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Spesa in crescita per beni durevoli: italiani meno parsimoniosi su auto, elettrodomestici e telefonia

A fine anno la spesa delle famiglie italiane in beni durevoli supererà per la prima volta la soglia dei 75 miliardi di euro con una crescita del 2,3% in volumi e del 9,4% in valore sul quale incide un aumento medio dei prezzi pari al 7%. A stimarlo è l’Osservatorio Findomestic 2023, realizzato dalla società di credito al consumo del Gruppo BNP Paribas in collaborazione con Prometeia e giunto alla sua trentesima edizione. A determinare quest’andamento è soprattutto l’accelerazione del mercato della mobilità, in recupero del 18,8% sull’anno scorso per un fatturato di 41,5 miliardi grazie a una netta inversione di tendenza del settore auto, che non riesce tuttavia a colmare il gap in volumi rispetto al pre Covid; sostanzialmente stabile il settore casa, che chiuderà il 2023 a -0,3% per un valore di 33,5 miliardi, con un’espansione del 4,9% dei grandi elettrodomestici e un incremento del 2,3% dei mobili che controbilanciano i forti cali dell’elettronica (-24,8%) e dell’information technology (-6%).

“La performance del mercato dei durevoli è l’esito dell’intreccio fra l’aumento del 2,3% dei volumi e l’incremento del 7% dei prezzi medi d’acquisto, superiore all’inflazione complessiva che si attesta al 5,4%” commenta Gilles Zeitoun, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Findomestic. “Il giro d’affari del 2023 è superiore di 6 miliardi rispetto al precedente record del 2019, eguagliato nel 2021: un risultato positivo per i consumi di durevoli, sul quale incide certamente l’inflazione ma anche il crescente orientamento dei consumatori all’acquisto di beni di gamma più alta rispetto al passato, in particolare nei settori dell’auto, degli elettrodomestici e della telefonia”.

Lazio e Toscana al top
Il valore dei consumi di durevoli è in crescita a doppia cifra in sei regioni italiane. Gli incrementi top si registrano in Lazio, Toscana (entrambe a +10,8%), Lombardia (+10,5%), Valle d’Aosta (+10,4%), Emilia-Romagna e Liguria (entrambe a +10,1%); in fondo alla classifica si trovano, invece, Puglia (+6,6%), Trentino-Alto Adige (+6,7%) e Molise (+6,9%).  In valore assoluto, la Lombardia si conferma prima in Italia con un mercato da 15,2 miliardi, seguita dal Lazio a 7,4 miliardi e dal Veneto a 6,9 miliardi; fanalini di coda le regioni meno popolose: Basilicata con 500 milioni, Molise con 340 milioni e Valle d’Aosta con 200 milioni.

L’evoluzione negli ultimi trent’anni
Dal 1993 a oggi l’incidenza della spesa in beni durevoli rispetto ai consumi totali – misurata in volumi, quindi depurata dagli effetti dell’inflazione – è passata dal 6,2% al 9,2%. “Il primo scatto risale al 1997, sull’onda della forte crescita delle immatricolazioni di auto nuove e della diffusione di massa di telefoni cellulari e personal computer” commenta Claudio Bardazzi, responsabile dell’Osservatorio Findomestic. “Nel 2007 i durevoli arrivano a pesare l’8,2% grazie al consolidamento del mercato auto con 2,5 milioni di immatricolazioni, al boom degli smartphone e alla crescente penetrazione di elettrodomestici come lavastoviglie, asciugatrici e tv con schermi Lcd”. Il calo nel primo decennio degli anni 2000 è frutto della duplice crisi finanziaria e dei debiti sovrani, che genera inevitabili incertezze sul futuro economico: “I durevoli – specifica Bardazzi – subiscono tra il 2008 e il 2013 una contrazione del 4,6%, più intensa rispetto al -1,3% dei consumi totali. Successivamente, il rimbalzo dalla crisi favorisce un incremento dell’incidenza dei durevoli, che si riporta all’8% nel 2017. Quindi l’emergenza pandemica, che penalizza soprattutto il settore dei servizi, potenzia ulteriormente il ruolo dei durevoli fino a raggiungere il picco del 9,4% nel 2021 per effetto della domanda di beni per la casa indotta dalla pandemia: sotto la spinta di Dad e smart working gli ambienti domestici diventano sempre più tecnologici, confortevoli, ecologici e luoghi di ‘intrattenimento’. Il 2022 è l’anno in cui i consumi totali crescono più dei consumi di durevoli, che soffrono la crisi dell’auto e il fisiologico ridimensionamento della spesa in arredo e tecnologia. La crescita del 2023, infine, riporta l’incidenza dei durevoli sopra quota 9%”.

La casa tiene
Nell’ampio settore casa, dopo anni di boom, si riassestano il mercato dei mobili e della tecnologia consumer. L’Osservatorio Findomestic rileva un generale calo dei volumi a fronte di un rialzo dei prezzi di acquisto. Nel comparto dei mobili, l’aumento in valore del 2,3% (top Emilia-Romagna a +3,2%) è la conseguenza del -2,7% dei quantitativi e di un aumento dei prezzi medi d’acquisto pari al 5,1%: il fatturato totale raggiunge i 17,26 miliardi e supera quello della tecnologia consumer (16,3 miliardi). Analoga la traiettoria della telefonia, con un giro d’affari in crescita dello 0,7% (top Sardegna a +2,7%) a quota 6,24 miliardi nonostante una riduzione dei volumi dell’8,9%; in tenuta, dopo i primi nove mesi dell’anno, gli smartphone (-0,6%), in calo i wearables (-6,6%). Gli elettrodomestici toccano i 6 miliardi con un’ascesa in valore del 3,5% (top Umbria a +4,9%). I grandi segnano un incremento del 4,9% grazie al +6,9% dei prezzi; protagoniste del mercato, dopo tre trimestri, le cappe (+10,8%), le wine cabinets (+8,8%) e le lavatrici (+7,8%). Sul fronte dei piccoli elettrodomestici, in un quadro di sostanziale stabilità con il fatturato a +0,9%, spiccano le performance di filtri per l’acqua (+10,4%) e macchine per il caffè (+5%). L’information technology, invece, patisce la frenata post pandemica: la spesa totale di 2,26 miliardi è in discesa del 6% (top Lazio a -3,8%) a fronte di prezzi medi d’acquisto in crescita del 5,3% sul 2022. Se, da gennaio a settembre, le vendite di pc portatili sono in calo (-16,6%), risulta in forte espansione la domanda di digital assistant (+19,6%). Infine, il comparto dell’elettronica di consumo scivola a 1,78 miliardi con una perdita del 24,8% (top Lombardia a -23%): con il completamento dello switch off, si riducono in modo drastico le richieste di tv (-33,3%) e decoder (-63,7%).

Riparte la mobilità
Doppio segno ‘più’ per il settore dei veicoli con il +10,5% dei volumi e il +7,6% dei prezzi che fanno schizzare l’aggregato al +18,8% in valore. I dati dell’Osservatorio Findomestic inquadrano il deciso cambio di marcia rispetto agli ultimi anni. Grazie alla ripresa della produzione dopo lo stallo del post Covid e anche alle immatricolazioni di ordini inevasi nel 2022, la domanda di auto nuove da parte di privati rialza la testa con un ottimo +12,9% in volume, che tuttavia non basta ancora a colmare il gap (-20%) rispetto al 2019. Il fatturato del nuovo, grazie al +4,7% dei prezzi d’acquisto e allo slancio delle alimentazioni alternative che valgono il 53,5% delle immatricolazioni annue, sfiora i 17 miliardi con una crescita del 18,2% (top Lazio a +24,3% e flop Sardegna a +11,4%). L’usato continua a valere più del nuovo con un giro d’affari che, a fine anno, sfiorerà i 22 miliardi, in crescita del 18,8% (top Valle d’Aosta a +21,8%, flop Molise a +15,2%), grazie a prezzi medi d’acquisto in salita del 10,5% (il doppio rispetto al nuovo) per via di un’offerta di auto che fatica a soddisfare la crescente domanda. Il comparto dei motoveicoli, infine, è il più virtuoso: è l’unico, infatti, che cresce in volume (+33,1%) rispetto al 2019; il mercato raggiunge 2,65 miliardi per un incremento del 23,1% rispetto al 2022 (top Calabria a +36,5%, flop Valle d’Aosta a +11%).
 
L’incidenza dell’e-commerce
L’e-commerce conferma performance superiori a quelle della rete di vendita fisica, sulla scia di una crescente propensione all’acquisto online seppure su tassi più bassi rispetto all’andamento pre-pandemia. Con la costante progressione dell’e-commerce, anche i beni durevoli si vendono sempre più spesso online. L’incidenza si fa più rilevante: in un anno è cresciuta del 7% la spesa per i mobili comprati in Rete fino a raggiungere una quota del 18% del totale. Significativa è anche la dinamica che riguarda gli elettrodomestici: arriva dal web il 38,9% della spesa per quelli piccoli (+2,6%) e il 18,8% per quelli grandi (+3,9%). Resta consistente la percentuale di prodotti IT acquistati su internet, il 30,7%, nonostante una decrescita del 6,1%; passa dal web anche il 20,2% della spesa destinata all’acquisto di telefoni, dato in riduzione del 2%. Rimangono marginali i numeri degli acquisti di auto online: solo lo 0,5%, che è comunque sintomo di abitudini che, seppur lentamente, stanno cambiando anche su questo versante.

Black Friday in Europa: computer, elettronica e fashion gli articoli più venduti

Se in Italia il Black Friday ha visto una flessione piuttosto importante per la tecnologia di consumo, in Europa computer & elettronica si sono confermati ancora come i prodotti più scelti, nonostante la graduale perdita di quote di mercato nel corso degli anni (dal 32% del 2020 al 26% del 2023). Segue la categoria del fashion, che però ha registrato una performance inferiore rispetto all’anno scorso (-2 punti di quota di mercato nello stesso periodo dell’anno, passando dal 23% al 21%). Sul terzo gradino del podio si collocano invece i prodotti per la casa e gli elettrodomestici che continuano a guadagnare terreno durante il Black Friday, registrando una crescita di 3 punti in tre anni (dal 15% nel 2020 al 18% nel 2023). Rilevante pure il comparto salute & bellezza che ha ottenuto 1 punto di quota di mercato rispetto al 2022, passando dal 7% all’8%.

Per quanto concerne i rivenditori invece, una recente indagine di NielsenIQ realizzata su un panel di 2,5 milioni di acquirenti online in nove Paesi dell’Europa occidentale (Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Irlanda, Austria, Paesi Bassi e Belgio) rileva  Amazon come l’unico operatore presente nella top 5 di tutti gli Stati europei, classificandosi al primo posto in 5 Paesi su nove (Italia, Regno Unito, Germania, Irlanda e Austria). In Italia, oltre ad Amazon, i rivenditori che hanno registrato l’incremento più alto della propria quota di mercato online durante il Black Friday sono stati Zalando, Unieuro, MediaWorld e Dyson.

Seppur le vendite online siano cresciute del 7% rispetto al 2022, Il Black Friday, sia per gli italiani che per gli europei, non rappresenta più l’unico momento dell’anno per cercare l’affare: eventi promozionali precedenti come il Prime Day di ottobre 2023 – che ha registrato un incremento del +23% a valore e del +24% nel numero degli ordini – potrebbero aver attenuato l’effetto del “Venerdì Nero” il cui aumento delle vendite quest’anno è risultato inferiore di 4 punti percentuali rispetto al tasso di crescita annuale dell’intero comparto online (11%).

 

 

Retail italiano “rimandato” sulle tematiche ambientali

Il retail italiano è un settore ancora poco maturo sul fronte delle tematiche ESG, con molti elementi non adeguatamente monitorati e, soprattutto, mancanza di obiettivi a medio-lungo termine, tra cui quelli science-based di decarbonizzazione. La Gdo fatica quindi a raggiungere obiettivi ESG, seppur stia intervenendo bene su alcuni aspetti ambientali (energia rinnovabile ed emissioni Scope 1 e 2). Tema caldo per il settore resta l’uguaglianza di genere: se il 57% dell’organico è donna, solo il 23% è dirigente e il 4% siede in CDA, con un divario retributivo medio del 30%.

Secondo lo studio Retail ESG Pulse Check di Bain & Company Italia, sul frangente sostenibilità al momento è in pole position la ristorazione, che vanta un giro d’affari di 75 miliardi di euro. Pur essendo un sistema estremamente frammentato, le catene organizzate sono tra i player più avanzati nella scala di maturità ESG. A mostrare buon livello di attenzione rispetto alle tematiche ecologiche è anche il settore dell’abbigliamento, che vede una buona presenza di bilanci di sostenibilità.

Le cose vanno male invece in settori piuttosto rilevanti come l’elettronica e l’arredo, e ancora peggio dove si registra l’assenza totale di maturità ESG come i drugstore e il pet food. “La Gdo alimentare mostra in generale evidenti lacune soprattutto in termini di obiettivi di medio-lungo termine. È necessario un deciso cambio di passo a livello di sistema sul percorso di transizione ESG nel nostro Paese” commenta Andrea Petronio, Senior Partner e Responsabile della pratice Retail di Bain & Company in Italia.

“La grande distribuzione alimentare italiana è ancora in fase embrionale sui temi di sostenibilità, soprattutto se confrontata con le best practice internazionali e le aziende di beni di largo consumo” aggiunge Matteo Capellini, Expert Associate Partner di Bain & Company. “Esiste ancora una concezione di sostenibilità molto legata alla responsabilità sociale e alla filantropia, mentre il vero tema da affrontare è la trasformazione dei modelli di business per ridurre le esternalità negative dirette e indirette. Non abbiamo dubbi che nei prossimi anni vedremo una fortissima accelerazione, anche grazie alla spinta dalla CSRD che contribuirà a definire i market leader di domani e sarà focalizzata soprattutto sul tema decarbonizzazione”.

Shopping natalizio: italiani più prudenti d’Europa e a caccia dell’affare migliore

Nonostante la crisi e l’inflazione che continua a mordere, gli italiani non intendono astenersi dal tradizionale shopping natalizio: secondo un recente studio di ShopFully e Offerista, solo il 18% degli intervistati in Italia rinuncerà ai regali di Natale a causa del ridotto potere di acquisto, un dato in linea con la media europea (20,06%).

Tra le categorie di acquisto preferite dagli italiani primeggia la moda: abbigliamento, scarpe, accessori e articoli sportivi sono i regali che il 51% dei consumatori italiani acquisterà per questo Natale, mentre il 44% dichiara di preferire la categoria gastronomica, spaziando dal cibo alle bevande. Sotto l’albero non mancheranno i giocattoli, scelti da quasi il 34% degli intervistati in Italia.

Le famiglie italiane sono anche le più prudenti: a guidare lo shopping natalizio per circa un italiano su due, è l’attenta valutazione del rapporto qualità/prezzo e la ricerca delle migliori promozioni, in linea con la Francia (49,37%) e seguito dalla Spagna (39,58%) e la Romania (38,87%). Quasi il 21% degli intervistati in Italia, afferma di dare inizio allo shopping natalizio in concomitanza con l’arrivo delle offerte natalizie – un dato che supera la media degli altri Paesi europei (15%) – e il 20% ha già approfittato dell’appena trascorso Black Friday.

Il 41% degli italiani intervistati dichiara di preferire fare acquisti solo nei negozi fisici: un trend che osserviamo in altri Paesi europei come la Spagna (54,17%), la Francia (48,10%) e la Germania (64,37%). Per questa ragione resta fondamentale per brand e retailer continuare a presidiare i negozi fisici attraverso tecnologie che permettono di incentivare le visite in negozio anche in questo periodo; soltanto il 10%, invece, afferma di avvalersi esclusivamente dei canali online.

Supply chain in previsione delle festività: crescono nearshoring e friend-shoring

Il recente report del Capgemini Research Institute esamina come le organizzazioni CPR (legate ad aziende di beni di consumo e di vendita al dettaglio) stiano trasformando la loro strategia di supply chain per garantire resilienza, efficienza e sostenibilità al proprio business. Secondo l’indagine, le catene di fornitura globali sono minacciate da una moltitudine di fattori, tra cui inflazione, tensioni geopolitiche, eccessiva dipendenza da alcuni Paesi per la fornitura di componenti, oscillazione delle tariffe di trasporto e congestione dei porti.

Più di tre quarti (77%) delle organizzazioni CPR ha ad esempio dichiarato che le tensioni geopolitiche hanno un impatto sui costi e sull’efficienza delle loro supply chain. Alla luce di questo scenario, il report ha rilevato che il nearshoring e l’approvvigionamento a livello nazionale stanno assumendo un ruolo sempre più significativo, in quanto le organizzazioni cercano di trovare un equilibrio tra costi e resilienza. Entro il 2025 si prevede che gli acquisti offshore diminuiranno del 7% a livello globale, mentre il nearshoring e l’approvvigionamento domestico aumenteranno rispettivamente del 4% e del 3%.

“Negli ultimi anni le interruzioni della supply chain sono diventate un’esperienza comune per le aziende di largo consumo, causando carenze di prodotti, ritardi nelle consegne e aumento dei costi. Per far fronte a queste sfide e generare una crescita redditizia, sarà essenziale bilanciare efficienza dei costi e resilienza, diversificando e adottando pratiche di economia sostenibile e circolare”, ha dichiarato Gerardo Ciccone, CPRD & EUC Director di Capgemini in Italia. “Riuscire a ottimizzare le scorte, localizzare le reti di fornitura ed esplorare opzioni alternative di approvvigionamento aiuta a soddisfare le aspettative dei consumatori e gestire i picchi di richiesta. L’adozione di tecnologie innovative e i dati giocheranno un ruolo fondamentale in questo senso, che si tratti di monitorare la previsione della domanda, automatizzare i magazzini, migliorare la customer experience o garantire efficienza nell’evasione degli ordini. Le aziende che adottano strategie di approvvigionamento più resilienti sono meglio preparate a garantire la continuità operativa, ridurre i costi e proteggere la loro reputazione”.

Per far fronte alle aspettative di un commercio sempre più rapido ed evitare l’esaurimento delle scorte durante gli intensi periodi festivi, proprio come quello che ci apprestiamo a vivere, l’83% delle organizzazioni sta investendo quindi nel friend-shoring, una pratica commerciale in crescita in cui il network della supply chain si concentra su Paesi considerati alleati politici ed economici, in modo da ridurre ulteriormente l’esposizione al rischio. Non mancano comunque le criticità come esaurimenti di scorte o carenza di prodotti, ritardi nelle consegne legati alle importazioni e manodopera insufficiente.

Tuttavia, secondo il report, le aziende continuano a essere cautamente ottimiste nel 2023, dal momento che si stanno concentrando sul miglioramento della redditività delle supply chain agendo su pianificazione, processi e automazione. Per il 42% delle organizzazioni CPR, migliorare l’efficienza in termini di costi della supply chain è il principale obiettivo da raggiungere nei prossimi 12-18 mesi. Per raggiungere questo obiettivo, la stragrande maggioranza (82%) delle aziende ritiene che la propria supply chain dovrà subire un cambiamento significativo e quasi nove su dieci (86%) affermano che i dati e la tecnologia avranno un ruolo chiave nel garantire questa trasformazione. Tra le tecnologie adottate, implementate e portate su scala, la gestione dei dati (56%), il cloud computing (55%) e l’automazione (52%) sono le più citate per ottenere risparmi sui costi e aumentare i ricavi.

Il Black Friday non salva la tecnologia di consumo, fatturato in calo dell’11%

Dopo la crescita record avvenuta negli anni della pandemia e un 2022 leggermente in negativo (-2,3%), dall’inizio di quest’anno il settore della tecnologia di consumo sta vivendo un rallentamento della domanda. Le ragioni? L’effetto saturazione registrato da alcuni settori cresciuti molto gli scorsi anni e il carovita. Si riteneva che il Black Friday avrebbe potuto risollevare tale settore ma così non è stato: il trend negativo infatti è proseguito anche nella settimana dal 20 al 26 novembre.

Le rilevazioni effettuate da GfK mostrano un calo del fatturato del -11% per le categorie più importanti del mercato della tecnologia di consumo (tra cui TV, PC, smartphone, tablet, wearable, frigoriferi, lavatrici, aspirapolvere, stampanti, etc). Per questo perimetro di prodotti, durante la settimana del Black Friday è stato generato un controvalore pari a 438 milioni di euro.

Anche le settimane precedenti al Black Friday sono state negative e il mese di novembre – solitamente decisivo per il settore – non sembra in grado di risollevare le sorti della tecnologia di consumo. La settimana del Black Friday rimane comunque la più importante del 2023 per giro d’affari: rispetto al fatturato della settimana media riferita all’ultimo anno, si è registrato un incremento del +117%. Il confronto è positivo anche rispetto alla settimana precedente: in questo caso la crescita è stata del +47% a valore. Il trend negativo ha riguardato sia i punti vendita tradizionali (-12%) che il canale online (-10%). Durante la settimana del Black Friday, le vendite tramite internet hanno contribuito al 38% del fatturato totale.

Tutti i comparti hanno registrato performance negative rispetto al Black Friday 2022, ma quelli che hanno sofferto di meno sono stati l’home comfort (-2%), il grande elettrodomestico (-3%), il piccolo elettrodomestico (-4%) e il telecom (-4%). La decrescita più notevole è stata invece quella dell’IT & office (-21%) e dell’elettronica di consumo (-25%), a causa di un rallentamento della domanda. In leggero calo risultano gli smartphone (-2%), mentre registrano trend decisamente negativi rispetto allo scorso anno i PC portatili (-24%) e i TV (-26%). Gli unici prodotti che segnano una crescita rispetto al Black Friday 2022 sono le lavastoviglie (+12%) e le stampanti multifunzione (+3%).

L’impatto delle attività promozionali nella settimana del Black Friday è calato rispetto agli ultimi anni, e si assesta al 38% dei volumi venduti con una riduzione di prezzo di almeno il 10. I mediatablets sono stati il prodotto con la percentuale più alta di vendite promozionali (54%). Negli ultimi anni le promozioni si sono moltiplicate, interessando anche altri periodi dell’anno. La settimana del Black Friday, pur mantenendo la sua centralità nel fatturato delle categorie tech, non è più quindi un appuntamento unico per i consumatori per fare buoni affari, dal momento che le attività promozionali sono sempre più presenti anche nelle settimane precedenti.

Sprechi alimentari natalizi, oltre un quarto del cibo acquistato viene buttato

Anche quest’anno gli italiani sono pronti a festeggiare il Natale e l’anno nuovo con pranzi e cene. Le festività però da un lato registrano un boom di consumi, dall’altro un grande spreco di cibo. A confermarlo è un recente sondaggio di Too Good To Go che, in collaborazione con YouGov, ha indagato sulle abitudini degli italiani a tavola in occasione delle festività natalizie.

Secondo la ricerca, l’86% degli intervistati dichiara di sprecare cibo durante le feste, con il 37% di questi che getta via oltre un quarto del cibo acquistato. Tra loro vi sono soprattutto giovani nella fascia 18-24 anni che sprecano il 25% della quantità di cibo acquistata (per un intervistato su due) contro il 18,5% della fascia 25-44 anni.

La categoria di cibo più sprecata? I dolci
Sebbene siano oggetto di continui aumenti (i prezzi sono saliti del 37% rispetto al 2022, secondo il Codacons), i dolci rappresentano la categoria di cibo più sprecata: per la ricerca di Too Good To Go, 4 italiani su 10 dichiarano che ad avanzare maggiormente sono i dolci tipici come panettone, pandoro e torte, seguiti dal pane (35%) e dagli antipasti come salumi, stuzzichini o torte salate (25%). A portare a grandi quantità di cibo sprecato è spesso la quantità eccessiva di spesa. 6 italiani su 10 tendono infatti ad acquistare più alimenti rispetto al solito, a seconda dell’occasione e del numero di ospiti. Nonostante ciò, quest’anno emerge la volontà degli italiani di diventare dei “good host” attenti agli sprechi, con il 93% degli intervistati che afferma di trasformare gli avanzi in nuove ricette. Tra le soluzioni per evitare lo spreco prima, durante, e dopo le feste, gli italiani scelgono ad esempio di congelare gli avanzi (51%), condividere il cibo in eccesso (45%) e utilizzare proprio le ricette anti-spreco (43%). Questi accorgimenti vengono adottati in percentuali differenti a seconda della fascia d’età: i giovani tra i 18 e i 34 anni sono più inclini a condividere gli avanzi in famiglia o con amici (il 57% contro il 45% di media), mentre gli over 55 tendono a congelare le pietanze in eccesso (55%).

L’inflazione e il rincaro prezzi “aiutano” a diminuire la spesa
Nel corso del 2023 il rincaro generale dei prezzi e l’inflazione hanno impattato fortemente sulle abitudini di acquisto degli italiani, con il 43% che ha affermato di aver ridotto la quantità di spesa per limitare gli sprechi. Anche per il Natale 2023, con l’aumento dei prezzi, questa tendenza è confermata: circa un terzo degli intervistati pensa di ridurre la quantità di cibo da acquistare.

“Siamo contenti dei risultati che stiamo raggiungendo nel nostro Paese: dal 2019 ad oggi sono stati salvati oltre 16.500.000 pasti. Tuttavia le festività rappresentano tra i periodi in cui si registrano i picchi più alti per le eccedenze alimentari” afferma Mirco Cerisola, Country Director Italia di Too Good To Go. “Too Good To Go ha come obiettivo primario la riduzione dello spreco alimentare a livello globale, ma sappiamo che per raggiungerlo occorre soprattutto lavorare sulla consapevolezza del singolo, ispirando e responsabilizzando su un tema che è sempre più rilevante a diversi livelli. Ognuno, nel suo piccolo può fare la differenza. E proprio il periodo del Natale può rappresentare un momento in cui fare questa differenza, con comportamenti di acquisto e di consumo il più responsabili possibile”.

Italiani cauti ma ottimisti: tornano a crescere i volumi in Gdo

Le famiglie italiane restano caute quando fanno la spesa, ma il trimestre anti inflazione continua a dare i suoi frutti. Secondo le rilevazioni di NielsenIQ, a differenza dei mesi precedenti i volumi riprendono a crescere, con un incremento del +0,3% rispetto al 2022 e del +1,7% rispetto al mese di settembre 2023. Nel mese di ottobre, i ricavi della GDO a totale Italia Omnichannel sono pari a 9,8 miliardi di € e registrano una crescita del 6,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nello specifico, a guidare la crescita gli specialisti drug (+11,3%), seguiti da superstore (+8,7%), discount (+7,5%), supermercati (+6,3%), iper>4.500mq (+5,2%) e infine liberi servizi (+3,8%).

L’indice di inflazione nel largo consumo confezionato a ottobre si attesta a quota 7,2%, mostrando un ulteriore calo rispetto al dato osservato a settembre (8,8%). A trainare le vendite continuano ad essere i prodotti a marchio del distributore (MDD), con una quota attestata al 22,9% nel perimetro iper, super e liberi servizi, mentre a Totale Italia Omnichannel – inclusi i discount – sale a quota 32,3%, pari a circa 1/3 delle vendite.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Anche a ottobre i prodotti dedicati agli animali domestici si attestano come l’area merceologica con l’incremento a valore più significativo (+10,8%), seguiti dai prodotti per la cura della casa (+8,2%) e dal cibo confezionato (+7,6%). In termini di volumi, invece, NIQ rileva un trend positivo per tutti i comparti ad eccezione del segmento del food confezionato (-1%) e del comparto pet (-0,7%).

A livello di categorie merceologiche, guidano la classifica Top10 di NIQ del mese di ottobre 2023 l’olio di oliva vergine ed extravergine (+35%), i gelati multipack (+33,9%) e i gelati in vaschetta (+26,9%). Il fresco (peso fisso + peso variabile) cresce in tutti i canali distributivi (+7%). In particolar modo i discount (+10%) manifestano la performance migliore mentre i liberi servizi l’incremento meno consistente (+4,9%). Tra le categorie merceologiche più dinamiche all’interno del comparto, al primo posto la pescheria, che cresce a valore del +10,6%, seguita da frutta e verdura (+10,1%) e pane & pasticceria & pasta (+9,9%). La salumeria invece si attesta ancora come la categoria con il trend di crescita più basso rispetto alle altre (+3,4%).

Filiera italiana del pomodoro, c’è ancora un grande divario tra nord e sud

Un’analisi dettagliata quella recentemente realizzata dal Crea, ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari per conto di Anicav, che ha fornito gli spunti necessari ad animare il dibattito nell’ambito dell’annuale assemblea pubblica, Il Filo Rosso del Pomodoro, organizzata dall’Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali e che si è svolta la settimana scorsa a Napoli. I principali protagonisti del mondo industriale, della cooperazione e del mondo agricolo si sono confrontati sui risultati dello studio e sulle possibili soluzioni da mettere in atto per tutelare e valorizzare la filiera del pomodoro da industria, uno dei fiori all’occhiello dell’agroalimentare Made in Italy.

Lo studio ha analizzato gli aspetti economici legati alla produzione del pomodoro da industria nei due distretti produttivi (nord e sud), attraverso l’utilizzo dei dati Istat, di questionari e interviste agli stakeholder e delle informazioni presenti nella banca dati R.I.C.A. (Rete di Informazione Contabile Agricola). Nello specifico, l’analisi delle caratteristiche strutturali e dei costi di produzione del campione si focalizza sui due distretti produttivi per un totale di 552 aziende che hanno coltivato pomodoro nel triennio 2019-2021. 

Le prime differenze tra i due bacini produttivi riguardano le dimensioni economiche. Nel bacino nord il 95% delle aziende che coltivano pomodoro sono grandi e medio-grandi (con un fatturato da 100.000 ad oltre 500.000 euro), mentre nel bacino sud questa percentuale scende al 64%. Per quanto riguarda la proprietà delle superfici messe a coltura, nel bacino nord prevale l’affitto (in quasi il 60% dei casi), viceversa al sud c’è una prevalenza della proprietà (quasi il 50% contro il 44% in affitto). Differenze anche in termini di volumi di produzione: nel distretto nord si rileva una distribuzione piuttosto omogenea tra le diverse classi di produzione, da meno di 500 a oltre 3000 tonnellate di prodotto. Nel bacino sud prevalgono nettamente (oltre il 65%) le aziende che producono meno di 500 tonnellate di prodotto.

Notevoli differenze anche per quanto riguarda la resa e i costi di produzione. In media, nel bacino sud la resa è significativamente migliore rispetto al bacino nord: 878 q/Ha del sud contro i 696 q/Ha del nord. Inoltre, al nord si registra una certa uniformità delle rese, mentre al sud è presente un’alta variabilità, segno evidente che nel primo caso è attivo un processo di standardizzazione dei modelli produttivi, mentre nel secondo c’è una forte diversificazione. Relativamente alla ripartizione dei costi di produzione il quadro è abbastanza omogeneo e le varie voci hanno più o meno lo stesso peso nel conto finale. La maggiore incidenza è relativa al costo del lavoro (27% al nord e 29% al sud), al costo lavoro macchine (14% al nord e 17% al sud) e all’acquisto di sementi (14% al nord e 15% al sud). 

Al di là dell’incidenza, quello che desta particolare attenzione è la differenza che si registra su determinate voci di costo, molto più alte al sud che al nord. Nel distretto sud, infatti, il costo di acquisto di sementi e piantine segna un +48% rispetto al nord, mentre i costi di acquisto e utilizzo di agrofarmaci per la difesa delle colture registrano un +59%. Da evidenziare il costo delle risorse idriche superiore addirittura del 71%. Al sud più elevati anche i costi delle macchine (+68%) per il maggior ricorso al contoterzismo, così come il costo del lavoro (+58%) legato al maggiore fabbisogno di personale per la tipologia di raccolta in bins. 

In conclusione, dall’analisi emerge con chiarezza che le aziende agricole del bacino sud, a causa della dimensione fisica ed economica ridotta, non riescono a implementare economie di scala e, conseguentemente, hanno maggiori difficoltà a intervenire su alcune delle principali voci di costo. Allo stesso tempo, nel bacino sud le rese medie per ettari messi a coltura sono significativamente superiori rispetto a quanto non accada nel bacino nord.

“Il contesto socio-economico in cui viviamo e lavoriamo è particolarmente difficile, ed è necessario avere una visione comune” dichiara Marco Serafini, Presidente di Anicav. “Solo una filiera compatta ed efficiente potrà garantire nel lungo periodo le condizioni per la sopravvivenza e la competitività dell’intero sistema. Ci troviamo, ormai, ad operare in un contesto sempre più globalizzato: la specificità che, da sempre, ci ha contraddistinto rispetto ai nostri competitor internazionali non è più sufficiente a tutelare i nostri prodotti, per cui diventa indispensabile un dialogo di filiera che possa sostenere le nostre produzioni e renderle competitive sui mercati. Serve unire gli sforzi di chi coltiva e di chi trasforma per creare valore lungo tutta la filiera”.

L’EDI cresce nel largo consumo: è adottato da oltre 3500 imprese e più di 300 retailer

L’analisi annuale realizzata da GS1 Italy, in collaborazione con School of Management del Politecnico di Milano, per misurare l’adozione e l’utilizzo dell’ EDI (Electronic Data Interchange) in Italia nella gestione del ciclo dell’ordine tra industria e distribuzione traccia un bilancio positivo.

Arrivano a quota 7.885 (+5,5%) le aziende del largo consumo utilizzatrici dell’EDI secondo gli standard globali GS1. Ad aver adottato questa soluzione, che è la più diffusa in Italia, sono 3.582 imprese, tra cui 3.270 produttori e 309 retailer. È positivo anche il rapporto tra nuovi ingressi e uscite (+68 unità è il rapporto tra nuovi ingressi e uscite) delle aziende attive in Euritmo, così come è alta la fedeltà, attestata dalle 3.287 aziende rimaste attive dall’anno precedente.

Fonte: GS1 Italy “Monitoraggio dell’uso dell’EDI nel largo consumo in Italia” ed. 2023

Nel 2022 le aziende si sono scambiate complessivamente 61,9 milioni di messaggi, di cui 34,9 milioni (56% del totale) sono rimasti all’interno del circuito Euritmo, 14,7 milioni sono stati inviati a utenti esterni e 12,1 milioni sono stati ricevuti da punti di ricezione/invio codificato (Unb1) esterni. Rispetto al 2021, all’interno dell’ecosistema Euritmo le transazioni sono aumentate di +5% e hanno raggiunto quota 47.405, di cui oltre 22 mila interne, quasi 9.800 in ingresso e oltre 14 mila in uscita. Le 3.582 imprese attive hanno sviluppato 13.621 relazioni interne.

Fonte: GS1 Italy “Monitoraggio dell’uso dell’EDI nel largo consumo in Italia” ed. 2023

L’aumento della diffusione dell’EDI nel largo consumo in Italia si è accompagnato con un utilizzo via via più articolato e completo da parte degli adopter. Lo conferma la crescita delle tipologie di messaggi scambiati. In 8.842 delle 13.621 relazioni realizzate dalle 3.582 imprese dell’ecosistema Euritmo è stato scambiato un solo tipo di documento, perlopiù rappresentato dalla fattura (51% del totale), seguita dall’ordine (33%), dall’avviso di spedizione (9%) e da altri documenti (7%). Ma è tra le restanti 4.779 relazioni che hanno scambiato da due a cinque documenti che sono emersi gli aspetti più interessanti: se quelle più elementari, ossia relative al ciclo dell’ordine, con lo scambio di ordine e fattura (orders & invoice) sono rimaste sostanzialmente stabili 3.226 (+0,3% annuo), al loro interno è aumentata di +36% la quota di quelle che si sono scambiate ordine e avviso di spedizione, che sono state 411 in totale, ed è cresciuta di +3% l’incidenza delle relazioni mature, ossia relative ad almeno tre documenti, arrivate a quota 680.

Le relazioni con scambio dei tre documenti base – la “triade” principale del ciclo dell’ordine, cioè ordine e avviso di spedizione e fattura sono calate numericamente di -12,2%, fermandosi a 259, mentre quelle più complete (ossia che scambiano almeno un quarto documento aggiuntivo) sono aumentate di +15%, arrivando a 421, di cui, in particolare, quelle con un messaggio in più sono passate da 333 a 386 (+16%) e quelle con due messaggi aggiuntivi sono salite da 32 a 33 (+3%).

Fonte: GS1 Italy “Monitoraggio dell’uso dell’EDI nel largo consumo in Italia” ed. 2023

A trainare la crescita annua dell’EDI sono stati soprattutto i retailer, che hanno aumentato la mole di documenti scambiati e le transazioni, perché lo ritengono indispensabile per migliorare l’efficienza interna e i processi collaborativi con i fornitori: rispetto all’anno precedente, gli operatori della Distribuzione hanno aumentato di +27% il numero dei messaggi inviati (24,1 milioni in totale) e ne hanno anche ricevuto l’8% in più (24,4 milioni). Che l’EDI sia giudicato dai retailer uno strumento fondamentale nella ricerca di una maggiore efficienza viene confermato dalla crescita record della conferma d’ordine (Ordrsp), un documento molto importante per la perfetta gestione del ciclo dell’ordine dei prodotti: in soli 12 mesi è passato da 1,5 milioni a 3,9 milioni di invii (+157%). Un altro segnale dell’interesse dei retailer nei confronti dell’EDI è la crescita annua di +12% del documento Orders, arrivato a quasi 8,5 milioni di documenti inviati. Un trend che testimonia maggiori pianificazione e automazione degli ordini. Quanto ai produttori, invece, il trend annuo è stato negativo per i messaggi in uscita (24,7 milioni totali, in calo di -8%) e positivo per quelli in entrata (21,5 milioni, in aumento di +1%).

“La lunga storia dell’EDI ci ha dimostrato che questa tecnologia, essenziale per il miglioramento dello scambio di informazioni e dati del ciclo dell’ordine, ha una grande capacità di adattamento all’evoluzione delle necessità delle imprese, diventata più evidente grazie alla velocità della trasformazione digitale” afferma Andrea Ausili, standard & innovation director di GS1 Italy. “Però ci sono ancora molte barriere, essenzialmente culturali, alla sua diffusione. Dunque, occorre fare di più”.

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