CLOSE
Home Tags Ue

Tag: Ue

Latte vegan? Non esiste, lo stop dalla Ue all’utilizzo della denominazione per soia & Co.

“I prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’. In sostanza, il latte è per sua definizione solo di origine animale e la denominazione  non può essere utilizzata per prodotti di origine animale.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia della Ue “anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione” esprimendosi su un caso sollevato in Germania la società da Verband Sozialer Wettbewerb, un’associazione tedesca che si batte contro la concorrenza sleale che ha citato in giudizio TofuTown, azienda che produce e distribuisce alimenti vegetariani e vegani con denominazioni quali ‘burro di tofu’ e ‘formaggio vegetariano’.

 

Soddisfazione da Coldiretti che si spinge oltre, chiedendo l’applicazione dello stesso principio per carne e insaccati vari. «La Coldiretti da anni porta avanti questa battaglia contro le indicazioni scorrette e fuorvianti con l’atteso stop al latte che deve ora estendersi anche alla carne e derivati, dalla bresaola alla mortadella fino alla fiorentina, venduti impropriamente in Europa come vegan – commenta Ettore Prandini, Vice Presidente Nazionale -. Adesso bisogna rendere trasparente l’informazione anche su tutti gli altri prodotti vegan che utilizzano denominazioni o illustrazioni che rimandano o in qualche modo ricordano l’utilizzo di carne, uova o altri derivati animali con cui in realtà non hanno nulla a che fare. È una questione di coerenza e di onestà nei confronti sia dei consumatori sia dei produttori».

La confederazione sottolinea poi come i prodotti vegetali che “mimano” il latte e i formaggi costino molto di più, a volte anche il doppio, rispetto agli originali con i drink a base di riso, avena, cocco e soia che sfiorano i 3 euro al litro.

“Ognuno è libero fare le proprie scelte e bere ciò che preferisce – conclude Prandini -, ma è giusto che l’informazione sia chiara e completa”. 

 

Correlati: Latte di soia? La Corte Europea ha detto no

Unione Europea e Cina firmano: saranno 200 le IG protette

Unione Europea e Cina pubblicano formalmente un elenco di duecento Indicazioni Geografiche – 100 europee e altrettante cinesi – che potranno essere considerate “protette” reciprocamente attraverso un accordo bilaterale che sarà firmato nel corso del 2017.

A enfatizzare l’importanza di tale accordo per i prodotti italiani è l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche AICIG, attraverso le parole del Segretario Leo Bertozzi, il quale ha spiegato che quello odierno è in realtà “un risultato importantissimo che origina nel 2012 con il riconoscimento di un primo gruppo di dieci Indicazioni Geografiche Ue e altrettante cinesi. Detto risultato è foriero di tre interessanti assunti: dimostra l’importanza delle Indicazioni Geografiche a livello internazionale, apre le porte ad un ulteriore ampliamento del gruppo di 100 IG anche ad altre Denominazioni in futuro e soprattutto smentisce l’azione del Consorzio nomi generici CCFN fondato negli USA per opporsi alla tutela delle denominazioni registrate nella UE e quindi agente in direzione contraria alla Cina, che sta invece portando avanti una seria politica di riconoscimento delle IG europee”.

Le IG italiane
Duecento  le IG citate nel documento , di cui ben 26 appartenenti al nostro Paese, che può vantare il primato di Paese con il numero più elevato di IG: Aceto Balsamico di Modena, Asiago, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Bresaola della Valtellina, Brunello di Montalcino, Chianti, Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Gorgonzola, Grana Padano, Grappa, Montepulciano d’Abruzzo, Mozzarella di bufala campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Soave, Taleggio, Toscano, Nobile di Montepulciano.

Con siffatto accordo si va quindi a tutelare l’importante flusso di importazioni di prodotti agroalimentari europei che raggiungono ogni anno la Cina e di fatto a rafforzare la cooperazione tra UE e mercato cinese nato circa un decennio fa con il riconoscimento di protezione ai primi dieci prodotti IG per ogni parte.

Dall’Europa no all’aranciata senza arancia, succo minimo al 20%

Stop all’aranciata senza arancia: è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Comunicazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri con cui si rende noto il perfezionamento positivo della procedura di notifica alla Commissione Europea dell’articolo 17 della legge n. 161 del 2014. Si è infatti conclusa positivamente – fa sapere la Coldiretti – la valutazione da parte di Bruxelles del provvedimento nazionale che innalza dal 12% al 20% il contenuto di succo d’arancia delle bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino.

“Con la pubblicazione in Gazzetta – spiega il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – inizia un percorso di adeguamento, che alcune importanti aziende produttrici hanno già intrapreso, che dovrà concludersi obbligatoriamente per tutti entro il 6 marzo 2018“. L’innalzamento del contenuto di succo d’arancia modifica una norma del 1958 e mira, in primo luogo, a tutelare la salute dei consumatori.

L’Italia dice no alle etichette a semaforo: nasce L’alleanza europea “contro”

L’Italia non si ferma al semaforo. E guida l’Europa in una battaglia contro il sistema di etichette a semaforo, che applica un colore diverso a seconda della presunta salubrità dell’alimento: verde, giallo e rosso. Un sistema efficace ma rozzo, pensato per tutelare il consumatore ma che finisce invece per condizionarne le scelte in modo talora superficiale. Per questo Coldiretti, Federalimentare e un primo gruppo di deputati europei coordinati da Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione agricoltura del PE, hanno creato l’Alleanza europea contro i sistemi di etichettatura a semaforo per contrastare un sistema di informazione considerato fuorviante, discriminatorio e incompleto che è stato già lanciato in Francia e in Gran Bretagna e ora rischia di diffondersi in tutta Europa, pregiudicando una informazione corretta ai consumatori e il funzionamento del mercato comune.

Le iniziative nazionali sui “semafori” sono secondo gli ideatori dell’Alleanza un campanello di allarme che non si può trascurare. Non si può soprattutto in Italia, che rischia di essere penalizzata visto che Il sistema di etichettatura finisce per suggerire paradossalmente l’esclusione dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta, come l’olio extravergine d’oliva. Il Parmigiano-Reggiano, il Grana Padano e il prosciutto di Parma.

Non solo: l’idea che per lo stesso prodotto in differenti Paesi europei il semaforo possa assumere colorazioni diverse appare senza dubbio contrario a un “mercato unico”. Sistemi di segnalazione al consumatore diversi su base nazionale, in assenza di un quadro comune di riferimento, possono far sospettare comportamenti opportunistici dei singoli Stati membri, i cui specifici interessi economici potrebbe influenzare l’architettura dei sistemi di classificazione delle qualità nutritive e salutistiche dei prodotti agro-alimentari.

L’Alleanza europea contro i sistemi di etichettatura a semaforo chiede all’Europa di intervenire attivamente, definendo un quadro normativo adatto a garantire maggiore trasparenza e univocità sul territorio europeo e promuovendo le soluzioni più adeguate per soddisfare il bisogno di un’informazione sempre più dettagliata e leggibile da parte del consumatore. L’Alleanza si propone di aprire spazi di dibattito e riflessione sul tema, per offrire il proprio contributo per l’aggiornamento e il rafforzamento della legislazione relativa alle informazioni in etichetta per i prodotti alimentari sulla base della trasparenza e del reale interesse dei consumatori. I promotori credono che un’Europa più forte e credibile passi anche per una maggiore attenzione al consumatore e alle imprese che contribuiscono allo sviluppo del nostro Paese con la stessa trasparenza che vorrebbero fosse garantita ai nostri consumatori.

Leggi anche:

Parte in Francia Nutri-score, l’etichetta a semaforo: un danno per il Made in Italy?

In Francia, test da 1,6 milioni di euro su quattro tipi di pittogrammi sulla nutrizione

Germania, surplus attorno ai 310 miliardi di dollari

“L’Europa non converge. Anzi. Le divergenze strutturali – dell’economia reale – continuano ad aggravarsi. Ieri, l’Ifo, uno dei più prestigiosi centri di studi economici della Germania, ha pubblicato le sue previsioni sul conto delle partite correnti: dice che nel 2016, grazie alle esportazioni, il Paese raggiungerà un surplus record attorno ai 310 miliardi di dollari, dando la polvere all’altro campione di export e di surplus, la Cina.

In parallelo, l’Eurostat ha reso note le stime sull’andamento del Prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest’anno: una pattuglia di tre – Italia, Francia e Finlandia – ha registrato crescita zero rispetto ai tre mesi precedenti, un altro gruppo è cresciuto modestamente e i Paesi dell’Est Europa hanno invece dato segni di molto dinamismo.

Le divergenze sono un problema: per la gestione delle economie della Ue e dell’eurozona e per la gestione politica che viene così influenzata da percezioni diverse sullo stato di salute corrente. Il surplus tedesco non è una sorpresa: è l’accentuazione di una tendenza in corso da dieci anni. I conti correnti registrano le transazioni internazionali di un Paese, cioè importazioni ed esportazioni, trasferimenti, redditi.

L’economista dell’Ifo Christian Grimme ha spiegato che il surplus tedesco è dato dal commercio in beni: nella prima metà dell’anno, le esportazioni sono state superiori alle importazioni per 159 miliardi di dollari. Riportato ai 12 mesi del 2016, fa prevedere che si arriverà a 310 miliardi di dollari, l’8,9% del Pil tedesco. È una quota enorme, che eccede per l’ennesima volta il limite massimo del 6% raccomandato dalla Commissione Ue. L’ eccesso, infatti, è considerato negativo: se da un lato è il risultato della forza competitiva dell’industria tedesca, dall’altro crea sbilanci considerevoli.

Non ultimo quello puntualizzato in primavera da Mario Draghi, secondo il quale i tassi d’interesse bassi che la Banca centrale europea è costretta a tenere sono il risultato di grandi masse di risparmio che si accumulano, anche a causa del surplus tedesco, e non trovano domanda per essere investiti e quindi accelerano la caduta dei rendimenti. La questione è politicamente delicata: è difficile obbligare un Paese a non avere successo nell’export.

Una risposta sarebbe l’aumento dei consumi in Germania, attraverso una riduzione del carico fiscale e la liberalizzazione di una serie di settori protetti, soprattutto nei servizi: qualcosa di cui la Germania avrebbe grande necessità. Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble sostengono di avere mosso già dei passi in quel senso, alzando il salario minimo, aumentando gli assegni pensionistici e favorendo aumenti salariali significativi. Evidentemente, ancora poco. Tutto si scontra con la decisione di Schäuble e di gran parte dell’establishment del Paese di creare anche surplus del bilancio pubblico, per essere pronti ad affrontare le crisi.

Situazione politicamente complicata, insomma. Anche le divergenze nell’andamento dei Pil – Italia, Francia e Finlandia ferme e gli altri che si muovono a velocità diverse – inizia a riverberare nella politica. Ieri, Eurostat ha notato che la crescita maggiore è quella di Romania (1,5% sul trimestre), Ungheria (1%), Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia (queste tre allo 0,9%).

E proprio ieri il primo ministro ungherese Victor Orbán ha sottolineato, parlando anche di altro, le molte differenze tra i vecchi Paesi della Ue e i nuovi dell’Est. «Oggi – ha detto – si può dire seriamente a un ragazzo di studiare perché domani il suo futuro sarà migliore solo nei nostri Paesi dell’Est. All’ Ovest farebbe ridere. Il sogno europeo si è spostato da Occidente a Oriente». È con queste divisioni, che da economiche diventano subito politiche, che l’Europa si misura. È che le divergenze strutturali prima o poi hanno la meglio sul resto”.

(Fonte: Danilo Taino, “Export, Germania leader mondiale. Con 310 miliardi batte anche la Cina”, Corriere della Sera, 7 settembre 2016).

 

Contraffazione delle Dop europee, un mercato parallelo da 4,3 miliardi di euro

Non è solo l’Italian Sounding e il Made in Italy, ma anche le Dop, le denominazioni di origine che interessano i prodotti europei in generale,  a subire i danni della contraffazione. Un mercato che, secondo un nuovo rapporto dell’Euipo, l’ufficio che si occupa di proprietà intellettuale, avrebbe movimentato nel 2015 4,3 miliardi di Euro.

Il rapporto indica anche i settori più colpiti dalla frode: le bevande alcoliche ad esempio con un 12,7%; ortofrutta e cereali con l’11,5 %; carni fresche e derivati all’11 %, formaggi al 10,6%, vini all’8,6% e mentre la birra è colpita solo per lo 0,1%.

Oltre la metà delle contraffazioni a valore (54%) comunque riguarda i vini. Il Paese più colpito è la Francia, non a caso, seguito da Germania e Italia, solo terza (ma ciò riflette anche il valore delle esportazioni alimentari).

La denominazione di origine è un mercato “ricco”, in quanto sempre più i consumatori controllano e richiedono la provenienza degli alimenti che consumano, considerandola come garanzia di qualità ed essendo disposti anche a spendere di più. La contraffazione colpisce naturalmente i marchi più popolari come il vino della regione di Bordeaux o lo Champagne, lo Scotch Whisky e i nostri Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma.

Consumo pro-capite di prodotti a denominazione per Paese.
Consumo pro-capite di prodotti a denominazione per Paese.

I prodotti a denominazione di origine – si legge nel rapporto – provengono principalmente da Francia, Regno Unito ed Italia, che rispondono per l’86% del totale delle esportazioni extracomunitarie, rispettivamente con il 40%, il 25% e il 21%. In tutti e tre i casi le esportazioni sono trainate da un numero limitato di prodotti/denominazioni: Champagne e Cognac in Francia; Scotch Whisky nel Regno Unito e Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Italia.

Top 10 delle Dop europee.
Top 10 delle Dop europee.
Gli USA sono la destinazione principale delle esportazioni, con 3,4 miliardi di euro, di prodotti a denominazione di origine, che sono il 30% del totale, seguiti da Svizzera, Singapore e Canada (839, 829 e 729 milioni di euro).

 

Sab Miller e Ab InBev possono unirsi ma l’Ue impone a Sab Miller di vendere le europee

Foto: Facebook Pilsner Urquell.

Via libera all’acquisizione da parte di Ab InBev di Sab Miller, primo e secondo produttore mondiale di birra, ma per dare l’approvazione l’Ue detta le sue condizioni. L’intesa è subordinata alla vendita di “praticamente l’intero” settore della birra Sab Miller in Europa. Secondo la Commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, la mossa “assicurerà che la concorrenza non venga indebolita in questi mercati e che i consumatori non abbiano la peggio”. La commissaria ha poi sottolineato che, dato che gli europei bevono 125 miliardi di euro di birra ogni anno, “in modo che anche un piccolo aumento dei prezzi potrebbe danneggiare considerevolmente i consumatori: era dunque importante assicurarsi che l’acquisizione di SABMiller da parte diAB InBev’s non riducesse la competizione nel mercato delle birre europeo” favorendo “taciti accordi sui prezzi”.

La Commissione temeva infatti che l’acquisizione di SabMiller avrebbe tolto un importante concorrente dal mercato in alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia e Olanda, UK, Romania e Ungheria, portando a un innalzamento dei prezzi.

Ue-condizioniTra i marchi di AB InBev ci sono Corona, Stella Artois e Budweiser, SABMiller è invece proprietaria di Miller, Peroni, Pilsner Urquell e Grolsch. Tanto per dare un’idea dell’entità dell’accordo, il nuovo mega-gruppo venderà nel mondo il doppio e guadagnerà quattro volte più del terzo produttore di birra mondiale, Heineken, e cinque volte più birra e 13 volte più fatturato del quarto produttore, Carlsberg, e questi ultimi sono i due leader di mercato in Europa.

Oggi, AB InBev ha una forte posizione di mercato in Belgio e Lussemburgo e nell’Europa dell’Est, SABMiller in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania.

AB InBev si era già offerta di vendere le operazioni di SABMiller in Francia, Italia, Olanda e UK, accentando l’offerta della giapponese Asahi su Peroni e Grolsch, e in seguito anche in Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia: dunque praticamente l’interezza delle operazioni europee, tra cui spicca la presenza della ceca Pilsner Urquell, ma anche della polacca Tyskie e della romena Ursus. A seguito di questi impegni, se ottemperati, la Commissione ha concluso che la transazione non susciterà problemi di competizione, e che “il livello della competizione nel mercato europeo resterà invariato”.

 

Un mercato unico digitale europeo: l’Ue ha un piano

Dovrebbe essere finalizzato entro la fine del 2016 il piano per creare un mercato unico digitale nell’Unione europea. Presentato dal Vice-Presidente della commissione Andrus Ansip, il piano risponde a un obiettivo: utilizzare il potere di un mercato unico per la rivoluzione digitale che sta cambiando le nostre vite.

“Al momento, le barriere online implicano che i cittadini perdano opportunità di beni e servizi: solo il 15% di loro fa acquisti online da un altro Paese Ue, le aziende online e le start-up non possono avvantaggiarsi pienamente delle opportunità della crescita online; le aziende e i governi non stanno traendo tutti i benefici possibili dagli strumenti digitali” si legge in un comunicato dell’UE.
Lo scopo di un mercato unico digitale darebbe quello di abbattere le barriere e creare, da 28 mercati nazionali, un mercato unico comune, che potrebbe contribuire con 415 miliardi di euro l’anno all’economia europea e creare migliaia di nuovi posti di lavoro.
La Strategia per un singolo mercato digitale adottata comprende 16 azioni che dovrebbero essere intraprese entro la fine dell’anno prossimo e si sviluppano lungo tre direttive. Un migliore accesso per i consumatori e le aziende ai beni e servizi digitali in tutta Europa. La creazione delle giuste condizioni e un campo d’azione uniforme perché possano fiorire network digitali e servizi innovativi. Infine, la massimizzazione del potenziale di crescita dell’economia digitale.
“Oggi, gettiamo le fondamenta del futuro mercato digitale europeo – ha dichiarato il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker – . Voglio vedere reti di telecomunicazioni paneuropee, servizi digitali che varcano le frontiere, e un’ondata di start-up innovative europee. Voglio vedere ogni consumatore cogliere gli affari migliori e ogni azienda avere accesso a un mercato più grande, ovunque in Europa”.

“La tecnologia deve essere il nostro futuro” dice Juncker nel video.

OGM e UE, Stati membri liberi di (non) decidere. Ed entrano 12 nuovi alimenti geneticamente modificati

Come già a gennaio per le coltivazioni, la UE ha preso in considerazione la commercializzazione di alimenti e mangimi geneticamente modificati, rivedendo il processo decisionale per l’autorizzazione in modo da garantire agli Stati Membri maggior flessibilità e potere di divieto: “La novità consiste nel fatto che, una volta che un OGM è autorizzato per l’uso in Europa come alimento o come mangime, gli Stati membri avranno la possibilità di decidere se consentire o no che un determinato OGM venga usato nella loro catena alimentare (misure di opt-out)”.

Le ragioni per cui uno stato potrebbe attuare l’opt-out sono però inintelligibili. Secondo la proposta di revisione: “Gli Stati membri dovranno giustificare la compatibilità delle loro misure di opt-out con la legislazione dell’UE, compresi i principi che disciplinano il mercato interno, e con gli obblighi internazionali dell’UE, di cui sono parte integrante gli obblighi assunti dall’UE nell’ambito dell’OMC [Organizzazione Mondiale del Commercio]. Le misure di opt-out dovranno fondarsi su motivi legittimi diversi da quelli valutati a livello dell’UE, vale a dire su rischi per la salute umana o animale o per l’ambiente”.
Fortemente critiche le associazioni, come Greenpeace. “La Commissione sta offrendo ai Paesi membri una falsa libertà di scelta, che non regge in nessun tribunale. Le regole del libero mercato in UE prevarrebbero sempre sulle scelte dei singoli Stati, in particolar modo se ai governi sarà negata la possibilità di giustificare i divieti adottati a livello nazionale per ragioni di carattere ambientale o sanitario”.
Tra le polemiche, la proposta legislativa sarà ora trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio e seguirà la procedura legislativa ordinaria.

Intanto, come ideale risposta alle critiche, la Commissione ha approvato l’ingresso (non la coltivazione) di 19 Ogm (tra cui 7 rinnovi) nel suo territorio: tre tipi di mais, cinque tipi di soia, due di colza e sette di cotone, oltre a 2 varietà di garofani. Secondo Federica Ferrario, responsabile della Campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace Italia: «Queste autorizzazioni confermano che Juncker non ha alcuna intenzione di avvicinare l’Unione Europea ai suoi cittadini, ma vuole solamente agevolare gli interessi di Stati Uniti e Monsanto. Solo pochi giorni fa il presidente della Commissione europea si è rimangiato quanto promesso ad inizio mandato: nessuna cancellazione delle norme che obbligano la Commissione UE ad approvare nuovi OGM in Europa anche se la maggioranza degli Stati è contraria. Oggi spalanca le porte dell’Europa a una nuova ondata di OGM solo per compiacere le aziende biotech statunitensi. Questo è un esempio di TTIP (il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) in azione».

Prima candelina per Supply Chain Initiative, buone pratiche nella filiera

Nata per promuovere le buone pratiche lungo la filiera della distribuzione agroalimentare, Supply Chain Initiative festeggia il primo anno di attività con la presentazione del primo rapporto annuale. Un punto della situazione e uno sprone a continuare nelle azioni e accogliere nuovi membri.

Le associazioni di settore e le aziende che aderiscono al Sci sottoscrivono un impegno ad attuare pratiche corrette verso tutti gli attori della catena di distribuzione agroalimentare, dagli agricoltori ai distributori finali. A 14 mesi dal lancio, i gruppi che hanno sottoscritto tali impegni sono 164 in rappresentanza di 860 aziende tra cui per la Gdo Lidl, Sisa, Carrefour, Auchan, e tra le multinazionali Ferrero, Coca Cola, Nestlè e Unilever.

Le aziende registrate sono invitate a partecipare a un’indagine annuale per verificare che gli impegni presi siano stati mantenuti. La prima indagine ha rivelato che sono stati formati 18mila dipendenti, e tra questi quasi quattro su dieci hanno utilizzato l’e-learning di SCI. La soddisfazione dei partecipanti è alta, al 73%.

Il direttore generale di EuroCommerce Christian Verschuere ha commentato: “Siamo convinti che l’adempimento volontario sia la via giusta. Il SCI fa sì che le buone pratiche ricadano da Bruxelles al management delle aziende e giù, ai venditori e agli acquirenti. È un sistema che offre un meccanismo redditizio, veloce e meno antagonistico per promuovere le buone pratiche come base per le relazioni commerciali e la progressione dell’impresa”.

Cosa si intenda per “buone pratiche” è spiegato nel documento appena pubblicato. Tra queste, troviamo la trasparenza di ogni parte del contratto, comprese le eventuali sanzioni, che presuppone siano scritte e concordate tra le parti in anticipo, la fornitura di informazioni rilevanti all’altra parte, l’uso di termini e condizioni generali nei contratti che facilitino l’attività e contengano clausole giuste.

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare