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Carne di pollo, un settore che cresce da 5 anni

In controtendenza rispetto a molte altre filiere zootecniche, quella avicola, dal 2012 al 2016, ha fatto registrare segnali di crescita costante.

Secondo le rilevazioni Ismea il settore, infatti, vale alla produzione oltre 2,7 miliardi e incide sul fatturato agricolo per il 7,9% e per il 4,1% su quello industriale.

In termini di domanda interna, il pollo ricopre la quota più importante tra i prodotti carnei consumati nel 2016: 30%, mentre i consumi pro capite sono passati da 19,5 nel 2012 a 20,4 Kg nel 2016, superando il consumo pro capite dei carne bovina che si attesta a 17,1Kg.

Nell’ambito dei consumi domestici delle famiglie nell’arco del quinquennio ‘12/’16 la carne di pollo è l’unico prodotto a segnare un incremento dei volumi e della spesa.

Fonte Ismea

I consumi domestici analizzati per aree geografiche evidenziano andamenti positivi per le aree del Centro e del Nord, meno bene quelle meridionali, dove si registra una contrazione sia della spesa che dei volumi, ma probabilmente il dato è “viziato” dal fatto che in queste aree sono molto diffusi gli allevamenti amatoriali e l’autoconsumo, fenomeni che sfuggono alla rilevazione degli acquisti.

L’identikit del consumatore

Chi acquista di più carne di pollo?

Una rilevazione in base alle fasce di età ha dimostrato che i consumatori tra i 45 e i 54 anni mantengono stabili gli acquisti di prodotti avicoli sia in termini di volume che di spesa.

Aumentano invece i volumi del 7% tra i giovanissimi (sotto i 34 anni) e del 9% tra i consumatori over 64.

A tentennare sono invece gli acquisti effettuati da categoria con responsabile acquisti in fascia 34/44 anni (-8%).

I canali distributivi

Oltre 70% degli acquisti di carni avicole avviene negli iper/super mercati; in espansioneespansione anche i discount che stanno acquistando la loro fetta di consumatori (20% in quota con un trend nel quinquennio del +57%).

 

Ki-Best 2017 e Open-Inn Retail Award appuntamento al 26 ottobre

Ki-Best 2017 e Open-Inn Retail Award vi danno appuntamento a Milano, il 26 ottobre 2017, alle ore 14.30 – 19.00 per discutere di:

Tendenze emergenti e casi innovativi e di successo di aree Retail visitate dal team Kiki Lab nell’ultimo anno a Dubai, Nizza, Düsseldorf , Sydney, Londra …Alimentare, non alimentare, servizi, ristorazione rapida, centri commerciali, cross-canalità; catene indipendenti, start up; dal discount al lusso

Programma

Armando Garosci, Gior. Largo Consumo  – Introduzione e moderazione

Fabrizio Valente, founder e Amm. Del.  Kiki Lab – Retail tour virtuale

Testimonianze aziendali

             Fabrizio Brogi, Pres. NAU

             Elena Midolo, Amm. Del. Clio Make Up

             Pierluigi Bernasconi, Amm. Del. Mondadori Retail

Altre testimonianze in attesa di conferma

Testimonianze partner

             Luciano Roznik, Founder e Dir.Creativo AllWays

Premiazioni Open-Inn Retail Award

Apericena

 

Partner: Promotica, Allways, Retail Project

Media Partner: Largo Consumo, Beesness, Display Magazine, DIYandgarden, Infofranchising.it, InStore

Association Partner:  Assofranchising, AICEX, Be The Boss, Confimprese, Federmobili, GS1 Italy

Award Partner: Insegna dell’Anno, Superbrands

Event Partner: Salone Franchising Milano

Uber, sfida alla produttività. La legge del libero mercato

Il servizio di trasporto urbano di Uber è, senza alcun dubbio, una sorprendente realtà per chi lo sperimenta per la prima volta e a New York City in particolare. Gli Yellow Cabs sono un simbolo della città e catturano la nostra fantasia, ma in realtà sono mezzi quantomai scomodi: lo spazio per i passeggeri viene sacrificato per consentire al conducente di stare per 10 ore al volante un po’ più comodo, i sedili e gli ammortizzatori sono usurati, i prezzi sono alti perché regolati dall’amministrazione municipale che ha concesso solo 13000 medallions (licenze). Un tal numero di vetture si rivela del tutto insufficiente nelle ore di punta della metropoli o quando piove. In più gli Yellow Cabs si concentrano a Manhattan trascurando gli altri quartieri meno redditizi.

Questo razionamento ha portato il prezzo di una licenza vicino a 1 milione di dollari. Ne consegue che quasi nessuno riesce ad acquistarla singolarmente e ad avviare un’attività individuale. Le licenze e i taxi appartengono, infatti, a compagnie che assumono autisti stipendiati con bassi salari, per cui la mancia diventa un obbligo da parte dei passeggeri.

Uber e i suoi fratelli

New York è diventata però una specie di paradiso per gli utenti dei trasporti urbani, in quanto accanto agli Yellow Cabs, sono comparsi i Green Cabs e, oltre ad Uber, i suoi imitatori-concorrenti Lyft, Gett, Juno, Via. Tutto ciò è il frutto di una convergenza di tecnologie che hanno contribuito a far emergere il libero mercato nella sua forma più pura. Chi ha un’auto adeguata e la licenza per trasportare altre persone può diventare tassista part-time o a tempo pieno. Per questa ragione Uber prefigura un futuro che inevitabilmente toccherà, tra mille resistenze, anche il nostro paese, anche altri settori tra cui il retail. Grandi compagnie come Wal-Mart stanno già sperimentando la possibilità di utilizzare Uber e i suoi simili per la consegna a domicilio degli acquisti online. Instacart si muove nella stessa direzione.

Lasciare la libertà di operare alle leggi di mercato ha prodotto di conseguenza un grande miglioramento della qualità del servizio, una diminuzione del prezzo assieme alla creazione di molti nuovi posti e occasioni di lavoro. Collateralmente, ha permesso agli economisti di osservare per la prima volta delle vere, reali curve di domanda e di offerta. Esse erano state in precedenza delle astrazioni, teorizzate dai modelli euristici insegnati nelle università. Uber le ha materializzate con il proprio sistema. Utilizzando un flusso permanente di informazioni grazie al web e alimentando algoritmi che calcolano il prezzo del trasporto: a) in base alle richieste di un vasto pubblico di utenti e b) in base all’offerta di auto del suo network che si dichiarano in ogni momento liberamente disponibili, Uber riesce a far incontrare domanda e offerta al miglior prezzo per entrambi.

I vantaggi per il consumatore

Ovviamente con l’aumentare del numero di coloro che accettano di trasportare altre persone il prezzo di mercato tende a diminuire. Allo stesso tempo però la domanda degli utenti aumenta, a scapito dell’uso dell’auto privata. In breve il web sta distruggendo il monopolio potentissimo dei taxisti ufficialmente riconosciuti. Il web permette di raccogliere, inoltre, con precisione anche il grado di soddisfazione degli utenti per il servizio reso da ogni autista, consentendo così al sistema di gestire incentivi e disincentivi, migliorando lo standard complessivo di questa attività.

Dunque, se c’è maltempo, se ci sono eventi particolari con relativi afflussi di potenziali clienti, se il servizio è notturno, allora il prezzo richiesto aumenta e, viceversa, quando la domanda si indebolisce per la concorrenza o per altre specifiche circostanze, il prezzo viene ridotto.

Un altro rilevante risultato è, quindi, la creazione di un ingente surplus per il consumatore. Fissando il prezzo in base al livello della domanda e dell’offerta lo si rende, infatti, sistematicamente inferiore a quello che un cliente avrebbe dovuto pagare con una tariffa prefissata. Basti pensare che gli utenti di Uber nelle quattro città: Chicago, San Francisco, Los Angeles, e New York, in un anno superano i 100 milioni. Prezzi notevolmente inferiori a quelli amministrati significano dunque reddito disponibile che viene speso in altri beni e servizi.

Se a tutto ciò si aggiungono i concorrenti di Uber che da NYC cercano di espandersi negli USA e nel mondo, abbiamo un’idea di quale guadagno di produttività si prospetti per i sistemi di trasporto urbani dei paesi che, al contrario del nostro, si aprono alla logica del libero mercato. A questo bisogna aggiungere l’indubbio miglioramento qualitativo. Le auto dei micro-imprenditori del network sono più nuove, pulite e spaziose dei taxi gialli. Gli autisti sono tutti dotati di GPS, con cui minimizzano anche i percorsi più lunghi e complessi nel Bronx o a Brooklyn. Inoltre offrono bevande dissetanti e snack ai clienti e le mance non sono previste.

Uber non è esente da critiche, poiché esige una royalty su ogni transazione, lasciando ai tassisti oneri e rischi. Tuttavia il libero mercato corregge anche queste presunte storture. Infatti, ogni autista newyorkese da libero imprenditore, oggi utilizza più telefoni per servire in alternativa Uber, Juno, Via o Lefty a seconda del tragitto più vantaggioso che viene loro offerto e delle minori royalties pretese dalla centrale di coordinamento. Certo, qualcuno dice che guidando il taxi giallo guadagnava lo stesso reddito lavorando meno, con meno rischio, ma ciò che conta sempre ed inevitabilmente è la soddisfazione del cliente che – è bene ricordarlo – è egoista, spietato, irriconoscente di fronte ad alternative più convenienti.

Il caso dei network dei trasporti, pertanto, non va visto isolatamente, ma inquadrato come una tendenza che anticipa il futuro di molti altri settori in primo luogo dei servizi, ma in secondo luogo anche del commercio dei beni materiali e, insomma, anche del retail.

Di Amagi (Tirelli associati)

Pizze gluten free, un mercato promettente

Il mercato delle pizze senza glutine è vivace, i consumatori sono in aumento, i produttori investono (e non solo quelli specializzate nel gluten free) e la distribuzione non ignora il fenomeno. Tutt’altro. Questo, in estrema sintesi, è quello che ci hanno raccontato alcune aziende che hanno le pizze senza glutine nel proprio assortimento.

Dario Roncadin

«Questo mercato – spiega Dario Roncadin, amministratore delegato dell’azienda – è in forte espansione sia in Italia che all’estero. Non ci sono Regioni più promettenti rispetto ad altre. Come emerge dal rapporto 2015 del Ministero della Salute, in tutta Italia i casi sono in aumento, ma le regioni con più alto numero di diagnosi di celiachia sono la Campania e la Lombardia: quest’ultima rappresenta anche la regione in cui c’è il maggior consumo di pizze surgelate».

Secondo Roncadin, i canali più performanti sono le farmacie e i negozi specializzati, tuttavia l’attenzione verso una dieta più variegata ha contribuito alla diffusione di cibi senza glutine anche nella GDO. «I prodotti senza glutine – prosegue – vengono acquistati prevalentemente in famiglie in cui sono presenti celiaci, ma tutto il nucleo li consuma. Proprio perché pensati per tutta la famiglia, in grande distribuzione i prodotti senza glutine sono strettamente connessi ad una idea di benessere: i consumatori cercano di cambiare l’alimentazione esplorando nuovi prodotti, senza però rinunciare al gusto».

Crescite a doppia cifra

«Il mercato della pizza surgelata senza glutine – precisa Maria Loreta Pompilio, Senior Product Manager Pizza di Buitoni – ha avuto una crescita a doppia cifra negli ultimi anni. In particolare nel 2016 abbiamo visto una crescita del +74% rispetto al 2015 e con un forte peso delle regioni del centro nord, dove in generale la pizza surgelata esprime il maggiore potenziale. L’esplosione del comparto del senza glutine è un fenomeno che tocca molte categorie merceologiche. Le leve utilizzate sono del tutto paragonabili a quelle di altri segmenti: cura delle caratteristiche organolettiche del prodotto, attenzione estetica delle confezioni, utilizzo della leva promozionale. L’offerta all’interno del canale retail è sempre più ricca e completa e questo si traduce per il consumatore non solo nel vantaggio di maggiore prossimità dei prodotti, ma anche nella possibilità di scegliere tra un’ampia gamma di proposte e di comprare a un prezzo più competitivo. Il canale specializzato conserva il vantaggio della relazione personale e di fornire informazioni sui prodotti, che però sono sempre più complete e disponibili anche sulle confezioni e sul digital».

«La pizza surgelata – afferma Luca Cesari Direttore Vendite GDO Italia Dr. Schär – è una referenza che ha sempre goduto di buona crescita, essendo un prodotto di scorta e meno d’impulso. Nell’ambito del surgelato la pizza, disponibile sia in farmacia che in GDO, ha una performance uniforme sia a livello regionale che di canale. A livello espositivo i prodotti senza glutine vengono esposti tutti insieme in una zona dedicata, per facilitare il percorso nel punto vendita e offrire un servizio maggiore».

Non più solo Margherita

Cesari sottolinea come l’innovazione abbia un peso fondamentale. «Cerchiamo di migliorare costantemente il contenuto di sodio e l’apporto calorico – spiega e le nostre pizze hanno una tabella di valori nutrizionali che spesso sono superiori al prodotto contenente glutine. Nel 2016 abbiamo rilanciato l’intera linea delle Pizze surgelate Bontà d’Italia: una nuova ricetta per l’impasto, materie prime selezionate e made in Italy e una cottura in forno su pietra. La gamma si compone di 5 referenze: margherita, salame, prosciutto e funghi e nella versione mini pizza margherita. Inoltre è disponibile la versione Veggie con verdure grigliate. La pizza margherita è di gran lunga la preferita dai consumatori e crediamo che in Italia questo trend verrà confermato anche nei prossimi anni. Il banco freezer offre poche possibilità di spazio, ma è anche vero che il consumatore reagisce spesso positivamente alle offerte innovative e premia chi sceglie di diversificare».

«L’innovazione è il motore della crescita – conferma la Pompilio – nel corso degli ultimi anni la qualità dei prodotti è notevolmente migliorata e l’attenzione al piacere palatale diventa sempre più centrale Anche la varietà gioca un ruolo importante: nel caso della pizza surgelata senza glutine Buitoni, la Margherita ha fatto da apripista in quanto è il gusto preferito dagli italiani (pesa circa il 60% del totale tonnellate nel mercato pizza surgelata); ma l’allargamento di gamma con le ricette “4 formaggi” e “prosciutto” sta registrando delle ottime performance e non escludiamo di ampliare ulteriormente l’offerta».

A fare da stimolo agli investimenti delle aziende contribuisce il fatto che il settore sia relativamente poco promozionato. «I tagli di prezzo – sottolinea Roncadin – sono inferiori rispetto a quelli che si registrano nei prodotti convenzionali e le strategie aziendali puntano sull’offerta di prodotti sempre nuovi. La nostra strategia è quella di utilizzare di nuovi ingredienti come farine alternative e nuove combinazioni per studiare un prodotto dal gusto saporito ma più genuino possibile».

«In generale il comparto gluten free – concorda Cesari – è caratterizzato da un’incidenza promozionale piuttosto limitata e inferiore a quella del mass market. Il comparto della pizza surgelata – seppur in crescita – non fa eccezione. Per questo i principali strumenti di promozione vertono sulla comunicazione degli USP di prodotto e sull’evidenziazione dell’offerta all’interno dei punti vendita».

Anche nelle linee a marchio

Ovviamente la distribuzione, coi suoi marchi privati, non poteva lasciarsi sfuggire una simile opportunità. «Coop, ormai più di 10 anni fa – ricorda Carmen Quatrale Brand Manager Prodotto a marchio Coop di CoopItalia – è stata protagonista nel promuovere un cambiamento radicale che ha concretamente migliorato la vita dei celiaci. Portare i prodotti senza glutine in un supermercato ha consentito una forte riduzione dei prezzi, al tempo, fino al 40%, assieme a un aumento dell’offerta. Nel 2016 si stima siano state vendute in tutta Italia 570 tonnellate di Pizza Senza Glutine. In Coop, come nel resto del mercato rappresenta ancora poco più del 3% delle vendite delle Pizze surgelate complessive ma è un segmento che registra una crescita molto importante e che ha portato vendite aggiuntive. Si presume che abbia iniziato a consumare pizza surgelata chi fino ad ora ci aveva rinunciato».

La pizza surgelata senza Glutine Coop fa parte della linea Coop Benesì. «La proposta è quella della classica Margherita – spiega – caratterizzata dal 30% di polpa di pomodoro italiano e 20% di mozzarella condita con olio extravergine d’oliva. Nell’ottica di un miglioramento continuo sono in valutazione interventi innovativi sia da un punto di vista di ricettazione che di sviluppo della gamma. In questo contesto le promozioni rappresentano uno strumento fondamentale: flyer, iniziative e aree espositive dedicate consentono di far conoscere la presenza di un assortimento articolato che altrimenti non sarebbe immediatamente percepibile. E la tendenza è sempre più quella dell’evidenziazione a punto vendita in maniera chiara e inequivocabile».

Anche Selex presta grande attenzione al comparto. «L’offerta sta crescendo anche grazie all’ingresso nella categoria di nuovi player e al miglioramento della qualità dei prodotti – spiega Luca Vaccaro, direttore marche del distributore di Selex Gruppo Commerciale – Normalmente al “senza glutine” viene dedicato un corner nel punto vendita e, nel caso del surgelato, uno spazio in una delle testate dedicate ai prodotti “dietetici”. I punti di forza del dettaglio generalista rispetto allo specializzato sono il prezzo e la rotazione, anche se la profondità assortimentale è minore».

Selex ha dedicato ai celiaci la linea Vivi Bene Senza Glutine che al momento, nel segmento delle pizze surgelate, comprende la pizza Margherita. «Stiamo lavorando – prosegue Vaccaro – allo sviluppo di una referenza snack. I prodotti Selex hanno un prezzo inferiore rispetto ai prodotti di marca e qualità organolettica testata sui consumatori. Sono garantiti da Aic e approvati dal Ministero della salute. Per promuoverli attualmente siamo in onda sui circuiti radio nazionali. In questa categoria circa 1 prodotto su 5 è venduto in promozione. Più che i tagli prezzo, comunque importanti, sono fondamentali l’evidenziazione a scaffale e la comunicazione».

di Elena Consonni

Paleo dieta: semi bacche e carni animali. Ritorno all’origine

Correva l’anno 1987 e il dott. Loren Cordain dell’Università del Colorado ebbe una fol-gorante intuizione. Riflettendo sull’alimen-tazione paleolitica, ne dedusse che gli uomini primi-tivi traevano quasi il 60% delle calorie dall’ingestione di carni animali. In particolare, essi non sprecavano nulla, golosi com’erano di organi interni e di midollo osseo. Parallelamente si nutrivano, seppur meno fre-quentemente, anche di uova e vegetali. Cordain ritenne dunque di trarne lo schema di un regime più salutare. Successivamente, la dieta venne sostenuta e divulgata dal suo allievo e “guru Paleo” Robb Wolf, biochimico, kickboxer, sollevatore di pesi, culturista e autore del be-stseller “The Paleo Solution: The Original Human Diet”.

Questo flashback gastronomico/alimentare ruota tuttora attorno ad un principio fondamentale: le nostre diete dovrebbero basarsi sul consumo di carne animale di tutti i generi e, in secondo luogo, su frutta fresca e alimenti vegetali (in particolare semi, bacche, ecc). Insomma, secondo i precetti Paleo, a tavola dovremmo imitare gusti e abitudini dei nostri avi quando erano ancora cacciatori-raccoglitori.In cambio, la dieta Paleo promette di rivitalizzare e potenziare l’organismo, abolendo il consumo di cereali, latte e latticini, zuccheri e “processed foods” additati come responsabili di vari disturbi e infiammazioni. Di pasta, ovviamente, neanche parlarne! In tal modo, questi dettami tonificherebbero il corpo mediante un carico proteico massiccio e costante.In sintesi, fra i numerosi benefici vantati e promessi dalla Paleo Dieta, si possono annoverare:

•  Glicemia più stabile

•   Miglioramento della qualità del sonno

•   Rafforzamento del sistema immunitario

•   Perdita del peso in eccesso in modo naturale

•  Riduzione stati infiammatori

•  Più energia e più vitalità

•  Maggiore libido

•  Flora intestinale più sana

•   Migliore sensibilità insulinica

•  Pelle più tonica

Leggendo tale lista, inevitabilmente, emergono dubbi più che leciti. I paleolitici, d’altronde, non morivano forse più giovani di noi? E ancora, se l’uomo eliminasse i latticini, da dove at-tingerebbe gli elementi fondamentali per la salute delle ossa quali il calcio o la vitamina D?La risposta è oggetto di un aspro dibattito.

A favore della Paleo, si potrebbe ricordare però l’esempio degli indiani nordamericani, i quali – pur seguendo un’a-limentazione simile – permangono nell’immaginario collettivo quali esempi di vigore e salute. Per la stessa ragione, i “moderni Paleo” sono notoriamente ghiotti di Pemmican e altre varietà di carni essiccate.D’altro canto, puntualizzano i detrattori, patologie le-gate all’anzianità come l’osteoporosi erano prevenute dall’aspettativa di vita limitata degli uomini primitivi, a causa delle ardue condizioni di vita e per la notoria mancanza di igiene e pulizia.Ad ogni modo, vi è un’importante considerazione da tenere a mente: la Paleo è considerata anzitutto uno stile di vita e non è intesa, pertanto, come una semplice moda passeggera. Infatti, essa implica l’impegno ad un’attività fisica quotidiana e costante nel tempo, per smaltire le calorie assimilate, considerato che i nostri antenati ne bruciavano oltre 4.000 al g.

L’ingresso dei brand nell’agone della paleo dieta

Alcuni brand si sono inseriti nella tendenza del ritorno alle origini, sottolineando la naturalità degli alimenti e delle loro modalità di produzione (allevamento, coltura, ecc). Probabilmente tra essi il più noto è Epic, i cui fondatori (è curioso ricordare) erano inizialmente vegetariani! Epic produce barrette, “bites” e “bits”, carni essicate di selvaggina, pelle croccante, brodo di ossa e olio animale (di bovino, oca, maiale e bisonte).

In particolare, il “bone broth” fornisce la mas-sima concentrazione di collagene e gelatina derivati dal midollo. Gli olii animali seguono anch’essi la tradizione della cucina ancestrale e sono utilizzati come condimento. I “bits” sono invece bocconcini a base di pancetta usati come insaporitori da coloro che coerentemente vogliono mettere il bacon in ogni piatto. Altre marche che ormai trovano spazio nei supermer-cati americani e non solo nei negozi specializzati, sono: Blue Diamond, Wellshire, Nick’s  Meat Sticks, Pete’s Paleo, Paleo Crunch, Caveman Cookies, Exo Proteins Bars, Primal Kitchen, Paleo Gourmet, Payo Le prime stime indicano che i paleolisti stretti sono l’1% degli Americani, suddivisi in dieci differenti tipologie (fra i quali ex-vegani ed ex-vegetariani). Il trend della dieta Paleo è comunque quello in più forte crescita tra tutte. E l’Italia? Naturalmente il nostro paese segue con un “lag” di 5-10 anni il mainstream statunitense.Tuttavia la Paleo è ancora basata su una logica “fai-da-te” con l’acquisto di ingredienti base nei supermercati, mentre i prodotti confezionati, “ready to eat”, sono pochis-simi e generalmente di importazione. Il background culturale dei nostri retailers, infatti, è generalmente piuttosto lontano dalla sensibilità ai “segnali deboli”. Al contrario, questi trovano una rispo-sta in Internet e in Amazon.

di Amagi (Tirelli e Associati)

Brimi presenta i prodotti della gamma Bio

Brimi, azienda qualificata nella produzione di mozzarella sia a livello nazionale che internazionale, per soddisfare le richieste ampie e variegate di un consumatore sempre più attento, arricchisce la sua gamma Brimi Bio cui si aggiunge il nuovo burro Bio.

Prodotti esclusivamente con il latte fresco Bio Brimi da agricoltura biologica e certificata secondo le normative europee, Brimi mozzarella Bio, Brimi ricotta Bio e Brimi burro Bio hanno un naturale contenuto di grassi e un piacevole sapore fresco di latte e panna.

Sono acquistabili nel banco frigo nei seguenti formati:

Peso medio/pezzatura: mozzarella da 100 g

Peso medio/pezzatura: ricotta da 200 g

Peso medio/pezzatura: burro da 100 g

Vino sul web: prezzo e qualità guidano le scelte

Vino in GDO: cosa ne dicono i netsurfer? Vediamolo, approfondendo quanto lasciato in rete. Le prime macro aggregazioni riguardanti il volume degli argomenti maggiormente trattati, sono le seguenti (pareri multipli):

 

In quasi ogni parere vi è almeno un giudizio riguar-dante uno dei primi 4 cluster: prezzo, qualità, varietà dell’offerta, marche; con passaggio ardito possiamo affermare che queste sono le 4 reason why di acquisto del vino nella GDO.

Analizziamo ora da un punto di vista psicometrico, attribuendo una personalità ai testi, i mood di ciascuno dei sei cluster in cui si sono aggregati i giudizi dei privati consumatori che hanno scritto nella rete domestica riguardo al vino acquistato nella GDO nei 12 mesi del 2016.

La Grande Distribuzione Organizzata presidia decisamente il primo dei cri-teri di scelta del prodotto vino presso i propri punti vendita.

Anche il secondo motivo di scelta, la qualità del vino, è ben presidiato dalla GDO, sebbene meno di quanto lo sia il prezzo; i molto soddisfatti e gli abbastanza sod-disfatti riguardo al prezzo sono l’84%, mentre riguardo la qualità sono il 72%, un 12% in meno. 

Nell’analisi del terzo cluster (varietà dell’offerta) in cui si sono aggregati i pareri è emersa una netta differenza tra i formati distributivi della GDO.  Megastore/Ipermercati e Supermercati presidiano deci-samente questa motivazione di scelta dei consumatori, battendo per soddisfazione anche le prime due reason why di acquisto (ricordiamo che il prezzo totalizzava l’84% di molto e abbastanza soddisfatti e la qualità il 72%). Per quanto riguarda la varietà dell’offerta del vino, per il formato Megastore/Ipermercati, i molto e gli abbastanza soddisfatti sono addirittura il 93% e per il formato Supermercati sono il 92%.  Nel formato negozi di prossimità i molto soddisfatti e gli abbastanza soddisfatti della varietà dell’offerta del prodotto vino scendono sotto la metà: sono il 48%.

Il quarto motivo di scelta di acquisto del vino nella GDO da parte dei consumatori, le marche vendu-te, è il più presidiato dalla GDO stessa, col 94% di molto soddisfatti e abbastanza soddisfatti, più ancora di quanti ne hanno totalizzati le reason why prezzo (84%), qualità (72%) e varietà dell’offerta limitatamente ai formati Mega/Iper (93%) e Super (92%).

È significativo che nel cluster Marche, al contrario di quanto avvenuto per il cluster varietà dell’offerta, non  siano emerse differenze tra i vari formati distributivi. Le Marche di vino proposte, anche quando sono poche come nel caso dei negozi di prossimità, soddisfano i consumatori, a prescindere dall’offerta limitata.      

Private label  

Per prima cosa dobbiamo precisare che abbiamo chia-mato questo cluster Private Label, includendovi i giudizi dei consumatori riguardanti vini prodotti per la catena distributrice ma che non si presentano col nome della catena distributrice. Un’importante considerazione: i consumatori leggono con attenzione le etichette del vino che acquistano nella GDO se scrivono così diffusamente di vini che riportano sull’etichetta principale il nome del vino (ad es. Barbera ed altre indicazioni quali, sempre ad es., del Monferrato ecc.) e solo sulla seconda o terza etichetta la dicitura prodotto per la “tale catena distributiva”.Nonostante i molto e gli abbastanza soddisfatti del vino prodotto appositamente per la GDO siano il 64% è doveroso sottolineare come tale percentuale sia  più bassa dei molto e abbastanza soddisfatti della qualità in generale del vino venduto nella GDO, 72%. Ciò è eclatante poiché in tutti i rilevamenti che abbiamo fatto sulle PL – negli ultimi 2 anni abbiamo effettuato anche un osservatorio mensile – la marca privata è sempre stata giudicata superiore alla media della marca del produt-tore, allineata con il top di gamma ma più conveniente. Vediamo ora cosa nasconde il 13% di pareri (menzioni multiple) classificati come altro. Torniamo a misurare i volumi di pareri.

Precisiamo che la quasi totalità dei pareri riguardanti Bottiglioni/Damigianelle, vino in cartone, in bottiglie di plastica verte ancora su prezzo e qualità, quindi l’89% di altro è riconducibile, anche se con accezione più ampia, ancora alle prime due reason why di acquisto del vino nella GDO: prezzo e qualità.  

Conclusioni  

Il vino, che permea la cultura italiana ed è una tradizione e un’eccellenza del Made in Italy nel Mondo, viene trattato nella rete domestica, limitatamente all’ambito “acquisto nella GDO” come un semplice prodotto e non una passione nazionale, un emblema.Le reason why di acquisto del vino presso la GDO sono nell’ordine: prezzo 88%, qualità 86%, varietà dell’offerta 72%, marche 66%.Questa la classifica per soddisfazione:

Il profilo tipo di chi ha lasciato liberamente e privata-mente, nel web domestico, nei 12 mesi del 2016, pareri e opinioni sul vino acquistato nella GDO è: uomo, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, di cultura media, residente al Nord in aree metropolitane.

di Gian Marco Stefanini

Jungle Jim, lo store che va oltre il supermercato

Fairfield (OH) non è Manhattan. Non è una melting pot che meticcia caoticamente le tra-dizioni alimentari. Ci abitano 43mila individui distribuiti  in 17mila famiglie: 79,0% bianchi, 12,8% Afro- Americani American,  5,5% Ispanici, 2,4% Asiatici  Parliamo di una cittadina assorbita dalla vicina Cincin-nati, la vecchia “Porkopolis”, cosiddetta per l’industria delle carni, con le sue forti radici tedesche e comunque più piccola di Bologna. Ecco uno dei tanti aspetti con-tradditori di un vero enigma nella casistica del retail Americano.A Faifield opera uno di due strani e sorprendenti punti di vendita denominati: Jungle Jim International Market (JJIM). Non si tratta del frutto recente della nuova moda dei formati che adottano, appunto, l’identificativo “In-ternational Market” e che stanno fiorendo in varie parti degli USA. Questa insegna, venne fondata, nel 1971, da, un giovanotto fresco di college con la vocazione del commerciante.In realtà si trattava di un banco di frutta semiperma-nente vicino ad una stazione di servizio in disuso. Jim, l’aveva riadattata a magazzino e si era adattato a viverci dentro. Ebbene, per quanto incredibile, oggi, il frutto evolutivo di quello stand si riassume in alcu-ne cifre sbalorditive: 180.000 referenze (in grande maggioranza alimentari), di cui 60.000 di importazione, su una superficie di 26mila m2; oltre 5 milioni di clienti ogni anno, provenienti da tutto l’Ohio,  l’Indiana e il Kentucky. Il secondo punto di vendita fu aperto a Eastgate, (OH) nel 2012, a 45 km dal primo, lungo il grande anello autostra-dale che per 160 km, circonda la città, passando per tre stati. Questo store pare sia riuscito a rivitalizzare un’area di un centro commerciale in pieno declino.

Rendere l’idea di quel che offre il punto di vendita di Fairfield è tecnicamente difficile, ma può aiutarci uno degli slogan coniati da Bonaminio: “If it exists, we get it for you – well, almost always.” Semplice, non è vero? Anche se in un’in-tervista egli ebbe a dire, rammarican-dosi: “I can’t get camel humps. People want them because they make soup out of them. But I can’t get them.” Insomma: “Jungle Jims is a WAY more than a supermarket”, come affermano i clienti affezionati da decenni, che si aspettano di trovarvi tutto ciò che il mondo offre in tema di alimentazione.

Offerte impensabili

In quale altro posto si può pensare di vendere, ogni settimana, 100 teste di agnello (complete di occhi), fresche e sotto-vuoto, considerate, in molte nazio-ni europee e anche da diversi americani, una raffinata delicatezza? Oppure, dove trovare un assortimento tanto profondo di ogni genere di insetti commestibili confezionati, tra cui quelli della ormai celebre marca Thailand Unique? O le uova di struzzo, di emù o quelle dei “cent’anni”? Tutto questo in una cittadina come tante, si è detto, a dimostrazione che, in un grande mercato come quello americano, la regola generale del retail è che… “non esistono regole!”. La passione di JimSicuramente un formato come JIM è per definizione irripetibile.

Non riproducibile, anche se Jimmy e Chris, i figli di Jim, sono ben intenzionati a calcare le orme del padre che peraltro sta rallentato il proprio impegno dalle abituali 80 ore settimanali di lavoro, a 70 “sol-tanto”. Parliamo cioè di un imprenditore conosciuto personalmente che riesce, da 45 anni,  a divertirsi nel vero senso della parola. Potrebbe stupire, infatti, la sua abitudine di travestirsi, a seconda del tema dei tanti eventi organizzati nel corso dell’anno, al fine di essere il primo animatore di un luogo dove il diver-timento si coniuga con il piacere dello shopping. Nel corso dell’anno lo si può trovare vestito da pom-piere per premiare i vincitori del “Weekend of Fire” la fiera-competizione dedicata alle salse piccanti (nel reparto dedicato ce ne sono 1.500!), oppure da mago che viaggia su un Segway per far divertire i bambini, o nella sua “classica” tenuta da esploratore africano come il personaggio dei comics che gli fruttò il so-prannome, per l’abitudine di indossare pantaloncini caki, mentre scaricava cocomeri e meloni per il suo stand improvvisato.I vari guru del marketing e i manager delle grandi catene hanno sempre visto questo folklore con suffi-cienza, bollandolo con l’epiteto del kitsch della peggior cultura popolare.  Ed effettivamente il layout e il visual mechandising del luogo non furono certo il risultato di pianificazioni e concept partoriti da archistar.

La passione di Jim

Sicuramente un formato come JJIM è per definizione irripetibile. Non riproducibile, anche se Jimmy e Chris, i figli di Jim, sono ben intenzionati a calcare le orme del padre che peraltro sta rallentato il proprio impegno dalle abituali 80 ore settimanali di lavoro, a 70 “sol-tanto”. Parliamo cioè di un imprenditore conosciuto personalmente che riesce, da 45 anni,  a divertirsi nel vero senso della parola. Potrebbe stupire, infatti, la sua abitudine di travestirsi, a seconda del tema dei tanti eventi organizzati nel corso dell’anno, al fine di essere il primo animatore di un luogo dove il diver-timento si coniuga con il piacere dello shopping. Nel corso dell’anno lo si può trovare vestito da pompiere per premiare i vincitori del “Weekend of Fire” la fiera-competizione dedicata alle salse piccanti (nel reparto dedicato ce ne sono 1.500!), oppure da mago che viaggia su un Segway per far divertire i bambini, o nella sua “classica” tenuta da esploratore africano come il personaggio dei comics che gli fruttò il so-prannome, per l’abitudine di indossare pantaloncini caki, mentre scaricava cocomeri e meloni per il suo stand improvvisato.I vari guru del marketing e i manager delle grandi catene hanno sempre visto questo folklore con suffi-cienza, bollandolo con l’epiteto del kitsch della peggior cultura popolare.  Ed effettivamente il layout e il visual mechandising del luogo non furono certo il risultato di pianificazioni e concept partoriti da archistar.

Il layout

Gli attuali 26mila metri quadrati sono stati ottenuti per progressive acquisizioni di terreno e gli allestimenti dei reparti sono stati dettati dalle opportunità del momento. Così le vetrate dell’edificio sono a prova di proiettile non perché vi siano dei rischi, ma semplice-mente perché frutto di una svendita vantaggiosissima. Il parco esterno dedicato al pubblico infantile che rappresenta una sorta di zoo con giraffe ed elefanti di plastica a grandezza naturale deriva dal riutilizzo del materiale di un mini-golf dismesso, così come il serpente marino lungo 24 metri è un residuato di un acquario del Kentucky.  Persino le lettere giganti delle insegne dei vari reparti provengono dal restauro di materiali recuperati dalle ristrutturazioni di edifici di Cincinnati. Se si aggiungono le sculture commerciali dell’interno: camion dei pompieri, vecchie carrozze, un battello, pupazzi animati, ecc. che tematizzano le diverse aree, il risultato è un’estetica deprogrammata che scandalizza i puristi, ma diverte i bambini e con-seguentemente i loro genitori.

Dedicato ai fornitori

Jim Bonaminio ha costruito in questo modo un proprio mondo autosufficiente che comprende anche al piano superiore soprastante all’ipermercato, laboratori e am-pie sale in cui ospitare eventi ed esposizioni dei suoi fornitori.  Così realizza l’Oktober Fest, il Weekend of Fire, Big Cheese Festival, International Wine Festival e altre mini-fiere che attraggono tantissimi fornitori specializzati da tutti gli Stati Uniti e che in JJIM trovano, quasi certamente, l’opportunità di farsi conoscere da una clientela variegata per età, status e interessi, che mediamente spende 50 dollari a visita.

L’offerta

Venendo all’offerta esibita in quel luogo, lo spazio de-dicato ci consente soltanto di commentare brevemente diverse cifre in sé impressionanti. Menzioniamo, dunque, i 1.600 formaggi provenienti da 40 Paesi, che sono oggetto di numerosi corsi della Cooking School e della Tasting Room, dedicati all’assaggio e al pairing con vini e birre. E, a proposito di birre, le 4.000 etichette esposte trovano un contraltare soltanto in specialisti come Binny’s o Bevmo! È la profondità assortimentale ad essere, insomma, il tratto comune di ogni categoria: le 50 varietà di caffè Seven Hills, sia di origine (dal Guatemala Huehuetenango Huixoc, al Kona Extra Fancy, all’ Indonesia Sulawesi Toraja), sia blend, sia aromatiz-zate possono essere assaggiate al tasting bar, assieme ad una selezione di vini tra i 15.000 messi a scaffale, a cui si aggiungono quelli di gran riserva, custoditi nella cantina di Bonaminio.

E ancora un centinaio e oltre di mieli tra cui molti monoflorali. Ancor più impressionate risulta la visita ai reparti del freschissimo. Le carni, quelle bovine sia dry aged, sia fresche prevedono ogni tipo di taglio ed elaborazione, così come quelle suine, ma colpiscono la fantasia dei foodies soprattutto le carni esotiche: alligatore, struzzo, bisonte, cervo, serpente, renna, ed ogni altra ammessa dalla legge. Il pesce viene venduto sfilettato in varie decine di varietà e una decina di esse sono vive, in acquario, tra cui aragoste e astici. Il tutto con il complemento di decine di molluschi e crostacei vari.L’ortofrutta, considerata il cuore pulsante dello store, gode anch’essa di ampi spazi in cui sono allineate le varietà nordamericane in stagione e quelle in contro-sta-gione importate dal Centro-America, dall’emisfero Au-strale e dall’Asia. Vi si trovano, dunque, durian, jackfruit, mamey, cerimoya, miracle berry, uva muscadine… Ovviamente il concetto di varietà si dispiega ancor più ampiamente nel settore del grocery “secco” con un universo di marche di cioccolato, candies, preparati, sughi, bevande dissetanti, conserve, condimenti, pa-ste, biscotti, … che eccede ogni probabilità di averne esperienza nel corso di un’intera esistenza.

La formazione

Tuttavia, come nota finale, vogliamo sottolineare il ruolo svolto dalla Cooking School che, negli ultimi tre anni è stata riconosciuta essere la migliore tra quelle dell’area di Cincinnati. Basteranno solo alcuni titoli dei tanti corsi recreational e instructional volti ad accrescere effettivamente la cultura culinaria e di consumo del-la clientela: “Hands-On Knife Skills”; “Grilled Tuscan T-Bone”; “The Tasting Room: A Wine and Cheese Primer from Italy”; “Table of Polenta”, “Bourbon, Tequila and Food Pairing Dinners”… Concludiamo, infine, con un claim di Jungle Jim Inter-national Market: “Discover a World of Food and More!” riadattandolo alla nostra business community. Scoprire e analizzare un caso estremo come questo certamente aiuta a comprendere meglio quale sia il ruolo dell’impren-ditore nella attività commerciale indipendente e quanto ampi siano i limiti gestionali tuttora inesplorati riguardo la varietà assortimentale e la relazione con il cliente.

Testi e foto di Daniele Tirelli e Marco Tirelli (Amagi)

San Benedetto disseta bio, con una gamma rinnovata

San Benedetto propone una ricca e vasta linea di bevande Bio,  pensate per gli amanti di uno stile di vita sano, in armonia con il ritmo della terra e con il rispetto dell’ambiente. 

La gamma

Organic Bio, una gamma di succhi di frutta, pensata per gli amanti di uno stile di vita sano, in armonia con il ritmo della terra e con il rispetto dell’ambiente.

Materie prime selezionate e rigorosi controlli dell’intera filiera biologica, unite alla lunga esperienza di San Benedetto, sono garanzia dell’attenzione alla qualità del prodotto, nel rispetto dei ritmi della terra. Ideale per partire con slancio a colazione oppure per un naturale e gustoso break in ogni momento della giornata, disponibile nei gusti Pesca, Mela e Pera nel pratico e raffinato formato da 0,40L.

Energade BIO è la novità assoluta nel mondo degli sport drinks. È disponibile nel pratico formato da 0.5 L in due gusti originali, Lemon Lime con Aloe e Frutti Rossi con Goji, ed è realizzato con ingredienti di alta qualità, tra cui zucchero BIO, aromi naturali, senza coloranti e senza conservanti.  Inoltre, l’intera gamma Energade è stata oggetto di un pack restyling per trasmettere maggiore dinamicità e mettere in evidenza uno dei maggiori plus del prodotto, ovvero che si tratta di una bevanda in acqua minerale naturale, adatta per dissetarsi, rinfrescarsi e reintegrare i sali minerali persi dopo qualsiasi tipo di attività fisica o dopo lo sport. Nuova anche la bottiglia nel formato da 0,5L, slanciata e ancora più pratica.

Thè Bio San Benedetto, l’innovativa linea di thè freddi San Benedetto preparata con ingredienti derivanti da coltivazione biologica come lo zucchero di canna, aggiunge ai tradizionali gusti Limone e Pesca quello del Thè Verde BIO con Zenzero e infuso di Bacche di Goji, proposto nel formato 0,40L. Per i gusti pesca e limone, alla bottiglia “slim” da 0,40L, ideale per l’autoconsumo e particolarmente distintiva, si affianca il nuovo formato da 0,65L, per la condivisione in famiglia.

San Benedetto Baby Bio è la linea di prodotti e formati studiati per i bambini con ingredienti di origine biologica, contenente il 30% di polpa di frutta e proposta nei tre gusti Mela, Pera e Pesca. Nuove anche le grafiche, rese divertenti dai celebri ometti blu protagonisti del film di Sony Pictures I Puffi – Viaggio nella Foresta Segreta”. Le bottigliette da 0,25L rappresentano un elemento di forza e distintività anche per i più piccoli, che possono accompagnare il consumo di prodotti adatti ai loro palati con il divertimento: il tappo pull&push, ad esempio, rende pratica e giocosa l’assunzione della bevanda.

“Insieme per crescere”: ecco come verrà ampliato il Centro Commerciale di Carugate

“Insieme per crescere” nasce dal progetto dell’ampliamento del centro commerciale Carosello di Carugate e vuole essere un punto di riferimento permanente di ascolto e dialogo con i cittadini.

Il progetto supporta una riqualificazione del territorio in ottica sostenibile, con l’obiettivo di ottenere miglioramenti concreti: da una viabilità più efficiente, alla creazione di nuovi spazi verdi e piste ciclabili per uno stile di vita più salubre e a contatto con la natura, alla creazione di nuove opportunità di lavoro per la cittadinanza.

A seguito dell’ampliamento del Centro Commerciale Carosello di Carugate sono previsti investimenti sul territorio per un totale di 110 milioni di Euro destinati al miglioramento della viabilità veicolare esistente, al sostegno delle imprese locali oltre che ad una serie di misure di compensazione ambientali.La proprietà del “Carosello” persegue una “strategia della sostenibilità” in tutti i suoi investimenti e anche nel progetto dell’ampliamento l’obiettivo è quello di conciliare lo sviluppo economico locale, in ottica green e nel costante dialogo con la collettività.

Gli investimenti

Saranno 14 i milioni di Euro investiti in opere destinate al miglioramento della viabilità veicolare esistente e della mobilità dolce a più che compensazione del previsto aumento di traffico con un effetto netto positivo per la comunità. L’investimento in opere private ammonterà invece ad 80 milioni di Euro, di cui circa l’80% destinato ad aziende locali, a cui si aggiungerà un ulteriore importo di 4,5 milioni di Euro annui per opere di manutenzione. Altri 30 milioni di Euro saranno destinati alle Amministrazioni pubbliche interessate per misure compensative (auto elettriche, servizio trasporto pubblico, ecc.), 300.000 Euro saranno messi a disposizione del comune di Brugherio per la realizzazione di una nuova rotatoria, oltre a 1,5 milioni di Euro a sostegno dell’artigianato locale e della valorizzazione degli esercizi di vicinato dei comuni di Cernusco e Carugate, grazie all’organizzazione periodica di esposizioni ed eventi per la promozione e pubblicizzazione dei prodotti dell’eccellenza locale.

L’occupazione

L’ampliamento del centro commerciale prevede prospettive di concrete di incremento occupazionale diretto pari a 300/400 unità, cui si deve aggiungere l’incremento indiretto, derivato per esempio dai lavori di riqualificazione e di manutenzione affidati alle aziende locali e dagli investimenti a supporto del commercio e dell’artigianato locale.

Sostenibilità

Per questo centro commerciale smart e di nuova generazione, è prevista la realizzazione di un tetto verde di 20.000 mq con accesso pedonale e pista ciclabile che rappresenterà una delle porte d’entrata al futuro sistema dei parchi dei comuni di Carugate, Cernusco e Brugherio. L investimento nel verde, a diverso titolo, è di circa 9 milioni di Euro, mentre 79.000 mq di aree verdi verranno recuperate con l’impiego di misure di compensazione ambientale superiori a quanto previsto dalle norme vigenti: ben 4 mq di aree verdi acquistate per ogni mq di suolo green sul quale verrà realizzato l’intervento. Complessivamente, grazie all’opera di riqualificazione ambientale, una superficie di 640.000 mq di area verde tra i comuni di Carugate, Cernusco e Brugherio verrà connessa tra loro e con i centri abitati tramite piste pedonali e ciclabili, “ricucite” a quelle già presenti nell’area, facilitando così l’accesso ai cittadini dei comuni limitrofi. Sono parte integrante del progetto anche la riqualificazione e la manutenzione del Parco Comunale di Carugate e del Parco degli Aironi di Cernusco, oltre al recupero e la futura rinaturalizzazione del Parco della Cava Merlini per garantirne la fruizione.

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