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Doxa-Aidepi: prima colazione dolce o salata? Così la fanno gli italiani

Dolce o salata? È questo il tema al centro dell’indagine svolta dall’Osservatorio Doxa-Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta) sulla prima colazione degli italiani.

Secondo l’indagine Io comincio bene, chi salta la colazione passa in soli 2 anni dal 14% al 9%. Una tendenza molto netta (parliamo di una riduzione del-35%) che riguarda, per fortuna, soprattutto i giovani: oramai fa colazione il 98% dei ragazzi (15-24 anni), mentre nel 2013 erano l’84%.

I risultati confermano che il 65% degli italiani la fa abitualmente all’insegna del dolce, cosi come da tradizione mediterranea e italiana. Mentre 2 su 10 (19%) alternano la colazione dolce e quella salata e solo il 7% la fa esclusivamente salata.

Anche il caffè, a colazione, è per la grande maggioranza degli italiani solo e sempre dolce: il 68% dei nostri connazionali lo completa con l’aggiunta di zucchero, miele, o dolcificante, mentre 1 su 4 lo prende amaro (25%). Una modalità, quest’ultima, che è particolarmente apprezzata dai giovani under 35.

La minoranza che sceglie di aprire la giornata all’insegna del “salato” lo fa soprattutto per una ragione di gusto: in primis perché il salato, piace di più rispetto al dolce (49%), e in secondo luogo perché il dolce non piace molto in generale (21%). Alcuni confessano però che si svegliano affamati e il salato li sazia di più (16%). Solo una piccola parte (16%) considera invece la colazione salata “più salutare di quella dolce”.

Re della colazione salata è il pane che tra pane del panificio (44%) e versione confezionata (28%) raccoglie il 72% delle preferenze.

Al contrario il modello di breakfast anglosassone sembra non attecchire proprio.

Molto bene il toast (34%) che è un vero e proprio “must” nella colazione dei più giovani tanto da raggiungere il 70% delle preferenze di chi fa colazione salata. Crakers, salumi, uova e focaccia si attestano nella fascia 24-27%, mentre più indietro troviamo i grissini (14%) e la pizza (10%).

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Ma com’è composta la colazione dolce?

Tra i prodotti preferiti dagli italiani a colazione al primo posto troviamo infatti i biscotti, scelti da 6 italiani su 10 (58%), seguiti da fette biscottate, con o senza marmellata, miele e creme spalmabili alla nocciola o al cacao (19%).

A seguire, più o meno a pari merito (tra il 7% e il 9% dei consensi), 3 gruppi di alimenti: cereali/muesli; merendine/brioches/cornetti confezionati e yogurt.

La colazione dolce è particolarmente amata dalle donne che la preferiscono agli uomini (71% contro 59%) ed è anche la tipologia preferita dai più giovani (70% contro media del 65%).

Inoltre c’è una schiera di aficionados del dolce a colazione (43% degli italiani) che lo consumano solo in questa occasione e per niente nel resto della giornata.

«La colazione dolce – spiega la nutrizionista Valeria Del Balzo – a base di latte o yogurt e accompagnata da biscotti o cereali da colazione o fette biscottate con marmellata o crema spalmabile alla nocciola e un frutto, presenta un contenuto calorico che si colloca in un range di 290-315 kcal, più basso di circa 100-150 kcal rispetto a quella salata, ma è senz’altro un’ottima scelta dal punti di vista nutrizionale grazie al giusto mix di carboidrati, in particolare zuccheri, che sono fondamentali al mattino per migliorare la performance cognitiva, proteine, vitamine e una bassa quantità di lipidi».

I motivi per i quali la grande maggioranza degli italiani preferisce la colazione dolce sono quattro: al mattino il dolce aiuta ad attivarci prima (48%, con punte del 69% per i giovani); in generale il dolce piace più del salato (46%); la colazione è il momento del dolce (28%) e infine perché una colazione a base di dolce è più leggera (23%).

Infine 1 italiano 2 pensa (indipendentemente dal fatto che personalmente scelga un modello o l’altro di colazione) che la colazione dolce sia più adatta a bambini e adolescenti rispetto a quella salata (56%) o al massimo un mix delle due (41%).

Confcommercio compie 70 anni: come sono cambiati i consumi degli italiani

Un reparto ortofrutta di oggi (Unes) e Venditori ambulanti di cavolfiori espongono la merce su carretti, foto di Federico Patellani (Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo)

Il 29 aprile ci sarà la manifestazione ufficiale per i 70 anni di Confcommercio.  Fondata nel 1945, su iniziativa di alcune libere Associazioni dei Commercianti provinciali del Centro-Sud e di categoria, la Confederazione del commercio e del turismo ha seguito l’evoluzione della società italiana in questi settant’anni. Ed è interessante la ricostruzione che fa del cambiamento dei consumi delle famiglie in questo arco di tempo, prendendo come punto di riferimento il 1938, due anni prima dell’entrata in guerra.

Alla fine della seconda guerra mondiale, in un contesto di sopravvivenza, i consumi delle famiglie italiane erano rivolti per circa l’80% a generi alimentari e bevande (negli anni prebellici erano intorno al 54%). Mediamente il prezzo del pane, calcolato con i valori attuali in euro, era pari a poco più di un euro al chilo, un litro di latte costava 1,03 euro, un chilo di pasta circa 2 euro, un chilo di carne bovina 13 euro.Schermata 2015-04-27 alle 10.42.35

Già nel 1955 i consumi si erano diversificati e la quota di consumo dei beni e servizi aveva raggiunto il 39%, mentre i generi alimentari scendevano al 50%. Questa tendenza negli ultimi 60 anni si è progressivamente accentuata.

Oggi, in una società post-industriale e fortemente terziarizzata, il consumo di beni e servizi non alimentari supera il 75%, mentre la spesa per i prodotti alimentari rappresenta meno del 20%.

Fermo restando la diversificazione nella qualità e nella varietà dei prodotti in commercio, attualmente un chilo di pane costa in media 2,80 euro, la pasta 1,60 euro al chilo, un litro di latte 1,55 euro, la carne bovina poco più di 16 euro. Per pasta, uova ed olio i prezzi sono in media più bassi che negli anni ’50.

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Anche il sistema distributivo è radicalmente cambiato. Nell’immediato dopoguerra gli esercizi commerciali totali al dettaglio non raggiungevano le 800mila unità, di cui circa 250 mila erano operatori in forma ambulante.

Migliorando nel corso degli anni ‘60 e ‘70 le condizioni di vita e di reddito dei cittadini, la rete degli esercizi si è ampliata sul territorio superando nel 1971 complessivamente 1 milione di unità. Oggi la rete si è assestata al di sotto dei 950 mila unità di cui otre 188mila ambulanti.

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Nel 1945 l’Italia era povera e, pur uscendo da un lungo e doloroso conflitto bellico, evidenziava un debito per abitante inferiore rispetto al reddito prodotto. Negli anni ’60 si registrava il “periodo d’oro”, con un Pil per abitante, calcolato con i valori attuali, che, sulla spinta del boom economico, superava i 9mila euro e un debito pubblico che per ogni italiano era di soli 2.300 euro: il Pil prodotto era 4 volte circa superiore al debito accumulato. A partire dagli anni ‘70 il divario tra Pil e debito pubblico si è iniziato ad assottigliare per invertirsi completamente dagli anni ‘90. Oggi a fronte di un Pil per abitante pari a circa 27 mila euro, ci sono oltre 35mila euro di debito per ogni italiano.

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At Tuttofood Agrifood Covalpa, frozen vegetables, just like their fresh counterparts

Sustainable, that speak of their region, safe and of superior quality: the frozen vegetables of Agrifood Covalpa, result of the work of more than 400 fruit and vegetable producers and a dedicated Agronomy Department, follow the dictates of the third millennium. Based on the plateau of the Fucino (L’Aquila), the food group was founded in 1989 from the union of seven agricultural cooperatives and will present its products at TuttoFood, which will open at the Fiera Milano on 3 May. “This year the event has a very important role. – says Valeria Picco, Group Marketing Manager – TuttoFood will in fact be for us, producers of consumer products, the official showcase to exhibit our products to an international audience. Moreover, the eco-sustainable approach that distinguishes the central theme of EXPO also fits perfectly with our production principles and the attention to a greener diet, both in the sense of “richer in vegetables” and in the sense of “less impacting on the environment”, encourages, and will increasingly do so, the consumption of fresh and frozen vegetables”.

Safe and superior quality products, grown in the green heart of the Valle del Fucino, among pristine lands and surrounded by the Sirente-Velino Natural Park, the Mount Salviano Nature Reserve and the Abruzzo National Park. The choice of safe and top quality seeds, the fertile soil and the mountain micro-climate give the finished product excellent organoleptic properties. A combination of naturalness and attention to the most innovative farming techniques that take only the best of tradition and give priority to water conservation and sustainable farming, make the Agrifood-Covalpa consortium a true certainty in terms of food safety, quality and environmental sustainability.

“Our goal has always been and always will be to offer frozen vegetables increasingly similar – in appearance, taste and texture – to fresh vegetables in season. This is the true innovation that the consumer rewards and recognises”, explains Picco. Thanks to rapid processing and instant freezing at -18°C, it is in fact possible to “capture” all the nutritional goodness of the original product, thus keeping it intact until the end.

Finally, Agrifood Covalpa, thanks to its photovoltaic and cogeneration systems, not only avoids the emission of 653 tonnes of CO2, 764 tonnes of SO2, 693 tonnes of NOX and 33 tonnes of particles, but also facilitates the production of eco-sustainable energy.

 

 

Expo effect: from Granarolo the first 100% compostable bottle

Granarolo Bottiglia CassavaA milk bottle compostable in 12 weeks. This is the prototype that Granarolo is presenting for the first time at Expo in a special edition. Granarolo has chosen to use a bottle consisting of 100% Cassava, which has the potential to decompose into compost in 12 weeks. The choice of using Cassava is also ethical: the material does not derive from plants used to meet nutrition requirements and therefore does not affect the human food chain. The first Granarolo compostable bottle is also among the finalists of the Oscar dell’Imballaggio 2015

The Italian fruit and vegetable industry is looking to exports, among opportunities and difficulties

Marco Salvi, Presidente Fruitimprese

Italy is a major producer of fruit and vegetables, exporting 3.9 million tonnes (2014, +4.4%) and 4.1 million euros (-1.2%), with a share of 22% of fresh and processed produce, one point more than beverages. But how can exports be increased (also to compensate for the decline in the domestic market of 5.7% over the past 5 years) and which are the countries to be targeted? This was discussed at the seminar “Internationalisation of fruit and vegetable companies: concrete answers to emerging needs” organised by Fruit Innovation, the new fruit and vegetable exhibition which will make its debut at Fiera Milano Rho from 20 to 22 May 2015 with a mission: innovate and internationalise the industry.

Exports vary greatly depending on the product, we are the leader in the export of pears (with 718,000 tonnes, especially to Germany), stable in eating grapes of which half are exported, with the American market and seedless varieties growing, and we are the world’s second largest producer of kiwifruit (after China), 80% of which is exported to 100 countries, while we have decreased in a historical product such as citrus fruits, for which the balance of trade is negative.

The weaknesses of exports were summarised by Marco Salvi, President of Fruitimprese:

Phytosanitary barriers: if there is no bilateral agreement with the country in question, the result of political and diplomatic activity, you cannot export. In Japan, for example, we can only export processed oranges; in China we export 15,000 tonnes of kiwifruit.

The Russian embargo: fruit and vegetables have been hard hit, because it accounted for 39% of European exports, and is the largest importer of pears.

The conflicts in North Africa and the Middle East: that threaten an extremely promising and growing market.

The lack of a policy of commercial expansion involving companies and focussing promotional investments on selected markets.

Higher costs compared to other countries (including Spain, a direct competitor) in terms of labour, energy and transport.

“Companies, politics, universities and research need to form a system. 260 million euros for Made in Italy products have already been allocated by the Ministry of Economic Development (MED), which could allow us to make the quantum leap. We must invest in communication: for Pink Lady apples, for example, we invest 10 million euros a year. We are market leaders in many products, but we must avoid doing as we did for oranges, where we are the tail-end in exports: who would have said so 25 years ago?” warned Marco Salvi, President of Fruitimprese.

Claudio Scalise, Managing Partner of SGMARKETING, on the other hand, identified the opportunities to be seized at this point in time, positive due to the favourable euro/dollar exchange rate, oil prices at all-time lows and the beginning of recovery in consumption. “Among the trends I see are the increasingly blurred distinction between fresh and processed produce (see ready-prepared fresh produce) and exports that think in terms of the supply chain, from manufacturer to distributor to processor”. Another crucial lever is adaptation of the strategy to the different markets which request different things: critical consumption, service and aesthetics for mature markets, so product presentation becomes of crucial importance; quality standards, brand and service for emerging markets, for which imported fruit and vegetables are a status symbol for the middle class; and price for “New Frontier” countries (Africa, India, Turkey, Middle East), where fruit and vegetables are a commodity.

 

The Ikea temporary store rethinks the kitchen and food

In parallel with the Milan Design Week, the Ikea Temporary Store has opened in Milan, one of the thousand large and small, important and less important events, fruit of the creativity and design that have inaugurated de facto the six-months of Expo in Milan.

IMG_1287And it is precisely the temporary store of Ikea, which will remain open until the end of September (only Scandinavian presence in the Expo period), that contains Kitchen Lab,  the result of several years of work on the intelligent use of the kitchen, carried out in collaboration with students from the Eindhoven University of Technology and the Ingvar Kamprad Design Center of the University of Lund, with the coordination of the London-based incubator Ideo.

Here, reflections on the kitchen of 2025 are proposed, involving the entire eating chain, because it contemplates passive and induction refrigeration systems (i.e. without the refrigerator), household waste compactors, a composter that produces dried compost tablets while the liquid extracted, full of nutrients, is used to water the house plants and a seed incubator. And, above all, a table that contains an induction hob hidden inside on which to cook directly. Through a food recognition system with cameras and projectors positioned on the ceiling, usage suggestions and recipes are projected on the table.

IMG_1289But the Temporary Store contemplates many other proposals, always linked to the kitchen and food: the restaurant (Food Lab) with the famous Swedish meatballs, also in vegetarian and chicken version, the study of a kitchen for children by Matali Crasset, the kitchen space designed by Paola Navone, new models and new products, all characterised by the idea of sustainability, like the cork table and stools. Obviously it’s a real store where you can buy or design your own kitchen.

“There are four reasons behind the opening of this space”, explains the Director of External Relations of Ikea Italia, Valerio Di Bussolo, to inStore. “The opportunity to present the work carried out in recent years on food and the kitchen in line with Expo is the first. The second reason is the search for city formulas for stores. We have a 35,000 square metre city store in Hamburg, in the shower area, and we have just opened a pick-up store in Pamplona. In short, we are trying to identify the different formulas most suited to the type of urban fabric chosen. Here in Milan, for example, it would be difficult to open a large area (even if it is not a problem of location, considering that there are so many barracks), essentially due to the traffic and environmental sustainability.

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The third reason is the focus on food and the kitchen, not only as a product, but also in terms of planning and design (hence the projects Navone and Crasset), because we have always been accused of proposing a conformist and standardised offer. Finally, a marketing presence, to intercept that part of potential customers who still do not visit our stores”.

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OVS and Excelsior Milano Official Retailers of Expo

Da sinistra, Sala, Beraldo, Fiorucci

With OVS and Excelsior Milano, the Coin Group is the Official Retailer of Expo Milano 2015: two stores of approx. 180 square metres each, will welcome visitors from 18 May on the Decumano.

“The participation of OVS and Excelsior Milano in Expo Milano 2015 as Official Retailers – said Expo commissioner Giuseppe Sala – is an important sign, a demonstration of the great trust that the business world is placing in a unique event of its kind, considered as an opportunity absolutely not to be missed”.

OVS and Excelsior Milano will not only create merchandising with the Expo brand, but also translate the values of Expo Milano 2015 into “symbols” that will become the tracks of this event.

The Coin Group, the leading clothing retailer in Italy, will offer its expertise to interpret the theme of the Universal Exposition. For OVS and Excelsior Milano, being official retailers does not only mean creating merchandising with the Expo brand, but also translate the values of Expo Milano 2015 into “symbols” that will become the tracks of this memorable event.

“We will do it – explained the CEO of OVS and Deputy Chairman of the Coin Group, Stefano Beraldo – through a series of ideas and fashion entrusted to Elio Fiorucci, Ambassador of Expo, one of the masters of contemporary culture who has contaminated fashion with love of nature, respect and tolerance for all diversities. We will be present with the two spirits of the group, the more democratic OVS, the leading value fashion retailing brand, and that dedicated to the research and exclusivity of Excelsior Milano which, thanks to the excellence of its team of buyers, has made it possible to speed up the upgrade process of the most popular department store, Coin”.

OVS will propose a creative journey that will start with the Universal Exposition of 1906, incorporating its graphics to create a leit motiv of the art and creativity of that and the present period. It will continue with a revisitation of the Canticle of the Creatures turned into an appeal for respect for the environment and tolerance. Students of the Marangoni Institute have also been involved who, under the tutorship of Fiorucci, will design the graphics for a collection of T-shirts (strictly in bio-cotton), interpreting the themes of Expo.

Inside the OVS store, customers will have the opportunity to have an innovative digital shopping experience through the “interactive kiosk”, a multimedia workstation capable of performing various functions, such as shopping online at the ovs.it e-shop with free delivery in 24 hours throughout Italy, checking the availability of a product in other neighbouring stores and directly sharing a post on their social media through the OVS App.

Excelsior Milano in its store on the Decumano will extol the fundamental characteristics of the brand, fruit of the collaboration of the Coin Group with Antonia, a Milan boutique synonymous with avant garde and a point of reference for the international fashion community visiting Milan, in search of a unique shopping experience.

At the end of the exposition, the pavilions dedicated to the stores will be recycled and turned into a nursery for employees of the headquarters of the Coin Group.

Nuovi snack bio, senza glutine e vegan da Sarchio a Tuttofood

Sarchio, dal 1982 specialista di un’alimentazione sana e naturale con i suoi prodotti biologici, senza glutine e vegani, si presenta all’edizione 2015 di Tuttofood (3-6 maggio) con un’immagine completamente rinnovata.

In luce la nuova linea di snack bio con sei referenze per una pausa anche anche con chi è intollerante al glutine o sceglie un’alimentazione vegana.

Abbinamenti originali e gustosi come l’incontro tra la morbidezza delle bacche di goji con la croccantezza delle mandorle, oppure quinoa e mirtilli rossi insieme per uno snack leggero, ad alto contenuto di fibre, dalle proprietà antiossidanti. Ai più golosi sono dedicati: riso e gocce di cioccolato, crispy rice con cioccolato al latte finissimo o fondente extra. Mentre chi predilige i sapori più esotici potrà gustare Sarciok, lo snack al cocco ricoperto di cioccolato al latte nella nuova e pratica confezione da tre barrette.

 

Ricerca Gea-Asset: ripensare la supply chain delle imprese alimentari

È urgente ripensare i processi di gestione della domanda e della supply chain delle imprese alimentari italiane: per sostenere il valore di prodotti eccellenti senza essere sopraffatti dalla crescente complessità del mercato; per recuperare margine ed efficienza, sfruttando al meglio la capacità produttiva di impianti spesso sovradimensionati; per muoversi con successo verso nuovi confini.

Questo, in sintesi, quanto emerge dall’indagine realizzata da Gea Consulenti di Direzione e Asset, presentata in occasione del convegno Food Boost – Liberare l’eccellenza con la supply chain che ha visto la partecipazione di oltre 200 rappresentanti dell’industria del food&beverage, secondo settore manifatturiero a livello nazionale con 6.800 imprese e € 133 miliardi di fatturato.

Ma in quale misura essere eccellenti in questi ambiti costituisce un reale vantaggio competitivo, in particolare per lo sviluppo sui mercati esteri?

«Oltre la metà delle aziende continua a sprecare capitali perché non è in grado di realizzare previsioni accurate, che siano di supporto a una programmazione strategica e ottimizzata delle attività produttive. In un mercato globale sempre più esigente e complesso, non basta guardare a come si è sempre fatto in passato e non possiamo più permetterci che questo continui a penalizzare i nostri marchi», ha commentato Luigi Consiglio, Presidente di Gea Consulenti di Direzione. «È vitale rivedere con urgenza i processi di gestione dell’intera supply chain in un’ottica più evoluta, integrata e interfunzionale; una svolta necessaria per recuperare efficienza e accelerare la crescita della nostra industria alimentare, in Italia come all’estero».

«Incremento della gamma, competizione sempre più sul tempo, pressione sulla riduzione dei costi e globalizzazione sono fenomeni che caratterizzano la maggior parte dei settori industriali; nel caso del food&beverage la complessità è enfatizzata dalla presenza di numerosi canali da servire contemporaneamente, tenendo conto delle rispettive specificità e da normative sempre più stringenti. Sfide sempre più difficili richiedono approcci sistemici e soprattutto progettualità, non solo nell’affrontare i percorsi di internazionalizzazione, ma anche nel recupero di efficienza dei sistemi produttivi e nel recupero di efficacia dei processi di pianificazione e programmazione della produzione e della catena di distribuzione» ha aggiunto Andrea Sianesi, Partner di Asset.

Il campione e le aree di indagine

L’indagine Gea-Asset ha preso in considerazione un campione selezionato di 30 aziende italiane – rappresentativo di tutte le categorie merceologiche dell’industria alimentare e di diversi livelli di grandezza e fatturato – analizzandone l’assetto organizzativo (dipendenze gerarchiche, responsabilità operative e gestionali, momenti di condivisione interna delle informazioni), le performance (livello di servizio erogato e impegno del capitale circolante) e le prassi adottate nella gestione dei processi di demand management e operations planning, nonché gli strumenti informativi a supporto.

In particolare, il panel di intervistati è composto in prevalenza di imprese del settore beverage (36%), seguito da caffè e dolciumi (20%), pasta e bakery (16%), carne e salumi (16%), latte e derivati (16%) e comparto ortofrutticolo (4%).

Più dell’80% sono aziende grandi (44% con più di 250 dipendenti) e medie (40% tra 50 e 250 dipendenti); in termini di fatturato, per il 36% delle imprese coinvolte è compreso tra 100 e 500 milioni di euro, per il 24% tra 50 e 100 milioni, superando il miliardo di euro nel 20% dei casi, per un giro d’affari complessivo di oltre € 20 miliardi. Per il 44% del campione, l’export rappresenta meno del 10% del fatturato e solo per il 16% la percentuale supera il 50%; mentre la quota derivante dalla Gdo rappresenta oltre la metà del fatturato per due terzi delle imprese, superando l’80% nel 40%.  Tutte le aziende prese in esame – concentrate prevalentemente nel Centro-Nord Italia (28% in Lombardia, 24% in Emilia Romagna e 20% in Veneto) – hanno la produzione in Italia, di cui la maggior parte con 1 o 2 stabilimenti produttivi.

I risultati dell’indagine

Solo un terzo degli intervistati, infatti, si ritiene soddisfatto dei processi adottati attualmente dalla propria azienda e il 50% conferma di avere intrapreso una revisione di tali procedure, concentrandosi soprattutto sul demand management.

Di fronte alla diffusa incapacità di realizzare previsioni oculate, la grande maggioranza delle imprese sopperisce alla difficoltà di anticipare la domanda affrontando il mercato in ottica perlopiù reattiva. Se, da un lato, solo il 25% degli intervistati ritiene di avere una buona accuratezza delle forecast, dall’altro più dell’80% sostiene di avere performance eccellenti nella flessibilità di risposta al cliente, pagando tuttavia un costo elevato in termini di efficienza interna e di impegno di capitale circolante. Questa elevata variabilità e scarsa prevedibilità della domanda impatta fortemente sulle attività di pianificazione e sui processi produttivi, tanto che meno di un quarto delle aziende del campione riesce ad avere più di una settimana di orizzonte congelato.

Guardando agli aspetti che ad oggi contribuiscono a rendere soddisfatti il 30% dei rispondenti in materia di demand planning, a fare la differenza sono la raccolta di più informazioni bottom-up dalla forza vendita e sulle promozioni dei clienti (nel 90% dei casi), una maggiore frequenza di aggiornamento delle previsioni (più che mensile per il 65%) e l’utilizzo di algoritmi a supporto (75%). Aspetti che si riflettono anche sulle aziende più soddisfatte del proprio operations planning che, potendo contare su una buona accuratezza previsionale della domanda (63% degli intervistati) riescono a garantire alla produzione un orizzonte congelato (nel 75% dei casi) e, quindi, a limitare al minimo le inefficienze, pur rivedendo spesso i piani.

Tre modelli di gestione del rapporto domanda-supply chain

In generale, tuttavia, si rilevano livelli di maturità differenti nella definizione dei ruoli deputati a gestire l’interfaccia tra la domanda e supply chain. Oltre il 50% delle imprese coinvolte non ha un processo definito per il demand management, che risulta o del tutto inesistente (26%) oppure assimilato alle vendite (26%) denotando grande confusione circa i confini di responsabilità tra le varie funzioni aziendali. Laddove esiste un’unità dedicata alla gestione della domanda (48%), questa fa capo prevalentemente all’area Supply Chain (55%). Entrando nel dettaglio dei tre livelli:

– quando il ruolo del demand manager è inesistente, le performance aziendali sono basse, vi è una scarsa visibilità sul mercato in quanto le informazioni sono raccolte solamente dalle vendite, l’export conta per una piccola percentuale del fatturato (10% circa) e vi è una limitata incidenza delle promozioni.La maggiore preoccupazione di queste aziende risiede nel rispondere alla crescente complessità del settore.

– se è assimilato alle vendite, le performance sono mediamente buone, vi sono da 3 a 5 persone che se ne occupano ma vi è una forte distinzione tra chi ha la responsabilità di gestire il mercato rispetto a chi si occupa della supply chain, l’export conta per il 20%-30% del fatturato e vi è un’incidenza delle promozioni fino al 50%. La principale criticità per questo tipo di imprese consiste nel gestire in maniera efficace il coordinamento interno tra le diverse funzioni.

– laddove esiste un’unità dedicata, le performance sono alte e la funzione dispone solitamente di molte risorse, che realizzano previsioni raccogliendo informazioni attraverso meeting periodici interfunzionali e tenendo conto sia della BaseLine sia delle promozioni, che anche in questo caso hanno un’alta incidenza; l’export rappresenta oltre il 50% del fatturato e la produzione è spesso legata a un’elevata stagionalità. La difficoltà per queste aziende sta nel gestire al meglio la collaborazione con gli attori esterni della filiera (fornitori e retailer).

Il nodo dei sistemi informatici

Infine, alla luce della crescente necessità di amministrare grandi volumi di dati complessi, diventa fondamentale avvalersi di adeguati strumenti informativi che siano di effettivo supporto ai processi decisionali e operativi dell’azienda, in un’ottica quanto più integrata. Ciononostante, guardando al campione di imprese interpellate, si evidenzia un’elevata frammentazione anche nell’utilizzo dei sistemi informatici. Spesso la scelta di soluzioni diverse, che tendono a tenere separati il demand planning (DP) dall’operations planning (OP) ostacola l’adozione di un approccio realmente interfunzionale e flessibile. In particolare: il 23% degli intervistati utilizza Excel quale unico programma a supporto per entrambe le funzioni; i sistemi ERP sono utilizzati dal 18% per il DP e dal 27% per l’OP, sebbene molto spesso integrati con Excel (rispettivamente nel 75% e 83% dei casi);  il 59% si avvale di un sistema verticale o software ad hoc per il DP, in linea con quanto accade per l’OP (50%), sempre sfruttando anche Excel per alcune funzionalità (62% DP vs 9% OP).

Il quadro complessivo che emerge dall’indagine GEA-ASSET sul food italiano è quindi quello di un settore in cui è sempre più forte l’esigenza di evolvere verso nuove prassi virtuose, che favoriscano l’adozione di un unico processo integrato di Sales & Operations planning, basato su: un ascolto più attento del mercato e dell’azienda stessa, per raccogliere le informazioni utili al processo su vari fronti, con rapidità e precisione; una maggiore collaborazione, sia tra le diverse funzioni aziendali sia verso l’esterno, con clienti e fornitori;  una misurazione più efficace delle performance del processo e un nuovo approccio all’innovazione, che sappia guardare ad esempi eccellenti anche fuori dal proprio settore, per ripensare a proprio vantaggio le regole del gioco.

Istat: vendite a febbraio positive, crescono discount e supermercati

Una crescita dei consumi ancora fragile e incerta è quella registrata ieri dall’Istat relativamente al mese di febbraio: per il terzo mese consecutivo le vendite al dettaglio registrano un segno positivo. La gdo cresce, in particolare i discount.

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Rispetto a un anno fa, scrive l’Istat, l’indice grezzo delle vendite segna un aumento dello 0,1%. L’indice del valore delle vendite di prodotti alimentari aumenta dello 0,5%, quello dei prodotti non alimentari, invece, diminuisce dello 0,3%. Restano invece negative le vendite rispetto a gennaio 2015: -0,2% quelle dei prodotti alimentari e -0,1% i non alimentari.

Nel confronto con il mese di febbraio 2014 si registra una variazione positiva dello 0,8% per le vendite delle imprese della grande distribuzione e una diminuzione dello 0,5% per quelle delle imprese operanti su piccole superfici.

Nella grande distribuzione le vendite aumentano, in termini tendenziali, dell’1% per i prodotti alimentari e dello 0,5% per quelli non alimentari. Nelle imprese operanti su piccole superfici le vendite segnano variazioni negative dell’1% per i prodotti alimentari e dello 0,5% per quelli non alimentari.

Schermata 2015-04-23 alle 10.06.10Con riferimento alla tipologia di esercizio della grande distribuzione invece a febbraio 2015 si registrano aumenti dello 0,4% per le vendite degli esercizi non specializzati e del 3,5% per quelle degli esercizi specializzati. Tra i primi, aumentano dello 0,2% le vendite degli esercizi a prevalenza alimentare e del 2,8% quelle degli esercizi a prevalenza non alimentare.

In particolare, per quanto riguarda gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare, aumentano le vendite di discount e supermercati (rispettivamente +3,6% e +0,2%) mentre diminuiscono quelle degli ipermercati (-1,5%).

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Di fronte a questi dati, il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli ha commentato positivamente il fatto che “si registri una leggera crescita delle vendite di prodotti alimentari, un fattore che può contribuire a dare stabilità all’ancora debole percorso di ripresa della domanda interna”, ma ha rilevato che il -0,3% dei non alimentari sia un “segno che non si è ancora consolidato nei consumatori un atteggiamento di fiducia sul futuro che li possa portare ad affrontare con più regolarità e intensità anche acquisti più impegnativi”.

Ricordando poi che il recente Documento di Economia e Finanza emesso dal Governo va nella direzione giusta, escludendo per il 2016 l’applicazione delle clausole di salvaguardia inserite nelle ultime Leggi di Stabilità che, tra l’altro, avrebbero previsto l’innalzamento delle aliquote Iva dal prossimo anno, ha aggiunto: “Riteniamo però che sia importante fare di più: le imprese distributive per programmare i propri investimenti hanno bisogno di scenari certi, e la spada di Damocle di un possibile aumento dell’Iva dal 2017, con i suoi effetti su prezzi e consumi, frena i progetti di sviluppo. È necessario quindi rafforzare spending review, vendita del patrimonio dello Stato e lotta all’evasione per recuperare le risorse necessarie a scongiurare l’aumento delle imposte indirette. Per la GDO permane inoltre un ulteriore punto di preoccupazione: la reverse charge, un dispositivo che, se attuato, comporterebbe per il settore gravi problemi finanziari ed economici, oltre a significativi costi organizzativi”.

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