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Investire in tecnologia vuol dire aumentare il valore dell’azienda

Il software sta trasformando ogni settore e l’impatto è particolarmente pronunciato nelle organizzazioni rivolte ai consumatori. Con l’affermarsi del modello direct-to-consumer, i ricavi provengono sempre più spesso dall’online piuttosto che dai canali tradizionali. Poiché le esperienze digitali pesano sul fatturato, le organizzazioni rivolte ai consumatori devono effettuare investimenti digitali efficaci.

Le aziende che fanno del software una parte fondamentale della loro organizzazione e sfruttano le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, la realtà mista e la robotica, possono costruire una solida base per una crescita sostenibile. Molti player del settore retail e consumer hanno già effettuato investimenti decisivi in software e tecnologia. Starbucks, ad esempio, ha sviluppato Deep Brew, uno strumento per sfruttare l’intelligenza artificiale per varie applicazioni. Lego ha collaborato con Epic Games per creare un metaverso in cui i bambini possano connettersi, giocando tra mondo digitale e fisico senza soluzione di continuità, e L’Oréal ha investito in Digital Village, una piattaforma di costruzione di mondi virtuali e un marketplace di NFT, per scommettere sulle opportunità offerte dal metaverso e dal Web3 per la creazione di negozi virtuali.

Secondo una recente ricerca McKinsey, le aziende che investono massicciamente nel software superano i propri peer: i leader digitali hanno creato un maggior valore per i propri azionisti – pari a tre volte i rendimenti degli ultimi cinque anni, rispetto alle aziende leader non digitali. L’analisi, condotta su oltre 120 public company del settore consumer e retail, rivela anche che quelle con un modello operativo tecnologico maturo superano quelle che operano in modo più tradizionale e vantano, in media, un rendimento per gli azionisti 2,2 volte superiore, nonché livelli di customer engagement e brand awareness dal 40 al 45% più elevati. Si prevede che l’impatto annuale dell’IA generativa sulla produttività del settore sarà compreso tra 400 e 660 miliardi di dollari, tra i più alti di tutti i settori.

Le aziende del settore consumer possono distinguersi dalle imprese tech-native puntando sulla riconoscibilità dei propri brand e sulla possibilità per i talenti di vedere l’impatto tangibile delle loro innovazioni sul mercato. Per esempio, Nike si promuove come un’azienda che cerca di assumere “le persone più creative del mondo” che vogliono “rivoluzionare il futuro attraverso l’incontro tra sport e tecnologia”.

Prodotti green, cresce l’offerta ma l’inflazione riduce i volumi

La razionalizzazione del carrello della spesa non ha risparmiato neppure i prodotti alimentari e quelli dedicati alla pulizia domestica e all’igiene personale che riportano sulle confezioni almeno un riferimento al loro impegno sul fronte della sostenibilità. L’analisi condotta dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy ne ha individuati oltre 36 mila (pari al 27,2% dei quasi 133 mila prodotti monitorati) che nel 2022 hanno superato i 15 miliardi di euro di incassi tra supermercati e ipermercati italiani (35,7% del totale). Rispetto al 2021 questo paniere ha perso -4,3% dei volumi venduti ma, per effetto soprattutto dell’aumento dei prezzi, ha aumentato di +8,6% il giro d’affari.

«Il grocery che comunica in etichetta l’impegno per ridurre l’impatto sull’ambiente registra una crescita sia dell’offerta (+5,4%) sia della domanda (+3,2%), a conferma del forte interesse di aziende e consumatori per questa tematica» afferma Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Però anche questo ampio paniere di prodotti risente dell’aumento dei costi di produzione, trasferito poi sui prezzi di vendita, e il conseguente rialzo dell’inflazione che nel mondo del largo consumo confezionato ha raggiunto in media il 15% tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2023».

Management sostenibile delle risorse
I 16.853 i prodotti rilevati dall’Osservatorio Immagino in quest’area nell’arco di 12 mesi hanno aumentato di +10,1% il fatturato, che supera i 9,4 miliardi di euro, ma hanno visto calare i volumi di -3,3%. Tra i 15 claim monitorati, hanno perso incassi solo il logo Cleanright (-2,2%) e la certificazione Sustainable cleaning (-30,0%), ma solo sei hanno chiuso il 2022 con anche i volumi di vendita in aumento. Il claim più diffuso e che sviluppa il maggior valore di vendita resta “riciclabile”, presente su oltre 5 mila prodotti, che realizzano 3,8 miliardi di euro di sell-out tra supermercati e ipermercati. Questo claim è tuttora in crescita: nel 2022 è riuscito ad aumentare le vendite sia a valore (+16,6%) sia a volume (+1,8%), in particolare in alcune categorie merceologiche, come detersivi per il bucato in lavatrice, bevande base thè, cola, patatine, ammorbidenti, bagnoschiuma e docciaschiuma. Bilancio 2022 positivo anche per il claim “con materiale riciclato”, che ha ottenuto una crescita annua di +20,5% a valore e di +3,0% a volume, con 4.449 referenze per 2,6 miliardi di euro di sell-out. Ad aver contribuito maggiormente a questo trend, oltre a un’espansione dell’offerta (+20,5%), sono state categorie come le bevande base thè, i bagnoschiuma e docciaschiuma, gli ammorbidenti, le patatine e i prodotti per il bucato.

Altro claim che è riuscito ad aumentare i volumi venduti (+3,7%) è “biodegradabile”, che ha registrato anche una delle maggiori crescite a valore (+28,4%), arrivando a sfiorare 300 milioni di euro di sell-out, anche grazie a una robusta espansione dell’offerta a scaffale (+24,3%). Tra le categorie più performanti si segnalano accessori da tavola usa e getta, fazzoletti in carta e prodotti per lavastoviglie. La crescita più rilevante delle vendite spetta alla certificazione Ok-Compost. I 717 prodotti che la riportano in etichetta hanno aumentato i volumi venduti di +11,8% e il fatturato di +29,7%, superando i 215 milioni di euro. Un risultato a cui hanno contribuito l’ampliamento dell’offerta (+20,2%) e il trend positivo in alcune categorie, come gelati in vaschetta e accessori da tavola usa e getta. Volumi di vendita in aumento anche per i 296 prodotti certificati Ecolabel (+1,8%), che hanno superato gli 88 milioni di euro di sell-out (+14,7%), con trend particolarmente positivi per tovaglioli di carta e asciugamani/rotoli di carta, e per i 195 prodotti che evidenziano l’uso di packaging in Mater-Bi: i volumi sono aumentati di +0,6% e il giro d’affari di +15,8%, oltrepassando i 66 milioni di euro, grazie soprattutto a carta igienica, fazzoletti di carta e pasta di semola.

Responsabilità sociale
L’Osservatorio Immagino ha individuato 9.688 prodotti che riportano sulla confezione una delle cinque certificazioni relative alla responsabilità sociale: FSC, PEFC, Rainforest Alliance, Fairtrade, UTZ. Nel 2022 questo paniere ha superato i 5,1 miliardi di euro di sell-out (+10,5% annuo), mentre a volume ha perso il -4,6%. Tutte le certificazioni hanno condiviso questo andamento, tranne UTZ che non solo ha mostrato il risultato peggiore a volume (-33,6%), ma ha anche registrato un deciso calo a valore (-30,2%). La certificazione di gran lunga più diffusa è FSC (Forest Stewardship Council), presente sul 5,8% delle referenze e che, con i suoi oltre 3,9 miliardi di euro di vendite, contribuisce per oltre il 9% al sell-out complessivo di quest’area. Nel 2022 ha aumentato il fatturato di +11,0% e ha accusato un calo dei volumi inferiore alla media del paniere (-3,1%).

Agricoltura e allevamento sostenibili
Ormai oltre il 10% dei prodotti confezionati venduti in supermercati e ipermercati italiani dichiara sulle etichette di provenire da agricoltura o allevamento sostenibili. Questo paniere, composto da quasi 14 mila referenze, ha raggiunto i 3,5 miliardi di euro di sell-out e, in un anno, ha guadagnato +5,1% a valore nonostante abbia perso -4,1% a volume. Tra claim e certificazioni sono nove quelli monitorati dall’Osservatorio Immagino, otto hanno chiuso il 2022 con una riduzione delle vendite in volume e quattro anche con un minor giro d’affari rispetto al 2021 (Biologico/EU organic, biologico per la cura della persona, certificazione Ecocert, NaTrue). Mentre il claim “filiera”, il principale per giro d’affari di questo paniere (1,4 miliardi di euro, in crescita annua di +12,1%), riesce a mantenere stabili i volumi (-0,7%), a brillare in questo paniere è il claim “senza antibiotici”: non solo ha avuto il maggior tasso di crescita annua a valore (+17,2%), ma è stato anche l’unico di questo paniere con un aumento delle vendite in volume (+4,3%), spinte soprattutto da specialità ittiche, pasta fresca ripiena, pollo e maionese. Presente su 262 prodotti, ha raggiunto quasi 152 milioni di euro di sell-out e beneficiato di una crescita della componente di offerta, ma soprattutto di quella di domanda (+10,3%).

Rispetto degli animali
Nel 2022 è cresciuto a valore di +6,4% su base annua, avvicinandosi ai 2 miliardi di euro, il giro d’affari dei 3.320 prodotti che dichiarano sulle etichette di essere ottenuti nel rispetto e nella salvaguardia del benessere animale. In quantità, invece, le vendite sono calate di -5,3% rispetto al 2021. Questo trend ha accomunato cinque delle sei indicazioni monitorate (i claim “benessere animale” e “no cruelty”, le certificazioni Friend of the sea e MSC, il logo Cruelty free). L’unica eccezione del paniere è la certificazione ASC (Aquaculture Stewardship Council), cresciuta sia a valore che a volume. Rilevata su 70 prodotti, ha registrato +1,9% a volume e +9,7% a valore, superando i 46 milioni di euro di sell-out, grazie alla spinta positiva del salmone affumicato e delle altre specialità ittiche.

Bio, una survey di Nomisma rivela dati in crescita, in Italia e all’estero

Continua la crescita del biologico italiano: a confermarlo sono i dati su superfici agricole, operatori ed export. Positive anche le performance del mercato interno, grazie al traino dei consumi fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva segnano un +18% sul 2022) ma anche di una ripresa a valore dei consumi domestici (+7% anno terminante luglio 2023 rispetto all’anno precedente), certamente spinta dalle dinamiche inflattive data la lieve flessione riportata a volume in distribuzione moderna. Sono questi alcuni dei dati che Nomisma ha presentato pochi giorni fa in occasione della prima giornata di Rivoluzione Bio 2023, gli Stati generali del biologico. Nell’ambito dell’Osservatorio Sana, strumento che propone il monitoraggio dei numeri chiave della filiera biologica, dalla produzione fino alle dimensioni del mercato, Nomisma ha presentato le ultime stime sul mercato interno, i risultati di una survey sul consumatore italiano e un’indagine su 254 imprese alimentari e vitivinicole.

Le dimensioni del mercato bio in Italia
Nel 2021 le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici e consumi fuori casa) hanno superato i 5 miliardi di euro e rappresentano il 4% delle vendite al dettaglio biologiche mondiali. A trainare la crescita del mercato sono i consumi fuori casa che sfiorano 1,3 miliardi di euro, segnando una crescita del +18% rispetto al 2022 legata al balzo in avanti dei prezzi più che all’aumentare delle occasioni di consumo. Fondamentale però è la ripresa dei consumi domestici che, dopo la leggera flessione dello scorso anno (-0,8% a valore rispetto al 2021), registrano una variazione del +7%. Anche in questo caso la crescita è da collegare soprattutto alla spinta inflazionistica dell’ultimo anno, confermata dal calo dei volumi in grande distribuzione (-3% le confezioni di prodotti bio vendute rispetto allo stesso periodo del 2022).

Bio consumer base
I risultati della consumer survey Nomisma su 1.000 responsabili degli acquisti alimentari italiani hanno mostrato come la consumer base di prodotti bio sia rimasta costante rispetto allo scorso anno (89% della popolazione 18-65 anni ha acquistato consapevolmente almeno un prodotto alimentare bio nell’ultimo anno). Chi acquista bio sceglie principalmente in base all’origine: il 29% seleziona prodotti bio 100% italiani, un ulteriore 17% quelli di origine locale/km 0 e l’11% cerca l’ulteriore presenza del marchio DOP/IGP. Anche la marca gioca da sempre un ruolo fondamentale nella scelta dei prodotti bio da mettere nel carrello (8% preferisce la marca industriale e il 7% la marca del supermercato).

L’export
Positiva anche quest’anno la performance dell’export di prodotti agroalimentari italiani bio che raggiunge i 3,6 miliardi di euro nel 2023, segnando una crescita del +8% (anno terminante luglio) rispetto all’anno precedente. Nonostante si registri una crescita più contenuta rispetto allo scorso anno, comunque in linea con l’export agroalimentare nel complesso, il riconoscimento per il bio Made in Italy sui mercati internazionali risulta rafforzato dall’evoluzione di lungo periodo (+189% rispetto al 2013) e dal crescente ruolo del bio sul paniere dei prodotti Made in Italy esportati (il peso nel 2023 ha raggiunto oggi il 6% a fronte del 4% registrato dieci anni fa). Le aziende bio italiane dimostrano dunque la loro resilienza, nonostante un contesto fortemente condizionato da scenario inflattivo, emergenze energetiche e climatiche. Per gran parte delle aziende (il 74%) infatti l’aumento del costo delle materie prime e dell’energia sono state le principali criticità da affrontare negli ultimi 6-12 mesi, seguite dalla riduzione della domanda di prodotti bio (riscontrata da un terzo delle aziende) ma le previsioni per il futuro sull’export bio italiano sono positive (anche più caute rispetto a quelle dello scorso anno). Nello specifico, il 38% delle aziende prevede di aumentare nei prossimi 12 mesi il fatturato realizzato sui mercati internazionali, quota che sale al 61% con riferimento al vino. Più timide le proiezioni riguardo al mercato interno, soprattutto da parte delle aziende del food. Nel wine, invece, ben 1 azienda su 2 prevede in Italia una crescita del fatturato nel fuori casa e 1 su 3 scommette sullo specializzato (enoteche, wine shop..). Meno entusiasmo sulla Gdo sia da parte delle aziende del vino che del food.

“L’interesse del consumatore per il biologico è confermato, ma l’attuale contesto economico, i consumi in forte revisione per lo scenario inflattivo e gli stili di vita e alimentari in continuo mutamento dove la crescita a valore è confermata ma a fronte di un rallentamento dei volumi venduti” commenta Silvia Zucconi, Chief Operating Officer Nomisma. “Fondamentale risulta dunque promuovere efficaci azioni di informazione verso i consumatori con l’obiettivo di rafforzare conoscenze e consapevolezza sui valori del biologico e sulle garanzie sottostanti la certificazione. In questa logica determinanti le opportunità legate alle iniziative del Piano di Azione Nazionale per l’agricoltura biologica a partire soprattutto dalla scuola e coinvolgimento delle nuove generazioni rappresentano oggi più che mai i pilastri per porre le basi di una corretta educazione alimentare. Fondamentale inoltre sgombrare il campo da elementi confusori relativi al profilo della sostenibilità ambientale di un prodotto; il 40% dei consumatori è confuso dalla presenza di green claims, favorendo attività informative sul punto vendita che per il 92% dei consumatori rappresentano un elemento molto efficace per comprendere le caratteristiche di sostenibilità ambientale del prodotto biologico”.

Il Rapporto Coop ’23 svela come il carovita stia cambiando le abitudini degli italiani

È stata presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, CSO Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio Studi. Da quest’anno il Rapporto per alcune sue parti si è avvalso dell’ausilio dei nuovi programmi di intelligenza artificiale generativa, tra cui Chat Gpt, Bard e Midjourney.

L’edizione 2023 è orientata a leggere la complessità del mondo che ci circonda e a comprenderne gli effetti sulla loro vita quotidiana, a partire dal loro rapporto con il cibo. Per fare questo anche questa edizione si è avvalsa di due diverse survey (“What’s Up” e “Hybrid Future”) condotte entrambe nella seconda parte dello scorso mese di agosto. La prima ha coinvolto un campione di 1.000 italiani rappresentativo della popolazione over 18 (18-75 anni). La seconda si è rivolta ad un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 680 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 450 ruoli apicali (amministratori delegati e direttori, imprenditori, liberi professionisti e consulenti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese.

Se l’Italia è il paese del buon cibo che tutto il mondo ci invidia e l’alimentazione è una componente fondamentale dell’identità del Paese, tanto che gli italiani – a differenza degli altri Paesi europei – sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano, è anche vero che molti di loro sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni (il 72% dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025). I carrelli degli italiani diventano leggerissimi: -3,0% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e, in previsione 2024 su 2023, il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%). Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno – e l’ulteriore aumento dei prezzi – gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi, alla rinuncia ai prodotti non strettamente necessari e a quelli a maggiore contenuto di servizio.

Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e Mdd sembrano ancore di salvezza; otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale. In questo contesto, se è sempre più articolata l’identità alimentare della parte economicamente e culturalmente più attrezzata del Paese, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti – oramai 1 italiano su 5 soprattutto baby boomers e appartenenti alla lower class – dichiara di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura (-15,2% il consumo negli ultimi due anni e per il 16% degli italiani si ridurrà ancora).

Ciò peraltro non significa che non si facciano strada, magari ancora in fasce minoritarie della popolazione, nuove tendenze a tavola. E a fronte del plant-based le cui vendite fanno registrare un +9% anno su anno, appare con evidenza la già avvenuta demonizzazione degli zuccheri (i prodotti sugar free battono tutti i free from) e i segnali in prospettiva parlano chiaro: 15% la percentuale che nei prossimi 12/18 mesi farà uso di prodotti senza o con poco zucchero. Il fitness poi arriva nel piatto e si conferma la predilezione per le proteine e per l’healthy (alimentazione sportiva, frutta secca, bevande salutistiche crescono), oltre alla volontà di contribuire con la propria dieta al miglioramento delle sorti del pianeta. Già oggi, 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono i cosiddetti climatariani (ovvero coloro che usano prodotti a basso impatto CO2). A farne le spese è soprattutto la carne, il 39% del campione dichiara di essere disposto a ridurne il consumo. D’altronde sulla tavola di un futuro nemmeno troppo lontano, della carne rimarrà solo il sapore: nella top 5 dei nuovi cibi che secondo gli italiani compariranno in tavola nei prossimi 10 anni figurano i prodotti a base vegetale con il sapore di carne (31%) e la carne sintetica prodotta in laboratorio (28%).

L’eccezionale crescita dei prezzi degli ultimi due anni ha cambiato in profondità anche gli assetti della filiera alimentare. Nel 2022 l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, mentre le difficoltà della domanda finale hanno obbligato i retailer a contenere l’impatto finale sui prezzi al consumo. Con ricadute pesanti sui bilanci di entrambi gli operatori della filiera. L’analisi annuale di Mediobanca evidenzia come nel 2022, per entrambi gli attori della filiera, si sia verificata una significativa diminuzione del valore aggiunto e, a cascata, della marginalità operativa. Un impatto negativo che non cambia però il differenziale positivo delle performance a favore degli operatori industriali. In sostanza, le imprese dell’industria alimentare – e segnatamente quelle di maggiori dimensioni – evidenziano una redditività strutturalmente superiore a quella della grande distribuzione alimentare. E anche nel difficile frangente del 2022 la redditività dei mezzi propri dell’industria fa segnare una diminuzione meno pronunciata di quella della distribuzione. Nel 2023 invece, pur a fronte di un rapido rientro sui valori storici dei costi delle commodities alimentari e di un altrettanto noto rientro dei costi energetici, non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare. Anzi, si è assistito ad ulteriori aumenti dei listini, addirittura superiori a quelli del 2022 e nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito invece agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento. In questo modo, la comparazione tra l’andamento dei prezzi industriali e quelli al consumo continua ad evidenziare un differenziale negativo che non ha eguali negli ultimi decenni. In sostanza, per la distribuzione i prezzi all’acquisto restano strutturalmente superiori a quelli praticati alla vendita. Anche nei prossimi anni divergeranno le strategie di industria e distribuzione. I retailer si concentreranno sulla marca privata per avere un governo delle filiere produttive e dei prezzi alla vendita, mentre la grande industria al momento sembra più orientata a difendere i margini concentrandosi sull’innovazione di prodotto e la difesa dell’equity del proprio marchio.

“Siamo di fronte a un momento davvero complesso che il Rapporto Coop rappresenta nelle sue varie articolazioni e che si ripercuote con estrema coerenza sul mercato del largo consumo; sensibile termometro della quotidianità. In sintesi, il primo giro di vite sui consumi già partito prima dell’estate sembra ulteriormente inasprirsi e si ripercuote sui volumi delle vendite” commenta Maura Latini, Presidente Coop Italia. “Come Coop siamo impegnati su due fronti: recupero dell’efficienza sia all’interno delle cooperative che nelle filiere produttive a noi vicine e portare a compimento ciò che abbiamo chiamato la rivoluzione del nostro Prodotto a Marchio, garantendo con ciò la sicurezza, l’innovazione, la sostenibilità al giusto prezzo. A due anni di distanza dall’avvio del progetto con 74 categorie revisionate su 114 (quasi il 70% dell’obiettivo dato) possiamo iniziare a tirare le fila e a enunciare i primi dati positivi. Questa strategia infatti aveva già iniziato a dare buoni risultati nel 2022 e in questa prima parte del 2023 con un aumento complessivo della quota MDD all’interno di Coop facendo diventare in tanti casi il nostro prodotto a marchio leader di categoria. Il forte aumento della quota a valore e a quantità del Prodotto Coop (nei primi 8 mesi del 2023 30% a valore (+5% agosto 2023 su agosto 2021) e 34% a volume (+4,0), ha generato così il contenimento del costo del carrello della spesa.

In tutto questo non si è ancora avviato il tavolo negoziale con l’industria di marca per l’anno 2024, del quale al momento non abbiamo ricevuto segnali. Approfitto di questa occasione per invitare tutti a assumersi le proprie responsabilità e avere un atteggiamento propositivo e improntato alla moderazione nelle richieste. I dati presenti nel Rapporto confermano i rischi che anche l’industria di marca sta correndo con un segno costantemente negativo sulle vendite oramai da tempo. Per come la vedo io, c’è la necessità di un confronto serio e costruttivo proprio per dare una risposta a larga parte della popolazione italiana in difficoltà. Ritengo possa essere un solido obiettivo comune lavorare per recuperare volumi di vendita che al momento i clienti stanno dirottando sui discount. Come Coop negli ultimi 18 mesi abbiamo trattenuto una parte importante dell’aumento dei listini industriali senza riversarli sui consumatori, ma i bilanci delle nostre cooperative ormai limitano la possibilità di impegni ulteriori se non nell’ambito di una fattiva collaborazione fra le parti, che peraltro anche le istituzioni stanno chiedendo”.

Trend positivo per i centri commerciali, fatturati in crescita nel primo semestre ’23

I dati raccolti nel primo semestre 2023 dall’Osservatorio CNCC-EY mostrano un andamento positivo per i centri commerciali sia in termini di vendite che di ingressi. Nei primi 6 mesi dell’anno si evidenzia infatti un fatturato in crescita del +7% rispetto all’anno precedente, confermando i trend di fine 2022. I fatturati del primo semestre dei centri commerciali sono leggermente superiori anche a quelli del 2019, anno pre-pandemia, segnando un aumento pari al 1,7%: questo risultato rimarca una solida ripresa per tutto il comparto, concentrata in particolare nel primo trimestre dell’anno, alla luce del fatto che il primo trimestre del 2022 risultava ancora fortemente influenzato dall’impatto della variante Omicron del coronavirus.

Parallelamente alla dinamicità del trend dei fatturati, anche gli ingressi di visitatori mostrano un costante miglioramento: i primi 6 mesi del 2023 si chiudono, infatti, con una crescita significativa rispetto al 2022 (+10,6%), sebbene permanga ancora un gap con il 2019 pre-pandemia del -9,4%. È credibile prevedere, anche per gli ingressi, un ritorno ai livelli pre-Covid per il primo semestre del 2024. Il quadro che emerge dall’analisi dai risultati dell’Osservatorio CNCC conferma l’apprezzamento da parte della clientela del “format centro commerciale”; a fronte di un’affluenza non ancora ai livelli pre-Covid, ma con trend di crescita sempre più consistenti, si evidenzia infatti un importante incremento dello scontrino medio o del numero di transazioni per visita, un cambiamento nelle abitudini di spesa che era già stato intercettato lo scorso anno.

Dal raffronto del fatturato del primo semestre 2023 con lo stesso periodo del 2022 si confermano gli ottimi risultati già evidenziati alla fine dello scorso anno per la quasi totalità delle categorie merceologiche, che riportano tutte un andamento in crescita, ad esclusione dell’elettronica di consumo che presenta una flessione del -5,3%. Il comparto dell’elettronica viene da anni di ottime performances favorite dai contributi pubblici mirati al digitale nel 2019 e dall’impulso in fase di pandemia verso gli acquisti a distanza; si evidenzia, inoltre, che le aziende di questo settore si stanno orientando sempre più sulla multicanalità, coordinando congiuntamente le vendite e il servizio tra canale online e canale fisico. La migliore performance è data certamente dall’accelerazione della ristorazione (+25,1%), seguita da cura persona e salute (+13,2%), cultura tempo libero e regali (+10,5%), abbigliamento (+7,1%), attività di servizi (+8,2%) e beni per la casa (+1,3%). Se si confrontano invece i fatturati del primo semestre 2023 e del 2019, le categorie merceologiche con andamento positivo sono beni per la casa (+2,2%) e cultura tempo libero e regali (+12%), così come anche cura della persona, salute (+6,4%), oltre alla ristorazione che registra il miglior trend con una crescita del 9,1%. In calo, oltre alla citata elettronica di consumo, anche l’abbigliamento (-0,8%) e le attività di servizi (-5,9%). Un altro aspetto interessante riguarda le vendite rapportate alle classi dimensionali dei negozi, da cui si evince che le grandi superfici e i negozi di piccole dimensioni hanno ormai sostanzialmente recuperato i livelli pre-Covid, mentre i negozi di medie dimensioni registrano delle crescite superiori.

I valori di fatturato del primo semestre 2023 sono stati positivamente influenzati dall’inflazione, anche se i dati raccolti dall’Osservatorio CNCC-EY sono stati meno colpiti dall’aumento dei prezzi rispetto ai tassi di inflazione complessivi medi registrati a livello nazionale. Infatti la maggiore spinta inflattiva è stata registrata per classi di beni non trattati dai punti di vendita facenti parte del panel, i cosiddetti “despecializzati” (in primis supermercati e ipermercati), o in generale beni non commercializzati nei centri commerciali (ad es. energia e carburanti, spese per trasporto, ecc.). Inoltre, tra le classi merceologiche oggetto della rilevazione, alcune tipologie specifiche che caratterizzano le gallerie dei centri commerciali, quali l’abbigliamento e l’elettronica, hanno registrato nell’ultimo anno crescite molto limitate dei prezzi seppur nello scenario generale di crescita dell’inflazione.

Inflazione e clima fanno calare le intenzioni d’acquisto degli italiani (-10,3%)

Dopo il dato positivo di luglio, le intenzioni d’acquisto degli italiani tornano in negativo del 10,3% influenzate soprattutto dalla crescente preoccupazione per l’aumento dei prezzi, principale timore per il 62% del campione intervistato (56% il mese precedente). Secondo l’Osservatorio mensile Findomestic di agosto, realizzato in collaborazione con Eumetra, l’andamento della propensione al consumo, complice l’instabilità del contesto, è stato altalenante negli ultimi 12 mesi con autunno in calo e inverno in progressiva ripresa fino a inizio primavera. Il momento peggiore si è registrato a novembre ‘22 e il picco positivo a marzo ’23 con sei mesi contrassegnati dal segno più e altrettanti in negativo.

“Se l’inflazione si conferma la preoccupazione dominante – afferma Gilles Zeitoun, Amministratore Delegato e Direttore Generale Findomestic – al secondo posto tra i timori più avvertiti dagli italiani troviamo ad agosto quello per il cambiamento climatico che registra una vera e propria impennata (dal 35% al 49%) favorita dagli eventi atmosferici estremi di luglio. Stabile, al terzo posto, la preoccupazione per la diminuzione del potere d’acquisto che, insieme all’ansia generata dal caro prezzi e alle conseguenze del riscaldamento globale, contribuisce a mantenere su livelli bassi la propensione a spendere nell’immediato (dal 29% al 26%) oltre che a ridimensionare i progetti d’acquisto a tre mesi”.

Si può dire definitivamente archiviata la stagione del superbonus: come rilevato dall’Osservatorio Findomestic, nel mondo “casa” solo il segmento delle caldaie a biomassa mantiene un trend positivo delle intenzioni d’acquisto (+16%). Al contrario registrano flessioni sensibili ristrutturazioni (-6,7%), mobili (-6,8%), isolamento termico (-8,2%), infissi (-15%) e flessioni ancora più marcate gli impianti fotovoltaici termici (-22,4%) e le pompe di calore (-23,2%). I grandi elettrodomestici rimangono, invece, sugli stessi livelli di luglio, a differenza dei piccoli che calano del -5%. La propensione all’acquisto di auto nuove nei prossimi tre mesi scende del -12,8%, mentre il mercato dell’usato è in linea con luglio.

Motoveicoli e mobilità elettrica alternativa risultano i settori più in affanno: complice l’autunno alle porte, la propensione all’acquisto di moto e scooter cede il 34,3% (performance peggiore tra quelle rilevate da Findomestic a fine luglio), mentre le intenzioni di dotarsi di monopattini elettrici e e-bike calano rispettivamente del -24,9% e del -21,1%. Nel settore tecnologico il calo della telefonia (-0,5%) è più contenuto rispetto a quello che caratterizza tablet (-4,3%), PC (-8,9%), TV (-13,5%) e fotocamere (-16,7%). Anche il settore del tempo libero non brilla: per i viaggi le intenzioni d’acquisto subiscono un calo fisiologico del -10,8%, mentre le attrezzature per il fai da te e quelle sportive flettono rispettivamente del -11,1% e del -16,5%.

Abitudini alimentari, più attenzione a sprechi e scadenze

Come cambiano le abitudini alimentari degli italiani? Secondo un sondaggio realizzato da Too Good To Go in collaborazione con YouGov, una maggiore sensibilità verso la questione climatica, un sentimento di opposizione al consumismo e un’attenzione particolare all’aspetto economico dello spreco, stanno portando a modificare le proprie abitudini o ad adottarne di nuove. Questa attenzione verso uno stile di vita più sostenibile nei confronti dell’ambiente è anche accentuata dall’attuale contesto di inflazione crescente a cui bisogna far fronte e che richiede, quindi, nuove soluzioni.

Nuove abitudini, carrello della spesa ridotto e maggior attenzione alle etichette dei prodotti
L’impatto dell’inflazione ha largamente modificato il comportamento degli italiani: il 91% (più di 9 italiani su 10) ha dichiarato di aver modificato le proprie abitudini per far fronte al rincaro prezzi e al minor potere d’acquisto. In particolare, in un’ottica di abitudini anti-spreco, il 43% degli intervistati decide di acquistare alimenti in quantità ridotte per evitare a monte il rischio di spreco alimentare, il 38% pone una maggiore attenzione alla lista della spesa e, infine, il 48% analizza più attentamente la data di scadenza. Secondo gli intervistati, però, quest’ultimo punto richiede anche una collaborazione da parte dei marchi stessi: l’87% ritiene infatti utile che i supermercati e le aziende alimentari vendano i prodotti vicini alla data di scadenza a un prezzo ridotto, per incentivarne l’acquisto e il consumo.

Il ritorno all’home-made: più sostenibile ed economico
In vista dei mesi più freddi, dopo un’estate all’insegna del relax e della buona cucina, 1 italiano su 2 ha ricominciato a preparare la “lunch box” della pausa pranzo (la tanto amata “schiscetta”) direttamente la sera prima mentre prepara la cena. Una scelta dettata da esigenze di natura economica quanto dal desiderio di un approccio in cucina che sia più sostenibile. Un trend che, di conseguenza, si associa anche al minor consumo di pasti fuori: il 76% dichiara di preferire pasti casalinghi e di aver ridotto il numero di volte in cui si reca al ristorante o fa uso dei servizi di take away.

Uno stile di vita più sostenibile per ridurre gli sprechi alimentari: le app anti-spreco
L’aumento dei prezzi dovuti all’inflazione rimane una delle cause principali che stanno contribuendo a cambiare le abitudini alimentari degli italiani, ma non solo: il 49% degli intervistati dichiara che la scelta di adottare nuove pratiche sostenibili è sia di natura economica che ecologica. Lo conferma il sondaggio che registra come 8 italiani su 10 affermano di essere in cerca di nuove soluzioni sostenibili utili per contrastare lo spreco alimentare.

Largo consumo, inflazione in calo ma gli italiani fanno economia

NielsenIQ (NIQ) analizza l’andamento dei consumi e delle abitudini di acquisto delle famiglie italiane per il mese di luglio 2023 ne “Lo stato del Largo Consumo in Italia”, l’indagine mensile che fotografa lo scenario della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) nel nostro Paese. Il fatturato della GDO in Italia a totale Omnichannel è aumentato nel mese di luglio del +8,8% rispetto allo scorso anno e ha registrato, secondo i dati di NIQ, un giro d’affari di 9,4 miliardi di €. Per quanto riguarda l’indice di inflazione teorica nel largo consumo confezionato a luglio scende ulteriormente all’11,3%, un valore inferiore rispetto a quello osservato a giugno (quando era pari al 12,7%). A contrasto dell’inflazione, nel mese trascorso gli italiani hanno ridotto il mix del carrello della spesa dell’1,2%; un comportamento di acquisto che ha avuto come effetto una variazione reale dei prezzi del 10,1%.

L’indagine di NielsenIQ evidenzia inoltre che, rispetto allo stesso periodo del 2022, tutti i canali distributivi mostrano un andamento positivo. In particolare, la crescita è guidata dai discount (+12,5%), seguiti da: specialisti drug (+10,8%), superstore (+10,4%), supermercati (+7,6%), liberi servizi (+6,8%) e, infine, iper>4.500mq (+5,5%). Prosegue il trend positivo per le vendite in promozione. Infatti, l’incidenza promozionale a luglio 2023, a totale Italia, è stata pari al 22,5%: un valore superiore di +0,5 pp rispetto allo stesso mese del 2022, ma in calo se confrontato con giugno 2023 (23,3%). Infine, in merito ai prodotti a marchio del distributore (MDD), a luglio la quota di MDD si attesta al 22,1% del LCC nel perimetro iper, super e liberi servizi, mentre a totale Italia Omnichannel – inclusi i discount – rimane al 31,5%, un valore pari a quello osservato nel mese di giugno 2023 ma superiore rispetto allo stesso periodo del 2022 (30,3%).

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
I prodotti dedicati agli animali domestici (+14,8%) e il cibo confezionato (+12,8%) continuano il proprio trend di crescita anche a luglio, confermandosi come le categorie merceologiche con l’incremento a valore più significativo. Per quanto riguarda invece l’andamento a volume, il food confezionato rimane anche nel mese trascorso l’unica categoria con un andamento positivo (+1,6%), mentre tutte le altre manifestano un trend negativo, specialmente le bevande (-4,1%) e i prodotti per la cura della persona (-2,9%). In merito alla relazione tra valore e volume in ambito grocery, a totale Italia Omnichannel nel mese di luglio 2023 l’andamento a valore è positivo (+8,9% vs 2022), mentre a livello di volumi si conferma una contrazione (-1,2%), anche se meno consistente rispetto al mese di giugno.

Il fresco (peso fisso + peso variabile) risulta in crescita in tutti i canali distributivi. Come nel mese di giugno, anche a luglio 2023 i Discount ottengono la performance migliore (+13,5%), mentre i liberi servizi registrano l’incremento meno consistente (+6,7%). Per quanto riguarda le categorie merceologiche, frutta e verdura (+13,4%) è la più dinamica, seguita subito dopo da pane & pasticceria & pasta (+12,9%) e formaggi (+11,4%). La salumeria si conferma invece la categoria con il trend di crescita più basso rispetto alle altre (+2,5%). Infine, guidano la classifica top 10 di NIQ del mese di luglio 2023 le verdure a peso variabile (+22,1%), pane e panificati a peso imposto (+18%) e la frutta fresca a peso variabile (17,5%).

Mercato della tecnologia di consumo in contrazione, in Italia regge la telefonia

Nella prima metà dell’anno il mercato globale ha visto una contrazione del -6,3% a valore, con un fatturato di 390 miliardi di dollari. L’istituto di ricerche GfK prevede per l’intero 2023 una contrazione a valore del -3,4%, causata dalla saturazione del mercato e dal rallentamento della domanda. Nonostante questo, il valore del mercato è ancora superiore ai livelli pre-pandemici e offre opportunità di crescita in aree specifiche. Leggermente migliore la performance del mercato italiano, che chiude la prima parte del 2023 con un -4,9%. A livello globale, la domanda di prodotti T&D continua a rallentare: il mercato subisce gli effetti del contesto macro-economico – caratterizzato dall’incremento del costo della vita – dell’eccesso di scorte e della saturazione della domanda collegata alla crescita record degli scorsi anni.

Tutti i comparti della tecnologia di consumo hanno registrato un calo dei ricavi nella prima metà del 2023, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, il settore IT e il piccolo clettrodomestico rimangono al di sopra dei livelli pre-pandemici. Nel dettaglio:

  • – Elettronica di consumo (TV, soundbar, ecc.): -12%
  • – Telefonia (smartphone, ecc.): -5%
  • – IT e Office (PC portatili, hardware, stampanti, ecc.): -12%
  • – Piccolo Elettrodomestico (friggitrici, mixer, ecc.): -1%
  • – Grande Elettrodomestico (condizionatori, forni, ecc.): -5%

“Le vendite sui canali tradizionali hanno recuperato terreno, mentre l’online si è stabilizzato dopo l’impennata registrata durante la stagione promozionale. Nella prima metà del 2023, il 35% delle vendite globali di Tecnologia di consumo è stato effettuato online, con un calo del -5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questo leggero calo non interrompe il trend di lungo periodo verso l’omnicanalità, ma rende ancora più importante l’adozione di una strategia omnichannel” commenta Nevin Francis, esperto GfK.

In Italia, il mercato della tecnologia di consumo nella prima metà del 2023 segna un trend negativo a valore (-4,9%) e un fatturato generato di 7,3 miliardi di euro. Dopo la crescita degli ultimi anni, anche il mercato italiano sta rallentando, ma non in tutti i settori. Inoltre, se confrontiamo la performance totale con quella del primo semestre del 2019 il trend a valore continua a essere positivo (+12%). Analizzando l’andamento dei vari comparti emerge come la tendenza negativa sia legata principalmente dalla performance dell’Audio-Video, che registra un pesante -34% e dell’Information Technology, che vede le vendite a valore in calo del -8%. Per entrambi i settori, le cause di questo andamento sono ben note: l’Audio-Video aveva visto una forte crescita nel 2022 dovuta alla “coda” dello Switch-off, mentre l’Information Technology paga la forte domanda che c’era stata negli anni della pandemia per Smart Working e didattica a distanza.

La telefonia, il settore più importante per fatturato, registra un trend positivo (+3%) nel periodo compreso tra gennaio e giugno 2023. Crescono anche i comparti del grande elettrodomestico e del piccolo elettrodomestico, che segnano rispettivamente un +6% e un +4% rispetto allo stesso periodo del 2022. Le vendite online rimangono stabili intorno al 26% del fatturato sviluppato dal settore, ma solo la fine dell’anno ci dirà di quanto cresceranno a seguito dei grandi eventi promozionali che generalmente spingono gli acquisti in rete nel Q4.

L’aumento dei prezzi in tutti gli ambiti della vita sta intaccando le (già limitate) disponibilità di spesa dei consumatori. Secondo lo studio globale GfK Consumer Life, l’inflazione e i prezzi elevati sono tra le preoccupazioni principali per il 35% dei consumatori a livello internazionale. Questo è anche uno dei motivi principali dietro alla contrazione della domanda di prodotti Tech: in questo settore, i prezzi medi a livello globale sono aumentati notevolmente rispetto ai livelli pre-pandemici, con un più +29% a giugno 2023 rispetto a gennaio 2020 (misurati in dollari USA). Il rallentamento del mercato T&D varia comunque da regione a regione, a causa delle differenze nel potere d’acquisto e nei livelli di prezzo. Così, mentre l’Europa occidentale e i Paesi sviluppati dell’Asia hanno registrato una contrazione delle vendite a valore rispettivamente del -6% e del -11%, l’Europa orientale e il Medio Oriente hanno continuato a crescere nei primi sei mesi del 2023.

Il 2022 è stato contrassegnato da problematiche legate all’offerta, mentre quest’anno è contraddistinto dalla volatilità della domanda. Dal punto di vista della supply chain, i costi di spedizione sono già diminuiti di quasi l’80% rispetto all’anno scorso. Nonostante l’offerta sia di nuovo adeguata, il calo della domanda ha portato a una contrazione dei ricavi. Di conseguenza, brand e retailer devono puntare su trend a lungo termine in grado di attirare i consumatori. I prodotti che stanno continuano a crescere nonostante le difficoltà sono quelli che si caratterizzano per efficienza energetica e sostenibilità, maggiore praticità e flessibilità o caratteristiche premium a prezzi accessibili. Gli elettrodomestici smart, sostenibili ed efficienti dal punto di vista energetico non solo offrono al consumatore un risparmio, ma vengono percepiti come convenienti e di elevata qualità. Soprattutto in Europa, dove i prezzi dell’energia sono alle stelle, l’efficienza energetica è uno dei fattori di scelta più importanti per l’acquisto di grandi elettrodomestici. Le vendite a valore dei frigoriferi combinati con etichetta A, B e C, ad esempio, sono aumentate del +77% nella prima metà del 2023 e le lavastoviglie freestanding con le stesse etichette sono cresciute del +37%. Un altro esempio sono le friggitrici ad aria – che consumano meno energia e offrono una cottura più sana – cresciute del +54% nei primi sei mesi del 2023. Anche i prodotti che semplificano la vita dei consumatori hanno continuato a crescere, come i robot aspirapolvere con docking station (+23%).

Un altro trend di lungo periodo che ha sta influenzando positivamente il mercato globale nel 2023 – soprattutto nel settore IT – è il desiderio di flessibilità dei consumatori. A causa delle postazioni di lavoro più piccole e del fenomeno “workation” (lavorare dalle località di villeggiatura), le vendite di tastiere di piccole dimensioni sono cresciute del +11%, mentre i formati standard hanno registrato una contrazione del -10%, nella prima metà del 2023. Anche le tastiere e i mouse bluetooth sono sempre più popolari, con tassi di crescita rispettivamente del +15% e del +10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sebbene la domanda di prodotti premium non sia così forte come nel 2022, i modelli di fascia alta continuano a performare meglio della media del mercato, soprattutto nell’Elettronica di consumo. Ad esempio, nella prima metà del 2023 i televisori di fascia alta da oltre 75 pollici sono cresciuti del +5% a livello globale, mentre il mercato TV nel complesso è in calo del -15%.

Il costo della vita sempre più alto spinge i consumatori a valutare attentamente i loro acquisti e spesso il prezzo diventa un fattore decisivo anche quando l’acquisto è motivato da bisogni impellenti. Di conseguenza, il momento dell’acquisto è diventato ancora più strategico e le promozioni rivestono un’importanza sempre maggiore per incrementare i volumi di vendita. “Eventi promozionali come il Prime Day in Europa e il 6.18 in Cina hanno avuto un impatto positivo sulla crescita del mercato a valore nella prima metà del 2023. Anche se la crescita a volume non ha raggiunto i livelli degli anni precedenti, le settimane corrispondenti a questi eventi continuano a superare le performance della settimana media. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, brand e retailer dovrebbero monitorare con attenzione le dinamiche di vendita, per ottimizzare i livelli di stock e identificare i segmenti e gli articoli da promuovere per massimizzare i profitti. Un approccio cauto ma ottimista alle promozioni può intercettare nuove opportunità per incrementare le vendite nonostante il contesto difficile” conclude Nevin Francis.

Come viene in aiuto il neuromarketing?

La startup B Side indaga sul ruolo del neuromarketing e come questo possa aiutare i brand. In una strategia di marketing scientifico sul posizionamento del brand che si integra con il neuromarketing, B Side considera otto fasi:

Positioning desiderato – per indagare in quale fetta di mercato vorrebbe collocarsi il brand

Ipotesi interna – analisi della percezione che l’azienda ha di sé stessa

Analisi qualitativa e quantitativa – interviste approfondite e survey al pubblico dell’azienda

Analisi di mercato/business intelligence – permette di inquadrare le indagini svolte finora in uno scenario di mercato più ampio e nei relativi trend

Brand positioning statement – è una vera e propria fotografia dello stato attuale del posizionamento dell’azienda sul mercato, interfacciata con il posizionamento desiderato

Piano di comunicazione e nuovi materiali – rappresenta i desiderata dell’azienda e i nuovi materiali di comunicazione

Test di neuromarketing – verifica dell’efficacia degli strumenti di comunicazione con le strumentazioni di neuromarketing

Go to market – il brand fa il suo ingresso pubblico sul mercato

Casi studio
Nella scelta del proprio logo B Side ha utilizzato un’indagine di neuromarketing, verificando come l’attuale logo sia stato preferito inconsapevolmente dal 58% delle persone coinvolte contro il 37% che lo ha indicato come il favorito nel questionario scritto.

Scelta delle canzoni
Alcuni soggetti ascoltano canzoni nuove e sconosciute su Spotify mentre vengono raccolti dati di attivazione cerebrale (attraverso risonanza magnetica funzionale, è una tecnica di neuroimaging) e poi compilano un questionario di gradimento. Si osserva che le preferenze delle canzoni ottenute dal questionario non correlano con le vendite/ascolti futuri, mentre correlano con l’attivazione del Nucleo Accumbens (struttura cerebrale nella profondità del cervello, coinvolta nel Sistema limbico e legata alle scariche di dopamina che precedono la sensazione di piacere/gratificazione).

Scelta di articoli fashion
L’utilizzo di EEG può predire il successo di articoli fashion (scarpe) in modo più affidabile rispetto a questionari di autovalutazione. Ci sono sostanziali differenze nel lasso temporale di risposta: risposta esplicita (questionario) richiede diversi secondi, in cui subentra la valutazione “razionale” della scelta (dare un punteggio ad uno specifico modello di scarpa), mentre la registrazione delle onde cerebrali (EEG) è istantanea, e già in 500ms si registrano differenze nell’attivazione cerebrale in risposta a scarpe preferite e scarpe non piaciute.

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