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Digitalizzazione, ormai una priorità per le aziende del largo consumo

Automazione nel marketing, migrazione al cloud e miglioramento dell’esperienza dei dipendenti: sono queste le priorità delle aziende italiane che operano nel settore dei beni di largo consumo. Le evidenze emergono da una recente ricerca condotta da Vanson Bourne con la società di consulenza con Atlantic Technologies per sottolineare sia la strategia digitale delle aziende del settore, sia le azioni che stanno mettendo in atto per rendere più efficienti i loro processi interni e migliorare la soddisfazione dei clienti.

Se lo scorso anno le aziende italiane del largo consumo erano focalizzate principalmente sul miglioramento dell’efficienza nelle vendite e della collaborazione tra i team, per il biennio 2023-2024, il 71% dei CIO (chief information officer) rispondenti considera la marketing automation l’area più importante dove investire, per liberare risorse e tempo a vantaggio di attività a più alto valore aggiunto. Altro tema fondamentale è l’integrazione dei dati, che viene giudicato un asset chiave e decisivo, in grado di migliorare sia i processi interni all’azienda connessi alla produzione sia quelli legati al rapporto con il cliente.

Sebbene tutti i responsabili IT intervistati concordino sulla necessità di intraprendere un percorso di trasformazione digitale e nonostante il 62% dichiari di disporre già di una strategia in tal senso, a rallentare il processo di digitalizzazione delle aziende del settore vi sono la dipendenza dai processi manuali, seguita dalla mancanza di competenze digitali interne e dall’assenza di una cultura dell’innovazione. Tema importante è infatti quello del change management che, secondo quanto emerso dalla ricerca, si rivela determinante per impostare un approccio strutturato che aiuti tutti i dipendenti ad abbracciare il cambiamento e le nuove tecnologie adottate in aziende. Si tratta di un passaggio indispensabile per le imprese del settore, sia per il miglioramento dell’esperienza offerta ai clienti, sia per i vantaggi a beneficio del business aziendale. In particolare, la maggior parte dei responsabili IT considera la scarsa integrazione dei dati nei processi decisionali delle proprie aziende un punto debole rimasto ancora senza soluzione. 

“Oggi il ruolo di un partner di consulenza è sempre più quello di comprendere le reali esigenze del cliente, supportandolo con la propria expertise sia nella scelta e nell’implementazione delle soluzioni tecnologiche, sia nel cambiamento culturale necessario per sfruttare al meglio le grandi potenzialità derivanti da un processo di trasformazione digitale” – dichiara Fabio Momola, CEO di Atlantic Technologies. “Ciò vale anche per le aziende che operano nell’ambito dei beni di largo consumo, che, consapevoli delle sfide future e della necessità di accelerare la propria digital transformation, scommettono sempre più sulla tecnologia, mirando a implementare nuove strategie digitali nel prossimo triennio per ottimizzare i propri processi interni e soddisfare al meglio le richieste dei consumatori, che si fanno sempre più esigenti e interessati a temi quali la trasparenza e la sostenibilità”,

“La ricerca che abbiamo condotto per Atlantic Technologies e che ha visto la partecipazione di 100 aziende italiane del largo consumo, dimostra che molti attori del settore, pur riconoscendo l’importanza del digitale, faticano a definire una roadmap puntuale per la loro trasformazione digitale” aggiunge Rowan Haslam, Research Manager di Vanson Bourne. “Se da un lato i CIO prevedono un aumento di budget per le soluzioni tecnologiche, dall’altro vedono una serie di difficoltà legate a un approccio culturale ancora poco incline al digitale e a strategie manageriali che non puntano sull’utilizzo dei dati su larga scala. Ciò a discapito del business e del rapporto con il cliente che, al contrario, potrebbe beneficiare ampiamente di un approccio data-driven”.

L’inflazione cala ma gli italiani continuano a ridurre i prodotti nel carrello della spesa

“Lo stato del Largo Consumo in Italia” è l’indagine mensile di NielsenIQ (NIQ) che fotografa lo scenario della grande distribuzione organizzata nel nostro Paese. Nel mese di maggio 2023 il fatturato della Gdo in Italia a totale Omnichannel è pari a 7.2 miliardi di €, un valore in crescita del +8,9% rispetto alla performance dello scorso anno.

L’indagine condotta da NIQ evidenzia che l’indice di inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, a maggio è scesa al 14,1%, in calo rispetto al valore registrato il mese di aprile (14,4%). La variazione reale dei prezzi invece è pari al 12,4%, con una riduzione dell’1,7% del mix del carrello della spesa. Questo dato evidenzia come le variazioni di scelta dei consumatori sui prodotti e sulle quantità acquistate incidano sull’importo finale della spesa.

Per quanto riguarda i canali distributivi, tutti registrano un trend positivo rispetto allo stesso periodo del 2022. Nello specifico, a maggio la crescita è guidata da Supermercati e Superstore (+9,4%), seguiti dai Discount (+9,1%), Iper>4.500mq (+8,4%), Liberi Servizi (+7,8%) e Specialisti Drug (+6,6%). Stando ai dati di NielsenIQ, inoltre, continua la riduzione dell’incidenza promozionale a totale Italia nel mese di maggio 2023 (22,9%), un dato in calo di 0,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Infine, a maggio la scelta di prodotti a marchio del distributore (MDD) registra un valore pari al 22,4% del LCC nel perimetro Iper, Super e Liberi Servizi mentre sale al 31,9% a Totale Italia Omnichannel – inclusi i Discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Continua anche a maggio 2023 l’ascesa dei prodotti dedicati agli animali domestici (+16,6%) e il cibo confezionato (+8,3%), che da molti mesi a questa parte si collocano in testa alla classifica delle aree merceologiche con l’incremento a valore più significativo. Per quanto riguarda invece l’andamento a volume, l’unica categoria che registra un trend positivo è il food confezionato (+4,2%), mentre tutte le altre mostrano una tendenza negativa, in particolar modo i prodotti per la cura della persona (-8,2%), il freddo (-9,5%) e le bevande (-9,8%).

In merito alla relazione tra valore e volume in ambito grocery, a totale Italia Omnichannel nel mese di maggio 2023 (vs 2022) l’andamento a valore è positivo (+9,3%), mentre è negativo a volume (-3,1%). Il fresco (peso fisso + peso variabile) risulta in crescita in tutti i format distributivi: nello specifico il trend migliore si osserva negli Iper>4500 (+11,1%), mentre i liberi servizi registrano l’incremento minore tra tutti i canali (+6,7%).

A livello di categoria, formaggi (+17,9%) e pane & pasticceria & pasta (+17,1%) sono quelle più dinamiche, mentre salumeria (+4,5%) e frutta e verdura (+4%) registrano i trend di crescita più bassi. Alla guida della top ten del mese di maggio 2023 per quanto riguarda i prodotti grocery invece troviamo zucchero (+59,9%), passate (+40,9%) e surgelati vegetali – patate (+39,5%).

Prezzi più alti e carrelli più vuoti: come cambia la shopping strategy degli italiani

L’effetto congiunto dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita ha costretto gli italiani a riconfigurare la shopping strategy ma in modo differenziato in funzione delle tipologie di prodotti e della capacità di spesa. A testimoniarlo è la nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, il report semestrale che analizza l’andamento delle vendite di quasi 133 mila prodotti di largo consumo, tra food & beverage, petcare, cura casa e cura persona.

«La storica e radicata difesa della qualità del cibo messa in atto dagli italiani ha faticato a reggere l’urto dei fenomeni così impattanti che hanno caratterizzato gli ultimi 12 mesi» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Sono aumentati i prezzi e si è cominciato a vedere in modo netto come siano diminuiti i volumi, anche se in maniera diversa fra fasce di prezzo, con quella più bassa che ha mostrato la maggior sofferenza».

L’Osservatorio Immagino ha approfondito il tema della convenienza in un ampio e dettagliato dossier e ha anche verificato l’impatto di questo comportamento all’interno dei suoi 12 panieri di consumo. Scoprendo, così, che non tutti i prodotti hanno subìto dei tagli nelle quantità acquistate. «Tra i principali panieri analizzati dall’Osservatorio Immagino i claim relativi al basso tenore di zuccheri, alla ricchezza in proteine e all’assenza di lattosio hanno aumentato le vendite anche in volume e non solo a valore. Evidentemente le caratteristiche di questi prodotti sono talmente importanti per i consumatori da non modificarne i comportamenti di acquisto». L’Osservatorio Immagino ha individuato e misurato altri claim e certificazioni che sono andati controcorrente nel 2022, riuscendo a crescere a volume, e li ha raccontati nelle sue 96 pagine, che offrono un quadro unico per completezza e dettaglio del largo consumo in Italia.

I contenuti della tredicesima edizione dell’Osservatorio Immagino

Questa edizione dell’Osservatorio Immagino ha monitorato l’evoluzione della composizione e delle vendite, in valore e volume, di 12 panieri, tra food e non food, che rappresentano altrettanti fenomeni e tendenze di consumo.

Nel food:

Italianità: 25.409 prodotti, 8 tra claim, icone e indicazioni geografiche europee, per 10,4 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +6,1% a valore, -5,0% a volume.
Free from: 13.951 prodotti, 16 claim riferiti alla minore presenza o all’assoluta assenza di un nutriente, 7,5 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +6,0% a valore, -5,2% a volume.
Rich-in: 10.091 prodotti, 12 claim riferiti alla presenza in assoluto o in forma maggiore di un composto nutrizionale, 4,4 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +7,8% a valore, -3,6% a volume.
Intolleranze: 10.736 prodotti, 6 tra claim e certificazioni, 4,6 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +6,0% a valore, -3,3% a volume.
Lifestyle: 12.892 prodotti, 6 tra claim e certificazioni, 3,8 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +3,3% a valore, -7,9% a volume.
Loghi e certificazioni: bollini, indicazioni e claim che forniscono garanzie precise, come la bandiera del paese d’origine (19.146 prodotti), il logo EU Organic (8.293) o le certificazioni in materia di Corporate Social Responsibility, come Fairtrade, Friend of the sea, FSC e Sustainable cleaning (quasi 12 mila).
Ingredienti benefici: 13.145 prodotti, 36 ingredienti benefici suddivisi in sette famiglie, 4,1 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +7,8% a valore, -4,7% a volume.
Metodo di lavorazione: 3.756 prodotti, 9 tecniche produttive, 1,2 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +7,5% a valore, -5,2% a volume. 
Texture dei prodotti: 7.213 prodotti, 11 claim o caratteristiche relativi alla loro consistenza, 3,4 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +6,1% a valore, -7,7% a volume.
Petcare: 4.715 prodotti, 32 tra claim e certificazioni, 1,0 miliardo di euro di sell-out. Trend annuo: +10,9% a valore, -3,5% a volume.

Nel non food:

Cura casa green: 1.842 prodotti, 7 claim relativi alla loro sostenibilità ambientale, 552 milioni di euro di sell-out. Trend annuo: +19,3% a valore, -2,2% a volume.
Cura persona: i numeri del mondo health&beauty dai 6.798 prodotti che richiamano in etichetta tre benefici funzionali (più di 1 miliardo di euro di sell-out, +5,7% a valore e -4,2% a volume rispetto al 2021) alle 22.344 referenze che presentano on pack i 34 claim più significativi del free from, del rich-in e della naturalità nel mondo dei prodotti per la cura personale.

A completare la fotografia dei consumi, l’Osservatorio Immagino propone i due consueti approfondimenti sulla sostenibilità comunicata in etichetta:
Barometro Sostenibilità: 36.067 prodotti, 35 tra claim e certificazioni relative a quattro aree (management sostenibile delle risorse, agricoltura e allevamento sostenibili, responsabilità sociale, rispetto degli animali), 15,5 miliardi di euro di sell-out. Trend annuo: +8,6% a valore, -4,3% a volume.
Packaging green: la mappatura delle informazioni sulla riciclabilità dei packaging presenti sulle etichette dei 132.829 prodotti monitorati.

Per scaricare gratuitamente la tredicesima edizione dell’Osservatorio Immagino: osservatorioimmagino.it

Italiani attenti al carovita, meno acquisti superflui e più confronto prezzi

Col coinvolgimento di 15500 rispondenti provenienti da 19 Paesi (tra cui l’Italia, con 1000 partecipanti), lo strumento di rilevazione di Toluna rivela un quadro minuzioso e dettagliato di come visione del futuro, aumento del costo della vita e altri temi di grande attualità impattino, in Italia e in tutto il mondo, i consumi e il rapporto con i brand.

Fiducia e ottimismo restano bassi: gli italiani temono il carovita
Il sentiment dei consumatori del nostro Paese registra notevoli differenze rispetto agli insight globali. Solamente il 36% si dichiara “molto soddisfatto della propria vita”, contro il 47% mondiale (ma in linea con il dato europeo, 38%). Allo stesso modo, il livello di ottimismo, che in alcune regioni del mondo, come le Americhe, tocca il 63%, è nettamente più basso in Europa (32%) e in particolare in Italia, dove appena il 28% degli intervistati si definisce “molto ottimista” per il futuro.

Un senso di pessimismo che si ripercuote sia sulla possibilità di spesa (appena il 15% degli italiani si sente “molto fiducioso” di poter spendere denaro nei prossimi mesi, contro il 27% dei partecipanti globali) che sulla visione del futuro: solamente il 16% dei nostri connazionali ritiene che la propria situazione finanziaria migliorerà nei prossimi tre mesi e il 21% entro la fine dell’anno. Il 63% dei rispondenti in Italia (e il 61% a livello mondiale) concorda, quindi, che non sia il momento giusto per spese di grande valore, posticipate a tempi di maggior stabilità. L’aumento del costo dell’energia e della vita, infatti, stanno influenzando tangibilmente le spese di quasi 3 italiani su 4, che si sentono limitati nel proprio potere d’acquisto: il 36% riconosce come l’attuale situazione economico-finanziaria stia condizionando le proprie abitudini di spesa e il 45% prevede, di conseguenza, di diminuire gli acquisti ritenuti non necessari.

Dai tagli alla ricerca di alternative, le strategie per risparmiare
Per gestire l’aumento del costo della vita, i consumatori del nostro Paese stanno mettendo in campo tattiche concrete, prima fra tutte proprio la riduzione degli acquisti percepiti come non essenziali (50%). Altre soluzioni prevedono la visita di più negozi alla ricerca di occasioni (47%), il confronto dei prezzi sia online che offline (42%) e la ricerca di alternative più economiche (26%). Quasi un quarto degli italiani, inoltre, si dedica alla spesa più frequentemente, nel tentativo di evitare gli sprechi e trovare offerte migliori, mentre il 22% opta per le marche del supermercato. In ottica di risparmio i nostri connazionali si dimostrano anche propensi a rinunciare alle attività ricreative: mangiare fuori (26%), giocare d’azzardo (20%), andare in vacanza all’estero (20%) e frequentare bar e pub (16%) sono tra le principali attività su cui sono disposti a tagliare, insieme all’acquisto di prodotti di marca (20%) – dati in linea con quelli globali. Allo stesso modo, si concretizza l’impatto sui consumi alimentari: oltre la metà dei rispondenti del Bel Paese dichiara di aver ridotto l’acquisto di piatti pronti, take out e snack, mentre si dimostrano ancora restii a rinunciare a prodotti per la casa (22%) e la salute (19%) e frutta e verdure fresche (14%).

Ambiente e società restano prioritari nel rapporto coi brand
Valori, etica e responsabilità sociale continuano a giocare un ruolo di primo piano nella vita dei consumatori italiani. Il 78% di loro, infatti, si preoccupa dell’impatto sociale, ambientale ed etico dei propri comportamenti e più di 8 su 10 si sentono soddisfatti quando compiono scelte socialmente responsabili. Nonostante la congiuntura economica attuale, dunque, l’attenzione per questi temi esercita un’influenza notevole sulle scelte d’acquisto, tanto che il 79% dei partecipanti al panel italiano concorda nel sostenere l’importanza di investire tempo e cura in queste decisioni e tre quarti di loro si impegna a comprare prodotti di brand che si allineano con i propri valori. Proprio i brand, infatti, devono sentirsi, secondo l’85% dei panelisti, responsabili nei confronti dei consumatori e il loro influsso a livello socio-ambientale è un criterio sempre più rilevante nelle scelte di prodotto degli italiani: il 70% evita aziende i cui valori non sono in linea con i propri, il 74% si distanzierebbe da quelle con un impatto negativo e, specularmente, il 63% preferirebbe quelle impegnate in attività eticamente positive. Malgrado le buone intenzioni, però, sono due i principali ostacoli indicati dai rispondenti verso la scelta di brand dall’impatto positivo: da un lato la mancanza di informazioni sufficienti sulle attività in ambito ESG (68%) e dall’altro la sensazione di non poterselo permettere (64%).

“Se il carovita costringe i consumatori a prestare maggiore attenzione alle spese e a rinunciare a quelle ritenute superflue, per i brand la grande sfida è quella di riuscire a valorizzarsi al meglio ai loro occhi per guadagnarsi un posto tra gli acquisti irrinunciabili” commenta Eliza Frascaro, Head of Research Southern Europe & MEA di Toluna. “Essenziale è allora in questo contesto anche il peso dei valori veicolati dall’azienda: il consumatore odierno, nonostante le difficoltà economico-finanziarie, ha a cuore l’impatto delle proprie decisioni e auspica che al momento dell’acquisto corrisponda una sensazione di orgoglio”.

 

Segno rosso per l’export di vino italiano, battuta d’arresto per lo spumante

Per le vendite del vino italiano all’estero si chiude un primo trimestre complicato, con volumi piatti (+0,1%) e una performance tendenziale in valore a +3,8% (1,8 miliardi di euro). A rilevarlo è l’Osservatorio Uiv-Ismea-Vinitaly che ha elaborato gli ultimi dati Istat sul commercio estero.

I volumi commercializzati sono tenuti a galla dall’exploit di vendite di vino sfuso (+13,4%) – che registrano però una forte contrazione dei listini (-9,2%) – e dei comuni, a +12,8%. In sofferenza, sempre nei volumi, i prodotti bandiera del made in Italy, a partire dai vini fermi Dop imbottigliati, che si scendono del -5,3% (+2,5% il valore) con i rossi a -6,6%. Giù anche gli Igp (-2,5%), dove la crescita dei bianchi (+8,3%) non è bastata calmierare la perdita dei rossi (-7,5%) e dove il segno rosso si evidenzia anche nei valori. Tra le tipologie, si conferma l’avvio difficile per gli spumanti (-3,2% volume e +7,3% valore), complice la contrazione dei volumi esportati di Prosecco (-5,5%), mentre prosegue la buona stagione dell’Asti Spumante (+9,1%) e degli sparkling comuni (+4,4%).

“In questo primo trimestre la coperta troppo corta è sempre più evidente: la crescita in valore è infatti insufficiente per far fronte al surplus di costi dettato da materie prime ed energetici, che influisce per circa il 12% su un prezzo medio aumentato di appena il 3,7%” ha detto il segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv), Paolo Castelletti. “Permangono le notevoli difficoltà dei rossi, in particolare quelli Dop e Igp, a cui si aggiunge la battuta d’arresto dello spumante. Più in generale, l’attuale congiuntura impone alla domanda scelte low cost, e per questo in termini volumici fanno meglio prodotti base che hanno ritoccato poco i listini. Ma a che prezzo?”.

“Il mercato mondiale del vino sta mandando segnali di cambiamento che sembrano favorire al momento i vini di fascia più bassa” ha aggiunto Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di ISMEA. “Guardando alle dinamiche dell’export dei nostri principali competitor, la Francia appare particolarmente penalizzata dall’attuale orientamento del mercato, e registra una riduzione dei flussi in quantità del 7,5% (+3,4% gli incassi). I vini spagnoli, al contrario, sono favoriti da un prezzo più competitivo e spuntano delle progressioni sia in volume (+3,8%) che in valore (+11,4%). Per quanto riguarda il nostro export, siamo lontani dai tassi di crescita a cui settore ci aveva abituati negli ultimi anni. A complicare il quadro anche l’evidente rallentamento delle vendite alla distribuzione sul mercato interno e i quasi 53 milioni di ettolitri di vino stoccati negli stabilimenti che, sebbene in riduzione sui valori record dei mesi scorsi, fanno registrare una crescita di oltre il 4% sullo scorso anno”.

Sul fronte dei mercati, cresce in volume la piazza Ue (+7,3%) e si contrae quella extra-Ue (-7,7%); tra i top buyer gli Usa rimangono in terreno positivo (+0,4% volume, +10,8% valore) cresce, grazie agli sfusi, la Germania (+6,2% in volume e +5,6 in valore) mentre il Regno Unito cede il 13,5% (-7% il valore). In contrazione, nei volumi, mercati di sbocco ed emergenti come Canada (-24%), Svizzera (-8,4%), Giappone (-22,9%) e si conferma in caduta libera il mercato cinese (-43,7%). Volano gli ordini dalla Russia: +33,0%. Tra le regioni, rallentano i valori export per le top 3, con il Veneto a +3%, il Piemonte a +0,2% e la Toscana a +0,6%. Sopra la media gli incrementi di importanti regioni produttrici, come il Trentino-Alto Adige, l’Emilia-Romagna, la Lombardia.

Come cambia la shopping experience, discount preferiti da 1 italiano su 3

Una recente indagine di AstraRicerche per Aldi, che ha coinvolto più di 1.000 italiani (uomini e donne) tra i 18 e i 65 anni, ha indagato sull’esperienza di acquisto nei supermercati e nei discount e ha tratto un’evidenza: il 31,9% degli italiani oggi sceglie il discount per la propria spesa.

Dai dati raccolti emerge che una percentuale superiore al 40% attribuisce voti di eccellenza (9 o 10) al discount e ai supermercati per quanto riguarda le aree destinate al parcheggio, all’illuminazione, alla pulizia e all’ordine dei locali, alla facilità di muoversi all’interno del punto vendita e anche al fatto che la disposizione dei prodotti è chiara e rende la spesa veloce e comoda.

La ricerca ha acceso i riflettori anche sull’evoluzione del consumatore moderno, molto più consapevole e attento a ciò che acquista e che consuma. Uno dei maggiori punti di attenzione dei clienti che incide sulla shopping experience riguarda l’esposizione delle etichette dei prodotti alimentari, lette spesso o sempre dal 79,4% del campione. Chi frequenta primariamente un discount è più attento alla data entro cui è preferibile consumare il prodotto, ma si dimostra anche particolarmente interessato ad avere ancor più informazioni in merito all’origine di questi (40,5%) e a quelli con un rapporto qualità-prezzo particolarmente vantaggioso (37,3%). Una maggiore attenzione e consapevolezza si osserva anche in merito agli aspetti ambientali: il 31,1% degli intervistati, infatti, si aspetta che supermercati e discount comunichino maggiormente quali sono i prodotti più sostenibili a livello ambientale e sociale. C’è anche una forte curiosità di conoscere prodotti “insoliti” o “innovativi” (24,4%), scoprire le differenze di utilizzo delle singole referenze (20,3%), come combinarle tra loro e come ottenere il meglio acquistandole insieme (18,7%). Questi valori sono riflessi nell’assortimento, con una particolare attenzione alle linee a marchio privato.

Complessivamente il 53,9% degli intervistati indica l’area degli alimentari freschi come la zona in cui trascorre più tempo, mentre il 27,9% quella degli alimentari confezionati e l’11,4% quella delle promozioni. In particolare, nei discount gli alimentari freschi sono l’area in cui viene speso più tempo secondo il 49,8% del campione, il 30,8% invece lo passa nell’area degli alimentari confezionati. Dalla ricerca si nota anche che le aree in cui i consumatori passano più tempo sono le stesse che rimandano ai valori di italianità e Made in Italy. Inoltre, il reparto del pane e della gastronomia è fortemente associato al concetto di artigianalità e tradizioni nazionali, ma anche di buon umore; il reparto dei prodotti freschi, come latticini, salumi e formaggi, è associato ad ampia scelta, italianità ed eccellenza. Questo evidenzia come per i consumatori moderni sia importante riconoscere anche dei veri e propri valori superiori nei reparti, non soltanto concetti di convenienza e di qualità.

La convenienza è un altro elemento fondamentale nella shopping experience dei consumatori moderni. L’area dedicata alle promozioni, infatti, è una di quelle di maggior interesse così come le indicazioni delle offerte e delle promozioni sono tra gli elementi che più attirano l’attenzione dei consumatori nel punto vendita che maggiormente frequentano (55,3%): questo valore supera anche quello dei prezzi esposti tramite cartellino (49,8%). A supporto di questa evidenza, ricordiamo che l’area degli store dedicata alle promozioni è quella dove viene speso più tempo per l’11,4% dei consumatori intervistati e le promozioni effettuate dalle insegne della GDO risultano valide per l’80,3% del campione.

“L’evoluzione dei supermercati e dei discount sta andando in una direzione che potremmo definire ‘valoriale’” commenta Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche. “I consumatori non cercano più solo qualità a prezzi convenienti; il supermercato diventa un luogo in cui il cliente ricerca valori superiori e con cui si identifica, come italianità, eccellenza o buon umore. La presenza di questi valori è fondamentale per creare relazioni solide e di lunga durata tra il retailer e il consumatore e devono essere chiaramente espressi nei reparti attraverso insegne e informazioni, per esempio, relativa all’origine e alla provenienza dei prodotti”.

Formaggi protagonisti nella dieta nazionale, consumi in crescita

Ferrari Giovanni Industria Casearia taglia l’importante traguardo del 200esimo anniversario. Oggi l’azienda annovera un giro d’affari di 157 milioni (bilancio del 2022) e conta 175 dipendenti diretti, distribuiti tra i due impianti produttivi di Ossago e Fontevivo, che l’anno scorso hanno prodotto circa 91,9 milioni di confezioni di formaggio di cui più di 67 milioni sono buste di grattugiato.

Consumi in crescita dunque, soprattutto negli ultimi cinque anni: il 28% degli intervistati in una recente ricerca condotta da SWG per Ferrari Giovanni Industria Casearia ha dichiarato di aver aumentato il proprio consumo di grattugiati; bene anche il segmento degli stagionati in pezzi interi (+20). I formaggi giocano quindi un ruolo fondamentale nella dieta degli italiani: quasi 6 intervistati su 10 ne dichiarano un consumo settimanale regolare, almeno 3-4 giorni su 7. Grazie al loro gusto, versatilità e comodità di utilizzo, i formaggi duri risultano particolarmente graditi ai consumatori durante i pasti, ma non solo. 6 italiani su 10 si dimostrano particolarmente interessati a nuove confezioni con mix di formaggi stagionati provenienti da diverse regioni italiane o DOP, ma anche a tagli dello stesso formaggio con stagionature diverse (52%), magari in abbinamento con prodotti complementari di degustazione (45%), aprendo così a diversi format e soluzioni, ideale per le più svariate occasioni di consumo: aperitivi in casa, idee regalo e occasioni speciali, come il Natale o la Pasqua.

Il grattugiato emerge invece, come il “re” della tavola nel quotidiano, soprattutto a pranzo e a cena, come partner ideale per la personalizzazione di numerose ricette. È proprio Giovanni Ferrari a mettere a punto, negli anni Ottanta, il confezionamento dei formaggi grattugiati freschi, avvalendosi della tecnologia dell’atmosfera protettiva: innovazione pionieristica che apre un nuovo segmento, che oggi vale circa un terzo del mercato dei formaggi duri in Italia. Infatti, per 2 consumatori su 3 il grattugiato non solo “semplifica la vita”, conciliandosi con la frenesia quotidiana e la scarsità di tempo, mentre per il per il 52% è un valido sostituto del formaggio grattugiato a mano e, inoltre, è un valido aiuto contro lo spreco alimentare. Un connubio di praticità e qualità, quello dei grattugiati in busta, in assenza del quale circa 4 consumatori su 10 preferirebbero ridurre il proprio consumo di formaggio. Per il 60% dei consumatori, però, la visibilità della marca rappresenta un elemento centrale nei processi di scelta, insieme ad una corretta informazione sull’origine del formaggio (soprattutto per il target più maturo).

I giovani, infine, si mostrano più attenti alle indicazioni circa modalità di utilizzo e in cucina e sul corretto smaltimento del packaging a tutela dell’ambiente. Tra chi sceglie Ferrari, infatti, il pack di un grattugiato racconta ed esprime la qualità del prodotto (88%, + 16 punti rispetto alla media dei consumatori), dell’attenzione all’ambiente (76%, +9 punti) del portato innovativo dell’azienda produttrice (76%, +13 punti). Non a caso, per 9 consumatori su 10 il settore lattiero caseario costituisce un vanto per il Paese e un’eccellenza invidiata in tutta Europa, nonché una leva per favorire l’attrattività dei territori. Allo stesso modo, la qualità pesa più della convenienza, e un italiano su cinque la considera un aspetto “irrinunciabile e senza prezzo”.

Per la maggioranza degli italiani il formaggio si conferma quindi un alimento imprescindibile, un emblema di gusto, versatilità e tradizione che, come ci insegnano i 200 anni di Ferrari, rappresenta un elemento identitario della storia alimentare del nostro Paese.

Buoni sconto fondamentali per la spesa degli italiani

Nel corso del 2022 in Italia sono stati distribuiti 250 milioni di buoni sconto con un valore medio di 1,30€, registrando una crescita del 10% rispetto all’anno precedente. Il giro d’affari del settore ha raggiunto così 350 milioni di euro, incremento proseguito nel primo trimestre del 2023 quando sono stati distribuiti circa 60 milioni di buoni, per un valore medio di 1,45€ e un giro d’affari di 87 milioni di euro.

I dati emergono dallo studio “Il mercato del couponing in Italia” redatto da Savi, azienda che si occupa della gestione dei servizi legati all’utilizzo dei buoni sconto e all’analisi dei dati nel mercato della Gdo e non solo. La ricerca è stata condotta sulla base dei dati generati da oltre 38.000 rivenditori che comprendono insegne della Gdo, drugstore, specializzati e farmacie (sono esclusi i discount) e rappresentano la quasi totalità delle aziende del settore in Italia.

Lo studio conferma quanto i coupon siano sempre più uno strumento fondamentale nella spesa degli italiani. Oltre il 40% delle famiglie è alla ricerca di sconti e offerte e quasi il 60% di esse valuta attentamente prezzi e quantità dei prodotti che intende acquistare con l’obiettivo di massimizzare il ritorno della propria spesa. Un trend già in corso da anni, ma che ha subìto un’accelerazione nel periodo della pandemia, quando la congiuntura economica e il successivo aumento dei prezzi hanno inesorabilmente modificato le abitudini di acquisto degli italiani, sempre più attenti e consapevoli.

Alla crescita nell’utilizzo dei buoni sconto è inoltre corrisposto un aumento del 25% dei coupon digitali, che oggi rappresentano il 10,5% del totale transato in cassa. Un dato rilevante che testimonia come sempre più consumatori si stiano avvicinando a strumenti alternativi e dematerializzati, nell’ambito di un processo di digitalizzazione che, tuttavia, è ancora alle prime fasi di adoption. Se si va nel dettaglio delle macro-categorie merceologiche in cui si osserva un maggiore utilizzo dei buoni sconto, il settore alimentare è quello in cui si concentra il 43,4% di tutti i coupon. Tra i beni alimentari più acquistati troviamo le bevande (30,2%), i prodotti confezionati (22,8%), il latte e i derivati (16,9%) e i dolciumi (15,6%). I coupon per i condimenti e i prodotti da forno sono stati utilizzati rispettivamente dal 5,9% e dal 4,4% del totale, mentre i surgelati dal 3,5%. Una quota sempre maggiore dei consumatori utilizza poi strategie di risparmio mirate per acquistare prodotti per la routine di bellezza quotidiana. Il 26,1% dei buoni sconto utilizzati ha infatti avuto ad oggetto articoli per la cura e l’igiene personale e il 20,5% prodotti dedicati alla detergenza. Il 7% dei coupon rientra invece nella categoria dei prodotti per gli “animali”.

“Il couponing è un settore in costante crescita ed evoluzione, perché permette di accedere a promozioni su un’ampia categoria di prodotti in maniera semplice e istantanea”, ha dichiarato Angelo Tosoni, Managing Director di Savi Italia. “Come Savi abbiamo intrapreso da tempo un percorso di digitalizzazione che ci ha spinto ad investire oltre 1 milione di euro negli ultimi tre anni per trasformare il mercato dei coupon in un’esperienza interamente dematerializzata, con evidenti benefici sia per i consumatori che per le catene della Gdo oltre che per le aziende dell’industria di marca. Queste ultime, grazie alla nostra piattaforma, possono controllare in tempo reale tutti gli analytics derivanti dalle transazioni degli utenti che utilizzano i buoni sconto. Siamo proiettati sul futuro, consapevoli che i coupon diventeranno sempre più uno strumento di engagement e di fidelizzazione dei clienti”.

 

Spiragli di ottimismo nonostante inflazione e rincari, gli italiani restano cauti

Una recente ricerca effettuata da Simon-Kucher, società di consulenza strategica specializzata in strategie di pricing, evidenza lo spiraglio di cauto ottimismo nonostante si viva un periodo fortemente connotato da incertezza economica e sociale. Dallo studio, che ha preso a campione più di 15.000 consumatori distribuiti su 17 Paesi, emerge che il 36% su scala globale sia ottimista sulle prospettive finanziarie future, dato in crescita del 12% rispetto agli ultimi 6 mesi. Nonostante in Italia la cautela rimanga fortemente radicalizzata e il livello di incertezza risulti superiore di quasi 20 punti percentuali agli altri Paesi, la ricerca mette in luce che il 19% dei cittadini si dichiara ottimista sul futuro, dato ancora basso ma in leggera risalita rispetto all’ultimo periodo.

Immediato l’impatto di queste evidenze sulle abitudini di spesa: il 39% dei consumatori italiani pianifica di ridurre le proprie spese in beni non essenziali nel corso del 2023 (come lusso, intrattenimento, elettronica e tempo libero). L’alimentare è il settore che risentirà meno del cambio di abitudini di consumo: a differenza delle altre categorie, una maggior quota di intervistati, seppur minoritaria, dichiara addirittura di voler aumentare la spesa (circa il 27%). Invariata invece la frequenza di acquisto degli italiani (solo l’1% ha dichiarato che prevede di aumentare leggermente la frequenza di acquisto) a differenza di altri Paesi in cui risulta in aumento anche di 23 punti percentuali. Nelle regioni dell’APAC si attende la crescita maggiore sia in termini di frequenza che di volumi, seguita dall’America Latina. Dalla ricerca emerge che le abitudini di spesa per categoria merceologica a livello globale sono simili; tuttavia in Italia si nota una maggiore tendenza ad accentuare il risparmio.

Diverse le sfide che alla luce del quadro delineato si profilano per le aziende di prodotto considerato che anche le nuove preferenze di consumo hanno un riflesso: gli italiani preferiscono benefit diretti come sconti più alti, promozioni e iniziative di cross selling come pacchetti di prodotti correlati. Oltre il 50% degli intervistati ha dichiarato che tra i diversi strumenti proposti dalle aziende le promozioni e gli sconti rimangono i preferiti, seguiti da offerte di prodotti più economici, private label e programmi fedeltà. “In un periodo storico segnato da incertezza, i consumatori italiani si rivelano dei cauti ottimisti nel modellare le proprie abitudini di consumo” – commenta Francesco Fiorese, Partner e Managing Director di Simon-Kucher Italia. “Adattandosi alle mutevoli circostanze con resilienza e con un atteggiamento capace di reagire positivamente alle avversità, i consumatori mostrano una grande maturità, lanciando determinanti segnali positivi anche per la produzione e le imprese”.

Solo meno dell’8% del peso dell’inflazione è attribuibile al largo consumo

L’aumento dei prezzi ha portato a una maggiore focalizzazione sui volumi di vendita nel largo consumo confezionato concentrando l’attenzione sulla recente contrazione degli stessi negli ultimi sei mesi. Tuttavia, nel settennio compreso tra 2015 al 2022, l’LCC segnato una crescita dei volumi di oltre 9 punti.

Un’analisi di OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) mostra come l’impatto generato dall’inflazione del settore sia decisamente minore del percepito. Nello specifico lo studio rileva l’indice dei prezzi al consumo di dicembre 2022 all’11,6% e indica come il traino dell’inflazione siano i costi di mutui e utenze che da sole generano oltre il 50% dell’inflazione. Mentre il largo consumo confezionato pesa solo il 21%, che nell’esame OECD coinvolge anche altre categorie tra cui il tabacco.

Riportando i valori a livello nazionale, partendo dalle rilevazioni ISTAT e incrociandole coi dati NielsenIQ, risulta che il differenziale medio mensile per famiglia, dovuto all’inflazione, è di 446 euro, quindi in media le famiglie italiane spendono quasi 500 euro in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia approfondendo questo dato, emerge che il differenziale generato dal largo consumo è di soli 35 euro ovvero meno dell’8%.

“Il percepito del peso degli aumenti nel largo consumo penalizza eccessivamente la nostra filiera che negli anni, al contrario, ha dimostrato di essere virtuosa, lasciando per sua natura al consumatore la possibilità di effettuare delle scelte. Ciò non accade per altre spese che, oltre ad aver un maggior impatto sulle tasche degli italiani, non permettono rapide sterzate come per il carrello della spesa. L’analisi svolta non intende sminuire il fenomeno inflazionistico nel largo consumo ma ne fotografa in modo più oggettivo l’impatto” commenta Luca De Nard, Amministratore Delegato NielsenIQ Italia.

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