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Anna Muzio

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Prodotti di lusso, uno su dieci è contraffatto e sul web dilaga il “tarocco”

Un prodotto fashion e di lusso su dieci acquistato negli ultimi 12 mesi è contraffatto. Un problema che riguarda soprattutto l’e-commerce: tre prodotti contraffatti su quattro sono stati comprati infatti online da consumatori che credevano di acquistare un prodotto autentico, mentre solo un prodotto contraffatto su quattro è stato acquistato in un negozio fisico. Sono i dati diffusi da Certilogo, l’azienda fondata nel 2006 a Milano e che fornisce l’unica tecnologia per l’autenticazione dei prodotti grazie a un meccanismo di collaborazione tra brand e consumatori perché questi ultimi possano identificare i prodotti contraffatti, sia nei punti vendita fisici sia online, utilizzando il proprio smartphone o il pc con una connessione Internet. I brand che scelgono Certilogo contrassegnano ciascun prodotto con un codice univoco che il consumatore può “punzonare” attraverso un autenticatore disponibile online o tramite app. A oggi, il servizio – che ha un portafoglio di oltre 50 aziende leader tra cui Versace, Diesel, Sandvik, Campagnolo, per un totale di 100 milioni di prodotti garantiti – è stato utilizzato da circa 1,4 milioni di consumatori che hanno potuto avere la sicurezza di acquistare un prodotto autentico. Le autenticazioni Certilogo sono aumentate negli ultimi quattro anni del 140%, raggiungendo la cifra di quasi 300mila da ottobre 2015 a oggi. Una tutela che però rappresenta ancora una goccia nel mare dei “tarocchi”. I prodotti contraffatti nel mondo hanno sottratto in un anno circa 1,8 miliardi di dollari all’economia in chiaro, danneggiando non solo i consumatori, ma anche i marchi e le autorità fiscali

Attualmente Certilogo opera in circa 170 Paesi, primi fra tutti Regno Unito (67.942 autenticazioni), Stati Uniti (31.600), Corea del Sud (26.011), Italia (25.571) e Cina (22.662). Dei circa 300mila prodotti sottoposti ad autenticazioni negli ultimi 12 mesi, circa 27mila (il 9,7%) si sono rivelati falsi.

L’approccio “crowdsourcing” alla verifica dell’autenticità sembra garantire in modo semplice e intelligente la qualità dei prodotti e i consumatori che li acquistano. «Stiamo aiutando milioni di persone – dice il Chief Business Officer di Certilogo Jim Evans – a risolvere un problema che sembrava non avesse soluzione, coinvolgendo tutti gli attori della catena del valore, dai brand ai retailer autorizzati ai consumatori. La piattaforma Certilogo rafforza i brand, traccia e monitora i prodotti dalla produzione ai punti vendita, successivamente abilita i consumatori finali a verificare l’autenticità dei propri acquisti, sia se effettuati in store fisici sia online. Tutto il processo è monitorato, dall’inizio alla fine».

VéGé si espande nel drug, DuePiù entra nel Gruppo con 88 pdv Kuadrifoglio e Sirene Blu

Porta in dote 88 punti vendita specializzati a insegne Kuadrifoglio e Sirene Blu tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lombardia ed Emilia Romagna DuePiù, consorzio con sede a Campodarsego (PD) che entra tra le imprese socie del Gruppo VéGé.
L’intesa, operativa dal 1 gennaio, porta a un’ulteriore crescita del comparto Drug all’interno di Gruppo VéGé. DuePiù, infatti, va ad affiancare le imprese Gargiulo & Maiello SpA, Bava srl e Detercart Lombardo, oltre ai gruppi Comipro ed In.Prof, nel presidio del segmenti Personal & Home Care, Toiletries e Cosmoprofumeria.

«Il nostro consorzio, che dal 2008 a oggi ha pressoché raddoppiato i punti vendita, unisce due solide realtà dell’imprenditoria veneta, accomunate sia dalla storica matrice familiare sia dalla volontà di realizzare un’ulteriore espansione sul territorio – dichiara Giulio Muner Direttore Commerciale di DuePiù -. In Gruppo VéGé abbiamo trovato interlocutori che condividono i nostri valori e un network nazionale dinamico, pronto a sostenere il nostro programma di crescita».

 

Home e personal care con pdv da 300 a 800 mq

DuePiù nasce nel giugno 2008 come sodalizio tra le imprese Centrodet SpA di Resana (TV) e Rossi Srl di Campodarsego (PD), consorziatesi allo scopo di affrontare con maggior peso contrattuale la negoziazione periferica con l’industria e ottimizzare lo sviluppo delle rispettive insegne: Sirene Blu e Kuadrifoglio. La struttura consortile fa sì che le due imprese condividano i servizi di centrale acquisti e di marketing mantenendo le proprie reti di vendita. Centrodet SpA, infatti, dispone di un CE.DI. da 10.000 metri quadri di superficie e gestisce attualmente 45 punti vendita di proprietà localizzati in Veneto (province di Belluno, Padova, Treviso, Venezia e Vicenza) Friuli Venezia Giulia (province di Gorizia, Pordenone e Udine), Lombardia (province di Brescia e Mantova), Trentino Alto Adige (provincia di Bolzano) ed Emilia Romagna (provincia di Ferrara).
La rete commerciale di Rossi Srl si articola in 33 punti vendita di proprietà dislocati tra Veneto (province di Padova, Verona, Vicenza, Treviso e Venezia), Lombardia (provincia di Mantova) ed Emilia Romagna (province di Modena e Reggio Emilia), cui si aggiungono altri 10 punti vendita in affiliazione, localizzati prevalentemente in Veneto. A supporto della rete opera un CE.DI., recentemente ampliato, da 8.500 metri quadri di superficie coperta.
I punti di vendita delle due imprese sono simili tra loro sia per metratura, mediamente calcolata tra i 300 e gli 800 metri quadri, che per assortimento, incentrato sui prodotti per la cura della casa e della persona. Per venire incontro alle nuove esigenze del consumatore e alle tendenze del mercato, tuttavia, negli ultimi anni sono stati inseriti con successo in entrambe le catene anche alcuni elementi di Petfood, petcare e bazar leggero.

Per saperne di più sulle strategie del gruppo leggi Con tech e acquisizioni cresce Végé, e punta sull’home care con In.prof.

Meraviglioso Made in Italy, nel 2016 export alimentare a 38 mld e siamo primi nel vino

Il 2016 sarà archiviato come un anno storico per l’enogastronomia Made in Italy, che ha registrato un record di esportazioni sia nei prodotti agroalimentari, che hanno registrato vendite per 38 miliardi di euro (+3%), sia nell’enologia, che incassa la leadership mondiale nella produzione con circa 50 milioni di ettolitri e aumenta del 3% l’export, che raggiunge il massimo storico di sempre a 5,2 miliardi.

I dati sono una proiezione della Coldiretti sulla base delle dei dati Istat relativi al commercio estero nei primi nove mesi del 2016.

Quasi i tre quarti delle esportazioni interessano i Paesi dell’Unione Europea con il mercato comunitario che aumenta il proprio peso grazie a un incremento del 4%, ma il Made in Italy a tavola continua a crescere dal Nordamerica all’Asia fino all’Oceania. Solo in Russia l’export continua a soffrire pesantemente gli effetti dell’embargo.

 

Spumante in Francia, birra in Germania, hamburger negli USA, purché siano italiani

Il prodotto più acquistato all’estero si conferma il vino davanti all’ortofrutta fresca (5 miliardi e +4%), ai formaggi (2,4 miliardi e +7%) e all’olio che fa segnare un +6%. Balzo in avanti anche dai bistrattati (dall’Oms) salumi, con un +8%.

Il vino tricolore sbanca anche nei principali Paesi produttori, con gli acquisti che crescono in Francia (+5%), Stati Uniti (+3%), Australia (+14%) e Spagna (+1%). In particolare nel Paese transalpino, patria dello Champagne, lo spumante tricolore fa segnare un incremento sbalorditivo, +57%. Oltre al vino, i francesi gradiscono anche il formaggio italiano, le cui vendite sono cresciute dell’8%, ma i latticini nostrani vanno forte anche in Cina (+34%), che apprezza anche la pasta (+16%).

Stesso discorso anche per la birra, che conferma la crescita nei paesi nordici, dalla Germania (+6%), alla Svezia (+7%), fino ai pub della Gran Bretagna (+3%), con un vero e proprio exploit nell’Irlanda della Guinness (+31%). E salumi e prosciutti che spopolano in terre di salsicce come la Germania (+9%) e di hamburger come gli Stati Uniti (+19%), in quest’ultimo caso grazie anche al superamento del blocco durato 15 anni delle esportazioni nazionali in Usa.

 

Primi nel mondo (una su 5)

L’export del vino raggiunge la cifra record di 5,2 miliardi e nel 2016 è la prima voce dell’export agroalimentare nazionale. Il primato produttivo davanti alla Francia nel 2016 è dovuto – sottolinea la Coldiretti – alla crescita in Veneto che si conferma la principale regione produttrice ma anche in Emilia, Romagna, Piemonte, mentre un contenimento di diversa entità si è verificato in Trentino Alto Adige, in Sicilia, in Lombardia. Luci e ombre in in Puglia, che vede perdite pesanti su alcune varietà ed incrementi altrettanto importanti su altri secondo l’Ismea.

Si stima che la produzione Made in Italy 2016 è rappresentata per oltre il 40% dai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), per il 30% ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% a vini da tavola.

Nel 2016 la quantità di vino Made in Italy consumato fuori dai confini nazionali è risultata addirittura superiore a quella bevuta fuori dei confini nazionali con l’Italia. Negli Stati Uniti sono particolarmente apprezzati il Chianti, il Brunello di Montalcino, il Pinot Grigio, il Barolo e il Prosecco che piace però molto anche in Germania insieme all’Amarone della Valpolicella e al Collio.

Il settore del vino in Italia rappresenta un motore economico che genera quasi 10 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che da opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone. La vendemmia 2016 ha coinvolto 650mila ettari di vigne, dei quali ben 480mila Docg, Doc e Igt e oltre 200mila aziende vitivinicole. La ricaduta occupazionale riguarda sia le persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia quelle impiegate in attività connesse e di servizio.

Secondo una ricerca di Coldiretti, per ogni grappolo di uva raccolta si attivano ben 18 settori di lavoro dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, continuando con trasporti, accessori, enoturismo, cosmetica, bioenergie e molto altro.

«Il futuro del Made in Italy dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività che è stata la chiave del successo nel settore del vino dove ha trovato la massima esaltazione la valorizzazione delle specificità territoriali che rappresentano la vera ricchezza del Paese – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -. Il vino italiano è cresciuto scommettendo sulla sua identità, con una decisa svolta verso la qualità che ha permesso di conquistare primati nel mondo dove oggi una bottiglia esportata su 5 è Made in Italy».

Metro AG lancia a Krefeld il nuovo concept di ipermercato

La facciata del Markthalle Krefeld. Tutte le foto: obs/real,- SB-Warenhaus GmbH/Carlos Albuquerque.

Si trova a Krefeld, in Germania, l’”ipermercato del futuro” di Metro. Lo store pilota rappresenta il nuovo concept con il quale la catena tedesca intende affrontare il futuro dei suoi ipermercati. Rinominato Markthalle Krefeld dopo il restyling, il nuovo ipermercato occupa una superficie di 11.500 metri quadri e impiega 265
persone. Dispone di un parcheggio con 700 posti, ed ha aperto a fine novembre 2016 dopo un anno di lavori. L’assortimento è per il 70% alimentare e per il 30% non food.
Più servizi, più freschezza, più assortimento e prezzi ancora migliori, e più impatto ed emozione anche nei reparti non alimentari, così Metro vede il futuro dello shopping. La struttura ricorda quella di un mercato tradizionale, con molti piccoli produttori sotto lo stesso tetto: il Maestro macellaio, i panettieri e pasticceri artigianali, la torrefazione del caffè, il vino, il banco del formaggio e del pesce.
«A Krefeld abbiamo unito in modo originale gli aspetti razionali della spesa conveniente con l’idea di esperienzialità, e facendo questo abbiamo creato un concept di locale ibrido» spiega Henning Gieseke, Ad di Real, brand di Metro AG per gli ipermercati. 
La filosofia e il tema centrale che regge i vari comparti food e non-food è il concetto di  “Vivere bene”. Per questo l’enfasi è sulle lavorazioni artigianali e a vista. Dalle salsicce al pane, dal caffè alla pizza alla pasta, passando per il wine bar, il sushi e le ostriche fresche, al centro ci sono gli addetti, pronti ad accogliere (e coinvolgere) il cliente. Che viene trattato come una sorta di ibrido, lui stesso, tra cliente e ospite.

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Rinnovato il category management. «In particolare nei prodotti di alta gamma abbiamo selezionato un gran numero di nuovi fornitori che sono stati coinvolti uno per uno nel progetto del nuovo concept – ha detto l’altro Ad di Real  Patrick Müller-Sarmiento -. Al di là del nostro assortimento di sempre, ora offriamo anche bistecche di manzo Kobe, pollo alla griglia biologico, tartufi e molto altro. Per la prima volta l’intera catena del valore è nelle nostre mani. In particolare, il reparto dei freschi è legato strettamente alla cucina del market, nella quale vengono cucinati i prodotti in vendita con un menu è costantemente rinnovato». Tutti gli scaffali si aprono con le varietà biologiche, in modo da dimostrare la competenza nel campo. In assortimento ci sono profumi o prodotti tipici delle profumerie e dei negozi specializzati in biologico e naturale. Tra i nuovi marchi a disposizione ci sono Esprit, Apple e Bodum.

 

Un “risto-mercato” con 180 posti a sedere

All’interno la “Piazza” offre circa 110 posti a sedere, in aggiunta vi è un giardino d’inverno, che è adiacente alla torrefazione del mercato, con circa 70 posti a sedere. «Qui è dove ci differenziamo dalla concorrenza, offrendo i prodotti delle singole offerte gastronomiche. Al contrario, il mercato coperto ha una zona pranzo indipendente con una selezione variegata, in cui ogni prodotto può essere degustato immediatamente. Tutti i piatti sono preparati al momento davanti ai clienti» spiega Müller-Sarmiento.

La cucina di qualità è stagionale e fa ampio uso di prodotti locali e sostenibili. Un team di chef esperti hanno creato ricette innovative. Nel menu bistecche e hamburger con contorni diversi e “grandi classici” come gli involtini di manzo con cavolo rosso e gli gnocchi. Non mancano i piatti vegetariani. L’intero mercato ha ricevuto la BIO-certificazione.

In offerta anche una vasta selezione di insalate fresche e croccanti, mentre lo Smoothie bar presenta centrifughe di frutta e verdura. L’impasto della pizza e la pasta vengono preparati tutti i giorni. La trota è affumicata nell’affumicatoio che lavora anche pesci di fiume pescati in zona. Al sushi bar, c’è sushi in alta qualità, preparati al momento da maestri di sushi. La panetteria sforna deliziosi dolci e pasticcini. Il wine bar serve vini selezionati dall’assortimento in vendita.

Coop fotografa il 2017 degli italiani. Su spesa, tecnologie, casa, rallenta il potere d’acquisto

Guardano al futuro tutto sommato con fiducia gli italiani che tornano a voler sperimentare nel 2017 e, seppur non immaginano di cambiare radicalmente stile di vita, ritengono che cresceranno i costi delle utenze e quelli per la mobilità, sognano vacanze all’estero e, per la prima volta dopo molti anni, pensano di aggiungere valore al carrello della spesa alimentare: queste le evidenze del sondaggio di fine anno e le previsioni sui consumi 2017 del “Rapporto Coop” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Ref. Ricerche, il supporto d’analisi di Nielsen e i contributi originali di GFK, Demos, Doxa, Nomisma e Ufficio Studi Mediobanca.

 

Cosa sale e cosa scende

A dispetto di un Paese fermo gli italiani amano sperimentare: il 93% dei campione intervistato si dichiara incuriosito da nuovi prodotti e servizi. E in cima ai desiderata gli italiani mettono proprio il supermercato senza casse, senza file che sfrutti il riconoscimento automatico (è interessato il 74%); segue la casa domotica (73%), il frigorifero “smart”, il camerino virtuale, e fa la sua comparsa nella lista delle preferenze il maggiordomo virtuale (lo vorrebbe testare il 43%).

tecnologie2017

Passando alla spesa, nel carrello vince il 100% italiano, dunque la provenienza sicura, e tutti i diktat della spesa degli ultimi anni, dal tipico/tradizionale al Km 0 al biologico, dal vegetariano al free-from, ma anche al pronto per l’uso. Eppure non manca nella fascia alta il desiderio di prezzi bassi, soprattutto nella fascia più giovane (dai 18 ai 29 anni).

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quadroScendendo dai desideri alla realtà, il 2017 farà segnare un rallentamento del potere d’acquisto delle famiglie che fino al 2016 avevano potuto godere di fattori favorevoli ma transitori; di conseguenza il ciclo dei consumi, dopo un biennio a ritmi superiori all’1%, subirà una battuta d’arresto (la stima si attesta su uno 0,7%) dovuto al rallentamento dei redditi e soprattutto alla ripresa dell’inflazione.

In questo quadro è giocoforza operare delle scelte. E dunque, cosa crescerà e cosa perderà terreno nel borsino dei consumi delle famiglie italiane? In crescita figura la solita telefonia (+8%), gli acquisti tecnologici di computer e altri accessori (+ 7,3%), i servizi ricreativi (+ 2,8%); mentre scivolano invece ancora più in basso le spese per la manutenzione della casa, i giornali, i libri.

aspettativeconsumo2017

Lo stesso mood indirizzerà le intenzioni di spesa degli italiani. Le utenze, il carburante e le spese sanitarie sono i comparti dove il numero di famiglie che prevedono di spendere di più superano quelle che immaginano di risparmiare. Questo è vero anche per la spesa alimentare dove, per la prima volta dopo molti anni, gli italiani che contano di aggiungere valore al carrello alimentare (+13%) sono quasi il doppio rispetto a quelli che pensano di comprimere ulteriormente la spesa (+8%). La Gdo, che nel 2016 ha sofferto una lunga stagione deflattiva, chiude l’anno in perfetta parità rispetto al 2015 beneficiando comunque di un piccolo miglioramento delle vendite nelle ultime due settimane del 2016, che però non supera un +2% ed è concentrato fortemente nei giorni pre-natalizi.

spese2017

Il 2017 porterà probabilmente anche nuovo dinamismo nel mercato immobiliare e nei comparti ad esso collegati (arredamento ed elettrodomestici): in tempi di bassi tassi d’interesse e di turbolenza dei mercati finanziari ritorna la casa come sogno nel cassetto degli italiani. Rimarrà in crescita la spesa per i viaggi (la indica come spesa sicura o possibile l’80% degli italiani).

 

Viaggi, svago e benessere nelle spese dei Millennials

I Millennials sono quelli che con più probabilità affronteranno un viaggio in futuro (85% contro il 73% dei Baby Boomers). E sono ancora i Millennials a spingere per l’acquisto di servizi legati a benessere e svago: iscrizione in palestra (prevista dalla metà dei giovani), abbonamento per il teatro o lo stadio (il 36% dei Millennials indica questa voce di spesa, contro il 27% della Generazione X), così come la sottoscrizione di abbonamenti di Pay TV (39% dei giovani contro 30% degli adulti e il 19% degli over 50) sono le tre dimensioni di consumo a cui i giovani non intendono rinunciare.

 

Più speranza nel 2017

Alla fine, il rapporto con la sua indagine di fine anno fotografa un Paese che sta alla finestra e che, passati gli anni bui della recessione, spera nel futuro ma stenta a metterne a fuoco i dettagli.

Tra le parole con cui gli italiani descrivono l’anno che è appena iniziato persiste la triade che già aveva caratterizzato il 2016 ovvero “speranza” (la usa il 33% del campione, era il 33,8% un anno fa), “cambiamento” (12% a fronte di un 14,3%), “timore” (10% rispetto a un più robusto 14,2% del 2016). Scostamenti però tutto sommato poco significativi a dimostrazione di una condizione di stallo che accomuna Italia e italiani. Ancora fra le parole più rappresentative del 2017 “ripresa” e “crisi” registrano l’identico indice di gradimento (entrambe sono state scelte dall’8% del campione) quasi come se l’una neutralizzasse l’altra. La speranza è la ciambella di salvataggio a cui si aggrappano tutti, con qualche sfumatura di genere (il 75% degli uomini utilizza aggettivi positivi per l’anno che verrà rispetto al 70% delle donne), mentre sono più i giovani a inseguire il sogno del rilancio (78% dei Millenials contro il 74% dei Baby Boomers).

Obiettivo meno plastica, una delle sfide future. Le iniziative della Gdo

Un’isola grande come la Penisola iberica, al meglio, o come gli Stati Uniti secondo le previsioni più pessimistiche galleggia nell’Oceano. E la Great Pacific Garbage Patch o grande chiazza di immondizia del Pacifico, ed è solo una di cinque grandi isole formate da rifiuti di plastica trascinati dalle correnti e riunitisi in mezzo al mare. Un’altra, più piccola ma più densa, è stata rilevata quest’anno dal Cnr nel Tirreno, tra Toscana e Corsica. Stiamo soffocando in un mare di plastica. Oltre a danneggiare la fauna marina che ingerisce la plastica scambiandola per cibo, il rischio concreto e che questa plastica sotto forma di microparticelle arrivi con il pesce sulle nostre tavole, con conseguenze per la salute ancora tutte da determinare.

Il tema è scottante e di difficile soluzione, tanto che alcuni retailer stanno prendendo posizione. Obiettivo: ridurre l’utilizzo di plastica, quando è possibile.
Partendo da quei sacchetti con i quali ci portiamo a casa la spesa. Biodegradabili o meno, impiegano comunque anni a dissolversi nell’ambiente. Lo ha fatto Rewe in Germania, che ha bandito del tutto i sacchetti di plastica, sostituendoli con buste di carta, cotone, juta o scatole di cartone.

Tesco e Sainsburys nel Regno Unito invece entro il 2017 elimineranno dai loro prodotti a marchio i bastoncini per pulire le orecchie con asticella di plastica, sostituendoli con aste di cartone.

Abbiamo già parlato della questione delle microbiglie in cosmesi, dannosissime perché si disperdono nell’ambiente dove sono praticamente irrecuperabili, proprio per le loro dimensioni infinitesimali. Dopo le australiane Woolworths e Coles, ora anche Tesco ha annunciato che le eliminerà dai suoi prodotti a marchio (scrub e dentifrici soprattutto), mentre il Governo britannico si è impegnato a bandirle dai prodotti cosmetici entro la fine del 2017. Così faranno le multinazionali Johnson & Johnson e Proctor and Gamble.

 

Imballaggi: riduzione e riutilizzo

In Italia si sta lavorando soprattutto sul fronte della riduzione di imballaggi. Come ha fatto U2 Supermercati ridisegnando gli imballaggi delle bottiglie d’acqua da sei. I più “estremi” sono i negozi che li eliminano completamente perché tutti i prodotti, dai detersivi alle farine, sono venduti a peso. Sugli imballaggi si può lavorare fin dal primo livello, quello del design, perché dovrebbero essere concepiti in modo da poter essere meglio e prima che riciclati, riutilizzati più volte.

Un ottimo incentivo è stato provato essere il deposito su cauzione dell’imballaggio, specie nell’industria del beverage, anche per le bottiglie di Pet. Come spiega Silvia Ricci responsabile campagne dell’Associazione Comuni Virtuosi nel sito dell’associazione, «L’introduzione del deposito su cauzione degli imballaggi monouso garantisce ritorni economici ed ambientali importanti, diretti e indiretti. Rende possibile il ritorno quasi totale di materiale di qualità rispetto dell’immesso al commercio, sottrae all’ambiente e ai cestini stradali un 40% dei rifiuti totali costituiti da imballaggi di bevande, riduce le spese di gestione rifiuti dei Comuni, ma non solo. Come suggeriscono studi europei, se in abbinamento al cauzionamento si applicassero dei contributi ambientali per la gestione del fine vita degli imballaggi a perdere e si stabilissero degli obiettivi di riutilizzo per l’industria del beverage, si potrebbe arrestare il declino del sistema refill e ampliare la quota di imballaggi che vengono riutilizzati più volte. Se consideriamo che i modelli di business circolari sono essenzialmente locali, si aprono nuove possibilità di adozione del sistema refill dei contenitori per aziende che hanno una distribuzione diretta al consumatore finale (famiglia o esercizio commerciale che sia)». Un obiettivo più che possibile, visto che ad esempio in Olanda già più del 96% delle bottiglie grandi in PET viene raccolto per essere riutilizzato.
Negli USA infine la maggiore insegna della Gdo mondiale, Walmart, ha stilato, in collaborazione con l’associazione dei riciclatori americani, APR, ha stilato The Sustainable Packaging Playbook, un documento di 20 pagine indirizzato ai suoi fornitori contenente le linee guida per l’ecodesign del packaging. È già stato accolto da 3000 di essi, che assommano il 70% del volume di acquisti totale.

Anche a Capodanno spumante superstar, +9% Italia, +21% per l’export

Per il saluto al nuovo anno è lo spumante a dominare le tavole degli italiani, e non solo: oltre tre italiani su quattro (78%) consumeranno nelle case il cenone di fine anno secondo una indagine Coldiretti/Ixe’ spendendo in media 80 euro a famiglia per la tavola. E lo spumante si conferma come il prodotto immancabile per quasi nove italiani su dieci (89%). Per le feste correnti in Italia si stima che si stapperanno circa 60 milioni di bottiglie di spumante Made in Italy con consumi in aumento del 9%. In Italia si consolida l’inversione di tendenza dopo anni di progressive riduzioni con appena l’11% che sceglie lo champagne.

Il comparto nazionale dei vini spumanti chiuderà il 2016 con una produzione di circa 625 milioni di bottiglie in aumento del 18% sull’anno precedente e un export di oltre 450 milioni di bottiglie se fosse confermato il trend gennaio-settembre dell`anno, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ismea. La stragrande maggioranza dello spumante italiano si beve dunque all’estero dove a pesare è il fatto che con il successo crescono le imitazioni in tutti i continenti a partire dall’Europa dove sono in vendita bottiglie di Kressecco e di Meer-Secco prodotte in Germania che richiamano al nostrano Prosecco che viene venduto addirittura sfuso alla spina nei pub inglesi. Circa 3 bottiglie di spumante Made in Italy su 4 sono di Prosecco con Asti, Franciacorta e TrentoDoc a seguire. Gli spumanti italiani annoverano in totale 153 tipologie DOC, 18 DOCG, 17 IGT oltre a diverse decine di altri tra varietali autorizzati, generici e di qualità.

La tradizione vince sull’esterofilia

La bevanda tradizionale delle feste è però seguito a ruota dalle lenticchie presenti nell’88% dei menu che beneficiano delle tendenze salutistiche, della solidarietà con le aree terremotate dove vengono coltivate e forse anche del periodo di crisi (basso prezzo e promesse di guadagni futuri).

Si abbandonano insomma le mode esterofile del passato con il 9% di italiani che si permettono le ostriche e l’8%, il caviale. Resiste il salmone presente nel 56% dei menu, ma forte è la presenza del pesce locale a partire da vongole e alici per le quali si assiste ad una vera riscossa sulle tavole. Forte è la presenza del cotechino nel 72% delle tavole. Si stima che saranno serviti 6,5 milioni di chili di cotechini e zamponi, con una netta preferenza per i primi. Durante le festività di fine anno vengono fatti sparire dalle tavole circa il 90% del totale della produzione nazionale. Tra le importanti novità di quest’anno c’è lo spazio dedicato alla solidarietà con quasi un italiano sui 4 (24%) che ha scelto di acquistare prodotti tipici dei territori colpiti dal sisma.

 

Record export a 230 milioni di bottiglie, 3 su 4 della produzione

Per le sole festività di fine anno salgono a 230 milioni le bottiglie di spumante italiano stappate all’estero, con un balzo del 21% nelle bottiglie esportate, sulla base dei dati Istat nei primi nove mesi del 2016 sul commercio con l’estero dove si bevono ormai quasi 3 bottiglie di spumante sulle 4 prodotte. Fuori dai confini nazionali non sono mai state richieste così tante bollicine italiane come quest’anno. La domanda di bottiglie è cresciuta del 30% in Gran Bretagna e del 22% negli Stati Uniti che si classificano rispettivamente come il primo ed il secondo mercato di sbocco delle bollicine italiane che sono stabili quest’anno in Germania che si posiziona al terzo posto. Nella classifica delle bollicine italiane preferite nel mondo ci sono tra gli altri il Prosecco, l’Asti il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese.  Il risultato più significativo del 2016 è proprio l’aumento del 72% delle bollicine Made in Italy spedite in Francia.

E ora Amazon lancia Wickedly Prime, marca commerciale “Premium” (in USA)

Amazon si propone sempre più come interlocutore unico per la spesa proponendo una nuova marca commerciale, “Wickedly Prime, alimenti e bevande gourmet da tutto il mondo in esclusiva per i clienti iscritti al programma Prime. Il debutto riguarda per ora gli Stati Uniti, completo di una formula “soddisfatti o rimborsati”. Le marche commerciali avanzano e guadagnano posizioni non solo e non più come alternativa low cost, ma anche e soprattutto nei settori premium, free-from, biologico. Prova ne sono anche in Italia le esperienze del Viaggiator goloso di U2, di Fior Fiore di Coop, di Sapori e Dintorni di Conad, tanto per citarne alcune.

Ma non si tratta solo di salire sul carro del vincitore, nella fattispecie la tendenza verso i prodotti gourmet con più alto argine e amati da foodies e Millenials. Secondo il magazine americano TechCrunch, la mossa segna un “cambio di strategia” nel settore private label per Amazon, che ha negli scorsi anni lanciato già parecchie linee, dai prodotti per l’infanzia a quelli per la casa. In questo caso però non c’era un diretto collegamento con la “casa madre”. Con Wickedly Prime invece siamo in pieno territorio Amazon, logo con il sorriso compreso, senza possibilità di equivoci.

Evidentemente la dot com di Jeff Bezos ha ritenuto che i tempi siano maturi per mettere tutto il suo peso nelle operazioni. I primi tentativi sono stati baciati dal successo: gli snack Happy Belly sono cresciuti in vendite lo scorso novembre da 20mila a 265mila USD grazie a una serie di promozioni convogliate da Alexa, il dispositivo vocale di Amazon per fare ordini ma anche grazie alle offerte mirate promosse dal sito. La forza di Amazon  è proprio infatti la possibilità di promuovere le proprie marche tramite le sue piattaforme ama anche i dispositivi collegati presenti nelle case dei clienti.

Il video con cui Monoprix prende in giro Amazon Go, “noi lo facciamo da 10 anni”

Seattle è un po’ lontana… consegna a domicilio, noi la facciamo da più di 10 anni. Termina così il divertente video-parodia con il quale Monoprix, insegna della Gdo francese, prende in giro (con attori simili e linguaggio ricalcato sull’originale, e rigorosamente in inglese completo di accento americano) il concept Amazon Go, in fase di test a Seattle (vedi Gennaio 2017, Seattle: parte Amazon Go, il primo supermercato Amazon, senza casse). Presentato come “la più avanzata tecnologia in fatto di spesa”. Parodiando passo passo il video che ha presentato al mondo Amazon Go, Monoprix ricorda il suo servizio di consegna a domicilio: basta andare al supermercato, fare la spesa, consegnare il carrello alle casse (senza fare la fila) e la spesa sarà consegnata a casa nel giro di un’ora, dove sarà pagata. Senza spese di spedizione. Senza dover portare pesi. È la “tecnologia umana”, quella che potrebbe fare la differenza negli scenari futuri.

Ecco il video “parodiato” di Amazon Go.

 

 

Voucher e aperture festive, monta la polemica

Puntuale con l’arrivo delle festività natalizia è partita la polemica sulle aperture “forzate” dei supermercati, anche nei giorni canonici di festa quali Santo Stefano e Capodanno. Sotto la lente anche l’uso ormai diffuso nella Gdo di ricorrere ai voucher per utilizzare lavoratori occasionali che vanno a “coprire” i giorni critici (i lavoratori dipendenti possono scegliere volontariamente se lavorare oppure no).

In campo sono scesi i sindacati. Con l’hashtag #LaFestaNonSiVende è in atto la campagna di Filcams Cgil, la quale continua a sostenere la propria contrarietà alle liberalizzazioni degli orari commerciali. “Molti centri commerciali e punti vendita della grande distribuzione organizzata non intendono rispondere all’appello di tanti enti locali a tenere chiusi i propri punti vendita almeno nelle giornate di Natale, Santo Stefano e Capodanno – si legge in una nota – . Contro questa decisione molte sono le iniziative di protesta, a partire dallo sciopero proclamato dalle segreterie regionali della toscana di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs”.

L’invito al Governo è di arrivare quanto prima a sostituire il decreto “Salva Italia” del Governo Monti sulle Liberalizzazioni con una nuova regolamentazione per il settore commerciale.

«La totale liberalizzazione delle aperture domenicali e festive nel commercio introdotte dal Governo Monti – afferma la segretaria generale nazionale Maria Grazia Gabrielli – non ha prodotto, come ipotizzato, risultati positivi né in termini di occupazione né di consumi, ma ha contribuito a complicare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro degli addetti del settore. Eliminare gli ostacoli all’esercizio delle attività economiche e il principio di libera concorrenza tra gli operatori erano i principi ispiratori del Decreto, ma non sono stati realizzati».

Il disegno di legge sulla limitazione delle aperture festive, approvato alla Camera a settembre del 2015, giace abbandonato in Senato. La proposta (parziale e – per la Filcams – insufficiente) prevede la possibilità di aprire le attività commerciali per un massimo di sei festività l’anno, nessun limite per le aperture domenicali, così come per le aperture 24 ore su 24. Restano così in vigore le liberalizzazioni decretate dal governo Monti.

 

Il “caso” Carrefour Venezia

Situazione particolare a Venezia, dove tutti i grandi marchi hanno deciso di tenere chiuso, con l’eccezione di Carrefour che a sorpresa ha informato la clientela di voler rispettare solo la chiusura per Natale, garantendo la spesa di Santo Stefano e Capodanno. “Un caso davvero singolare – afferma la Filcams Cgil – se si considera che il Centro Commerciale Valecenter, che ospita Carrefour, in quelle due giornate rimarrà chiuso”.

Allo sciopero indetto in Toscana potrebbero affiancarsi iniziative di mobilitazione e protesta di molti altri territori, con picchetti e presidi all’esterno di molti centri commerciali “per chiedere il riconoscimento del valore delle festività, per la tradizione del nostro paese, per il rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori – conclude la Segretaria Generale – ma anche perché è ormai tempo di ammettere che il sempre aperto è una “tendenza” imposta , che non ha rappresentato una vera strategia per rilanciare consumi e occupazione, capace di arginare la crisi della grande distribuzione, chiusure di negozi, licenziamenti e attacco a salario e diritti”.

 

Voucher, nati per l’agricoltura, finiti nel commercio

Intanto la Coldiretti sottolinea come, nonostante la forma di impiego con voucher sia nata pensando all’agricoltura (in via sperimentale per la vendemmia nel 2008), sulla base dei dati dell’Osservatorio sul lavoro accessorio dell’INPS relativi ai primi sei mesi del 2016 l’impiego dei voucher è sceso nel settore al minimo di appena l’1,09%.

Del totale di voucher venduti nel primo semestre dell’anno, il 14,9% sono stati impiegati nel turismo, il 14% nel commercio, l’11,4% nei servizi, il 42% nel giardinaggio e pulizia, il 4,1% per manifestazioni sportive e culturali e il 47,1% in altre attività.

Il punto di vista di Confimprese nella video-intervista a Mario Resca.

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