consumatori.

I retailer e i brand con un significativo peso del canale online alimenteranno la domanda di tecnologia per ottimizzare ed elevare la customer experience, sia nella fase decisionale che nel momento di acquisto e nella fase di last-mile delivery, da soddisfare anche tramite potenziali investimenti (integrazione verticale). L’analisi PwC’s Global Consumer Insights Pulse Survey condotta a giugno ’23 evidenzia che il 50% dei consumatori a livello mondiale prevede di incrementare gli acquisti online nei prossimi 6 mesi in tutti i comparti del retail, inclusi beni di lusso e viaggi/turismo. Un altro driver delle operazioni di investimento degli industriali sarà il crescente focus sugli aspetti di sostenibilità. Malgrado le pressioni inflattive abbiano eroso la spesa discrezionale dei consumatori, la ricerca PwC’s June 2023 Global Consumer Insights Pulse Survey evidenzia come l’80’% degli intervistati sia disposto a pagare un sovrapprezzo del 5% per prodotti sostenibili. Pertanto, secondo gli esperti PwC tutti gli aspetti di natura ESG rappresenteranno un elemento di valutazione di importanza crescente e le attività di revisione e rifocalizzazione sul core business delle aziende target si concentreranno sulle dismissioni di asset non strategici e in potenziale contrasto con questi valori.

M&A nel Consumer Markets: quali i segmenti più caldi?

  • Ingredienti ad uso alimentare, agribusiness, nutraceutica, prodotti per animali.
  • Health e Wellbeing nel senso più ampio del termine: cliniche estetiche, centri medici, catene dentistiche, veterinarie, rivenditori di prodotti cosmetici / farmaceutici / per animali. Oltre ad attività di M&A tradizionale, la crescita tramite greenfield e acquisizioni richiederà investimenti da finanziare.
  • Retailer di casalinghi, fashion, elettronica di consumo saranno invece oggetto di operazioni di ristrutturazione per effetto di un calo di volumi correlato alla riduzione degli acquisti discrezionali su beni non essenziali e del crescente investimento dei brand sul DTC.
  • Servizi al consumatore (servizi domestici, consegna a domicilio)
  • Viaggi e turismo

Ridurre gli sprechi alimentari è una delle maggiori sfide per imprese e consumatori

L’inflazione, il cambiamento climatico e il contesto geopolitico incerto continuano a rappresentare le principali minacce per i prossimi 12 mesi, sia per imprese che consumatori: il 42% di questi ultimi ha dichiarato, in una recente analisi di PwC, di aver già eliminato le spese non essenziali al fine di ridurre il più possibile gli sprechi.

“Oggi i consumatori sono molto più sensibili agli obiettivi di riduzione degli sprechi alimentari” spiega Erika Andreetta, Partner PwC Italia. “Nel contesto economico attuale segnato da un alto tasso di inflazione, che vede l’innalzamento dei prezzi di acquisto, c’è una particolare attenzione a evitare ogni tipo di spreco. Anche le imprese del settore agroalimentare si stanno muovendo nella stessa direzione. Per evitare che circa 1/3 del cibo prodotto in tutto il mondo venga sprecato, le imprese si stanno muovendo per riorganizzare le intere filiere alimentari, efficientandole con l’obiettivo di ridurre e recuperare le perdite”.

Nel nostro Paese lo spreco pro capite annuo è pari a 27 kg per un valore complessivo di 9 miliardi di euro. Spreco che, se fosse portato al 10% (a fronte dell’attuale 33%) della filiera agroalimentare, comporterebbe una riduzione del 23% del terreno utilizzato adibito all’agricoltura. Secondo le Nazioni Unite, 1/3 del cibo prodotto nel mondo, equivalente a 1,3 miliardi di tonnellate, viene sprecato a causa di ritardi e inefficienze nella raccolta, distribuzione e vendita al dettaglio. Recuperare sprechi e perdite nella filiera alimentare oggi appare dunque un obiettivo da perseguire più che mai.

Aumento costo della vita, calano gli acquisti di beni non essenziali

A seguito del costante aumento del costo della vita, i consumatori hanno adeguato in modo drastico il proprio comportamento di spesa, con la maggior parte (53%) dei consumatori globali che “rimanda” gli acquisti di beni non essenziali. Secondo il sondaggio 2023 di PwC Global Consumer Insights Pulse Survey, che ha coinvolto 9.180 consumatori in 25 Paesi, il 15% dei consumatori ha smesso completamente di acquistare beni non essenziali. Dal sondaggio è inoltre emerso che nei prossimi sei mesi la maggior parte dei consumatori prevede di ridurre la propria spesa in tutte le categorie oggetto della ricerca, una riduzione significativa prevista in tutte le categorie rispetto al precedente sondaggio di giugno 2022. Settori quali i prodotti di lusso e di fascia alta, i viaggi e la moda saranno i più colpiti nei prossimi sei mesi dalla riduzione di spesa dei consumatori, mentre i generi alimentari dovrebbero essere i meno colpiti.

Il costo della vita pesa sulla fiducia dei consumatori
I consumatori stanno modificando le abitudini d’acquisto online e in negozio a seguito dell’aumento del costo della vita, mentre le carenze di materie prime si ripercuotono sulla disponibilità dei prodotti e sui tempi di consegna. Circa la metà (49%) sostiene quindi di acquistare determinati prodotti quando sono in offerta, il 46% di cercare rivenditori che offrono un valore maggiore, il 40% di utilizzare siti di confronto dei prezzi per trovare alternative più economiche, il 34% di acquistare in stock per risparmiare e il 32% di acquistare prodotti a “marchio del rivenditore” per risparmiare. A livello demografico, la Generazione X è la “più preoccupata” (47%) e ha rimandato l’acquisto di beni non essenziali, i baby boomer sono “preoccupati in una certa misura” (33%) e hanno anche loro rimandato l’acquisto di beni non essenziali, mentre i millennials sono in cima alla lista e sono “preoccupati” ma senza modificare il proprio comportamento.

La carenza di materie prime sta cambiando il comportamento dei consumatori rispetto agli acquisti online e in negozio
Mentre più della metà dei consumatori (56%) afferma che l’aumento dei prezzi è il fattore condizionante quando fa acquisiti in negozio, una notevole percentuale è rappresentata anche dai problemi legati alla carenza di materie prime con lunghe code e negozi affollati (30%), oltre alla disponibilità dei prodotti (26%) che influenza il comportamento dei consumatori. Le carenze di materie prime per gli acquisti in negozio sembrano interessare maggiormente i consumatori in Australia (36%), Stati Uniti (35%) e India (34%), mentre per chi acquista online, le preoccupazioni principali riguardano gli aumenti dei prezzi (48%), la disponibilità dei prodotti (24%) e i tempi di attesa più lunghi del previsto (24%).

Il settore dei prodotti di lusso/fascia alta sarà quello maggiormente interessato dal calo degli acquisti da parte dei consumatori
I consumatori prevedono di ridurre nei prossimi sei mesi gli acquisiti in tutte le categorie al dettaglio oggetto del sondaggio: la maggiore riduzione di spesa è prevista per i prodotti di lusso/fascia alta o i prodotti di design (53%), i viaggi (43%), le attività virtuali online (42%) e il settore della moda come abbigliamento e calzature (41%). Persiste comunque un desiderio di spesa futura, con il 40% che indica che cercherà di fare acquisiti per sé stesso o per altri, mentre il 39% li considera di qualità superiore. Il settore dei generi alimentari (24%) è quello che ha registrato la minore riduzione di spesa prevista.

Erika Andreetta, Partner PwC Italia, EMEA Fashion & Luxury Leader, spiega: “La crisi legata all’aumento del costo della vita sta avendo ripercussioni a livello materiale sul modo in cui i consumatori fanno acquisiti, tanto online quanto in negozio. A causa dell’aumento dei prezzi, i consumatori di tutto il mondo stanno rimandando gli acquisiti di beni non essenziali, mentre dedicano più tempo a cercare alternative più economiche. Nonostante tutti i settori interessati dalla ricerca registrino una riduzione prevista della spesa nei prossimi sei mesi, stiamo comunque notando che i consumatori continuano a scegliere prodotti realizzati in modo etico e sostenibile. Se desiderano prosperare in questo complesso ambiente macroeconomico e mantenere coinvolti i consumatori, i rivenditori devono sfruttare e diversificare i loro canali di distribuzione, offrire prezzi competitivi, investire in catene di fornitura più resilienti e compensare la crescente riluttanza dei consumatori a condividere dati online monitorando meglio la base clienti e i programmi di fidelizzazione”.

I prodotti sostenibili sono molto richiesti dai consumatori
Nonostante una prevista riduzione di spesa e un ambiente economico complesso, i consumatori sostengono di essere comunque disposti a pagare di più per l’acquisto di prodotti sostenibili. Incredibilmente, oltre tre quarti (78%) sono disposti a pagare di più per un prodotto realizzato/reperito localmente o prodotto con materiale riciclato, sostenibile o eco-compatibile (77%) o da un’azienda nota per le proprie pratiche etiche (75%).

Canali dei consumatori
A giugno 2022, apparentemente la frequenza di acquisti giornalieri/settimanali dei consumatori, che durante la pandemia aveva registrato una tendenza al rialzo, ha fatto un passo indietro tornando ai tempi pre-COVID. In questo sondaggio, la costante stabilità dimostra che nei prossimi sei mesi la maggior parte dei consumatori prevede solo un lieve cambiamento del canale di acquisto abituale nell’online, in negozio e con la formula “click and collect”. Gli acquisiti in negozio rimangono prettamente invariati, anno su anno, come mezzo di consumo più comune nel 2022 (43%), mentre l’utilizzo di cellulari/smartphone (34%), PC (23%) e tablet (15%) registra complessivamente una lieve riduzione. Dal sondaggio emerge la costante tendenza dei consumatori ad affermare che non acquisteranno mai prodotti tramite tablet (51%), assistenti vocali per abitazioni intelligenti (64%) e dispositivi indossabili (71%), dati complessivamente in aumento rispetto all’ultimo sondaggio PwC Global Consumer Insights Pulse Survey condotto a giugno 2022.

Metaverso: ancora nella fase iniziale di adozione, la classe dirigente riconosce l’importanza della gestione del rischio, della sicurezza informatica e delle considerazioni inerenti la governance
L’adozione del metaverso come canale di acquisto è ancora nella fase iniziale di adozione. Questo mezzo rimane comunque ancora sotto-utilizzato, con solo un quarto (26%) degli intervistati che ha dichiarato di aver utilizzato la piattaforma per l’intrattenimento, le esperienze virtuali o l’acquisto di prodotti nel 2022. La maggior parte di questi utenti ha utilizzato il metaverso principalmente per la realtà virtuale, ovvero per giocare ai giochi o guardare un film (10%), entrare a far parte di un mondo virtuale, visitare l’ambiente di un rivenditore o partecipare a un concerto (9%) o acquistare un prodotto digitale, ad esempio un non-fungible token o NFT (9%). Coloro che registrano maggiori probabilità di interagire con attività correlate al metaverso sono India (48%), Vietnam (43%) e Hong Kong (42%), oltre ai Millennials (36%).

Nel contempo, poiché lo shopping online continua a crescere a livello di volumi, i consumatori sono sempre più preoccupati in merito alla privacy dei dati. Quasi la metà (47%) afferma di essere estremamente o molto preoccupato quando interagisce con aziende di social media, siti web di viaggi di terze parti/portali (36%), aziende di assistenza sanitaria (34%) e di prodotti di consumo (32%). Paesi come l’India e le Filippine sono i più preoccupati in tali categorie. Di conseguenza, quasi la metà (49%) sostiene di non condividere i dati personali più di quanto sia necessario, il 32% sceglie di non voler ricevere comunicazioni da tali aziende e il 26% ha in generale ridotto le proprie interazioni con questi tipi di aziende.

M&A: un 2021 in crescita. L’analisi PwC

Nel 2020 il settore Consumer ha registrato un calo del 13% a volume e del 3% in termini di valore delle operazioni M&A a livello globale rispetto al 2019. In Italia l’attività M&A nel Consumer Market segna un -25% a volumi, ma un aumento del +181% a valore (vs. 2019), grazie ad importanti tickets annunciati nei comparti Gaming, Entertainment & Fashion. La pandemia ha portato ad un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, accelerando i processi di digitalizzazione, innovazione, vendita diretta al consumatore e attenzione a tematiche ESG. Questi i dati inclusi nell’ultima edizione dello studio PwC Deals Global and Italian M&A trends sull’anno 2020 focalizzato sul settore Consumer.
Emanuela Pettenò, Partner PwC Italia e Consumer & Markets Deals Leader, spiega: “Nel 2021, ci aspettiamo che gli alti livelli di liquidità continuino a spingere l’attività di M&A. In Italia ci attendiamo un aumento delle ristrutturazioni finanziarie ed operative, in particolare nel retail tradizionale non food, nella ristorazione e nel turismo, che sono stati i più penalizzati a livello di M&A nel 2020”.In ambito italiano il picco di operazione e deal value dell’ultimo trimestre 2020 è collegato all’acquisizione di Lottomatica Videolot Rete e Lottomatica Scommesse da parte di Gamenet per $1,2mld, dall’acquisizione di Stone Island da parte di Moncler per $1,5mld e dall’acquisizione dei diritti della Seria A da parte di CVC, Advent e FSI per $2mld (deal ad oggi non chiuso). Tra i comparti con il maggior calo di operazioni M&A rispetto al 2019: Fashion (-52%), E&L (-31%) e Specialty Retail -che include, tra gli altri, gioielleria, eyewear ed elettronica- (-25%).
Gli investitori strategici continuano a dominare in termini di numero operazioni (oltre il 70% delle operazioni annunciate a livello globale e circa 60% a livello nazionale), tuttavia con un calo rispetto al 2019 proporzionalmente superiore ai fondi di Private Equity (-15% rispetto a -6% a livello globale), che hanno potuto beneficiare di livelli molto elevati di liquidità.
Trend 2021
I settori Food e Healthcare / Wellness hanno registrato una buona performance nella seconda metà del 2020 e hanno catalizzato un aumento di attività M&A che ci si attende continui anche nel 2021. In questo ambito risultano particolarmente favoriti i brand con una proposizione eco-friendly e sostenibile e, nel comparto alimentare, gli alimenti bio, vegani e le proteine vegetali. Il settore Pet Care ha visto un aumento di interesse negli ultimi mesi, con una crescita della spesa per animali domestici, in particolare nella fascia premium. L’aumento del tempo trascorso in casa ha incentivato gli acquisti di elettrodomestici (pulizia, cucina, home entertainment) a discapito della spesa per abbigliamento e cosmetici, favoriti anche da una più consolidata presenza sull’e-commerce. Ci attendiamo una buona ripresa anche dell’arredo. La pandemia ha alimentato una maggiore attenzione agli aspetti ambientali, sociali e di governance (ESG), che stanno diventando fattori determinanti delle decisioni di consumo, soprattutto delle fasce più giovani, e di investimento in ambito M&A. Lo spostamento generale verso la vendita diretta al consumatore ha portato a un aumento delle partnership e delle forme di collaborazioni con piattaforme di commercio online/delivery. Alcuni settori collegati al delivery, alla comunicazione e alla tecnologia hanno avuto ed avranno un ulteriore impulso di crescita a servizio dei nuovi modelli di comportamento e di consumo.

Export digitale: le opportunità per il Made in Italy secondo PwC

Dopo il crollo del 2020 si prevede una ripresa dell’export Made in Italy: le stime parlano di €510mld nel 2023- Questa la principale evidenza emersa durante l’evento in streaming organizzato da PwC “L’Export Digitale per le PMI: le opportunità per il Made in Italy”.

Ma scendiamo nel dettaglio. Dopo la flessione fisiologica dell’Export causata dalla pandemia nel 2020 (–15,3%), si attende una ripresa robusta dell’export di beni italiani a livello globale, con una stima di 461mld di euro nel 2021 (+9.3%), 487 mld di euro nel 2022 (+5.5%) e 510mld di euro nel 2023 (+4.8%) (fonte ISTAT, OCSE, Oxford Economics e SACE).

Nel 2021 è invece previsto un ritorno ai livelli pre-crisi dell’export dei servizi, mercato che, a seguito del forte calo nel 2020 (-29% nel 1° trimestre), è destinato a raggiungere 107mld di euro nel 2021 (+26.2%), 117mld di euro nel 2022 e 122mld di euro nel 2023 (fonte ISTAT, OCSE, Oxford Economics e SACE). 

La contrazione delle esportazioni italiane nel mondo nel 2020 sarà seguita da una graduale ripartenza già nel 2021, ma differenziata in base alle aree geografiche. Occorre quindi acquisire maggiore competitività nelle principali economie di sbocco e nelle venti “geografie prioritarie” in un’ottica di opportunità nel medio-lungo periodo, verso le quali le esportazioni italiane cresceranno complessivamente oltre il 5% in media annua a partire dal 2021. Tra i mercati da presidiare: Germania, USA, Cina e Russia.

Aumentano gli acquisti online

Le restrizioni fisiche e le misure di distanziamento imposte dal contesto pandemico hanno cambiato le abitudini di acquisto dei consumatori, facendo comprendere ancora di più l’importanza e le potenzialità dei canali digitali e dell’e-commerce per tutte le categorie di merci e servizi. Secondo la Global Consumer Insight Survey 2020 di PwC il 79% dei consumatori acquista online, (+5% sul 2019) e di questi un consumatore su cinque fa shopping esclusivamente online. Lo smartphone è il device che cresce di più per gli acquisti digitali (+45%), seguito dal pc (+41%) e dal tablet (+33%). Il 41% dei consumatori continua a preferire il negozio per le spese giornaliere e settimanali, contro il 33% che preferisce lo smartphone, device che però segna un trend di crescita (+7) sul 2019.

Le categorie trainanti dello shopping online

Secondo PwC, scalano la classifica degli acquisti online la categoria di abbigliamento e calzature (53% online vs 22%in store), l’elettronica (41% online vs. 21% in store), la cosmetica (39% online vs. 21% in store) e le attrezzature sport&fitness (32% online vs. 18% in store).

Si dividono invece più equamente fra gli acquisti online e quelli in negozi fisici gli alimentari (33% online vs. 32% in store), gli elettrodomestici (30% online vs. 23% in store) e i prodotti fai-da-te per la casa (32% online vs. 23% in store).

Il 42% dei consumatori quando acquista online premia velocità e affidabilità nelle consegne, fattore chiave per le aziende che vendono online. Tra gli altri fattori predilige: la disponibilità dei prodotti, la facilità e rapidità di ricerca nei siti ed una buona politica di reso.

Boom per gli eventi digitali

Nel 2020 gli eventi digitali hanno registrato cifre da record, spingendo gli acquisti: l’11.11 il Global Shopping Festival di Alibaba ha movimentato un valore lordo di merci pari a 62 miliardi di euro in 11 giorni (dal 1 al 11 novembre). Il Black Friday 2020, invece, ha registrato una spesa totale negli Stati Uniti di 9 miliardi di dollari e un fatturato del +189% rispetto al 2019 in Italia.

I top marketplace mondiali per numeri di visite sono stati Amazon per gli acquisti generalisti, Zalando per la categoria fashion, BestBuy per l’elettronica, Wayfair per l’arredamento e Barnes&Noble per i libri.

I comportamenti post COVID-19

I dati di PwC evidenziano alcuni comportamenti che hanno accelerato i trend già in atto e che ne condizioneranno l’evoluzione in futuro. Nell’era post-COVID il consumatore darà maggior attenzione al prezzo, prediligerà una customer experience sicura e accessibile, e riconfermerà il coinvolgimento del digitale, con un forte utilizzo di dispositivi mobili. Molto interesse sarà dato agli influencer e al passaparola, con maggiore propensione alla condivisione dei propri dati. Infine, l’attenzione ai temi della sostenibilità sarà sempre più determinante nel guardare ai brand e influenzare gli acquisti.

Strategie per le PMI italiane

Antonio Franceschini, Responsabile Ufficio Promozione e Mercato Internazionale CNA, spiega: “L’Italia continua ad avere come motore pulsante le PMI nonostante tutte le difficoltà e gli effetti pesanti provocati dalla pandemia. I dati mostrano quale sia l’importanza delle PMI nell’export nazionale e quindi si deve lavorare per dotare queste di strumentazioni adeguate. L’esigenza oggi è quella di creare le condizioni per mettere il maggior numero di imprese in condizione di fare business. Il digitale è stato ed è fondamentale e ci ha insegnato che esiste un nuovo e valido supporto, sappiamo altresì che non potrà sostituire in toto gli eventi fisici come quelli fieristici. Dobbiamo quindi costruire nuove modalità che integrino al massimo le opportunità date dal digitale con quanto può dare il “fisico”. In sintesi, deve essere costruita una modalità di sistema a supporto particolarmente per le PMI che crei occasioni onlife per ottenere il massimo dei risultati”.

Secondo Erika Andreetta, Partner PwC Italia e Consumer Market Consulting Leader: “Per le PMI sarà fondamentale definire una strategia di vendita online, ripensare il sistema di logistica, puntare su un pricing dinamico ed investire in analisi dei big data per incrementare le performance di digital marketing sulle piattaforme digitali. È un’occasione unica considerato il livello di upskilling digitale del cliente finale a livello mondo. I Marketplace possono realmente fornire alle PMI italiane un canale distributivo importante che si aggiungerà ai canali già esistenti per far conoscere le nostre eccellenze con costi e tempi ridotti rispetto ai canali tradizionali. Fondamentale sarà ripensare ai nostri prodotti per venire incontro alle culture e ai gusti locali e investire fortemente in digital marketing per promuovere al meglio il Made in Italy.”

Consumi post- Covid, le 7 priorità individuate da PwC Italia

I consumi vanno rilanciati: i mesi bui della pandemia deono essere in qualche modo riscattati. Questo il principale assunto al centro del quinto digital event “Italia 2021–Competenze per riavviare il futuro” organizzato da PwC Italia, trasmesso in diretta TV sul canale Active 501 di Sky e su tutte le piattaforme social di PwC, a cui hanno partecipato le principali Istituzioni, Associazioni di categoria e imprese del settore da cui sono emerse 7 priorità d’azione.

In Europa, secondo la Global Consumer Insight Survey Pulse Survey 2020 di PwC, che ha coinvolto 4.500 consumatori in 9 Paesi (Italia, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, UK, Svezia, Middle East e Cina) emerge un contesto a due velocità. Nei paesi del Nord i redditi delle famiglie sono stati meno colpiti (solo il 34% in Germania, 38% in Olanda) e i consumatori ridurranno le spese nei prossimi mesi (25% in Germania, 30% in Olanda).  Al contrario in Spagna e Italia circa il 60% ha subito una riduzione delle entrate. La spesa per grocery è aumentata per il 64% degli italiani (seguita dal 35% su spese Entertainment & Media e dal 27% su food delivery o pickup). Abbigliamento il più penalizzato in Italia (58% dei consumatori ha ridotto il budget).

Erika Andreetta, Partner PwC Italia, ha spiegato: “Negli scenari post COVID-19, ci attendiamo: lato consumi sempre più acquisti Made in Italy, in un’ottica di solidarietà collettiva, la preferenza per prodotti “sicuri” oltre che gratificanti e un balzo in avanti decisivo per l’e-commerce, specie nell’e-grocery. Lato business un incremento della collaborazione per far ripartire l’economia nel Paese. Made in Italy, reshoring e sostenibilità saranno gli elementi differenzianti”.

Nel “new normal” le aziende consumer e retail avranno 7 priorità:

  1. Azioni di sistema sulle filiere Moda e Food

Nel Food le aziende hanno perso 3 anni di fatturato. L’intervento “bonus filiera Italia” inserito nel DL agosto per 600 milioni di euro è un buon esempio, ma servono anche il taglio di oneri fiscali e sociali. Per la moda si attende una contrazione del fatturato del -18,6% rispetto al 2019 (Prometeia e Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo). L’Italia, primo produttore di moda di lusso al mondo e nel tessile, abbigliamento e accessori in Europa (con il 41% della produzione), deve difendere il suo primato anche con misure straordinarie.

  1. Supporto al Made in Italy

Il crollo dei consumi in Italia per il 2020 è stimato al -10,9% con 116 miliardi di euro persi, di cui 22,6 miliardi in Lombardia e serviranno cinque anni per tornare ai livelli di spesa del 2019 (Fonte: Confcommercio). L’OCSE stima per l’Italia una contrazione dell’export di beni e servizi tra il -14,4% e -17,8% nel 2020. A giugno è stato siglato un percorso strategico la ripresa del commercio internazionale che prevede: una campagna di comunicazione internazionale a favore del Made in Italy, lo sviluppo dell’ecommerce attraverso accordi con le piattaforme internazionali, una finanza potenziata e semplificata a vantaggio delle imprese.

  1. Digitalizzazione: ora o mai più

L’e-commerce vola: durante il lockdown è esploso nel retail food. La GCIS Pulse 2020 di PwC rivela che il 31% di italiani ha scelto il canale on-line per il grocery e l’85% di questi continuerà a usarlo. È auspicabile che vengano potenziate misure per favorire investimenti sul digitale ed e-commerce (es. deducibilità degli investimenti sul digitale ed e-commerce), oltre che misure per evitare situazioni di oligopoli.

  1. Puntare sulla sostenibilità

Il percorso verso il 2030 prevede catene del valore tracciabili, maggiori centralità e coinvolgimento del consumatore e un’ottima strategia comunicativa. È opportuno agevolare gli investimenti nell’economia circolare. Va in questa direzione il Decreto attuativo del MISE di luglio che mette a disposizione 140 milioni di euro di agevolazioni per progetti di R&S ad elevato contenuto di innovazione tecnologica e sostenibilità.

  1. Miglior accesso alla liquidità.

Secondo Istat oltre la metà delle imprese (51,5%, con un’occupazione pari al 37,8% del totale) prevede una mancanza di liquidità fino alla fine del 2020, con con rischi legati alla solvibilità nei confronti di dipendenti e fornitori. Il 42,6% di imprese italiane ha scelto di accendere un nuovo debito bancario. Più di 4 imprese su 10 hanno richiesto accesso alle misure di sostegno (rilevazione Istat tra l’8 e il 28 maggio). La frequenza di ricorso è più elevata per le imprese di dimensione minore (43% di microimprese) rispetto alle grandi (23,6%). L’attuale scenario economico suggerisce un rischio di insolvenze lungo le filiere, con un incremento della probabilità di default o ondate di acquisizioni. Sarebbe opportuno favorire l’accesso alla liquidità alle aziende, snellendo le procedure di emissioni di linee di credito e rafforzando fondi di garanzia che aiutino le banche a dilazionare le scadenze dei mutui e congelare gli interessi, oltre che accelerando i pagamenti dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni.

  1. Reshoring & Industry 4.0

In Italia, il tema del reshoring è molto sentito nella moda, con la necessità di avere una supply chain corta, ma soprattutto è percepita la leva strategica del Made in Italy. Un’azienda su due sta accelerando i processi d’automazione e rendendo lo smart working una modalità permanente. Un primo passo è stato compiuto grazie ai finanziamenti previsti dal piano Industria 4.0, che sarebbe opportuno rilanciare e potenziare, insieme ad ulteriori incentivi che favoriscano l’innovazione e gli investimenti in R&S.

  1. Attenzione alle nuove generazioni

Secondo una survey condotta da PwC nel 2019 su 2.069 giovani (Millennials e Gen Z), l’elevato tasso di disoccupazione giovanile in Italia, tra i più alti in Europa, sembra la ragione per cui volano all’estero per lavorare, anche se il 74% di loro preferirebbe trovare il prossimo lavoro in Italia (solo il 26% invece dichiara invece di volersi spostare all’estero). Per riequilibrare la domanda/offerta di competenze dei giovani sono necessari sforzi sia delle istituzioni che del privato per rendere il sistema d’istruzione e formazione più reattivo ai cambiamenti, per finanziare idee e progetti dei giovani e per i giovani, oltre che per riconoscere l’esigenza di includere una rappresentanza under 35 ai tavoli di decisione

Consumi e consumatori: un rapporto da ripensare

L’emergenza COVID-19 ha profondamente influenzato le opinioni dei consumatori sulla spesa. Prima dell’epidemia, la fiducia dei consumatori era alle stelle, con quasi la metà (46%) degli intervistati globali che si aspettava di spendere di più nei prossimi 12 mesi. Dopo l’inizio dell’epidemia, il 40% a livello global ha riportato una riduzione del reddito e la percentuale di coloro che hanno dichiarato che avrebbero speso meno nei prossimi mesi è quasi raddoppiata mentre il numero di coloro che hanno dichiarato di voler spendere di più è diminuito di oltre il 10%.

La spesa futura

Le aspettative sulla spesa futura tuttavia differiscono notevolmente tra i paesi: con i consumatori europei molto più cauti mentre le prospettive di spesa diventano più positive nei paesi in cui vengono revocate le misure di isolamento, come la Cina e il Medio Oriente. A livello europeo sembra emergere il rischio che la pandemia faccia emergere un Europa a due velocità. Da una parte, infatti, troviamo i paesi del Nord in cui i redditi delle famiglie sono stati meno colpiti dalla pandemia (solo il 34% in Germania dichiara di aver subito una diminuzione del proprio reddito, seguito da 38% in Olanda e 48% in Francia) e in cui i consumatori che ritengono di ridurre le proprie spese nei prossimi mesi sono limitati (25% in Germania, 30% in Olanda e 30% in Francia). Dall’altra paesi come la Spagna e l’Italia duramente colpiti dall’emergenza COVID anche nella propria economia, in cui circa il 60% degli intervistati ha subìto una contrazione delle proprie entrate (57% in Italia e 61% in Spagna). In questi paesi il 42% degli italiani e ddirittura il 56% degli spagnoli intervistati prevede di ridurre significativamente le proprie spese nei prossimi mesi; a principale preoccupazione, infatti, riguarda le prospettive lavorative (57% in Italia, 60% in Spagna vs 33% in Germania).

L’impatto sulla domanda di beni e servizi

Le fasi più acute della pandemia i consumi sono state caratterizzate dall’acquisto compulsivo di prodotti necessari – come generi alimentari e prodotti per la cura della casa e della persona – con un costante aumento della spesa media. Secondo la GCIS Pulse Survey, la spesa per grocery è aumentata per il 64% degli italiani (seguita, a distanza, dal 35% che ha aumentato spese di Entertainment & Media e dal 27% che ha aumentato spesa per food delivery o pickup), e la metà degli intervistati ha acquistato generi alimentari con minor frequenza rispetto a prima dell’emergenza (ma con carrelli più grandi).

Andamento opposto invece avranno gli acquisto di beni non necessari come ad esempio l’abbigliamento. Questa categoria sempre secondo la GCIS Pulse Survey 2020, è stata tra le maggiormente penalizzate con il 58% del campione italiano che ha ridotto spese di abbigliamento e calzature, ma quando i consumatori si sentiranno di nuovo al sicuro, è ipotizzabile e auspicabile un effetto di revenge spending.

Il fuori casa

Se per grocery e apparel i consumatori di tutti Paesi intervistati sono stati concordi durante la pandemia nell’aumentare la spesa di food e ridurre quella di abbigliamento, al contrario la ristorazione ha registrato comportamenti totalmente differenti. Da una parte Italia, Francia e Germania, in cui pur di non rinunciare ai propri piatti preferiti gli intervistati hanno aumentato la spesa in pickup e delivery e la ristorazione è balzata fra le top 3 categorie di spesa in aumento (per il 27% degli italiani, il 24% dei tedeschi e il 32% dei francesi) Dall’altra Spagna, Cina e UK, in cui questa spesa è risultata fra le top 3 più penalizzate: con 49% degli spagnoli, il 47% dei cinesi e il 46% degli inglesi che hanno ridotto gli acquisti in food delivery e pickup.

Erika Andreetta, Partner PwC e Consumer Markets Consulting Leader, commenta: “Siamo di fronte a un forte momento di discontinuità che avrà ripercussioni sull’economia, sulle abitudini di consumo e sul paniere della spesa. In generale, ci attendiamo dai consumatori una tendenza ad acquistare sempre più Made in Italy, anche in un’ottica di solidarietà collettiva. Parallelamente, tra le aziende si verificherà un aumento della collaborazione volta a far ripartire l’economia del nostro Paese, aiutando in primis le filiere produttive e le piccole e medie imprese.”

Fisico e online

Il 64% degli italiani, per la ricerca GCIS Pulse 2020, continua ad acquistare grocery in store, ma analogamente agli altri paesi mediterranei come Francia e Spagna l’online è stato scelto durante la pandemia da quasi un terzo dei consumatori (31% in Italia, Francia e Spagna) e la quasi totalità di questi “nuovi” consumatori continuerà ad utilizzare questo canale anche nel “New Normal” (85% in Italia, 88% in Spagna e 90% in Francia). Questo trend dell’e-grocery è particolarmente rilevante in Medio Oriente in cui il 44% degli intervistati acquista online e in Cina in cui la % di acquirenti online supera quella degli shopper in store (69% vs 25%).

Al contrario rimangono più saldamente radicati verso un consumo tradizionale in store i Paesi di lingua germanica come la Germania (76%) e l’Olanda (70%).

Per il canale fisico in Italia, con le misure di limitazione degli spostamenti torna a essere importante la prossimità: è stata la rivincita del negozio di vicinato. Le piccole botteghe e i negozi di quartiere diventano così i punti vendita prediletti dal consumatore, rivalutati dal 29% degli intervistati nell’ambito dello studio GCIS Pulse 2020. Un trend destinato a restare anche dopo l’emergenza, grazie al riconsolidamento della relazione tra cliente e commerciante. E ancora, un 13% dei consumatori nel corso degli ultimi mesi ha sperimentato acquisti presso punti vendita “nuovi” per il consumatore, che prima dell’emergenza non vendevano generi alimentari al pubblico.

Per il canale online si è assistito e si assisterà ad un forte impulso dell’e-grocery: il 31% degli italiani secondo la GCIS Pulse 2020 ha scelto in Italia il canale on-line per il grocery e di questi il 70% ha acquistato online in quantità maggiori (rispetto al canale fisico) e l’85% continuerà a usare il canale anche dopo la pandemia. Il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online dal 17 febbraio al 3 maggio (periodo di quarantena in Italia) è stato del +144,6% (con un picco del +304,6% nella quarta settimana di aprile) (fonte ANSA).

La crescita dell’e-commerce, tuttavia, non riguarda solo la vendita di beni essenziali: secondo i dati della ricerca GCIS Pulse 2020, il 60% dei consumatori italiani ha ridotto i propri acquisti di prodotti non alimentari presso gli store fisici e al contempo il 43% ha utilizzato il computer e il 36% il proprio smartphone.

“Nel brevissimo termine, le aziende del settore Consumer Markets dovranno adattarsi per rispondere alla nuova domanda dei consumatori, oltre che prepararsi per gestire diversamente diversi aspetti operativi al fine di garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e dei punti vendita” – commenta Erika Andreetta. “Tra i trend del medio periodo, invece, auspichiamo un ripensamento del canale dell’e-commerce, in particolare per quanto riguarda il business model delle consegne, ma anche in termini di potenziamento delle piattaforme”.

 

Metodologia

PwC ha svolto nei mesi di maggio e giugno lo studio GCIS Pulse Survey 2020, intervistando quasi 4.500 consumatori in 35 città.

 

La supply chain post Covid 2019, lo studio di Pwc

Mantenere il buon funzionamento della supply chain è particolarmente impegnativo in questo momento. Numerose catene di approvvigionamento sono colpite dall’epidemia Covid-19, che causa in tempi rapidissimi o picchi di domanda imprevisti o carenza di offerta. Ma alcune aziende (designate come “campioni digitali”, in quanto la gestione del rischio più efficace è uno dei vantaggi principali) sono in grado di adattarsi meglio alla situazione, e affermano anche di aver ridotto i costi della supply chain del 6,8% e aumentato i ricavi del 7,7%.

Questi sono alcuni dei principali risultati dell’indagine “Ecosistemi connessi e autonomi della supply chain 2025”, pubblicata da Pwc.

Lo studio ha identificato ciò che i campioni digitali fanno di diverso nella gestione delle proprie catene di approvvigionamento e presenta le capacità necessarie per stabilizzarle nella situazione attuale (ad esempio attraverso la trasparenza o la riconfigurazione più accurata e soprattutto più frequente).

Tra le evidenze emerse, risulta che la stragrande maggioranza delle aziende intervistate ha già iniziato a fare affidamento sull’intelligenza artificiale e sull’analisi dei dati per prendere decisioni migliori e ottimizzare la propria catena di approvvigionamento, con il 70% delle aziende intervistate che utilizzano l’IA in almeno un’area.

Queste includono una maggiore trasparenza lungo l’intera supply chain, l’ottimizzazione del costo del servizio, la segmentazione della catena di approvvigionamento e la pianificazione integrata. Tuttavia, i campioni digitali sono molto più avanti rispetto ad altre aziende nell’uso dell’IA. Oggi il 43% dei campioni digitali utilizza già l’IA per una maggiore trasparenza della supply chain, rispetto al solo 23% di tutte le aziende intervistate.

Gabriele Caragnano, Partner EMEA Operations Leader di PwC, afferma: “Ciò che colpisce è che i campioni digitali sono già molto avanzati nell’uso dei dati operativi, finanziari e di vendita per guidare la supply chain. Inoltre, utilizzano sempre più sistematicamente dati esterni non strutturati, come i dati provenienti dall’IoT e dalle applicazioni dei social media, nonché i dati dei propri clienti e fornitori”.

Un altro dato importante dello studio è che la logistica intelligente ha un grande potenziale per l’ottimizzazione dei costi ed è una priorità alta o assoluta per il 59% dei campioni digitali. “Non sono sorpreso”, commenta Gabriele Caragnano. “Dopo tutto, il 50% dei risparmi sui costi della catena di approvvigionamento può essere attribuito alla logistica intelligente.” È chiaro che anche qui i campioni digitali sono in testa: in tutti i settori e i paesi del sondaggio, meno di un quinto delle aziende (18%) ha indicato la logistica intelligente come priorità alta o assoluta.

L’implementazione di capacità logistiche smart sembra dipendere in modo particolare dalle dimensioni dell’azienda. Ad esempio, il 42% delle aziende con un fatturato annuo di oltre $ 5 miliardi ha già implementato la logistica intelligente, ma solo il 25% delle aziende con un fatturato compreso tra $ 3 e $ 5 miliardi lo ha fatto e la percentuale scende al 18% per quelle con un fatturato compreso tra 100 mln $ e il miliardo $. Le aziende più piccole, e questo è il caso più comune in Italia, spesso sono restie ad affrontare gli elevati investimenti necessari in tecnologie avanzate. “In molti casi, tuttavia, questa preoccupazione è infondata, perché gli investimenti nell’eccellenza della supply chain spesso si ripagano da soli in un breve periodo di tempo e numerose sono le opportunità di finanziamenti pubblici.”

Inoltre, le aziende intervistate ritengono che la trasparenza della supply chain sia molto importante e il 55% dei campioni digitali lo ha indicato come una priorità assoluta. “Le aziende si stanno muovendo sempre più verso ecosistemi della catena logistica globale che includono clienti, fornitori, operatori logistici e altri partner della catena logistica”, afferma Gabriele Caragnano.

Tra i campioni digitali, quasi due terzi (62%) hanno già raggiunto la trasparenza della catena di approvvigionamento. Al contrario, la media di tutte le aziende intervistate è solo del 33%. Alcuni degli elementi più importanti delle supply chain trasparenti includono la visibilità quasi in tempo reale di informazioni sui prodotti, finanziarie e logistiche. Ciò consente alle aziende di ottenere un’immagine digitale della propria catena di fornitura in tempo quasi reale e di utilizzare l’IA per predire o identificare fin dall’inizio interruzioni, rischi o iniziative potenziali di ottimizzazione.

Una maggiore trasparenza aiuta anche le aziende a raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità. “I clienti vogliono sempre più sapere da dove provengono i loro prodotti”, spiega l’esperto di PwC Gabriele Caragnano, aggiungendo “E le aziende con supply chain più trasparenti sono in grado di fornire queste informazioni. Allo stesso tempo, rendere i prodotti completamente tracciabili aumenta la qualità, perché le aziende possono tracciare tutti i prodotti e individuare, ad esempio, quando e dove i prodotti o le merci sono stati danneggiati durante il trasporto. Ciò è particolarmente vero per i campioni digitali, che eccellono in questo ambito”.

Lo studio suggerisce anche un percorso su come gestire con successo le supply chain nel post crisi. Gabriele Caragnano afferma che “le precedenti crisi ci hanno mostrato che molte aziende affrontano la sfida della trasformazione della propria supply chain all’inizio della fase di ripresa economica, dopo averne sofferto la debolezza nella fase di recesso”.

Vincenzo Grassi, Partner PwC Italia, commenta: “Il settore manifatturiero italiano si accinge a dover affrontare una fase cruciale dovendo garantire efficienza operativa, continuità delle attività produttive e flessibilità della catena logistica sia nella gestione dell’import di materie prime sia nella gestione dell’export dei prodotti finiti. E’, infatti, da considerare che l’Italia è il 6° esportatore al mondo di beni manufatti e che i prodotti manifatturieri esportati rappresentano l’80% dell’export complessivo. Secondo le elaborazioni di Confindustria, le esportazioni del nostro Paese potrebbero diminuire del 5,1%. nel 2020 a causa dell’emergenza COVID-19. La gestione della supply chain in senso esteso diventa una priorità fondamentale per tutte le aziende manifatturiere italiane”.

Modalità della ricerca

PwC che ha intervistato oltre 1.600 aziende in sette settori e 33 paesi per comprendere le loro attuali capacità di gestione della supply chain e i loro piani per il futuro.

Il rapporto include casi di studio sulle supply chain di aziende specifiche, tra cui IKEA, Bayer Crop Science Division, Nokia, Continental, TRUMPF e Advantest.

 

Cosa cerca il nuovo consumatore, tra on e offline: ce lo dice l’analisi Total Retail di Pwc

Uno sguardo sulla spesa del futuro, improntata da quei Millennials che sono gli influenzatori della spesa di oggi e segnano la strada che prenderanno i trend di acquisti di domani: lo offre il “Total Retail 2017”, la ricerca di PwC che analizza i comportamenti di consumo online e l’attitudine alla multi-canalità di 24.500 consumatori in 32 Paesi, tra cui oltre 1000 italiani.

In primo piano emerge l’importanza dei social media, con il 56% degli italiani che è stato influenzato a spendere di più dall’interazione che ha avuto via social con un brand, e quasi il 60% che dichiara di sentirsi più coinvolto dal brand proprio attraverso i social media.

Rilevata anche l’importanza del punto vendita fisico, che resta di gran lunga il canale principale per gli acquisti: il 51% dei consumatori italiani lo visita almeno una volta alla settimana per effettuare i propri acquisti. Determinante sempre più sul prezzo emerge la richiesta di servizio: il 73% dei consumatori ricerca un addetto con profonda conoscenza dei prodotti, seguito al secondo posto da offerte real-time e personalizzate e dalla possibilità di verificare rapidamente lo stock di un altro negozio.

Elementi per lo più disattesi, con quasi la metà dei clienti che si dichiara insoddisfatta, con scollamenti significativi specie su temi come le offerte personalizzate (25 punti di scollamento) e la preparazione degli addetti e la possibilità di controllare la disponibilità dei prodotti altrove.

Come rileva Erika Andreetta, Partner PwC e Consulting Leader per il Retail e il Consumer. «Il tema chiave oggi non è più legato all’apertura dei negozi, bensì alle competenze: i retailer devono investire sulle competenze digitali e di operations dei propri team, perché sappiano gestire l’innovazione digitale, una supply chain sempre più complessa e il lancio di nuovi servizi per assicurarsi la fedeltà del cliente».

Anche perché la sfida sulla ricerca del prodotto è vinta a mani basse dal canale online, le cui percentuali prevalgono sul negozio in 10 categorie su 11, con picchi massimi nel settore “libri, musica e videogames” (74% vs 12%), ed “elettronica di consumo e computer” (68% vs 22%). L’unica eccezione riguarda la categoria dei generi alimentari, dove il negozio rimane il canale di ricerca preferito (46% vs 37%), indicando la sua importanza per tale filiera.

I consigli per i retailer che guardano al futuro? Trovare strade innovative per raccontare la propria storia e creare connessione con i consumatori, utilizzando i social media sia per informare sia per creare engagement con il consumatore, attraverso “storie a puntate” o iniziative di tipo emozionale. Rafforzare la fedeltà dei consumatori attraverso offerte personalizzate, accessi speciali a sconti e servizi premium come (per la moda) giornate di shopping dedicate, o la possibilità di ordinare in anticipo prodotti in serie limitata e occasioni esclusive di incontro con il designer. Assicurarsi una presenza online efficace e funzionale, attraverso un sito internet ottimizzato per ogni strumento, propri canali sui principali social media capaci di creare engagement con i clienti e garantire una shopping experience a 360 gradi. Sfruttare i benefici di una presenza offline, rendendo più accattivante lo store, creando un’esperienza di acquisto unica nel punto vendita, facendo sinergia tra l’offerta online e offline e investendo sul personale presente in store attraverso una formazione ad hoc.

Sul prossimo numeri di InStore l’analisi completa con i 10 “temi caldi” che i retailer devono affrontare oggi e che riflettono la sempre maggiore complessità del mercato.

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