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Piatti pronti freschi: funzionalità, gusto e leggerezza. L’analisi di IRI

Funzionalità e praticità nell’esecuzione: è a queste esigenze dei consumatori che i piatti pronti freschi si ripromettono di dare soddisfazione,  a differenza di quelli  surgelati e ambient il cui acquisto è maggiormente legato a fattori di convenienza e di stoccaggio.   Accanto alla sfera funzionale, più legata al consumo infrasettimanale, esiste però anche una sfera slegata dai concetti di tempo, che richiama il desiderio di appagamento di gusto e leggerezza. Grazie anche al continuo ampliamento dell’offerta a cui stiamo assistendo negli ultimi anni,  a questa categoria si associano numerosi fattori legati alla salute, alla qualità e all’esplorazione.

Nell’anno terminante a febbraio 2018, il mercato dei piatti pronti freschi ha registrato un giro d’affari pari a oltre 351mio€ (quasi 42 mila tonnellate in termini di volumi) con una crescita del 11.4%. Rispetto al totale Fresco che cresce con ritmi più modesti, i piatti pronti hanno conosciuto uno sviluppo eccezionale con un incremento di quasi 140milioni di Euro negli ultimi 3 anni (+18.4% medio annuo), arrivando a pesare nel 2017 il 3.1% sul totale comparto refrigerato a peso imposto. Molto diverse le dinamiche negli altri comparti dove i primi piatti ambient e surgelati alternano performance pressoché stabili o  leggermente negative  ormai da qualche anno (rispettivamente CAGR a valore ultimi 3 anni -0.7% e -0.4%). Il confronto quindi non lascia spazio a dubbi sul fatto che il fresco sia sempre più catalizzatore di attenzioni da parte del consumatore e delle industrie.

Mappa dei consumi

A trainare le vendite dei piatti pronti freschi è il Supermercato che sviluppa il 70% dei volumi e cresce del 15.6%. Anche Negozi di vicinato e Ipermercati mostrano una certa dinamicità, attestandosi su tassi di crescita rispettivamente del +10.7% e +8.3%. Per quanto riguarda le aree si registra un’importante polarizzazione dei consumi verso il Nord Ovest, che veicola il 44% del fatturato della categoria, mentre il Sud, risulta fortemente sotto dimensionato raggiungendo solo l’8% (media sul Fresco 15.7% del giro d’affari).

La categoria si compone di tre macro segmenti: Primi piatti (169 mio€) che vanno dalle leggere zuppe o insalate di riso/altri cereali, alle ben più sostanziose lasagne; Secondi piatti (161 mio€) che comprendono piatti elaborati come spezzatino o vitel tonnè ma anche i più semplici hamburger panati o non, fino ad arrivare al mondo dei piatti a base vegetale.  Infine i Contorni che sono un segmento ancora ristretto ma molto dinamico (20mio€ , +19.6%) dove troviamo principalmente  i Purè e altri contorni ricettati. Le recenti dinamiche di consumo legate alla ricerca del benessere e della naturalità e alla riduzione della carne hanno fatto sbocciare un’offerta di piatti pronti freschi sempre più articolata e variegata, arrivando ad oggi a più di 90 referenze medie a scaffale e superando le 120 negli ipermercati.

Molte aziende hanno investito in questo segmento inserendo nuovi marchi o ampliando linee di prodotto già esistenti al fine di diversificare sempre più l’offerta, tanto che nel corso degli ultimi due anni abbiamo assistito ad un forte aumento delle referenze medie a scaffale (+17 2016 vs 2015, +8 2017 vs 2016).

Il segmento Vegetale: il caso” Burger”

È evidente come il segmento del Vegetale abbia svolto un ruolo protagonista all’interno di questo sviluppo specialmente nei Secondi piatti che sono stati la tipologia di prodotti che hanno maggiormente beneficiato della dinamicità degli assortimenti, raggiungendo le 49 referenze medie a scaffale (+5). Rappresentando ormai il 45% dei volumi del totale secondi piatti freschi, il mondo vegetale viene identificato sempre meno come  alimento privativo e  riservato ad una nicchia ristretta di consumatori (vegani e vegetariani);al contrario viene associato a benessere e salute in generale. Questi prodotti sono inoltre oggetto di sperimentazione da parte dei consumatori. È proprio qui che l’innovazione di prodotto si concentra ricercando nella ricettazione e nelle nuove tipologie di prodotto la chiave per il successo.

Il fenomeno appena descritto mette in luce un aspetto sul quale è opportuno fare una riflessione ovvero il rallentamento del  Burger. Con oltre 90 milioni di Euro di fatturato (equamente divisi tra base vegetale e base carne) essi sono da sempre le star dei Secondi piatti sviluppandone il 55% del fatturato. Ed è proprio la recente difficoltà del segmento dei Burger vegetale (-1.2% negli ultimi 12 mesi) a frenare l’andamento positivo. Questo è  ancora più evidente se restringiamo lo sguardo all’ultimo semestre dove registriamo un -11.0%.  Nel segmento dove la concentrazione di brand e prodotti è più elevata (15 referenze medie a scaffale) diventa quindi sempre più importante differenziarsi e trovare modalità di competizione alternativa.

Primi piatti: il ruolo delle Zuppe

Anche i primi piatti beneficiano del crescente impulso al benessere che è maturato nel consumatore negli ultimi anni. In modo particolare le Zuppe, con un fatturato che supera i 97 milioni di Euro e una crescita del 16.2% rappresentano il 57% del segmento e ne trainano la crescita grazie anche alla combinazione di gusti appaganti e se da un lato l’offerta è sempre più eterogenea, dall’altro il vissuto del consumatore che approccia il mercato dei piatti pronti freschi è quello di poca convenienza, giustificata dalla qualità dei prodotti. La battuta di cassa di un Primo piatto si aggira sui 2.99€, passando dai 2.75€ di una Zuppa fino ad arrivare ai 3.72€ di una Lasagna. Si registra più variabilità all’interno dei Secondi piatti con prezzi medi per unità che vanno dai 2.30€ per un Hamburger fino ai 5.00€ per un arrosto o uno spezzatino di carne.

Il livello promozionale della categoria viaggia su tassi del 35% per i Primi e sul 40% per i Secondi. In generale le offerte speciali vengono percepite come stimolo ad un consumo più frequente e come un supporto alla sperimentazione, che favorisce gli acquisti di prodotti e ricettazioni diverse.

di Irene Adami– Client Service Account Manager IRI

Bevande alla frutta: classiche e nuove. Un mercato bipolare

Questa volta i “giovani” non hanno scalzato i “vecchi”, né sono riusciti a rottamarli: nell’ampio universo delle bevande alla frutta, infatti, le tipologie classiche continuano a macinare successi.
Almeno stando a quanto ci raccontano le opinioni degli internauti. Ma procediamo con ordine, partendo dalle macro categorie in cui si sono aggregati i mood intercettati:

Si nota subito una polarizzazione: tra il 71% e il 78% troviamo i prodotti più tradizionali, storici; tra il 34% e il 42% troviamo le referenze più giovani ed innovative.
Vediamo ora come si sono aggregati gli argomenti maggiormente dibattuti:

Anche in questo caso spiccano degli accorpamenti:
– dall’80% all’84% troviamo proprietà alimentari, salute e qualità che riassumeremo in “argomenti qualitativi”;
– dal 62% al 67% troviamo prezzo, reperibilità, packaging che riassumeremo in “argomenti commerciali”;
– dal 18% al 44% troviamo km zero, tracciabilità, provenienza bio, ecologia che riassumeremo in “argomenti ecologici”.
Nel trattare tali argomenti i netsurfer manifestano una buona conoscenza delle materie.

Si cercano prodotti che non ingrassino, si dibatte su quali siano i dolcificanti e gli edulcoranti  salutari e non, si discute di contenuti calorici, valori nutrizionali, percentuali di frutta, vitamine,
sali minerali, così come è sempre acceso il confronto sui coloranti, sui conservanti.
Altri argomenti che infiammano gli animi sono il PET e la quantità di CO2 sprigionata per produrlo, il riciclo dello stesso PET, l’eccessivo utilizzo di trasporto gommato per la distribuzione, la scarsa ottimizzazione della logistica, lo sfruttamento delle fonti da parte dei produttori. Anche l’alluminio è oggetto di discussioni accese.
Il dibattito sul packaging, coinvolge anche il formato, la praticità e fruibilità del prodotto, a secondo che la confezione sia in PET, plastica, vetro o squeezable.
Non mancano infine menzioni per prodotti equo solidali (oltre la provenienza bio ed i km zero).

Vediamo ora come si ripartiscono gli argomenti trattati in base alle tipologie
di prodotto:

Per quanto riguarda i prodotti più giovani (nettari e smoothies) si scrivono in rete nella quasi totalità dei casi pareri riguardanti argomenti qualitativi ed ecologici; meno di un mood su due tratta argomenti commerciali.
Al contrario, per quanto concerne i prodotti più storici (succhi, juice drink, succhi arricchiti), si scrive maggiormente di argomenti commerciali, quindi qualitativi, e solo poco più di un giudizio ogni dieci riguarda l’ecologia.

Analizziamo, adesso, il livello di soddisfazione:

I prodotti storici (succhi, juice drink, succhi arricchiti) soddisfano molto (sempre sopra l’80%) per qualità, di cui abbiamo visto che si scrive in più di sette pareri su dieci, e per argomenti ecologici, di cui però si scrive solo in poco più di un’opinione ogni dieci.
Appena sufficiente la soddisfazione riguardante le argomentazioni commerciali che riguardano circa un parere su otto.
I prodotti giovani (nettari, smoothies), soddisfano molto i naviganti da un punto di vista commerciale, anche se i pareri in merito sono meno della metà, ma fanno segnare un  oddisfazione discreta in ambito qualità ed ecologia, argomenti trattati nella quasi totalità delle opinioni scritte in rete.

Profilo socio demografico
A lasciare il proprio parere in rete sono specialmente le donne (61%), mentre sul fronte anagrafico le 3 fasce d’età fino ai 50 anni sono equamente rappresentate. Sul fronte geografico, invece, appare evidente un gap tra settentrione e meridione: solo un parere ogni quattro, infatti, proviene
dal Sud. Infine in base alla tipologia di urbanizzazione, emerge che le zone metropolitane e le aree urbane fanno la parte del leone, rappresentando l’80%.

di Gian Marco Stefanini

Retail sportivo: il 2017 è stato l’anno delle grandi catene con più di 10 negozi

La gara si gioca tra pochi. Ovvero, tra quelli che possono contare su almeno 10 punti di vendita. Agli altri, il 90% degli operatori, la media matematica lascia le briciole o poco più. E’ la grande distribuzione a conquistare la maggioranza dei consumatori al momento dell’acquisto di attrezzi e abbigliamento dedicati all’attività fisica. A testimoniarlo, i dati pubblicati nello studio “La distribuzione degli articoli sportivi in Italia nel 2017”, condotto dalla società di ricerche di mercato Dimark. La survey non lascia dubbi: il settore è caratterizzato da una forte polarizzazione. Un club ristretto di 12 catene, che peraltro gestiscono solo l’11% dei pdv attivi nel settore, sviluppa ben il 48% del totale degli acquisti.

Come dire, insomma, che le grandi insegne recitano oggi la parte del leone. E questo grazie a una politica espansiva che si è focalizzata sui centri urbani di maggiori dimensioni e su assortimenti a minore tasso di specializzazione tecnica. E che ha visto una decisa e robusta accelerazione durante lo scorso anno. Anche in questo caso la conferma viene dai numeri: sempre secondo l’analisi fornita da Dimark, nel 2017 il saldo tra aperture e chiusure di negozi appartenenti alle catene risulta nettamente positivo rispetto al 2016, trainato da 49 inaugurazioni, cui si contrappongono soltanto 9 cessazioni di attività. Il che corrisponde a un’implementazione importante: negli anni più duri della crisi, dal 2013 al 2016, infatti, le insegne avevano mantenuto un atteggiamento prudenziale, non spingendosi mai oltre le 17 nuove aperture all’anno, a fronte peraltro di valori ben più alti corrispondenti alla voce “chiusure” (nel 2015 si toccò il punto più critico con 45 interruzioni).

Sport fashion e shopping experience

Ora, evidentemente, qualcosa è cambiato. Individuare che cosa, però, può non essere immediato. «Le ragioni alla base di questa ritrovata vitalità sono molteplici – spiega Manuela Viel, direttore generale di Assosport, l’associazione nazionale che, a monte della filiera, riunisce 140 aziende produttrici della sports industry, il cui fatturato aggregato raggiunge i 4,5 miliardi di euro -. Innanzitutto, si deve considerare il migliorato scenario economico complessivo. In secondo luogo, va tenuta in considerazione la sempre maggiore attenzione che a livello sociale viene riservata al wellness. Infine, occorre non dimenticare l’evoluzione del concetto di sport fashion, che ha comportato l’allargamento delle occasioni di utilizzo di capi un tempo specificamente destinati ad essere indossati durante le attività sportive. A tutto questo si deve poi aggiungere anche la capacità delle catene di creare all’interno dei punti di vendita percorsi evoluti di shopping experience, capaci di travalicare il puro acquisto per sconfinare nella sperimentazione sul campo delle referenze proposte, secondo un ricco carnet di iniziative e attività».

Solo teoria? Pare proprio di no, almeno a giudicare dalle indicazioni rilasciate dalle stesse insegne. Che, dati alla mano, confermano la crescita, come pure le motivazioni che ne sono alla base.

La strategia di Decathlon…

Così vale, ad esempio, per Decathlon. La catene francese ha visto nel 2017 il proprio fatturato italiano superare quota 1,6 miliardi di euro, grazie a un incremento del 7,2% rispetto all’esercizio precedente. Una progressione che ha trovato sostanziale riscontro anche nell’andamento quantitativo degli acquisti: gli scontrini omnicanali erogati – pari a 43.524.138 milioni – hanno infatti messo a segno una progressione del 7,4% rispetto al 2016.

La unit italiana del gruppo è così arrivata a contribuire per il 14% sul fatturato realizzato a livello globale. Un obiettivo raggiunto facendo leva principalmente su due direttrici di sviluppo. Da un lato, quella che rimanda alla rete fisica dei negozi sulla quale la catena ha continuato a scommettere e investire inaugurando nel solo 2017 6 nuovi punti di vendita, tutti nell’area del centro-nord del Paese. E su questa strada si continuerà a muovere anche nel 2018. Nei prossimi mesi – fa sapere l’azienda – saranno inaugurati altri 5 nuovi negozi che si aggiungeranno quindi ai 118 esistenti sul territorio nazionale. E che grazie a format diversi – si adotteranno perfino “taglie” piccole, da 125 mq – potranno presidiare anche i centri cittadini. La presenza sul territorio è infatti considerata dall’insegna imprescindibile, perché consente di stringere con il cliente una relazione capace di andare ben oltre la semplice, seppur basilare, transazione economica. “Nella nostra filosofia – spiegano da Decathlon – i punti di vendita sono diventati luogo di esperienza sportiva dove proporre non solo l’offerta più adatta alla pratica e il test dei prodotti prima dell’acquisto, ma anche la possibilità di praticare sport, attraverso l’organizzazione di eventi gratuiti o l’opportunità di seguire corsi. O ancora di convertire i punti della propria fidelity card in esperienze sportive in circa 1.500 strutture convenzionate per un totale di 9.500 attività prenotabili”. In una parola, i negozi diventano il canale in cui fare confluire un “mondo” di esperienze costruite intorno al brand.

Mondo che trova poi un fondamentale completamento nell’offerta digitale, ovvero nell’altro asset di crescita dell’insegna, capace di regalare anche nel nostro Paese non poche soddisfazioni a Decathlon: grazie ai 26,4 milioni di utenti unici registrati dal sito, la cifra d’affari digitale ha infatti raggiunto il 3,5% del fatturato generato dalla catena in Italia, in buona crescita rispetto al 3,25% registrato nel 2016.

… e quella di Cisalfa

A correre sul doppio binario rappresentato da negozi e web è anche la strategia adottata da Cisalfa Sport, catena specializzata presente in Italia con 143 punti di vendita, che ha archiviato il 2017 con un giro d’affari di 460 milioni di euro, di cui 380 fatturati da Cisalfa e 80 dal gruppo d’acquisto internazionale Intersport. Un risultato frutto di una crescita del 12% rispetto al 2016, che apre le porte alla possibilità della quotazione in Borsa.

«Sul fronte del retail – anticipa il direttore vendite di Cisalfa Sport, Boris Zanoletti – pensiamo, tra nuove aperture e chiusure, di arrivare a fine 2018 con un saldo attivo di 2 o 3 negozi. La nostra attenzione non è infatti focalizzata tanto sul mero sviluppo quantitativo, quanto sulla capacità di dare qualità alla nostra crescita».

E proprio in questa logica si colloca l’introduzione del nuovo format 3.0, al momento utilizzato per i negozi di grande metratura, che rappresentano circa il 10% della rete. «Si tratta di un layout basato sull’utilizzo di materiali ecologici e illuminazione led a basso consumo, che permette di fare dello shopping un’esperienza emozionale, ma al contempo virtuosa sotto il profilo dei prezzi – spiega Zanoletti -. Intendiamo così intercettare un pubblico diversificato, non più composto dal solo nucleo familiare, ma ormai allargato anche al target dei giovani, che trovano nella forza numerica e qualitativa delle nostre referenze un valido spunto d’acquisto».

Nuove mosse sono poi attese anche nell’ambito del presidio della Rete. L’azienda ha infatti messo sul piatto 5 milioni di euro per potenziare lo sviluppo del canale e-commerce che già oggi conta 5 milioni di visitatori l’anno capaci di generare una spesa media di 100 euro, e che proprio entro il 2018, è destinato a diventare un asset molto importante. «Gli investimenti digitali – afferma Zanoletti – ci stanno aprendo nuovi orizzonti, complicati e affascinanti al tempo stesso». Orizzonti che si inseriscono in un solco ben definito: offrire servizi declinabili sia nel virtuale sia nel negozio fisico. «Il cliente può acquistare online con consegna a domicilio, oppure scegliere il ritiro, senza spese di spedizione, in qualsiasi negozio sul territorio. E in caso di restituzione, si ha a disposizione l’opzione di reso gratuito online – un servizio non sempre usuale -, oppure la possibilità di rivolgersi direttamente in store», precisa Zanoletti.

Il vantaggio del web

Le indicazioni raccolte sul campo sembrano insomma andare nella stessa direzione: il web rappresenta oggi un canale più che significativo per il settore, destinato peraltro a mettere a segno ulteriori crescite. A patto però di saperne sfruttare appieno le caratteristiche. La seppure recente storia del canale digitale insegna, infatti, che il giusto approccio al mezzo e la capacità di recepirne con anticipo gli sviluppo futuri possono fare la differenza. Lo dimostra il caso di Maxi Sport, network lombardo che conta 3 punti di vendita nell’hinterland milanese e che in tempi non sospetti ha creduto nell’ecommerce facendone uno dei propri principali cavalli di battaglia. «Abbiamo inaugurato il nostro presidio di vendita online nel lontanissimo 2002 – ricorda Emanuele Sala, titolare e responsabile commerciale dell’insegna -, in largo anticipo quindi rispetto alla maggior parte dei player del settore. Un’intuizione che ha impresso un importante impulso al nostro giro d’affari: il web ci ha consentito infatti di ampliare il bacino di utenza all’intero territorio nazionale, con riflessi importanti sul fatturato, tanto che oggi le vendite digitali rappresentano il 30% dei 40 milioni di euro registrati nel 2017. Ma non è tutto. Sono proprio gli scontrini digitali ad apportare il principale contributo al tasso di crescita dell’azienda, che sempre nello scorso anno si è assestato in media al 20%».

Attenzione però a non cadere in facili entusiasmi: la rete è – e sarà – uno strumento irrinunciabile, ma altrettanto saranno i negozi fisici. Lo confermano le prossime mosse della stessa Maxi Sport «Abbiamo in programma nuove aperture di punti di vendita sempre nell’hinterland milanese – anticipa Sala -, che si affiancheranno a quelli già attivi in Lombardia, più precisamente a Lissone, Merate e Sesto San Giovanni».

Come dire, insomma, che la strada per la crescita passerà dalla capacità di trovare il giusto equilibrio tra le due anime: brick and mortar e digital.

 

 

 

 

di Chiara Bandini

Outlet, un nuovo approccio: così evolvono per attirare i turisti

916 euro a persona è lo scontrino medio in Italia dei turisti stranieri tax free, una cifra un po’ al di sotto della media mondiale (1023 euro) ma che fa comunque gola a sempre più realtà che si stanno organizzando per attirare questa particolare categoria di clienti alto spendenti. Sul tema alcuni Paesi turistici sono sicuramente più avanti: è il caso della Spagna che nel 2015 si è dotata di un piano strategico per lo shopping tourism, seguita nel 2016 da Andorra che si sta proponendo sui mercati come Shopping destination, una destinazione che viene visitata con lo scopo principale di effettuare acquisti compulsivi. Andando più lontano, la Malesia si è dotata già nel 2003 di un Segretariato per lo shopping e oggi gli acquisti retail rappresentano per il paese asiatico la prima componente di spesa turistica.

Una miniera ancora poco sfruttata

In Italia non c’è ancora attenzione da parte delle istituzioni pubbliche a questo fenomeno e l’affermazione di questo modo di fare turismo è lasciata all’iniziativa dei privati, in particolare nei luoghi in cui si concentrano gli arrivi come aeroporti e stazioni, le città d’arte e i grandi centri commerciali e outlet della Penisola.
L’Italia fra l’altro è una delle mete più ambite: secondo i dati dello Shopping Tourism Italian Monitor sono 1,5 milioni i turisti che visitano ogni anno la penisola con lo shopping come motivazione principale: un dato in crescita nei primi mesi del 2018, secondo quanto emerge dai dati elaborati da Premier Tax Free, azienda leader nell’elaborazione di pagamenti digitali multivaluta. Con un +10% in vendite tax free e +8% in numero di transazioni dall’inizio del 2018, l’Italia è l’unico paese europeo a registrare un incremento rispetto a tutti gli indicatori chiave.

Il nostro Paese consolida così il primato raggiunto nel 2017 in termini di crescita nei volumi di vendite tax free: ai vertici del ranking Europeo 2017 ci sono infatti 3 città italiane con crescite anno su anno pari a +22% per Roma, +21% Firenze e +20% Milano, seguite da Madrid (+17%) e Barcellona (+14%).

Nei primi due mesi del 2018 è stato l’arrivo di cinesi, russi e americani  – che detengono rispettivamente il 30%, l’14% e il 6% del mercato tax free –  a determinare la crescita in termini di flussi turistici e di vendite in Italia, considerata sempre più la destinazione ideale per fare acquisti.

Il ruolo degli outlet: Fidenza Village

Il concetto di shopping destination sta facendo breccia soprattutto nel mondo outlet dove abbiamo assistito a due rebranding nel giro di pochi mesi: da una parte abbiamo Value Retail, che in Italia è presente con Fidenza Village, che ha deciso di rinominare la propria collezione di outlet con il brand “The Bicester Village Shopping Collection”. Bicester Village è la cittadella dello shopping inglese che macina 6,4 milioni di visitatori all’anno, il 60% dei quali sono turisti: l’obiettivo del rebranding è trasferire il concetto che l’esperienza di shopping  realizzata nell’outlet di punta di Value Retail si può provare anche in tutti gli altri outlet del gruppo.

“Con l’adozione di “The Bicester Village Shopping Collection” Value Retail ha guardato al cuore del proprio successo, dove tutto cominciò nel 1995 con l’inaugurazione di Bicester Village, il Villaggio tra Londra e Oxford che ha inaugurato la Collezione di città dello shopping – ci spiega Silvia Tagliaferri, tourism director di Fidenza Village –. Il 2018 sarà per noi un anno importantissimo, dalle grandi opportunità di crescita e stimoli di livello internazionale. Per questo abbiamo sviluppato un modello di business distintivo che mette al centro l’ospite, prestando la massima attenzione alla qualità del servizio e all’accoglienza, con soluzioni flessibili e su misura per tutti gli ospiti, sia italiani, sia internazionali”.

Per la primavera 2018, ad esempio, Fidenza Village ha sviluppato dei pacchetti di esperienze turistiche in collaborazione con le eccellenze del territorio che vanno dalla scoperta di Parma, capitale italiana della cultura 2020, alle attrazioni più famose della zona, dal museo Ferrari, al Labirinto della Masone, il più grande al mondo.

Il ruolo degli outlet: Land of Fashion

Il secondo rebranding riguarda 5 city outlet italiani che si sono riuniti sotto un unico marchio: Land of Fashion che racchiude gli outlet di Franciacorta, Mantova, Palmanova, Puglia e Valdichiana, di proprietà del fondo statunitense Blackstone e gestiti da Multi Outlet Management Italy (Momi). La gestione del progetto è stata affidata all’agenzia di marketing Hubsolute diretta da Mauro Acquati che ci spiega: “La strategia di posizionamento di Land of Fashion si basa su quattro pilastri: l’attivazione di contratti con key player del turismo incoming attivi sui territori, la collaborazione con il trade nel creare prodotti ed itinerari innovativi che includano una shopping experience al top,  l’incentivazione diretta ai visitatori attraverso carte fedeltà e benefit e infine la promozione sulla travel industry italiana ed estera dei mercati di riferimento – quelli di lingua tedesca, russo, cinese e statunitense per cominciare – attraverso iniziative di marketing e comunicazione, nonché visite on site”.

“La strategia di posizionare gli outlet come destinazione – prosegue Acquati  – prevede una forte sinergia con le risorse del territorio. Per questo nel 2017 abbiamo deciso di raccontare i 5 territori di Land of Fashion attraverso i vini, a partire dal più noto che è quello di Franciacorta che a settembre 2018 vedrà un ulteriore espansione con 30 nuovi negozi. Il marchio può funzionare diversamente a seconda dei territori in cui è utilizzato: ogni destinazione è legata a una domanda più specifica ed è nostro compito fare un’accoglienza dedicata in base ai flussi dei visitatori”.

 

 

 

 

 

di Domenico Palladino

Mi Tienda: il business dell’enclave, dedicato esclusivamente al pubblico ispanico

I flussi migratori e la mobilità umana caratterizzano la nostra epoca e creano  specifiche opportunità imprenditoriali che, nel campo del retail, richiedono creatività e una particolare propensione al rischio. Il commercio è (da sempre) una relazione sociale fondata sull’empatia tra chi desidera possedere qualcosa e chi auspica di cederla con profitto. Parimenti, la diffidenza e il pregiudizio sono i maggiori nemici del commercio. È immediato comprendere, allora, che le ampie differenze culturali che esistono da tempo tra la robusta componente ispanica (40% della popolazione) e quella anglosassone del Texas (o Tejas nell’antica lingua Caddo) sono una complicazione ulteriore per una  catena che voglia operare nel grocery.

La storia

I supermercati per i latinos sono, negli USA, sempre più numerosi e molto dinamici. La loro clientela è più giovane della media, esprime bisogni non ancora saturati ed è dotata di una propria specifica cultura di consumo. Queste sono alcune delle ragioni per le quali la decisione della H.E. Butt Grocery, di aprire formati di vendita totalmente dedicati al pubblico ispanico è oltremodo interessante. Nel 2006, H-E-B completò la ristrutturazione  di un proprio superstore di 6000 m2 nei pressi di Pasadena, la cittadina a sud di Houston, dedicandolo totalmente alla comunità messicana ivi residente, che contava per circa il 70% della popolazione totale e battezzandolo Mi Tienda. A tale scopo vennero assunti 350 dipendenti tutti bilingue, incaricati di gestire acquisti e vendite autonomamente rispetto alla casa madre, la quale gestiva ormai 300 degli attuali 350 punti di vendita di vario formato. Il successo fu superiore alle attese e dunque l’esperimento divenne parte della strategia di lungo termine del gruppo, tenuto conto che il mercato è già presidiato da insegne grandi e piccole come El Rancho, El Rio Grande, Fiesta, Mi Pueblo, El Ahorro … Dunque nel 2011 venne aperto uno store gemello a Nord di Houston e nel 2012 un modello ibrido ispirato a questa tendenza, ad Austin. Nei prossimi anni i Mi Tienda dovrebbero divenire 4.

L’approccio giusto

Agli occhi dei latinos texani, va detto, l’intrusione in questo settore di H-E-B, una catena di “gringos” attiva sin dal 1905 e ora leader indiscusso del comparto grocery in Texas (con propaggini in Messico) e oltre 100.000 dipendenti per un fatturato di circa 22 miliardi di dollari, avrebbe potuto risultare inautentica. Al contrario, ed è questo l’aspetto affascinante dell’impresa, il management del gruppo ha saputo calarsi in quell’ambiente culturale delegando la gestione autonoma del nuovo formato a personale di quelle comunità.

Il proprio modello alimentare, com’è noto, è l’identificativo più forte e motivo di orgoglio di ogni minoranza e di ogni enclave etnica. Pertanto, la cura del dettaglio in ogni aspetto è fondamentale per immettere veridicità nella proposta a lei destinata.  Ebbene, pur non potendomi calare nell’habitus mentale di un latino, l’esperienza d’acquisto dentro Mi Tienda, mi è parsa del tutto paragonabile ad altre insegne più “veraci”, ma con una pulizia e un servizio al cliente meno curati. Ciò che colpisce è l’atmosfera calda, rumorosa di un vero mercato di quartiere seppur dentro una “big box”, con i suoi colori pieni, violenti e vibranti  e un sottofondo continuo e coinvolgente di musiche mariachi, norteña, ranchera. Il personale, che indossa le tradizionali guayabera, ovvero le camicie con ricami, interagisce con il pubblico ad alta voce, scherzando, consigliando e promuovendo i prodotti serviti al banco della macelleria, della pescheria, del forno e della gastronomia.

L’assortimento

Questa offerta, in particolare, appare espansa  rispetto ai supermercati più generalisti, in quanto l’acquisto di prodotti freschi si avvicina al 70% del totale grocery, dato che le famiglie hispaniche nutrono ancora diffidenza per il prodotto industriale confezionato. I loro nuclei familiari allargati (il 20% è costituito da 4 persone e il 23% da più di 5 persone) praticano ancora diffusamente la cucina in casa “from scratch”, preferendo ingredienti carnei e vegetali di base. Ne consegue che il reparto ortofrutta esibisce una ordinata massificazione, funzionale ad una rotazione del prodotto notevolmente più celere di quella degli altri classici supermercati con le loro eleganti esposizioni a piramide. Cambia ovviamente l’assortimento, in base al forte consumo della clientela di frutta fresca che annovera, naturalmente anche varietà esotiche come Feijoas, Mamey, Tamarillos, Atemoya, Tejocotes, Jicama, Breadfruit, Jackfruit, Guava e tanti tipi di Mango: Calypso, Ataulfo, Australian, Jumbo … Egualmente profonda è l’offerta di peperoni e chili quali Pods, Ghost, Pasilla, Shisito, Ancho, Habanero, Red Bell, Anhaim, Chilaca, Manzano, Guajillo, Poblano, Serrano, … oltre a tipicità (per noi) come i Nopales (pale di cactus) nettati dalle spine e vari tipi di mais Bianco, Giallo, Rosso, Blu, Nero, Viola.

Un’altra peculiarità si coglie nel lungo banco della macelleria che allinea, ordinatamente, oltre alle tante varianti di chorizo e di salsicce di produzione propria, 60 tagli con le varie porzionature delle carni avicole, suine e bovine. Nella cucina messicana ed in quella sudamericana non sprecano nulla. Troviamo dunque un’ amplissima selezione che, partendo dalle parti nobili del pollo, marinate, insaporite in vario modo e pronte da cuocere, arriva alle frattaglie, alla testa e alle zampe, così come accade per il suino. Impressionante è anche il corner del ‘pollo asado’ (a complemento della gastronomia) in grado di arrostire simultaneamente sulla graticola oltre 100 capi.

Elogio della panadeira

Altri indubbi punti di forza  sono costituiti dalla pasticceria e dalla panaderia con le sue 80 varietà di pane dolce, oltre ai più i classici Pan de elote, Buñuelos, Conchas, Pupusas e soprattutto tantissime tortillas fresche (di mais bianco e blu, alla fragola, all’ananas e al peperoncino) prodotte in loco, sebbene HEB sia dotata di un impianto in Corpus Christi che ne sforna 72.000 all’ora.

Altrettanto ricco è il reparto della gastronomia, collegato come in quasi tutti i supermercati americani alla Cocina, l’area della ristorazione in cui consumare tacos, torte, carnitas, tamales, chimichangas, menudos (stufati), tingas e poi le creme e le salse, tra le quali il celeberrimo mole,  dall’ampio menu di una cucina cubana e messicana sempre più apprezzate negli USA. Complementare ad essa è l’immancabile chiosco delle “aguas frescas”, un juice bar dove il cliente può dissetarsi con almeno una decina di bevande alla frutta fresca, ovviamente prodotte in-store, e altri succhi.

Il fascino del pdv fisico

Ovviamente pur nell’enfasi della tradizione non poteva mancare la partnership con Instacart e Shipt per la consegna degli acquisti a domicilio, anche se il pubblico latino preferisce ancora acquistare direttamente nel punto di vendita il quale, frequentemente, diventa teatro di eventi in occasioni di celebrazioni e di festività cattoliche.  In questo senso, Mi Tienda assolve a quel ruolo di aggregatore di una componente etnica che (più di quella afroamericana e anche di quella asiatica) contribuisce, per parte sua, al consistente mutamento linguistico, culturale e consumistico del mainstream degli USA.

 

 

 

di Daniele Tirelli

Big Data: nel marasma dell’informazione come scegliere quella di qaulità

Se c’è qualcosa che non può dirsi innovativa è l’idea dei Big Data come soluzione esplicativa
della complessa fenomenologia socio-economica.
Tale può apparire solo agli spiriti semplici sempre pronti a farsi apostoli dell’ultimo neologismo
americano. Il mito dei tanti dati, della più diversa natura, da cui derivare ‘leggi’ che governano il comportamento umano, ha affascinato uomini di genio già molto tempo fa. Francis Galton, un cugino di Charles Darwin, visse di rendita per 89 anni, assecondando la sua smodata bulimia per le più diverse ‘metriche’ socio-antropologiche.

Per anni e anni classificò migliaia di delitti e di sentenze per scoprirne le regolarità implicite. Allo stesso tempo misurò ossessivamente tutte le caratteristiche antropomorfiche dei suoi contemporanei: nasi, occhi, capelli e loro colore, gambe, braccia, peso… Fu affascinato dalle diverse abitudini comportamentali e culturali, persino dalle reazioni dei visi alle corse dei
cavalli. Tentò di mappare l’estetica femminile britannica, classificando i tratti che rendevano le ragazze più o meno attraenti. Infine, instancabile, concluse anche che le impronte delle dita non solo erano diverse le une dalle altre, ma che non mutavano nel corso della vita umana, fornendo così la chiave per nuovi metodi investigativi ancor oggi in uso.
Tuttavia le induzioni più rilevanti di questo suo misurare e correlare maniacalmente tutto, confluirono nella sua ‘nuova scienza’ che egli battezzò eugenica, un nome che oggi evoca orribili ricordi, sia delle tesi segregazioniste, sia di quelle naziste. Prima di Galton, il mito dei Big Data aveva ossessionato anche un’altra mente geniale: quella del belga Lambert Adolphe Jaques
Quetelet, che giunse a formulare la celeberrima (e deteriore) definizione di ‘uomo medio’ (energicamente respinta, già ai suoi tempi, da Antoine-Augustin Cournot). Tuttavia la questione essenziale era stata evidenziata.
Come distinguere, nel marasma delle informazioni disponibili, la significatività o la casualità di ciò che si documenta? I fenomeni sociali ed umani hanno natura diversa da quelli naturali, fisici, – osservava Cournot! Oggi gli americani (sempre loro!) convengono su un punto: Garbage-In-Garbage-Out, ovvero con dati spazzatura si ottiene spazzatura.
Ecco perché risulta fastidioso sentir parlare di grandi progetti che, in virtù di una potenza di calcolo crescente, dovrebbero dare significato a dati di vendita, opinioni sui social network, analisi semiologiche,… tutti mischiati in una bouillabaisse algoritmica miracolosa.

Ed ecco la pars costruens
Nondimeno, per far seguire alla critica un pensiero positivo, diremo che esistono progressi seri ed utili sul piano informativo. Tra essi ne citiamo uno originale e di casa nostra: il progetto Immagino curato da GS1. L’idea è semplice e sfidante, ovvero rilevare e classificare tutte le caratteristiche riportate sulla confezione dei prodotti di largo consumo, assieme alla loro immagine riconducendoli all’identificativo del codice EAN.
Il marketing del settore non sembra aver ancora compreso le potenzialità di questi nuovi ‘big data’
strutturati e standardizzati. Eppure esse sono enormi. Ciò per varie ragioni. La prima è che l’informazione raccolta è oggettiva e dunque confrontabile trasversalmente e lungo la dimensione del tempo.
La seconda è che questa rigorosa base definitoria di marche e prodotti è stabile nel tempo. Ciò
permette una corretta individuazione di eventuali trend di specifiche merceologie. La terza è la sua
adattabilità a ragionamenti di tipo abduttivo, grazie alla possibilità di definire, logicamente, proprie arene competitive. Possiamo cioè scegliere un ampio numero di caratteristiche oggettive, per esempio organolettiche o chimiche o di altra natura per paragonare razionalmente qualcosa a qualcosa d’altro.
Per essere più chiari presenteremo allora un semplicissimo esempio introduttivo. Prendiamo da
Immagino due piccoli gruppi di marche di yogurt bianco e alla fragola, con le loro caratteristiche
nutrizionali. Usando una statistica multivariata: la Correspondence Analysis o la Multidimensional
Scaling, otteniamo una mappa percettiva che rappresenta la distanza multidimensionale di queste
marche. Si tratta di un primo elementare passo nello studio dell’arena competitiva basandoci su tutto ciò che è scritto sulla confezione. Che cosa leggiamo dunque nelle mappe così ottenute? Nel caso dello yogurt alla fragola, il posizionamento delle marche è maggiormente distribuito nello spazio ed alcune si collocano in prossimità di specifiche caratteristiche; diciamo la quantità di grassi. Allora utilizzando altri dati Nielsen, potremmo verificare se i risultati di vendita seguono una tendenza comune ad altri prodotti anch’essi più grassi degli altri, oppure se la spiegazione vada cercata in altre direzioni.
Nel caso dello yogurt bianco notiamo, invece, un addensamento in una zona del grafico, a  omprova che le caratteristiche organolettiche (grassi, zucchero, calorie, ecc.) non discriminano tra quelle marche, poiché il prodotto è più o meno lo stesso.
Proseguendo e sfruttando altri dati disponibili, potremmo poi verificare se questi marchi convivono
nei medesimi punti di vendita, misurandone l’overlapping. Nel caso siano presenti negli stessi
negozi, passeremmo a evidenziare la distribuzione dei loro prezzi relativi. Ulteriormente, tenteremmo di valutare aspetti soggettivi tratti da altre analisi,
tipo la qualità percepita, la fedeltà alla marca, l’estetica delle confezioni, il goodwill pubblicitario,
… In breve, la logica di tipo abduttivo sfrutterebbe progressivamente e in modo ragionato informazioni di diversa natura volte a probabilizzare la veridicità di una certa conclusione. Sino a prova contraria questo tipo di ragionamenti alla Sherlock Holmes, un computer non è in grado di farli, perché la nostra ‘misteriosa’ capacità di intuire e poi dedurne qualcosa è ciò che ci rende (non tutti) più intelligenti delle macchine. I dati di per sé non sono informazione.
L’informazione di per sé non è conoscenza. Il progetto Immagino di GS1 Italy è un bell’esempio
di come dei big data – well done(!) – possano effettivamente rivitalizzare lo stanco marketing del largo consumo, purché si aggiunga loro una reale, seria competenza statistica e soprattutto la pazienza, la meticolosità, lo spirito critico e il buon senso che governano la vera ricerca scientifica.

di Amagi

Burger King apre un nuovo negozio a gestione diretta a Reggio Emilia

BURGER KING®  ha aperto un nuovo ristorante a gestione diretta a Reggio Emilia in via dei Gonzaga, 46.

Il nuovo punto vendita di 430 mq dispone di un ampio parcheggio gratuito ad uso esclusivo della clientela e di 144 posti a sedere tra interno e dehor.

Con l’apertura sono stati creati 30 nuovi posti di lavoro, tra crew, figure manageriali e un direttore di ristorante. I dipendenti sono tutti giovanissimi e hanno un’età media di circa 26 anni.

All’interno del nuovo BURGER KING® i clienti potranno usufruire dei numerosi servizi dedicati alle famiglie e ai più piccoli, come l’area giochi Playking interattiva con la possibilità di organizzare feste di compleanno, il servizio King Drive per ordinare il proprio menù preferito direttamente dall’ auto e dei nuovissimi kiosk digitali per effettuare l’ordinazione in completa autonomia.

La nuova apertura di Reggio Emilia rappresenta un’ulteriore occasione irresistibile per provare il gusto superiore delle proposte dei menù dei ristoranti BURGER KING®, che si distinguono per la carne cotta rigorosamente alla griglia, le porzioni sempre abbondanti, la freschezza delle verdure e salse che rendono il sapore unico e inimitabile. L’alta formazione del personale permetterà ai clienti del ristorante di usufruire di un servizio di qualità e di assaporare cibi preparati al momento, nel rispetto dei più alti standard sul controllo degli alimenti.

Chef Express e SOGAER inaugurano i nuovi spazi ristorazione all’aeroporto di Cagliari

Chef Express (Gruppo Cremonini), e SOGAER, società di gestione dell’Aeroporto di Cagliari, hanno inaugurato i nuovi spazi di ristorazione completamente rinnovati all’interno del molo imbarchi del terminal, comprendenti il bar caffetteria Etigua by Lavazza, lo spazio di degustazione enogastronomia Gourmé, e il format di cucina e birreria in stile bavarese Löwengrube, ai quali si aggiunge il Market Viaggio Italia (con prodotti tipici italiani e sardi).

Gli spazi

Il bar caffetteria Lavazza Etigua prende il nome della miscela arabica proveniente da presidi slow food di Etiopia e Guatemala, e propone una vera e propria coffee experience, una degustazione del caffè di qualità anche nelle circostanze del viaggio. Il format debutta nella ristorazione aeroportuale, dopo essere stato lanciato in autostrada, nell’area di servizio di Novara sulla A4, e nella Stazione Termini di Roma.

Gourmé è lo spazio di degustazione enogastronomica sviluppato da Chef Express con Italia Alimentari, la società del Gruppo Cremonini specializzata nella produzione di salumi DOP e IGP di alta qualità. Offre la possibilità di gustare salumi, formaggi e prodotti tipici affiancati alle migliori scelte enologiche del territorio.

Löwengrube è un format che prende il nome dalla storica via di Monaco di Baviera dove nel 1383, nella locanda Zum Löwen, è stata prodotta la prima birra. Il brand è sinonimo di cucina e birreria bavarese in Italia e rappresenta un franchising di successo nel settore della ristorazione commerciale. Con 220 addetti su tutta la rete, Löwengrube è presente in Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Marche con 11 ristoranti e 4 wagen (food truck di street food bavarese, ideale per i food corner dei centri commerciali).  Entro il 2019, sono previste ulteriori 24 aperture di ristoranti e di 5 wagen.

I locali si sviluppano su una superficie complessiva di 440 mq, hanno 70 posti a sedere e danno lavoro a circa 50 persone.

Hanno detto

Alberto Scanu, Amministratore Delegato di SOGAER, ha dichiarato che “Poter offrire ai passeggeri dell’Aeroporto di Cagliari una gamma di servizi sempre più ampia e di livello è per noi un obiettivo primario. Negli ultimi anni, che ci hanno visto crescere costantemente in termini di destinazioni collegate e passeggeri internazionali, abbiamo puntato molto anche sullo sviluppo del settore retail, di cui la ristorazione è parte fondamentale. Siamo felici di poter affermare che in Chef Express abbiamo trovato un partner leale e affidabile, capace di adeguare la sua offerta e le caratteristiche dei suoi prodotti in modo da soddisfare le mutate esigenze dei viaggiatori del ‘Mario Mameli’, oggi più attenti e selettivi che mai”.

Cristian Biasoni, Amministratore Delegato di Chef Express, ha sottolineato che “la nostra collaborazione con l’Aeroporto di Cagliari prosegue proficuamente da 15 anni e siamo orgogliosi di poter presentare oggi due importanti novità nella nostra offerta, frutto di significative partnership: il nuovo bar Etigua, sviluppato in collaborazione con Lavazza, e Löwengrube, format di cucina e birreria in stile bavarese, con cui abbiamo siglato un accordo di sviluppo nei canali del travel retail. Dimostriamo ancora una volta di poter adattare i nostri format storici, o di lanciarne di nuovi, in funzione delle esigenze dei nostri clienti, nell’ottica di offrire un servizio sempre migliore e variegato ai viaggiatori”.

Pietro Nicastro, CEO and Founder Löwen-Com, ha dichiarato: “Siamo orgogliosi di questa partnership con Chef Express che apre a Löwengrube il settore della ristorazione travel. I passeggeri dell’aeroporto da oggi potranno gustare l’offerta gastronomica Löwengrube, composta da piatti della tradizione bavarese, come würstel, hamburger e stinco di maiale, cucinati secondo ricette tipiche preparate al momento, accompagnati da una selezione di birre spillate esclusivamente alla tedesca”.

Le aziende

Chef Express nel 2017 ha realizzato ricavi totali consolidati per oltre 573,3 milioni di Euro, di cui oltre il 75% derivante dalle attività in concessione (stazioni, aeroporti e autostrade in Italia, e a bordo treno all’estero). Nel settore della ristorazione in concessione Chef Express è leader in Italia nel mercato dei buffet di stazione, con 76 punti vendita in 47 scali ferroviari, è presente anche nel settore della ristorazione aeroportuale, con  49 punti vendita in 10 aeroporti italiani, e gestisce 51 aree di ristoro sulla rete autostradale italiana e sulle strade di grande comunicazione. Nel mercato della ristorazione a bordo treno Chef Express è leader in Europa con oltre 210 treni serviti quotidianamente in 5 Paesi Europei e in Turchia. Infine nella ristorazione commerciale controlla la catena di steakhouse a marchio Roadhouse Restaurant, che oggi conta 120 locali in Italia.

Chef Express è presente nell’Aeroporto di Cagliari dal 2003 e, oltre ai locali inaugurati oggi, gestisce dal 2016 il Wine Bar 1920, realizzato in collaborazione con il Cagliari Calcio.

In Italia, oltre a Cagliari, opera in altri 9 aeroporti: Trieste, Milano Linate, Milano Malpensa, Bergamo Orio al Serio, Verona, Pisa, Roma Fiumicino, Roma Ciampino e Bari.

Cremonini, con oltre 16.000 dipendenti, e un fatturato complessivo 2017 di 4,03 miliardi di Euro, di cui il 35% realizzato all’estero, è uno dei più importanti gruppi alimentari in Europa ed opera in tre aree di business: produzione, distribuzione e ristorazione. Il Gruppo è leader in Italia nella produzione di carni bovine e prodotti trasformati a base di carne e salumi (Inalca, Montana, Manzotin, Ibis) e nella commercializzazione e distribuzione al foodservice di prodotti alimentari (MARR). È leader in Europa nella gestione delle attività di ristorazione a bordo treno e detiene la leadership in Italia per quanto riguarda i buffet nelle stazioni ferroviarie; inoltre vanta una presenza rilevante nei principali scali aeroportuali italiani e nella ristorazione autostradale (Chef Express). È infine presente nella ristorazione commerciale con la catena di ristoranti di carne a marchio Roadhouse Restaurant.

 

IV gamma, ottime performance anche nel 2018: +5,2% a volume, +4,5% a valore

IV gamma in crescita anche nei primi sei mesi del 2018. Dopo un 2017 all’insegna del segno più anche ques’anno si rivela infatti profittevole per la categoria. Secondo rilevazioni Nielsen*, infatti, rispetto a giugno 2017 la crescita nelle vendite di ortofrutticoli di IV gamma è stata pari al +5,2% in volume e al +4,5% a valore. Il mese di giugno 2018 ha addirittura segnato +7,6% a valore e +11% a volume rispetto a giugno 2017.

Il successo si deve in primo luogo dalla crescita del parco acquirenti. Secondo i dati aggiornati al 17 giugno 2018, infatti, il numero di famiglie che acquistano prodotti di IV gamma risulta aumentato di circa 300.000 unità, toccando quota 19,6 milioni.

Il costante incremento del numero di famiglie che acquistano i prodotti di IV gamma è un segnale molto importante per tutto il settore” – commenta Gianfranco D’Amico, Presidente di AIIPA IV Gamma. “I dati attestano un atteggiamento di apprezzamento e fiducia da parte del consumatore nei confronti dei prodotti di IV gamma, reso ancora più significativo dall’aumento della frequenza d’acquisto”.

Del resto i numerosi vantaggi offerti da questi prodotti non si discutono: freschi e pronti per il consumo, non necessitano di ulteriori lavaggi domestici e, dal punto di vista nutrizionale, sono del tutto equiparabili agli ortaggi di prima gamma. Come ha dimostrato la recente ricerca “Il posizionamento dei prodotti vegetali freschi e pronti all’uso nella distribuzione moderna”, curata dalla Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Sede di Piacenza, è confermata l’esistenza di un nesso tra l’aumento nella quota di famiglie che acquista stabilmente i prodotti di IV Gamma e la maturazione di un atteggiamento “time for money” nei consumatori. Questi ultimi non solo privilegiano le proposte a maggior contenuto di servizio, ma riconoscono anche che l’offerta in assortimento sta migliorando, rendendo disponibili sullo scaffale prodotti che alla varietà e “completezza” del contenuto uniscono formati e packaging comodi e pratici.

 

* Fonte Nielsen: Market *Track – Iper + Super + Lis + HD – Dati aggiornati alla settimana terminante il 17/06/2018

D.IT lancia la nuova campagna, puntando sul digital

Al via la nuova campagna di comunicazione di D.IT – Distribuzione Italiana, il progetto multi insegna e multibrand lanciato lo scorso anno grazie al coinvolgimento di due marchi storici della distribuzione quali Sigma e Sisa.

Anche in questa occasione il retailer ha scelto di puntare sul digital, pianificando su siti web legati alla cucina e al mondo femminile, attraverso l’utilizzo di una piattaforma di acquisto spazi in programmatic, che in real time propone offerte all’interno del mercato globale del web in base alla profilazione richiesta.

I nuovi contenuti

Se la prima tranche della campagna era dedicata ad una comunicazione istituzionale, e quindi incentrata sui valori di riferimento delle insegne, al centro della nuova campagna sono protagoniste le nuove linee di private label specialistiche, trasversali alle diverse insegne del Gruppo. 

Settimana dopo settimana, dunque, verranno presentate Equilibrio & Piacere, la linea che coniuga bontà e benessere, dedicata a coloro che vogliono mangiare sano senza rinunciare al gusto; VerdeMio, una gamma di prodotti all’insegna di una bontà sana e consapevole, pensati per un target sensibile ai temi legati al rispetto dell’ambiente; e infine Gusto & Passione, una linea premium che propone una selezione di eccellenze gourmet e tipicità del territorio.

Le nuove referenze

Tutte le referenze sono il frutto di un’attenta selezione dei fornitori e di uno scrupoloso presidio della qualità a garanzia del consumatore, ancora una volta “al centro” delle strategie del retailer. Non a caso, il leit motiv della campagna è “la tua scelta”, declinata, a seconda della linea comunicata, sui concetti di benessere, bio e gourmet: un messaggio che esprime la volontà di instaurare un rapporto molto stretto con il consumatore. 

La comunicazione

A sostegno della pianificazione, la cui creatività è stata affidata all’agenzia LessIsMore, una contemporanea campagna sulle fanpage che ospiteranno, di volta in volta, i diversi messaggi veicolati sulle varie piattaforme digital, e l’implementazione di siti web dedicati alle diverse linee specialistiche – www.equilibrioepiacere.info, www.verdemio.info e www.gustoepassione.info – per raccontare, più nello specifico, le caratteristiche principali e i plus dei diversi brand.

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