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Carrello della spesa a marzo, NielsenIQ evidenzia minimo calo dell’inflazione

NielsenIQ delinea lo scenario della Grande Distribuzione Organizzata nel nostro Paese ne “Lo stato del Largo Consumo in Italia”, l’analisi mensile relativa all’andamento dei consumi e alle abitudini di acquisto delle famiglie italiane.

Nel mese di marzo 2023 la distribuzione in Italia continua con un trend positivo del fatturato, registrando ricavi pari a 9 miliardi di € a totale Omnichannel, in crescita del +10% rispetto alla performance dello scorso anno. Stando ai dati di NIQ, l’indice di inflazione teorica nel Largo Consumo Confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, è pari al 15,6% a marzo. La variazione reale dei prezzi, al netto di una riduzione dello 0,9% del mix del carrello della spesa, si attesta al 14,7%.

A marzo tutti i canali distributivi riportano un andamento positivo rispetto allo stesso periodo del 2022. Nello specifico, guidano la crescita gli specialisti drug (+15,2%), seguiti da supermercati (+10,7%), liberi servizi (+10,5%), superstore (+9,6%), discount (+9,1%) e iper>4.500mq (+8,6%). La ricerca di NielsenIQ evidenzia inoltre che l’incidenza promozionale (a totale Italia) nel mese trascorso è pari al 23,4%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2022. Infine, l’acquisto di prodotti a marchio del distributore (MDD) nel mese di marzo si attesta al 22,4% del LCC nel perimetro iper, super e liberi servizi mentre è del 30,9% a totale Italia omnichannel – inclusi i discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Come da diversi mesi a questa parte, anche a marzo le aree merceologiche con l’incremento a valore più significativo sono i prodotti dedicati agli animali domestici (18,1%) e il cibo confezionato (+11,7%). Per quanto riguarda l’andamento a volume, il pet food manifesta una riduzione del -5,4% mentre il food confezionato diminuisce del 3,4%. Il fresco (peso fisso + peso variabile) mantiene la propria crescita in tutti i format distributivi: nello specifico il trend migliore si osserva negli iper>4500 (+10,6%), mentre i superstore registrano l’incremento minore tra tutti i canali (9,2%).

Per quanto riguarda la relazione valore e volume in ambito grocery, rispetto all’anno precedente, nel mese di marzo 2023 a totale Italia Omnichannel il trend a valore cresce del 9,9% mentre a volume si riduce del 4,8%. Formaggi (+18,8%), pane & pasticceria & pasta (+18,1%) e gastronomia (10%) sono le aree merceologiche più dinamiche a totale canali mentre i trend di crescita più bassi rimangono, anche a marzo, quelli registrati dai comparti pescheria (+5,2%) e frutta e verdura (+5,2%). A livello di prodotto, complice il periodo pasquale, guidano la top10 del mese uova di cioccolato (95,7%), colombe (94,7%) e fazzoletti di carta (49,4%).

Aziende alimentari, tassi di default in crescita per rincari energia e materie prime

Le aziende del settore alimentare mostrano un significativo incremento del tasso di default che a fine 2022 si attesta attorno al 4%. A reggere meglio è il comparto agricolo sebbene con tassi superiori al 2%. In generale, l’esame degli andamenti delle aziende nel 2021 e 2022 mette in evidenza come il contesto macroeconomico di instabilità abbia influenzato le performance del settore agricolo e parallelamente anche di quello alimentare, sebbene in modo differente. Sono queste alcune delle evidenze principali dello studio realizzato da CRIF Ratings, agenzia di rating del credito del gruppo CRIF. L’analisi è stata condotta su un campione di circa 11.000 aziende italiane, selezionate sulla base dei Codici Ateco 2007. Se da un lato nell’agroalimentare è stato registrato un deciso aumento dei fatturati, con una crescita generale del valore generato, dall’altro si è verificato un significativo incremento della rischiosità con i default che a livello nazionale sono aumentati di almeno 1 punto percentuale.

“Questo peggioramento così marcato del food & beverage è il riflesso della forte esposizione del comparto all’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, mentre risultano più in linea con le evidenze nazionali i tassi di default nel settore agricolo. La crescita record dei fatturati è riconducibile prevalentemente alla spinta dell’inflazione, che ha portato le imprese dell’agroalimentare a rialzare i prezzi dei propri prodotti a listino. Nel 2023, crediamo che i fatturati continueranno a progredire per effetto dell’inflazione, ma allo stesso tempo i margini operativi resteranno sotto pressione”, spiega Luca D’Amico, Amministratore Delegato di CRIF Ratings.

Nel complesso, allargando lo sguardo e guardando anche ad altri settori, entrambi comparti agricolo e alimentare, si collocano all’interno del ‘corridoio’ rappresentato dal cosiddetto “leisure” (che comprende ristorazione, viaggi e turismo, lotterie, attività ricreative, sportive e di intrattenimento), che segna i risultati più critici in assoluto, e dal comparto farmaceutico che segna invece i risultati migliori. In ogni caso, l’agroalimentare è comunque sopra la media italiana.

Bilanci e indebitamento delle imprese: aumenta il rischio
Andando a guardare l’indebitamento da parte delle imprese, emerge ancora più chiaramente l’immagine di un comparto posizionato su livelli di rischio superiori rispetto alla media nazionale. Nelle imprese agricole vediamo infatti un debito finanziario lordo quasi 7 volte superiore al margine operativo lordo, in media, un rapporto che scende a 4 nell’alimentare, ma che resta comunque sopra la media nazionale. A causa della pandemia le aziende dal 2020 hanno fatto maggiore ricorso al credito, accumulando una massa di debiti, che ha portato a un marcato squilibrio tra il debito e il margine operativo lordo. Il riassesto, con il ritorno ai livelli pre-Covid, viene rallentato attualmente da un contesto macroeconomico ancora instabile.

Allo stesso tempo, l’autofinanziamento delle imprese attraverso la gestione operativa risale a rilento, con un andamento molto più basso rispetto alla media italiana, andando a scapito della sostenibilità economica degli impegni contratti. Il settore alimentare infatti segna in media un margine operativo lordo che è circa 10 volte gli oneri finanziari, un rapporto che scende a 8 circa per l’agricoltura, quando la media nazionale è superiore alle 15 volte. Inoltre, attualmente la politica monetaria espansiva non gioca a favore e il contesto di rialzo, che continuerà del 2023, potrebbe mettere sotto pressione i settori e le imprese strutturalmente più fragili.

Invece, per quanto riguarda il rapporto tra cassa e debito finanziario, la liquidità aveva mostrato un miglioramento favorito dagli interventi governativi. Però, l’avvio dei rimborsi delle quote capitale porterà ad intaccare i livelli di liquidità delle imprese, con effetti maggiori in situazioni di sovra-indebitamento. Per l’alimentare, infatti, la cassa equivale all’80% circa del debito finanziario a breve, quota che nell’agricoltura scende al 60%, mentre la media nazionale si attesta sul 140%.

ESG, investimenti e le prossime sfide del comparto
Guardando ai prossimi passi del settore agroalimentare e agli investimenti, c’è molta strada da fare sulla digitalizzazione dei processi, sulla tracciabilità delle filiere, nonché sull’ottimizzazione delle risorse idriche ed energetiche, così come su tutti quei fattori che vanno a comporre gli indici ESG (Environmental, Social, Governance). Secondo quanto rilevato da Crif Ratings, infatti, il 95% delle aziende ha dei punteggi ESG negativi o pessimi. Le aziende agricole, oltre ad essere le più esposte ai rischi fisici e di transizione, sono anche caratterizzate da ampi margini di miglioramento sulle tematiche sociali (“S”: Social), con riferimento al forte precariato, stagionalità degli impieghi e, talvolta, dalla limitata attenzione a welfare/diritti umani. Sul piano della gestione di impresa invece (“G”: Governance), emerge come la maggior parte sono aziende per lo più a conduzione familiare, destrutturate, con poca trasparenza ed equità interna.

È un settore che può presentare esempi molto virtuosi, come le aziende che applicano circular economy e progetti di rigenerazione della biodiversità, sebbene questi aspetti difficilmente riescano ad emergere perché si tratta ancora di una casistica limitata. Sul piano dell’impatto ambientale (“E”:Environmental), le filiere agroalimentari nel loro complesso sono responsabili di una quantità molto consistente di emissioni di CO2. Proprio una delle sfide chiave è quella della protezione delle risorse naturali con la conservazione dell’ambiente, evitare il deterioramento dei terreni, limitare il contenimento dell’inquinamento delle fonti idriche, e contrastare la distruzione di ecosistemi.

Previsioni 2023 su agroalimentare e altri settori
L’andamento economico atteso, per quanto riguarda i settori manifattura, trasporti, agroalimentare e costruzioni, segna un pieno recupero del fatturato post pandemia. Nell’attuale contesto, il fatturato continuerà a crescere per l’effetto dell’inflazione ma, allo stesso tempo, i margini operativi resteranno sotto pressione a causa degli elevati costi energetici e le oscillazioni del prezzo delle materie prime. L’effetto sul settore delle Utilities si diversificherà in base al posizionamento nella filiera dell’energia, con forte effetto inflattivo generato sui ricavi, ma potrebbe provocare degli impatti negativi in termini di redditività, specie per attività di vendita e re-selling. Il settore terziario è invece previsto in forte recupero rispetto al 2019, anche perché meno esposto al tema dei costi fissi e materie prime.

Studio IBM, per favorire la crescita sostenibile le aziende devono investire in tecnologia

Secondo un nuovo studio globale condotto da IBM e The Consumer Goods Forum, il 61% dei leader delle aziende di beni di consumo sta allineando i propri obiettivi operativi e di sostenibilità, con il 77% degli intervistati che concorda sul fatto che gli investimenti in sostenibilità accelereranno la crescita aziendale. I partecipanti hanno indicato che le loro aziende aumenteranno i budget dedicati alla tecnologia del 34% nei prossimi tre anni, al fine di mantenere la promessa relativa alla sostenibilità.

Allo studio, “Riprogettare i valori del marchio: scopo e profitto convergono nelle operazioni principali,” hanno partecipato 1.800 dirigenti delle aziende di beni di consumo di 23 paesi. Il report evidenzia che queste aziende stanno integrando la sostenibilità nelle loro operazioni, ricalibrandone la misurazione e la rendicontazione e aumentando i loro investimenti in tecnologia per poter raggiungere gli obiettivi prefissati.

“Il mondo sta cambiando rapidamente e i Fast-moving consumer goods (FMCG) e i consumatori ne stanno prendendo atto”, ha detto Ruediger Hagedorn, End-to-End Value Chain Director CGF. “In che modo le aziende di questo settore si stanno preparando per un futuro più sostenibile ed efficiente, sfruttando le nuove tecnologie? Questo report fornisce interessanti informazioni su ciò che, a livello globale, determina il processo decisionale, che plasmerà il nostro futuro”.

I risultati principali dello studio
L’integrazione di sostenibilità e operation: il 61% dei leader delle aziende di beni di consumo intervistati sta allineando gli obiettivi operativi con quelli relativi alla sostenibilità per ottimizzare gli investimenti e gli sforzi, il 77% concorda anche sul fatto che gli investimenti in sostenibilità accelereranno la crescita aziendale. Questa integrazione strategica si traduce in iniziative quali: imballi sostenibili, processi di produzione efficienti dal punto di vista energetico e approvvigionamento etico dei materiali.

Ricalibrare la misurazione e il reporting sulla sostenibilità: quasi il 75% dei leader concorda sulla necessità di ricalibrare il modo in cui vengono misurati gli obiettivi di sostenibilità. Tuttavia, molti non sono in grado di monitorare e misurare i progressi in tempo reale. Lo studio sottolinea l’importanza di stabilire una solida base di dati e migliorare le capacità di raccolta degli stessi per promuovere trasparenza e fiducia.

Utilizzo della tecnologia per rendere operativa la sostenibilità: le aziende si stanno rivolgendo alla tecnologia per rispettare in modo efficace le promesse di sostenibilità, con i leader che vedono più tecnologie avere un ruolo, come ad esempio automation (71%), analytics (69%), IoT (62%), AI (55%) e intelligent workflows (44%). Mentre riqualificano le loro attività relative alla supply chain, il 67% cita l’utilizzo di analisi predittiva e prescrittiva e il rilevamento della domanda basato sull’intelligenza artificiale (69%) utile a migliorare la gestione dell’inventario ed eliminare le scorte in eccesso. Stanno, inoltre, applicando flussi di lavoro basati sull’intelligenza artificiale (70%) e stanno iniziando ad adottare la tecnologia digital twin (26%) per promuovere l’efficienza.

“Nel mondo di oggi, i consumatori cercano attivamente brand che riflettano i loro valori, questo rende l’integrazione della sostenibilità un importante elemento di differenziazione per le aziende di beni di consumo e i retailer”, ha dichiarato Luq Niazi, Global Managing Partner for Industries IBM. “Una significativa integrazione della sostenibilità nelle operation del brand può essere raggiunta solo attraverso una solida combinazione di processi aziendali, tecnologia, partnership con l’ecosistema e collaborazione a livello manageriale tra produzione, IT, operation, supply chain e sostenibilità. Adottando questo approccio olistico, i manager del settore possono promuovere prestazioni aziendali sostenibili e attingere così a una quota maggiore della spesa dei consumatori”.

Mens sana in corpore sano, gli italiani riscoprono il piacere del benessere

Dopo il difficile periodo pandemico, gli italiani hanno riscoperto il valore e il piacere dello stare bene, sia fisicamente che mentalmente. Ad acclararlo sono i dati raccolti da NielsenIQ nella cornice di Cibus Connecting Italy, il Salone internazionale dell’alimentazione che si è svolto a Parma il 29 e 30 marzo scorsi: tra le tendenze registrate vi è quella dell’alimentazione sportiva, passata da 6,7 milioni di acquirenti nel 2021 agli 8,1 milioni (+20,2%), un valore che corrisponde al 31,6% dei consumatori.

La tendenza appare ormai consolidata e probabilmente sarebbe più corretto parlare di abitudine di consumo e non più di trend visto che questo tipo di consumo riguarda le famiglie e non più i singoli individui.

Parallelamente anche i claim del benessere presentano trend interessanti come rimarca Marco Pellicci, SMB & Global Snasphot Solution Leader di NielsenIQ, che pone l’accento sulla crescita del senza zuccheri aggiunti (+19% a valore, +14.9% a volume), dell’high protein (+9,3% a valore, +4,3% a volume) e del low calories (+6,8% a valore, +3,7% a volume). «In un mondo che cambia, in cui i consumatori stanno modificando i propri bisogni e comportamenti d’acquisto, risulta sempre più importante sapersi differenziare, rispondendo ai nuovi trend di consumo. Risulta quindi necessario elaborare strategie rivolte a queste particolari categorie di prodotto, dall’identificazione del perimetro (i cui confini sono ancora vaghi), alla creazione dello scaffale, alla definizione dei prezzi e degli assortimenti».

Se da un lato si assiste a un interesse crescente per certe tipologie merceologiche, dall’altro però la situazione economica mette i consumatori di fronte a continue sfide. Il 62% dei consumatori a livello globale e il 70% di quelli italiani si sente già in una situazione di recessione e il 38% (43% in Italia) ritiene di avere disponibilità economiche solo per acquistare lo stretto necessario. Di conseguenza il primo rimedio, quasi istintivo, per la situazione attuale è la riduzione dei volumi acquistati, che in Italia hanno registrato un calo del 6% nelle prime 4 settimane del 2023 (vs 2022).

È una tendenza che si osserva in molti Paesi e che riguarda tutte le principali categorie del largo consumo, anche se la crisi non impatta nello stesso modo su tutte. Pur in una situazione così complessa alcune categorie di prodotto hanno registrato performance migliori nel 2022 rispetto al 2021. In Italia per esempio è cresciuto – in termini di volumi venduti – tutto il mondo dell’alimentazione sportiva (+46,9%), con energy drink (+25,3%) e integratori (+9,5%), ma anche l’universo delle caramelle (+8,8%), dei gelati (+6,2%) e delle merendine (3,9%) cioè in generale tutto ciò che può gratificare il consumatore. Si tratta infatti di prodotti che aiutano le persone a compensare una situazione stressante e che contribuiscono ad alimentare il benessere fisico e mentale, al primo posto tra le priorità per il 2023.

«La ricerca di gratificazioni avviene comunque attraverso strategie prudenziali» spiega Matteo Bonù, Global Client Business Partner di NielsenIQ. «Monitorando il costo totale del carrello della spesa (34% nel Regno Unito e 37% in Francia), scegliendo principalmente prodotti a marchio del distributore (29% negli USA e 42% in Spagna) o acquistando marche in promozione (50% in Italia e 43% in Germania). Si tratta di azioni non necessariamente legate alla ricerca di beni di primo prezzo quanto piuttosto al miglior rapporto qualità-prezzo possibile, per poter mantenere inalterato il proprio livello di gratifica ma contenendo la spesa».

 

 

Pet food, l’inflazione non riduce la spesa per gli animali domestici

Il pet owner italiano sceglie meticolosamente l’alimentazione del proprio amico a quattro zampe, con un occhio alle ultime novità e alla salvaguardia dell’ambiente e senza mettere in secondo piano, nemmeno in tempi di crisi, il benessere dell’animale. È questo l’identikit emerso dalla ricerca in ambito pet care di Toluna, svolta nella seconda metà di marzo e che ha intervistato un totale di 1.800 rispondenti italiani selezionati in quanto proprietari di cani o gatti e diretti responsabili della loro cura.

In molti casi l’animale domestico è considerato a tutti gli effetti parte della famiglia, tanto che il 35% dei proprietari di gatti e il 42% dei padroni di cani partecipanti al sondaggio li considera quasi come dei figli e il 30% e il 28%, rispettivamente, dei migliori amici. In quanto tali, dunque, nessun aspetto della loro cura può essere lasciato al caso, a partire dall’alimentazione. Il cibo scelto è prodotto da brand in cui i rispondenti ripongono fiducia, sicuri che forniscano un corretto apporto nutrizionale (36% di chi possiede un gatto, 32% di chi ha un cane), e l’acquisto è spesso preceduto da ricerche approfondite (28% e 35%).

Tra i criteri per la selezione del pet food predominano la felicità del compagno a quattro zampe (84% gatto, 85% cane), l’attenzione al benessere dell’animale (83% in entrambe le categorie) e l’alta qualità (80%, 81%). Il brand ideale si caratterizza poi per l’attenzione al ciclo di vita del gatto (78%) e del cane (82%) e a diete e patologie specifiche (71%, 79%). Proprio per queste ragioni, il consumatore richiede innanzitutto un’ampia gamma di offerta per le diverse esigenze dell’animale (73% e 67%) e per le sue diverse età (67% e 65%). Tra i brand attualmente più top of mind per i proprietari di animali figurano Purina e Monge, ma i mercati si dimostrano dinamici e aperti all’ingresso di nuove marche di nicchia come Lily’s Kitchen.

Innovazione e sostenibilità: le opinioni dei consumatori
Tra le novità emerse negli ultimi tempi all’interno del mondo della nutrizione pet, i partecipanti al sondaggio mostrano particolare interesse per i prodotti con aggiunta di integratori (indicati da 3 proprietari di gatti su 4 e dall’81% dei padroni di cani), per i cibi funzionali, specifici per problematiche dell’animale (78% e 75%) e per quelli con solo conservanti naturali (76% e 81%). Considerate meno invitati le innovazioni più “futuristiche” come HFC (adatti al consumo umano), a base di proteine di insetti e carni sintetiche (tutte indicate come “molto” o “abbastanza interessanti” da meno del 37% dei consumatori).

L’attualissimo tema della sostenibilità coinvolge anche questo settore, tanto che 4 padroni di gatti su 5 e più di 3 proprietari di cani su 4 ritengono importante che le confezioni del cibo per animali siano sostenibili. Pensando al futuro del pianeta, i rispondenti chiedono alle aziende dell’industry imballaggi 100% riciclabili (42% e 39%) e la diminuzione o l’azzeramento della plastica (34% e 36%). Attenzione che non si deve, però, limitare al packaging: il 38% e il 34% dei partecipanti vorrebbe dai brand una riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

L’impatto dell’inflazione sullo shopping pet care
L’aumento del costo della vita non ha risparmiato il comparto pet, dove l’85% dei panelisti ha riscontrato una crescita dei prezzi che si ripercuote anche sulle previsioni di spesa future: il 23% dei proprietari di gatti e il 26% di quelli di cani crede che nei sei mesi successivi all’indagine spenderà di più per i propri animali. Nonostante l’inasprimento della condizione economica, però, le spese per gli amici a quattro zampe sono tra le ultime su cui i rispondenti sono disposti a tagliare (solo il 6% e 8%), preferendo rinunciare a pasti fuori casa, vacanze, abbigliamento e prodotti di bellezza. Dopotutto i pet owner appaiono poco propensi a cambiare le proprie abitudini di acquisto. Negli ultimi mesi il 25% dei rispondenti con un gatto e il 19% di quelli con un cane non ha affatto modificato i propri comportamenti, mentre il 37% e 32% ha continuato ad acquistare i soliti prodotti approfittando di offerte o cercando promozioni speciali e il 23% in entrambe le categorie ha fatto acquisti in grandi quantità per accedere a sconti. Menzioni ai discount arrivano per lo più dai proprietari di cani (21%).

Diversi servizi dal grande potenziale per il retail
Il mondo pet offre al retail numerose opportunità in parte ancora da esplorare. Interrogati relativamente ai servizi che un negozio per animali offre o potrebbe proporre in futuro, i partecipanti al sondaggio di Toluna hanno mostrato notevole interesse per la consulenza veterinaria (82% dei proprietari di gatti, 83% di quelli di cani), la vendita di medicinali (78%, 83%), la consulenza alimentare (74%, 77%) e la registrazione via microchip (71%, 78%), a cui si aggiungono aree attrezzate per il lavaggio “fai da te” citate dal 63% dei padroni di felini e il servizio di tolettatura indicato dal 77% di coloro in possesso di un cane. Il futuro del retail pet, quindi, sarebbe l’One-Stop shop. Al di là del pet food, inoltre, al 72% dei rispondenti che accudiscono un gatto piacerebbe poter acquistare in negozio o nello store online per animali prodotti quali sistemi di smaltimento (bidoni igienici per la lettiera) e distributori automatici di acqua e croccantini. Tra le categorie di interesse dei proprietari di cani spiccano invece deodoranti per l’ambiente dedicati (72%) e accessori GPS (70%).

L’inflazione continua a minacciare la tenuta dei consumi

I dati diffusi da Istat relativi ai prezzi al consumo del mese di marzo evidenziano un’inflazione in rallentamento rispetto a quella del mese precedente: l’indice generale segna +7,7% su base annua, mentre il carrello della spesa registra un +12,7% su base annua.

Nonostante la minore velocità di crescita dei prezzi, dovuta principalmente a una frenata dei costi dei beni energetici e delle materie prime, l’inflazione rimane una delle principali preoccupazioni delle famiglie italiane. È quanto evidenzia la rilevazione condotta da Ipsos per Federdistribuzione: un italiano su due si dichiara insoddisfatto della propria situazione economica, mentre l’84% degli intervistati esprime preoccupazione per l’impatto degli aumenti sul proprio bilancio familiare. Aumentano gli italiani che lamentano di non potersi permettere alcuni acquisti: sono il 46%. L’inflazione ha poi avuto un effetto importante sulla composizione della spesa delle famiglie: rispetto a un anno fa, oltre un italiano su due percepisce l’aumento del costo della vita (56%). In particolare, il 55% percepisce che è aumentato il peso delle spese fisse, come mutui e affitti, e oltre 7 intervistati su 10 quello della spesa alimentare. La metà degli italiani prevede una situazione in peggioramento per quest’anno: 6 italiani su 10 pensano che l’inflazione crescerà, ma per il 35% meno dello scorso anno.

La riduzione del potere d’acquisto ha avuto un impatto sul volume dei consumi, in terreno negativo intorno al -5% rispetto a un anno fa. Secondo la rilevazione condotta da Ipsos per Federdistribuzione, gli italiani stanno attuando da mesi strategie per risparmiare: il 60% fa più attenzione a offerte e promozioni, il 46% sta più attento agli sprechi, il 29% ha cambiato il luogo d’acquisto, il 28% ha ridotto la quantità dei prodotti acquistati, mentre il 19% ha diminuito la qualità o ha rinunciato ad alcune caratteristiche dei prodotti. Rischio che coinvolge in particolare i prodotti del Made in Italy: nonostante per 8 italiani su 10 sia importante sapere che un prodotto è italiano e il 53% acquisti made in Italy per sostenere il Paese, il 47% non è disposto a pagare di più, anche per effetto dell’aumento dei prezzi.

“L’incertezza generata dall’inflazione e la perdita del potere di acquisto degli italiani fanno emergere con evidenza l’effetto di contrazione dei consumi. E questo mette a rischio non solo la tenuta economica delle imprese distributive e produttive ma anche quella di molte filiere di eccellenza, in particolare di tutti i prodotti del Made in Italy che sono emblema delle tipicità del nostro sistema agroalimentare”, ha commentato Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione. “Nell’ultimo anno, la preoccupazione delle nostre aziende si è concretizzata in uno sforzo straordinario che ha permesso di mitigare la pressione inflattiva, al costo di rinunciare a parte delle marginalità. Uno sforzo che Mediobanca ha fotografato nel recente Osservatorio sulla GDO, evidenziando come molte imprese della distribuzione abbiano bilanci con redditività in forte contrazione. Siamo quindi di fronte all’urgenza di dare impulso ai consumi, attraverso politiche incisive di sostegno al potere di acquisto delle famiglie, così come di proteggere il sistema delle aziende nel nostro Paese, per evitare che ulteriori aumenti dei costi produttivi, dei beni energetici e delle materie prime alimentino ulteriormente i livelli di inflazione”.

 

I consumatori si affidano all’e-commerce per fronteggiare rincari e inflazione

La ripresa economica del 2021 a seguito della pandemia ha generato una forte pressione inflattiva, ulteriormente accelerata nel 2022 a seguito del conflitto russo-ucraino. Si è passati da un tasso di inflazione negativo (o comunque prossimo allo 0%) nel 2020 ad uno medio dell’8,9% nell’ultimo anno. Infatti, oltre 7 italiani su 10 ritengono che l’incremento dei prezzi e del costo della vita sia oggi il principale problema in Italia, quasi 30 punti percentuali in più rispetto al secondo problema maggiormente sentito, cioè la disoccupazione. Questa percezione è trasversale a tutte le fasce d’età e presente uniformemente in tutte le aree geografiche.

Nell’ultimo anno, l’inflazione ha ridotto il potere di acquisto degli italiani, inducendoli nel 2023 a modificare i propri comportamenti d’acquisto: 9 italiani su 10 affermano che il proprio potere d’acquisto si sia ridotto nell’ultimo anno, con le fasce d’età più colpite fra i 46 e i 60 anni e gli over-60. Per questa ragione, i consumatori italiani dichiarano che modificheranno i propri comportamenti d’acquisto nel 2023, in termini di maggiore attenzione ai prezzi (64,8%) e ricerca di promozioni e sconti (56,2%). In questo contesto emerge il ruolo strategico dell’e-commerce. La maggioranza degli italiani, ben 6 su 10, ritiene che l’e-commerce abbia contribuito, nell’ultimo anno, al contenimento dell’inflazione, permettendo di aumentare o mantenere invariato il proprio potere d’acquisto. Tale evidenza è ancora più rilevante letta congiuntamente agli impatti dell’inflazione sugli italiani: The European House -Ambrosetti stima che nel 2022 oltre 300.000 famiglie potrebbero cadere in povertà assoluta e che la crescita dei prezzi nel 2022 abbia “bruciato” circa 97,5 miliardi di Euro di risparmi degli italiani.

È la principale evidenza emersa dalla survey realizzata da The European House Ambrosetti, in collaborazione con Amazon, dal titolo “Inflazione e e-commerce: abitudini e percezioni degli italiani”, presentata a Palazzo Giustiniani, a Roma. Obiettivo dello Studio è stato analizzare l’impatto dell’inflazione sulle abitudini di consumo degli italiani e il ruolo del commercio elettronico.

Dalla survey emerge una maggiore percezione dell’economicità del canale online tra i più giovani e i cittadini con livelli di istruzione più alti. Mentre i benefici in termini di maggiore accessibilità e ampiezza dell’offerta sono percepiti soprattutto dalle fasce d’età più anziane. La percezione del beneficio del commercio online sul potere d’acquisto è poi maggiore dove l’inflazione ha ha colpito di più e, principalmente, nel Mezzogiorno.

I benefici del commercio elettronico non si riferiscono solamente ai prezzi, ma anche alla maggior reperibilità e alla più ampia offerta online di molti prodotti: ben 2 italiani su 3 ritengono che il canale online garantisca migliore accessibilità e maggiore varietà nell’offerta, in particolare nei Comuni con meno di 10 mila abitanti.

Strumento di promozione del Made in Italy
Secondo la survey, 3 italiani su 4 acquistano prodotti Made in Italy via e-commerce. Le categorie merceologiche del Made in Italy più apprezzate online sono Fashion (43,7%), Food&Beverage, (32,5%) e Furniture (23,4%), ovvero le «3F» del Made in Italy in cui è riconosciuta all’Italia una leadership a livello internazionale, rappresentando il 30% del valore aggiunto (74,8 miliardi di euro), il 37% dell’export (125,3 miliardi di euro) e il 40% dell’occupazione del sistema manifatturiero italiano (1,5 milioni di occupati).

Outlook sugli online store
Amazon si posiziona al primo posto tra i principali brand – sia fisici che marketplace – con maggiori benefici percepiti dagli italiani su contributo al potere d’acquisto, economicità e varietà e ampiezza dell’offerta.

Effetti positivi anche sul commercio tradizionale
La maggiore diffusione dell’e-commerce porta con sé benefici per i consumatori anche grazie al miglioramento nell’offerta dei retailer fisici: 1 italiano su 4 ha osservato un miglioramento nell’offerta del commercio tradizionale negli ultimi anni, in termini di maggiore economicità (49,1%), di maggiore facilità di accesso ad informazioni su sconti e promozioni (42,5%) e migliore qualità del servizio di assistenza (40,3%). Un esempio di questo effetto è il Black Friday: ora consuetudine del canale sia online che offline o il Cyber Monday nato online e ora presente anche nel commercio tradizionale, che hanno portato a milioni di persone la possibilità di risparmiare sullo shopping di Natale in ogni categoria: dalla moda alla casa, dall’elettronica ai giocattoli, dalla bellezza ai dispositivi elettronici e molto altro ancora.

Food & beverage, inflazione costringe italiani a ridurre spesa e frequenza d’acquisto

Nel settore del food & beverage, il 48% degli operatori del settore prevede una performance 2023 peggiore rispetto al 2022, attendendo un rialzo dell’inflazione al consumo fino all’8.8%. Nel corso dell’anno circa il 40% dei consumatori italiani prevede di ridurre la spesa e la frequenza di acquisto – soprattutto dolciumi e bevande alcoliche – con una conseguente minore fedeltà ai brand e successiva sostituzione di gran parte di essi con private label. I dati emergono dallo studio “Trend Food & Beverage nel 2023” della società di consulenza strategica Simon Kucher.

Secondo la ricerca, nel 2023 tra il 37% e il 47% degli italiani si rivolgerà a brand e negozi meno costosi o smetterà di acquistare determinati prodotti. L’82% degli operatori prevede infatti un aumento delle vendite di private label a discapito dei marchi più famosi. A ciò si aggiunge l’evidenza che i consumatori non sono pienamente soddisfatti dei prodotti attualmente offerti con la diretta conseguenza della sempre più sentita necessità da parte delle aziende di innovare, soprattutto nel comparto degli alimenti confezionati e freschi. Alla luce dell’attuale contesto gli operatori food & beverage devono quindi far fronte ad alcune sfide quali il rallentamento economico, margini e profitti più bassi, minore fedeltà ai brand, nuove abitudini ed esigenze dei consumatori.

Le strategie di mercato

Il 2023 è l’anno del consumer first e da ciò ne deriva che le aziende del settore sono chiamate a progettare innovative strategie consumer-centric concentrandosi su 3 principali aree di investimento:

Prodotto
Per rispondere all’85% dei consumatori in tutto il mondo che nell’ultimo anno ha adottato abitudini di consumo più green, il settore F&B dovrà abbracciare scelte che vadano in questa direzione. L’86% delle famiglie italiane preferisce acquistare brand sostenibili e il 44% dei consumatori appartenenti alla Generazione X e ai baby boomers in Italia hanno cambiato significativamente le loro abitudini di consumo. La ricerca mette in luce che il 43% dei clienti è disposto a pagare un prezzo più alto per acquistare prodotti sostenibili, percentuale che cresce al 68% se l’aumento è moderato. Da questo deriva la necessità di pensare a nuovi format, nuovi canali e nuovi prodotti. Il 65% dei consumatori sceglie infatti cosa acquistare in base alla sostenibilità della confezione e il 19% è pronto a rinunciare a un prodotto se non è sostenibile.

Personalizzazione
La pressione sui margini rende critico allocare efficacemente le risorse di marketing su azioni mirate, le aziende devono quindi concentrarsi sul fornire messaggi minimalisti e touchpoint interattivi attraverso personalizzazione, video marketing, automazione e partnership. Queste ultime sono considerate dal 76% delle realtà un elemento centrale nella strategia di mercato. Le collaborazioni tra brand possono svilupparsi sotto molteplici forme, dalle campagne marketing congiunte, a packaging e brand comuni, fino allo sviluppo congiunto di nuovi prodotti. I co-branding nel settore del F&B rappresentano un’opportunità per innovare il portafoglio e incrementare le vendite. Dal punto di vista del pricing, il prezzo dei beni esposti a scaffale sarà di importanza critica per il 36% degli operatori del settore. Numerosi player della Gdo ha già adottato la strategia dei prezzi dinamici aumentando i margini fino al 3% e gli sprechi fino al 40%.

Coinvolgimento
Per gli operatori del settore è diventato indispensabile adottare un approccio multicanale per integrare nuove opzioni di acquisto su piattaforme online e social media, offrendo un’esperienza personalizzata e integrata su tutti i canali. In Italia si prevede infatti che nel 2023 le vendite online nel settore alimentare raggiungeranno i 2,9 miliardi di euro (+12,1%) e in quello delle bevande circa 1 miliardo (+11,8%). Tra gli strumenti volti a coinvolgere il proprio pubblico acquisiscono particolare rilevanza i programmi fedeltà, nei quali sono già coinvolti quasi il 43% degli italiani. Il 68% dei consumatori, infatti, acquista di più dai brand di cui è iscritto a una qualsiasi forma di loyalty.

“Anche se le previsioni indicano che quest’anno l’Italia eviterà la recessione, si stima che nel 2023 il PIL crescerà solo dello 0.4%. In un contesto di mercato sfidante, le aziende devono adeguarsi adottando nuove strategie per acquisire clientela” commenta Francesco Fiorese, Partner e Managing Director di Simon Kucher Italia. “La tecnologia gioca un ruolo fondamentale: l’analisi dei big data permette di identificare le tendenze attuali anticipando quelle future; prevedere la domanda fornisce il vantaggio competitivo per adeguare i prezzi in modo dinamico; il metaverso e gli NFT rendono possibile raggiungere nuovi clienti affermando la propria presenza anche nel mondo digitale”.

 

Flessione nel comparto del vino nella distribuzione moderna

Il 2022 è stato un anno difficile per il mercato del vino nella distribuzione moderna a causa degli aumenti di costo delle produzioni e dei prezzi al pubblico. Il 2023 potrebbe essere un anno altrettanto complicato per i volumi, a causa del pieno manifestarsi degli effetti legati al prezzo ma potrebbe anche verificarsi un recupero nel secondo semestre, se l’inflazione calerà e se le promozioni diventeranno più incisive.

Questo il quadro che verrà presentato in dettaglio dall’istituto di ricerca Circana (già IRI) a Vinitaly (a Verona dal 2 al 5 aprile), nel corso della 19° tavola rotonda su vino e distribuzione moderna, organizzata da Veronafiere.

Un’anteprima della ricerca presenta i dati generali delle vendite nell’anno 2022, la classifica dei vini e spumanti più venduti (a volume) sugli scaffali della distribuzione moderna e la classifica dei vini “emergenti” (a valore).

Sul podio il Prosecco (Veneto e Friuli V.G.) con 46 milioni di litri venduti, il Chianti (Toscana) con 17 milioni di litri, il Lambrusco (Emilia Romagna) con quasi 17 milioni di litri. Si fanno notare le buone performance del Nero d’Avola (Sicilia) al 10° posto con quasi 8 milioni di litri, il Pignoletto (Emilia Romagna) al 12° posto con 6 milioni di litri, il Primitivo (Puglia) al 13° posto con quasi 6 milioni di litri.

La classifica dei vini “emergenti”, cioè quelli col maggior tasso di crescita rispetto all’anno precedente, elaborata a valore, mostra sul podio: Ribolla (Friuli V.G.) con +12%; Muller Thurgau (Trentino Alto Adige) con +10,0%; Vermentino (Sardegna, Liguria, Toscana) con +9,9%. Da notare i buoni piazzamenti in questa speciale classifica di Vernaccia (Toscana), Orvieto (Umbria, Lazio), Nebbiolo (Piemonte, Lombardia).

I dati dell’intero comparto vino mostrano una flessione, a volume, del vino (-5,4%), dei vini rossi (-7%), degli spumanti (-4,7%) che diventa -0,2% se si esclude il prosecco.

“Lo scenario geo-politico e le conseguenze sui prezzi hanno generato effetti non marginali sulle vendite, che però hanno resistito evitando un tracollo – ha dichiarato Virgilio Romano, Business Insight Director di Circana (già IRI). La fine del Covid potrebbe dare più certezze a tutti. Nel corso della tavola rotonda presenteremo i dati dei primi mesi dell’anno, in modo da approfondire i primi segnali che vengono dai mercati e che potrebbero condizionare il 2023. Senza drammatici ulteriori aumenti dei prezzi, le cantine e la distribuzione potranno tornare a confrontarsi sulla base delle scelte aziendali e delle strategie di medio-lungo periodo”.

Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere, ha sottolineato la rilevanza della tavola rotonda promossa con Vinitaly: “Nel tempo è divenuta uno dei luoghi privilegiati del dialogo tra le cantine e le insegne distributive, spesso caratterizzato da posizioni lontane. Per favorire l’incontro, in un periodo non facile per le vendite del vino, abbiamo anche rinnovato la formula, che consentirà ai rappresentanti dei produttori di porre direttamente domande ai distributori, in modo che il confronto sia sempre più costruttivo”.

Spesa sempre più cara per gli italiani, a febbraio inflazione al 16%

NielsenIQ delinea lo scenario della grande distribuzione organizzata nel nostro Paese ne “Lo stato del Largo Consumo in Italia”, l’analisi mensile relativa all’andamento dei consumi e alle abitudini di acquisto delle famiglie italiane. Nel mese di febbraio 2023 la distribuzione in Italia ha ottenuto ricavi per 9,8 miliardi di € a totale omnichannel, registrando un trend positivo (+9,9%) rispetto alla performance dello scorso anno.

Stando ai dati di NIQ, l’indice di inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, è pari al 16% a febbraio. Il mix del carrello della spesa si riduce dell’1,2%, con una variazione reale dei prezzi che si attesta al 14,8%”.

Per quanto riguarda i canali distributivi, a febbraio riportano tutti – rispetto allo stesso periodo del 2022 – un andamento positivo. Nello specifico, guidano la crescita gli specialisti drug (+16,6%), seguiti da superstore (+12%), iper>4.500mq (+10,4%), supermercati (+9,8%), liberi servizi (+9,2%) e discount (+8,5%).

L’indagine di NielsenIQ evidenzia inoltre che l’incidenza promozionale (a totale Italia) nel mese di febbraio 2023 è inferiore di 0,6 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e si attesta al 23,1%. Infine, continua ad aumentare la scelta di prodotti a marchio del distributore (MDD): nel mese trascorso ha raggiunto il 22,9% del LCC nel perimetro iper, super e liberi servizi fino ad arrivare a quota 31,2% sul totale Italia omnichannel – inclusi i discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Secondo l’analisi di NIQ, le aree merceologiche con l’incremento a valore più significativo anche nel mese di febbraio e ormai da diversi mesi sono i prodotti dedicati agli animali domestici e il cibo confezionato. Il pet food registra infatti un +17,5% a valore ma un -5,7% a volume, diversamente il food confezionato cresce a valore del 13,5% e diminuisce a volume del 2,9%.

Il fresco (peso fisso + peso variabile) mantiene un andamento positivo nella maggior parte dei canali distributivi: in particolare il trend migliore si rileva negli iper>4500 (+10,8%) mentre nei discount il peggiore (+6,8%). Per quanto riguarda la relazione valore e volume per i formati distributivi in ambito grocery, rispetto all’anno precedente nel mese di febbraio 2023 a totale Italia omnichannel il trend a valore cresce del 10,1% mentre a volume si riduce del 4,7%.

Pane & pasticceria & pasta (+18,8%), formaggi (+17,9%) e macelleria e polleria (+9,2%) rimangono – come a gennaio – le aree merceologiche più dinamiche a totale canali, mentre i trend più bassi sono registrati dai comparti pescheria (+1,2%) e frutta e verdura (+1,3%). A livello di prodotto, fazzoletti di carta (91,2%), olio di semi di girasole (46,3%) e zucchero (42,9%) si classificano come i primi 3 comparti merceologici nella top10 del mese.

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