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Legumi, quotazioni all’ingrosso raddoppiate nell’ultimo ventennio

Da quanto emerge dalle elaborazioni di BMTI sui dati rilevati nei mercati all’ingrosso della rete Italmercati, nell’ultimo ventennio sono raddoppiati i prezzi all’ingrosso dei legumi principalmente consumati: lenticchie, fagioli borlotti, fave e ceci.


Tra le cause, due fattori: da una parte l’aumento del consumo di questi prodotti a favore di regimi alimentari che prediligono proteine vegetali; dall’altro, un aumento del consumo legato allo stabilizzarsi in Italia di diverse popolazioni che hanno mantenuto le loro tradizioni culinarie in cui è previsto un alto utilizzo di legumi.

Per far fronte all’aumento della domanda, anche la produzione italiana degli ultimi venti anni è nettamente aumentata.

Sebbene quelle dei legumi siano quotazioni piuttosto regolari e non soggette a bruschi cambiamenti, per alcuni di essi i prezzi sono più che raddoppiati negli ultimi venti anni. In particolare quelli delle lenticchie, che nel 2005 erano intorno ai 0,80 euro/Kg, nel 2022 hanno raggiunto quasi i 2,00 euro/Kg. Raddoppiati anche i prezzi dei fagioli borlotti che da 1,10 euro/Kg nel 2005 a quasi 2,00 euro/Kg nel 2022 mentre per i ceci è stato registrato un picco dei prezzi intorno al 2018 a causa di una forte siccità che ha coinvolto il Messico e altri Paesi del Nord America, rientrato negli anni successivi e riconducendo il prezzo da 2,70 euro/Kg ai 2,00 euro/kg.

Centri commerciali, un 2022 in pieno recupero dopo il buio pandemico

Alla voce fatturato, il 2022 segna un sostanziale ritorno ai livelli pre-Covid e una forte crescita rispetto al 2021: è questa la sintesi emersa dal monitoraggio dell’Osservatorio del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali – CNCC, che analizza il panel dell’industria dei centri commerciali in Italia a cui partecipa il 100% in omogeneo dei negozi di 300 strutture, pari a circa 10 mila attività.

Dai dati emerge che il trend di ripresa dell’industria dei centri commerciali, già rilevato nel 2021, si consolida ulteriormente nel 2022 in cui si registra un netto miglioramento del fatturato con una crescita del +13,7% rispetto all’anno precedente. Se per il raffronto con il 2022 si considera, invece, il 2019, anno pre-pandemia, i fatturati dei centri commerciali sono quasi in linea con un lieve calo di circa il -3%: questo risultato evidenzia una solida ripresa per tutto il comparto, alla luce del fatto che il primo trimestre del 2022 è stato ancora fortemente influenzato dall’impatto della variante Omicron. Da sottolineare, infatti, che se si considera solo il periodo da aprile a dicembre 2022 – di fatto esente da effetti legati dalla pandemia – la parità con il 2019 è quasi raggiunta (-0,6%).

Alla dinamicità del trend dei fatturati, gli ingressi mostrano un costante miglioramento seppure con un recupero più lento, andamento che consente di prevedere un ritorno ai livelli pre-Covid nel corso del 2023. Il 2022 si chiude, infatti, con una notevole crescita rispetto al 2021 (+14,1), ma la voce ingressi presenta ancora un gap, seppure si stia gradualmente riducendo, se il raffronto avviene con il 2019 (circa -15%).

Il quadro presentato dai risultati dell’Osservatorio CNCC viene letto come una conferma della fidelizzazione al “format centro commerciale” che, a fronte di un’affluenza non ancora ai livelli pre-Covid, evidenzia un incremento dello scontrino medio, un cambiamento nelle abitudini di spesa che era già stato intercettato lo scorso anno. I clienti continuano, quindi, a premiare l’offerta dei centri commerciali, che si evolve in linea al contesto in cui operano, così come ai nuovi bisogni in termini di prodotti e servizi, ma anche di esperienza d’acquisto. Un impulso, infatti, è dato sicuramente anche da una sempre maggiore implementazione della strategia omni-channel, che si sta rilevando vincente su tutti i canali, e dall’impegno dell’Industria nell’introdurre innovazioni digitali e creare nuove esperienze di visita.

Entrando più nel dettaglio, dal raffronto del fatturato 2022 con il 2021, tutte le categorie merceologiche riportano un andamento in crescita, ad esclusione dell’elettronica di consumo che presenta una minima flessione (-0,3%): la migliore performance è data certamente dall’accelerazione della ristorazione (+43%), cura persona, salute (+18,5%), cultura e tempo libero (+14,3%), abbigliamento (+15,3%), attività di servizi (+10,6%) e beni per la casa (+9,2).

Se invece si confrontano i fatturati degli anni 2022 e 2019, le categorie merceologiche con andamento positivo sono beni per la casa (+3,6%) e cultura e tempo libero (+2,3%), sostanzialmente in linea l’elettronica di consumo (-0,1%), mentre non hanno ancora del tutto recuperato cura persona, salute (-1,3%), abbigliamento (-4,9%) e attività di servizi (-16%). Un commento a parte merita, anche in questo raffronto, la ristorazione che registra un calo del -7%, a causa delle restrizioni ancora vigenti a inizio 2022.

A dicembre 2022, tra i mesi più importanti per l’industria grazie allo shopping natalizio, l’Osservatorio CNCC ha registrato un +6,8% alla voce fatturati, rispetto al 2021, e un allineamento di fatto rispetto al 2019 con un -0,8%. Il dato fornito dal monitoraggio degli ingressi mostra un +7,8% rispetto al 2021, mentre resta ancora in negativo (-12,7%) rispetto al 2019. Per quanto riguarda le categorie merceologiche, particolarmente incoraggiante il dato che emerge per la ristorazione, una delle attività maggiormente colpite negli ultimi anni a causa delle restrizioni più prolungate, in crescita di oltre il 27% rispetto al 2021, mentre si riposiziona al trend del 2019 (+1%).

eCommerce nel largo consumo, superati 2 miliardi di € nel 2022

Il giro d’affari generato dalla spesa online delle famiglie italiane nel 2022 ammonta a oltre 2 miliardi di €. A rivelarlo “Lo scenario dell’eCommerce nel Largo Consumo”, l’ultimo report di NielsenIQ. Secondo l’indagine il fatturato progressivo, dall’inizio dell’anno a fine dicembre 2022, dell’eCommerce è cresciuto del +10,5% rispetto al 2021.

L’analisi di NielsenIQ rileva che il comparto eCommerce in Italia è cresciuto più velocemente rispetto al canale offline – sia nel progressivo sia nel singolo mese di dicembre – e precisamente di una volta e mezzo. I dati evidenziano che, volgendo lo sguardo all’anno appena concluso, la performance migliore per l’eCommerce si è registrata nel terzo trimestre (luglio, agosto e settembre), periodo in cui le vendite sono cresciute del +21,2% rispetto allo stesso periodo del 2021. Nel trimestre considerato, le regioni del Nord-Ovest, cioè Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (cd. Area 1), hanno contribuito – in valore assoluto – alla crescita del settore quasi 4 volte in più delle regioni di Sud, cioè Abruzzo, Molise Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (cd. Area 4). Infatti, l’Area 1 ha raggiunto un fatturato incrementale di 37,2 milioni di €, contro i 10,6 milioni di € della più piccola Area 4.

Considerando poi le vendite del settore online per ogni singola settimana, il fatturato medio settimanale del 2022 è stato pari a 38,6 milioni di € (+3,6 milioni rispetto all’anno precedente). Il record di vendite si è registrato nella settimana del Black Friday (21-27 novembre 2022), con un fatturato di 55,5 milioni di €. Subito dopo si colloca la settimana precedente al Natale (12-18 dicembre 2022) con ricavi da 49,6 milioni di €. Nel mese di luglio, invece, si è registrato l’incremento di acquisti online più alto rispetto al 2021 (+35,7%). Per quanto riguarda i volumi, se a totale Omnichannel risultano leggermente negativi (-0,3) nel progressivo, nel canale eCommerce crescono invece del 5,1%.

Le performance della spesa online a dicembre 2022
Considerando il solo mese di dicembre, il fatturato dell’eCommerce è pari a 215 milioni di €, in crescita dell’11,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Inoltre il settore raggiunge una quota pari al 2,3% sul totale Italia omnichannel del Largo Consumo Confezionato sia nel progressivo, sia nel solo mese di dicembre 2022. La crescita in valore dell’eCommerce riguarda tutte le Aree NielsenIQ e addirittura tutte le 20 regioni d’Italia. Nello specifico, le Aree del centro-sud si confermano anche a dicembre come le regioni che crescono a ritmi più veloci, con un’Area 4 (Abruzzo, Molise Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) che cresce 4 volte più velocemente rispetto all’Area 1 (Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).

Cosa comprano online gli italiani
Come negli altri mesi del 2022, anche a dicembre la crescita dell’eCommerce continua ad essere guidata principalmente dal comparto pet (animali) e dal cura persona, settori digitalmente molto più sviluppati rispetto ad altri, che registrano nel progressivo tassi di crescita tra il 20% e il 30% e che, nell’ultimo mese dell’anno, risultano particolarmente in forma con tassi tra il 20% e il 40%. Rimane positivo anche l’andamento del food confezionato (+14,8%) e del grocery in generale (+11,7%). Come già registrato a novembre, anche a dicembre il comparto delle bevande (soprattutto alcoliche) limita leggermente la crescita del canale online (-4,4%), per il ritorno al consumo fuori casa da parte degli italiani. Anche ortofrutta, ittico e freddo frenano leggermente a dicembre.

Bio made in Italy, è boom nei Paesi scandinavi

Danimarca e Svezia, ottavo e nono mercato al mondo per vendite di prodotti bio, con un incremento rispettivamente del +183% e del +176% negli ultimi 10 anni e un tasso di penetrazione del bio dell’87%, sono tra i mercati più promettenti per il bio Made in Italy – come confermato anche dal panel di imprese alimentari e vitivinicole italiane intervistate da Nomisma. Il dato emerge dalla survey sui consumatori danesi e svedesi presentata in occasione del quarto forum Ita.Bio, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy curata da Nomisma e promossa da ICE Agenzia e FederBio.

IL RUOLO DELL’EXPORT NEL BIO MADE IN ITALY
Molto positiva la performance dell’export agroalimentare bio: nel 2022 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del +16% (anno terminante a giugno) rispetto all’anno precedente. Il riconoscimento del bio made in Italy sui mercati internazionali è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere Made in Italy, con un peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022. La gran parte delle esportazioni riguarda il food ma è rilevante anche il ruolo del vino.

I NUMERI CHIAVE DEL BIO IN SCANDINAVIA
Tutti i numeri del bio in Scandinavia sono positivi. La Danimarca è l’ottavo mercato al mondo per valore delle vendite di prodotti bio sul mercato interno con 2.240 milioni di euro e una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare pari a ben il 13% (quasi raddoppiata rispetto al 2010). Segue a pochissima distanza la Svezia – nono consumatore mondiale di prodotti bio – con un valore di 2.193 milioni di euro e un peso del bio che sfiora quasi il 9%. Per non parlare della spesa pro-capite per prodotti bio: 384 euro in Danimarca e 212 euro in Svezia che fanno sì che i due Paesi si collochino ai vertici della classifica mondiale, rispettivamente al secondo e quinto posto.

IL CONSUMATORE BIO IN SCANDINAVIA (DANIMARCA & SVEZIA)
I dati della consumer survey originale realizzata Nomisma confermano un forte interesse per il bio in Scandinavia: quasi 9 famiglie su 10 hanno consumato un prodotto alimentare o una bevanda a marchio biologico nel corso del 2022. Tra gli altri fattori che fanno della Scandinavia un mercato ad alto potenziale per il bio ci sono, da un lato, la quota di heavy user (il 40% delle famiglie acquista bio in ogni spesa o quasi) e, dall’altro, la centralità della caratteristica bio come driver di scelta, tanto che 1 consumatore su 5 dichiara di considerare il marchio bio come primo criterio di scelta quando acquista prodotti alimentari, quota che aumenta per alcune categorie di prodotti come ortofrutta fresca, olio extra-vergine di oliva, alimenti per bambini e formaggi.

Dalla survey di Nomisma risulta anche che la sostenibilità ambientale e sociale rappresenta la principale motivazione dei consumatori scandinavi alla base della scelta di prodotti biologici e coinvolge quasi ben la metà degli user. Gli ulteriori motivi che guidano gli acquisti di prodotti bio tra i consumatori di Svezia e Danimarca sono la sicurezza per la salute e le qualità e le proprietà nutrizionali differenti rispetto ai prodotti convenzionali.

Il marchio biologico non è l’unico attributo che conta nella scelta dei prodotti da mettere nel carrello e il consumatore richiede coerenza e sostenibilità a 360°. A conferma di ciò, ben il 28% degli user bio ritiene importante che la confezione sia eco-friendly o che il prodotto sia stato fatto rispettando l’ambiente (minori emissioni di CO2, zero sprechi, uso di energia rinnovabile ecc …).

“Supportare i protagonisti dell’agroalimentare biologico italiano è il primo obiettivo della piattaforma Ita.Bio dove Nomisma rappresenta la struttura di market intelligence in grado di monitorare dimensioni, trend e opportunità dei principali mercati internazionali” dichiara Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence Nomisma S.p.A. “Il forum è stato dedicato ai Paesi scandinavi, mercati dove il bio italiano ha un’importante opportunità di sviluppo: la Danimarca è prima per quota di consumi bio sul totale (12%) con un consumo pro capite che sfiora i 400 euro, la sostenibilità è primo driver di scelta dei prodotti agroalimentari – precedendo l’interesse verso prezzo e convenienza, l’Italia è il primo Paese a cui i consumatori riconoscono alta qualità delle produzioni alimentari – premesse che unite al supporto del desk dedicato attivato da ICE Agenzia e FederBio rappresentano formidabili opportunità per le imprese italiane”.

IL MADE IN ITALY BIO PER IL CONSUMATORE SCANDINAVO
Nel confronto internazionale, l’Italia si posiziona al primo posto tra i Paesi che producono i prodotti bio di maggiore qualità: a pensarla così è il 38% degli user bio. Nel caso della Svezia, il nostro Paese si contende la leadership con la Danimarca: in tal caso la quota di user che indica l’Italia quando pensa ai prodotti bio di maggiore qualità è pari al 37%. A ulteriore conferma dell’ottima reputazione del bio italiano, per ben 6 consumatori scandinavi su 10 i prodotti alimentari bio Made in Italy hanno una qualità superiore rispetto ai prodotti di altri Paesi mentre per 7 consumatori 10 il bio italiano ha un percepito maggiore anche sul fronte delle garanzie di tracciabilità e di metodi produttivi rispettosi dell’ambiente. Grazie a questa ottima percezione, i prodotti bio italiani trovano larga diffusione in Scandinavia: il 65% delle famiglia ha acquistato un prodotto alimentare made in Italy a marchio biologico nel corso del 2022 e il 30% li ha acquistati almeno una volta a settimana.

Quali sono i prodotti più promettenti per il bio Made in Italy?
Olio extra vergine d’oliva, formaggi, conserve di pomodoro, salumi, formaggi e vino sono i prodotti italiani a marchio bio più acquistati dai consumatori scandinavi ma anche le categorie per i quali il consumatore è più interessato al binomio bio-made in Italy.

IL RUOLO DEL VINO BIO
Dal rapporto presentato da Nomisma risulta anche che il vino è uno dei prodotti bio più diffusi sul mercato scandinavo. Se ci si focalizza sul mercato svedese – sulla base dei dati del Systembolaget, il monopolio svedese che gestisce le vendite di bevande alcoliche (vino incluso) – ben un quarto delle vendite di vino è costituito proprio da vini a marchio bio per un valore di 600 milioni di euro nell’ultima rilevazione. In tale scenario, l’Italia è leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume nel 2021; un successo da ricondurre in primis all’ottimo posizionamento di alcuni territori quali Veneto (grazie al Prosecco che rappresenta la denominazione a marchio bio più venduta in Svezia), Sicilia e Puglia.

«Il vino italiano gode di un’ottima reputazione sul mercato scandinavo e l’Italia figura al primo posto tra i Paesi che producono i vini di maggiore qualità. Tale forte apprezzamento nei confronti del vino made in Italy trova riscontro anche con riferimento al biologico: ben il 38% degli wine user beve vino a marchio bio di origine italiana e il 20% lo fa con cadenza settimana. E le opportunità per le aziende vitivinicole italiane sono ancora ampie su tale importante mercato, al punto che quasi la metà dei consumatori sarebbe interessato a provare un nuovo vino italiano a marchio bio mentre in un terzo dei casi sarebbe disposto a spendere un differenziale di prezzo superiore al 5% rispetto ad un vino italiano non bio” afferma Emanuele Di Faustino, Responsabile Industria, Servizi e Retail Nomisma S.p.A.

IL POTENZIALE DEL MADE IN ITALY BIO
Nessun ostacolo per il binomio bio e made in Italy neanche per il futuro: il 30% dei consumatori si dice interessato all’acquisto di un prodotto alimentare italiano a marchio bio, quota che sale al 46% in merito al vino. Gli indecisi sarebbero attratti, oltre che da promozioni e prezzi bassi, anche da brand famosi, da informazioni sul basso impatto ambientale e dalla presenza di confezioni eco-sostenibili. Più della metà degli attuali non user vino, infatti, non ha ancora mai provato il bio italiano perché non lo trova in assortimento mentre in 1 caso su 5 non ne conosce ancora le caratteristiche distintive. Le stesse motivazioni del mancato acquisto riguardano anche i prodotti alimentari: il 26% di chi non consuma food bio made in Italy dichiara di non conoscerne le caratteristiche distintive e, in 1 caso su 10, non li trova nei punti vendita abituali.

“Negli ultimi 10 anni, le esportazioni di biologico made in Italy sono letteralmente esplose (+ 181%), facendo diventare l’Italia il principale esportatore di alimenti bio a livello internazionale dopo gli USA. I Paesi Scandinavi sono mercati dove la richiesta di prodotti biologici made in Italy è in crescita, prodotti che uniscono attenzione alla sostenibilità con la qualità elevata delle produzioni agroalimentari italiane e incorporano valori culturali, sociali e ambientali riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo. La piattaforma Ita.Bio, nata dalla collaborazione fra l’Agenzia ICE e FederBio con il supporto del Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, intende supportare le imprese anzitutto fornendo informazioni e conoscenza dei mercati indispensabili per potervi operare e mettendo a disposizione una piattaforma integrata di iniziative promozionali. Anche attraverso questa iniziativa FederBio conferma il proprio impegno per supportare lo sviluppo del settore biologico italiano e la sua internazionalizzazione” dichiara Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio.

“In Scandinavia l’attenzione ai prodotti biologici è molto elevata e le vendite di prodotti bio superano il valore di 2 milioni di euro sia in Svezia che in Danimarca. L’export italiano nel settore è in costante crescita negli ultimi anni ed ha superato i 3 miliardi di euro nel 2022; i nostri prodotti biologici godono di un’ottima reputazione sul mercato scandinavo e di quote di mercato rilevanti, sia nel settore agroalimentare che in quello del vino. Il Focus Nomisma Svezia/Danimarca rappresenta un’ottima occasione per illustrare trend e dinamiche del settore, al fine di approfondire la conoscenza dei due mercati ed evidenziarne le opportunità commerciali. L’ufficio ICE di Stoccolma può sostenere nel modo più efficace le imprese italiane nel cogliere al meglio tali opportunità e rafforzare la loro presenza sul mercato scandinavo, con la propria offerta di servizi personalizzati ed attività promozionali dedicate” dichiara infine Andrea Mattiello, direttore dell’ufficio ICE di Stoccolma.

Cresce il numero di consumatori motivati a combattere gli sprechi alimentari

In occasione della giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare in programma il 5 febbraio, Babaco Market – il servizio di e-grocery 100% made in Italy – invita a riflettere sulla tematica attraverso i dati emersi da una ricerca commissionata a BVA-Doxa che restituiscono una sorta di identikit dei consumatori. L’obiettivo è offrire una visione sulle attitudini degli italiani verso lo spreco di cibo.

L’analisi ha permesso di individuare 4 differenti tipologie di profili degli italiani con una specifica visione nei confronti dello spreco alimentare e diversi atteggiamenti rispetto al consumo di frutta e verdura.

1. I VIRTUOSI (30%): “Mi organizzo e faccio tutto il possibile per non sprecare il cibo”
Consapevoli dell’entità dello spreco alimentare e dei suoi effetti sull’ambiente, ritengono molto importante l’obiettivo ONU per la sua riduzione entro il 2030. Presentano un’elevata attenzione a non sprecare cibo, per questo sono molto organizzati: acquistano piccole quantità di cibo, adottano un menù settimanale per regolarizzare acquisti e consumi. Amano molto la frutta e la verdura fresca, sono attenti alla stagionalità e l’origine italiana è prioritaria nelle scelte di acquisto. Meno sensibili al prezzo, sono i più propensi a usare siti e app che supportano cibi made in Italy e pratiche antispreco.

2. I BEN INTENZIONATI (21%): “Cerco di non sprecare, ma non ogni tanto capita…”
Conoscono il problema dello spreco alimentare e il suo impatto sul cambiamento climatico. Ritengono molto importante agire in prima persona per ridurre gli sprechi e sono molto attenti a non buttare via cibo. Tuttavia, qualche volta può succedere: più spesso perché si dimenticano di consumarlo, oppure perché ne acquistano in eccesso. L’azione che adottano più frequentemente per contrastare lo spreco alimentare è porzionare e congelare il cibo. Amano frutta e verdura fresca, soprattutto perché sono considerate parte di una dieta sana. Non sono disposti a spendere di più per prodotti di marca quando acquistano frutta e verdura, ma sono poco attenti alla lista della spesa e alla programmazione settimanale. Per realizzare una migliore organizzazione, hanno un interesse positivo verso siti e app che supportano cibi made in Italy e pratiche antispreco.

3. I PARSIMONIOSI (16%): “Non spreco per risparmiare”
Sono meno consapevoli dell’entità dello spreco alimentare e del suo impatto sull’ambiente. Ma prestando massima attenzione a non sprecare cibo per questioni di risparmio, non buttano via niente grazie ad un’organizzazione delle scorte per data di scadenza e all’acquisto di prodotti durevoli. Sono poco amanti di frutta e verdura fresca e più sensibili al prezzo.

4. I NON CURANTI (33 %): “Conosco il problema, ma non mi attivo particolarmente”
Hanno consapevolezza del problema relativo allo spreco alimentare, ma ritengono meno importante contrastare questo fenomeno. Prestano scarsa attenzione allo spreco di cibo e capita spesso che ne buttino via. Hanno una gestione degli alimenti poco oculata: si dimenticano di consumare il cibo, ne acquistano troppo o in formati troppo grandi e ne avanzano quando cucinano. Sono poco amanti di frutta e verdura fresca, stagionalità e provenienza dei prodotti non gli interessano. Acquistano spesso verdure surgelate o conserve e sono poco organizzati: non hanno l’abitudine di fare una lista della spesa o una programmazione dei consumi alimentari.

A sostegno della prevenzione dello spreco alimentare, a partire dal prossimo 30 gennaio Babaco avvierà una campagna di comunicazione dedicata al tema “C’è un supereroe in ognuno di noi”.

L’iniziativa, all’insegna della valorizzazione dell’unicità in chiave antispreco, vedrà protagonisti tre ortaggi e frutti particolari (Supercedro, Capitan Radicchio e Wonder Pomodoro) presentati come eroi insieme ai loro coltivatori, poiché hanno combattuto condizioni climatiche avverse prima di arrivare nelle Babaco Box.

Farina di grillo negli alimenti, gli scettici dovranno ricredersi

Come annunciato pochi giorni fa, l’Unione Europea ha dato il via libera all’uso della polvere sgrassata di acheta domesticus (il comune grillo) che potrà essere utilizzata nei prodotti alimentari e arriverà sugli scaffali dei nostri supermercati.

Cinque anni fa solo in pochi si sarebbero immaginati che questo potesse succedere per davvero: come confermava una ricerca BVA Doxa per Rentokil, azienda specializzata nel monitoraggio e controllo degli infestanti, quasi il 60% degli italiani pensava che gli insetti non sarebbero mai stati accettati come alimenti in Italia.

Il novel food, che porta sulle nostre tavole nuovi alimenti tra cui insetti e aracnidi come cavallette, grilli, coleotteri, bruchi e scorpioni, era visto come un’ipotesi non percorribile sulle nostre tavole e il pensiero di trovare su uno scaffale o nel banco frigo un prodotto a base di insetti suscitava una reazione di disgusto nel 63% degli intervistati. Percentuale in linea anche nel caso dei ristoranti: trovare un piatto nel menù a base d’insetti non sarebbe stato gradito al 60% dei rispondenti.

La tanto discussa sicurezza alimentare era un elemento che già preoccupava gli italiani cinque anni fa. Il 73% degli italiani infatti pensava che la produzione degli stessi richiederebbe maggiori attenzioni in termini di sicurezza alimentare e pratiche igieniche, e il 55% era molto preoccupato dal punto di vista sanitario per le pratiche che possano essere utilizzate o meno nella lavorazione degli insetti ad uso alimentare.

Quello che era considerato il cibo del futuro è ormai diventato realtà e la rivoluzione nel piatto ha decisamente avuto una spinta importante. Sarà il tempo a dire se gli italiani si ricrederanno e come risponderanno a questi nuovi trend alimentari.

Snack, lo studio di Mondelēz evidenzia un ruolo in costante espansione

Mondelēz International ha pubblicato il quarto rapporto annuale State Of Snacking, uno studio che esamina i comportamenti dei consumatori a livello globale e investiga i driver di scelta degli snack da parte dei consumatori. Il rapporto analizza gli atteggiamenti e i comportamenti in materia di snack di migliaia di consumatori intervistati in 12 Paesi. I risultati illustrano l’espansione del ruolo degli snack, che sempre più spesso sostituiscono i pasti tradizionali nella vita dei consumatori.

I principali risultati mostrano che i consumatori di tutto il mondo consumano snack:

Quotidianamente – Lo snack è un punto fermo – il 71% dei consumatori fa uno spuntino almeno due volte al giorno.

Consapevolmente – il 78% dei consumatori dichiara di prendersi più tempo per assaporare gli snack e il 61% afferma di dedicare del tempo a porzionare gli snack prima di mangiarli.

Frequentemente – I consumatori sostituiscono sempre più spesso i pasti con gli spuntini, con il 55% che dichiara una maggiore propensione a consumare uno snack tra i tre pasti principali.

In modo sostenibile – La riduzione degli sprechi è una priorità assoluta, con 7 consumatori su 10 che dichiarano di privilegiare gli snack con meno imballaggi e il 72% che dichiara di riciclarli.

“Il nostro rapporto State Of Snacking conferma che, in questi tempi difficili, i consumatori di tutto il mondo considerano i loro snack preferiti come un piacere accessibile e necessario”, dichiara Dirk Van de Put, Chairman e CEO di Mondelēz International. “Gli snack continuano ad essere un modo per i consumatori di relazionarsi con gli altri o di godersi un momento di piacere durante la loro giornata, dimostrando ulteriormente la nostra convinzione che ogni snack può essere consumato in modo consapevole”.

L’indagine dimostra che i consumatori cercano snack per soddisfare diverse esigenze nella loro vita. La maggioranza ha dichiarato di consumare regolarmente uno snack per premiarsi (78%) e per un senso di comfort (77%), risultati condivisi dall’85% dei millennial per entrambi i motivi. Il contesto attuale sottolinea anche l’importanza della riconoscibilità del marchio, con il 67% che dichiara che preferirebbe comprare una minore quantità della sua marca preferita di snack, piuttosto che acquistare una generica alternativa meno costosa.

“I consumatori di oggi sono più consapevoli che mai dei loro consumi e questo include la salute e il benessere, nonché l’impatto sul pianeta”, ha aggiunto Martin Renaud, Chief Marketing and Sales Officer di Mondelēz International. “I risultati di questo rapporto continuano a contribuire alla nostra strategia di leader globale nel settore degli snack, con un’attenzione particolare al cioccolato e ai biscotti e un impegno per uno snack consapevole e sostenibile”.

Il rapporto State Of Snacking 2022 è scaricabile qui

Packaging nel largo consumo, italiani sempre più attenti a sostenibilità

Pochi giorni fa, a Marca 2023, è stato presentato l’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo curato da Nomisma. Al centro del focus – condotto su un campione rappresentativo di oltre 1.000 responsabili di acquisto tra i 18 e i 65 anni – una riflessione sul ruolo che il packaging sostenibile ricopre nei modelli d’acquisto alimentare degli italiani in uno scenario caratterizzato da scenari inflattivi e da una congiuntura economica non favorevole.

Per recuperare gli effetti dell’inflazione sul budget familiare l’88% degli italiani sta adottando strategie di risparmio che vanno dal ridurre gli sprechi (nel 58% dei casi), all’acquisto di prodotti e servizi in offerta o promozione (51%) fino alla rinuncia all’acquisto di prodotti/servizi superflui (45%).

In questo scenario non semplice, la sostenibilità continua a rivestire per gli italiani un ruolo importante. Per il 35% dei rispondenti, questa, unita all’attenzione all’ambiente rappresenta un fattore determinante per le scelte future, mentre il 57% dichiara di tenerne conto. Nello specifico, quello energetico e idrico è l’ambito in cui l’80% delle famiglie presta più attenzione, seguito dall’acquisto di prodotti alimentari e bevande (77%), e mobilità e spostamenti (56%). Per gli italiani sostenibilità significa anche fare scelte di acquisto che prendono in considerazione le caratteristiche del packaging, veicolo di valori e informazioni diventato sempre più importante per il 92% degli intervistati.

In tale contesto, il green packaging definisce sempre di più le scelte di acquisto food tanto che negli ultimi 12 mesi il 65% delle famiglie italiane ha inserito nel proprio carrello un prodotto perché aveva una confezione più sostenibile rispetto a quella di altre marche. Al contempo, il 19% ha smesso di acquistare un prodotto perché il packaging non era considerato sostenibile.

Un prodotto senza overpacking (58%), interamente riciclabile (56%), con ridotte quantità di plastica (47%) contiene le tre caratteristiche di sostenibilità più ricercate nel food packaging. Considerando i materiali maggiormente impiegati nel packaging, il cartone per bevande risulta essere maggiormente percepito come sostenibile nelle bevande (59%). Quando si tratta di prodotti confezionati è invece il vetro il materiale ritenuto più green (67%), seguito dal cartone per bevande.

Anche l’etichetta riveste un ruolo importante nei confronti di un consumatore che nel tempo è diventato sempre più esigente e attento. Le informazioni presenti in etichetta che influenzano maggiormente le scelte di acquisto alimentari sono l’origine delle materie prime, nel 54% dei casi, le modalità di riciclo della confezione (48%), i metodi di produzione del prodotto (40%), l’impatto ambientale della confezione (38%), la catena di fornitura e filiera (36%).

1 italiano su 5, però, non è soddisfatto delle informazioni a disposizione per valutare la sostenibilità di prodotti alimentari e bevande e del packaging alimentare. In particolare, il 76% degli italiani vorrebbe trovare in etichetta immagini o punteggi che indichino il livello di sostenibilità dei prodotti alimentari e delle loro confezioni.

“Il 67% degli italiani è convinto che, anche se ci sarà un rientro dell’inflazione, i prezzi non torneranno ai normali livelli degli ultimi anni con conseguenze dirette sul carrello della spesa. Malgrado un’erosione del potere di acquisto e il ricorso a inevitabili strategie di risparmio, sta crescendo in modo significativo la sensibilità degli italiani verso l’acquisto di prodotti caratterizzati da un packaging che non solo deve presentare caratteristiche di sostenibilità, ma che dovrebbe anche essere un veicolo per trasmettere valori e informazioni utili a supportare la decisione di acquisto” – commenta Silvia Zucconi, responsabile market intelligence & business information di Nomisma.

Spumanti low cost, unica categoria tra i vini in crescita nella Gdo nel 2022

Si chiude un anno di riposizionamento per le vendite dei vini in grande distribuzione (e retail) in Italia. Nel 2022, l’unica voce chiaramente positiva – rileva l’Osservatorio Uiv-Ismea su base Osservatorio Ismea-Nielsen IQ – è relativa alla categoria “Altri spumanti Charmat” (diversi dal Prosecco), che ha archiviato il 2022 con una crescita tendenziale in volume del 13% (+22% nei discount), a fronte di un calo generale degli acquisti allo scaffale che supera il 6% con perdite sopra la media per la tipologia dei vini fermi (-7%) e in particolare per le Doc rosse che scendono in doppia cifra (-11%).

L’exploit degli spumanti low cost – il cui prezzo medio a 4,4 euro/litro registra un aumento molto più contenuto dei listini rispetto ai competitor – è lo specchio del limitato potere di acquisto degli italiani nell’ultimo anno (i più costosi spumanti a Metodo classico chiudono – dopo un 2021 da incorniciare – a -9%, gli Champagne a -25%, anche per effetto delle limitate disponibilità) ma allo stesso tempo evidenzia tutta l’ormai irrinunciabile centralità raggiunta dalle bollicine anche tra le mura domestiche. Il saldo 2022 delle vendite in grande distribuzione chiude in passivo anche sul fronte dei valori (-2%, a 2,94 miliardi di euro).

Focus 2022 vs 2019
Secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini e Ismea, dal 2019 al 2022 le bollicine hanno registrato un incremento nei volumi commercializzati in Gdo del 17%, con crescite ancora più nette per il Prosecco (+31%) e per gli “Altri spumanti Charmat”, che chiudono il triennio a +32% (34 milioni di bottiglie nel 2022). Per il segretario generale di Unione Italiana Vini, Paolo Castelletti: “Il divario tra le performance degli spumanti e il resto del mercato è sempre più evidente e l’effetto non è stato affatto neutro. A pagare le spese di un carrello che vede gli spumanti protagonisti dei consumi quotidiani, è probabilmente il vino fermo (-8%) e in particolare i rossi, che nel periodo considerato scontano una contrazione dell’11%”.

Per il responsabile Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di Ismea, Fabio Del Bravo: “Quello che osserviamo dall’immediato pre-Covid a oggi è un cambiamento con pochi precedenti delle abitudini al consumo degli italiani, che considerano ormai gli spumanti un vino a tutto pasto, svincolato da ricorrenze e festività e a cui non si è disposti a rinunciare neanche di fronte all’erosione del potere d’acquisto”.

Le Do
Se ovviamente il saldo dell’ultimo anno delle principali denominazioni e indicazioni geografiche segue l’andamento generale negativo, uno sguardo in prospettiva di medio termine aiuta a inquadrare meglio quali sono i vini che strutturalmente hanno imboccato una fase involutiva e quali invece stanno ripiegando sui valori pre-Covid dopo la fiammata 2020/21. Fra i primi, vanno annoverati alcuni rossi Igt sia che provengano da vitigni autoctoni che da vitigni internazionali. Tra le Dop le battute d’arresto sono numerose e spaziano dal Piemonte alla Sicilia. Quelli in fase di rientro verso la “normalità” sono invece Montepulciano d’Abruzzo, Chianti, Salento (quindi Negroamaro), Lambrusco Emilia e Rubicone Trebbiano. Poi ci sono anche quelli (pochi a dir la verità fra i big seller) in fase positiva, nonostante volumi negativi nell’ultimo anno: Sangiovese Rubicone, Vermentino di Sardegna, Verdicchio, Castelli Romani, Valpolicella.

E-commerce
Il saldo negativo in volume più pesante (2022 vs 2021) lo si ritrova nell’e-commerce, con -15% cumulato tra vini e spumanti e picchi maggiori per le tipologie più pregiate, come per esempio gli spumanti metodo classico (-21%). Il canale, al contrario del retail fisico, ha sperimentato diffusi segni negativi sui prezzi, con listini in media a -10%. Dopo aver sperimentato un vero e proprio boom delle vendite nel 2020 (da 2,6 a 8 milioni di litri) e un ulteriore incremento nel 2021 (9 milioni), il segmento pare destinato ad assestarsi sui livelli dell’anno pandemico, e quindi aver interrotto la crescita.

La distribuzione moderna tutela il potere d’acquisto degli italiani

In un anno caratterizzato da molte criticità – dall’inflazione più alta degli ultimi trent’anni alla guerra in Ucraina, dal caro energia alle problematiche in alcune catene di approvvigionamento – la Distribuzione Moderna ha investito notevoli risorse per tutelare il potere d’acquisto degli italiani, trasferendo solo in parte i rincari della filiera sui consumatori. Le aziende distributive hanno assorbito una parte molto significativa di aumento dei prezzi per un valore di 3,9 miliardi di euro, consentendo un risparmio medio per famiglia fino a 77 euro al mese.

Il dato emerge dal Position Paper L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico della Distribuzione Moderna, realizzato da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna, di cui è stata presentata un’anticipazione ieri a Milano nell’ambito della conferenza stampa dedicata al convegno che aprirà la fiera Marca by BolognaFiere 2023, in programma a Bologna il 18-19 gennaio. Il paper sarà presentato integralmente nel corso del convegno inaugurale di Marca mercoledì 18 gennaio a cui ha già confermato l’intervento in presenza il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, On. Francesco Lollobrigida, e, in videocollegamento, il Viceministro delle Imprese e del Made in Italy, On. Valentino Valentini.

L’analisi del paper delinea l’importanza fondamentale del settore distributivo italiano nella filiera agroalimentare: è responsabile dell’80% degli acquisti attraverso una rete di 25mila punti vendita e sui 600 miliardi di euro di fatturato complessivi della filiera (50 miliardi dei quali derivanti dall’export), 155 miliardi sono generati dalle aziende della Distribuzione Moderna, con un valore aggiunto diretto di 25,6 miliardi.

Nel complesso, la Distribuzione Moderna contribuisce al valore aggiunto italiano per oltre 52 miliardi di euro; questo dato include quello generato direttamente (25,6 miliardi), quello indiretto (21,3 miliardi), cioè derivante dalle filiere di fornitura e subfornitura, e il valore indotto (5,2 miliardi) generato dagli occupati nella Distribuzione Moderna e nelle filiere attivate.

Significativo anche il sostegno del settore all’occupazione in tutte le aree geografiche della Penisola, da Nord a Sud, dalle città ai piccoli centri, grazie alla presenza omogenea dei punti vendita su tutto il territorio nazionale. In particolare, nel Mezzogiorno il settore è al 4° posto per incidenza degli assunti, e in termini di lavoro femminile e giovanile registra rispettivamente un +32% e +67% degli occupati rispetto alla media nazionale. Complessivamente, con un aumento di oltre 58mila occupati dal 2013 al 2021 (6º settore economico su 245 in Italia per crescita occupazionale dal 2013), la Distribuzione Moderna ha circa 440mila occupati diretti (+3,1% vs 2019) e sostiene una rete di 3,3 milioni di addetti, considerando anche le filiere attivate.

“Negli ultimi anni, tra Pandemia e caro vita, la Distribuzione Moderna ha dimostrato di essere un asset strategico dell’economia del Paese, sia per il valore aggiunto che riesce a generare sia per il contributo occupazionale, in particolare di giovani e donne”, afferma Marco Pedroni, Presidente di ADM. “Ha dimostrato inoltre di essere un attore responsabile della filiera: nell’anno appena trascorso ha contribuito significativamente al contenimento della spinta inflattiva sui prodotti alimentari, assorbendo una parte dei rincari e tutelando così il potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito, quelle su cui pesano maggiormente gli aumenti. Un ruolo di calmiere sociale che continua a svolgere per quanto possibile, ma che vista l’impennata inflattiva deve vedere l’impegno non solo di tutta le imprese del largo consumo, ma anche delle istituzioni. E’ innegabile la necessità di un’azione del Governo di sostegno dei consumi, a favore in particolare delle famiglie più fragili. Un Paese che vuole tornare a crescere è necessario adotti una adeguata politica di sostegno dei consumi che rappresentano oltre il 60% del PIL del Paese”.

Il Convegno sarà l’occasione per fare un punto sul mercato della Marca del Distributore (MDD), quest’anno anche grazie a una survey condotta tra alcuni dei principali business leader del settore e delle aziende MDD partner.

Dai dati elaborati emerge il ruolo determinante della MDD nel contenimento dei prezzi al consumo. Secondo le stime di The European House – Ambrosetti, sui dati messi a disposizione da IRI, a fine 2022 il fatturato della Marca del Distributore è pari a 12,8 miliardi di euro (+9,4% rispetto al 2021) con una quota di mercato del 20,8%, quasi raddoppiata rispetto al 2003. La MDD ha anche consentito un effetto di democratizzazione della spesa alimentare, coniugando la convenienza all’elevata qualità e a un approccio sempre più sostenibile, come confermato dal 72% dei consumatori (da survey IPSOS ai consumatori italiani, 2022).

“La MDD ha progressivamente conquistato la fiducia dei consumatori che la percepiscono come una risposta affidabile e soddisfacente alla ricerca di un buon rapporto qualità-prezzo – commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. Il progressivo apprezzamento ha favorito anche la crescita economica di molte medie e anche piccole aziende fornitrici, arrivando a determinare il 60% dell’incremento del fatturato dell’industria alimentare nel mercato domestico”.

Dall’analisi dei bilanci di 651 aziende espositrici a Marca, emerge che tra il 2013 e il 2021 le aziende MDD partner hanno avuto performance migliori rispetto alla media dell’industria alimentare e, secondo la survey realizzata da The European House – Ambrosetti e somministrata, in collaborazione con BolognaFiere, agli MDD partner espositori a Marca 2023, la tendenza si conferma per l’anno appena concluso: 7 aziende su 10 dichiarano un aumento di fatturato, di cui il 27,1% in un range tra il 10-20% e il 24,1% tra il 20-30%. Questo grazie anche alle relazioni di lungo periodo instaurate con le aziende della Distribuzione Moderna: oltre un terzo del campione dichiara di avere contratti di collaborazione superiori agli 8 anni.

La conferenza stampa è stata anche l’occasione per presentare il programma della diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere, organizzata in collaborazione con ADM e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna. Marca by BolognaFiere è l’unica fiera dedicata alla marca commerciale in Italia, la grande vetrina dove si espongono i prodotti food e non food dell’eccellenza italiana a Marca del Distributore. La manifestazione è anche l’unica a livello internazionale a offrire un grande spazio espositivo alle 22 principali insegne della Distribuzione Moderna che siedono nel Comitato Tecnico Scientifico della fiera. Un’occasione importante per andare alla sostanza del business, toccare con mano i prodotti e chiudere i contratti tra aziende di qualità e i retailer interessati a proporre prodotti con il proprio marchio. La diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere si annuncia già in crescita, con oltre 900 espositori e centinaia di buyer di altissima qualità provenienti da tutto il mondo.

“Marca by BolognaFiere è la prima fiera dell’anno – afferma il Presidente di BolognaFiere, Gianpiero Calzolarie si sta ormai affermando come una delle fiere più importanti dell’agroalimentare. La sua formula molto smart e molto veloce, due giorni di business puro, continua a incontrare sempre più interesse nelle catene distributive e nelle aziende che producono. Siamo orgogliosi di offrire ogni anno la sede più autorevole dove stringere accordi tra chi compra e chi vende, favorire la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese grazie ai rapporti con le insegne della Distribuzione Moderna”.

 

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