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ICAM presenta il suo primo bilancio di sostenibilità

Ridurre del 50% i consumi idrici entro il 2020, ridurre la percentuale di materiale non riciclato per il confezionamento delle tavolette di cioccolato e incrementare ulteriormente la quota di cacao da approvvigionamento diretto: questi alcunu degli obiettivi primari presentati da ICAM nel suo primo bilancio di sostenibilità.

Composto di cinque principali aree di interesse, il bilancio di sostenibilità analizza in maniera approfondita gli aspetti sociali e ambientali che concorrono a delineare le responsabilità dell’azienda nei confronti della società.

RESPONSABILITÀ VERSO LE PERSONE

Una gestione attenta delle risorse umane (presso ICAM lavorano 416 persone) che si sostanzia in condizioni di lavoro e politiche retributive migliorative rispetto al settore di riferimento. A coloro che si occupano della produzione sono garantiti orari di lavoro flessibili, retribuzioni che prevedono premi di risultato legati al raggiungimento di obiettivi e un piano di formazione che garantisce percorsi di crescita professionale teorica e on the job. Un impegno che si traduce per ICAM in un elevato livello di fidelizzazione con un indice di rotazione in uscita nell’ultimo biennio vicino al 5% (di cui circa un terzo per pensionamento).

RESPONSABILITÀ VERSO LA FILIERA

Allo scopo di ridurre gli aspetti di complessità legati alla catena di fornitura del cacao, l’azienda ha adottato una strategia di integrazione verticale volta all’approvvigionamento diretto del cacao. Presente in Repubblica Domenicana, Uganda e Perù, ICAM ha instaurato con i coltivatori delle piantagioni un rapporto di collaborazione, in base alla quale i contadini, diventando a tutti gli effetti partner commerciali. La grande attenzione al rispetto dei coltivatori e dell’ambiente che ha portato ICAM ad avere oggi il 66% della produzione di cioccolato biologico e Fairtrade.

Incrementare ulteriormente la quota di cacao da approvvigionamento diretto è uno degli obiettivi che ICAM si è posta per il futuro.

RESPONSABILITÀ VERSO LA COMUNITÀ

Quello di ICAM con la comunità locale in cui opera, è un legame che si è consolidato negli anni attraverso le assunzioni e una grande attenzione per i temi ambientali, educativi e sociali della zona. L’azienda si impegna inoltre a offrire il suo sostegno a iniziative culturali ed educative, con particolare attenzione al rapporto con le scuole e offre il proprio sostegno anche alla comunità, donando i propri prodotti a tutte quelle associazioni che lo richiedono, oltre ad aderire al Banco Alimentare.

RESPONSABILITÀ VERSO IL PIANETA

Sono quattro le modalità attraverso le quali ICAM si prende cura del pianeta e controlla il proprio impatto ambientale:

o   Efficienza energetica. Lo stabilimento produttivo di Orsenigo, inaugurato nel 2010, è alimentato da un impianto di trigenerazione che, producendo contemporaneamente da una sola fonte energetica elettricità, vapore e acqua fredda, consente di ottenere in modo autonomo e altamente efficiente l’energia necessaria a soddisfare quasi interamente (80% circa) le necessità del processo produttivo. Il trigeneratore, alimentato a metano, raggiunge infatti un livello di efficienza di circa l’82%, consentendo dunque un risparmio energetico davvero significativo. Tale risparmio trova conferma nei 6.320 “Certificati Bianchi” (o anche Titoli di Efficienza Energetica) assegnati ad ICAM negli ultimi quattro anni, che certificano i risparmi energetici conseguiti realizzando interventi di miglioramento dell’efficienza energetica.

o   Gestione dell’acqua. Il cioccolato è uno dei prodotti alimentari con il più alto impatto in termini di consumi idrici. Consapevole dell’importanza dell’utilizzo responsabile delle risorse naturali, con lo spostamento della produzione presso lo stabilimento di Orsenigo, ICAM ha ottimizzato la gestione dei consumi di acqua all’interno dei cicli di produzione. Lo stabilimento è infatti caratterizzato da un struttura idrica a circuito chiuso per il sistema di raffreddamento che ha permesso all’azienda di ridurre di oltre il 90% i consumi idrici annui rispetto al precedente impianto, passando da circa 700.000 litri a “soli” 70.000 litri e raddoppiando contemporaneamente la capacità produttiva. Entro il 2020 ICAM si è posta l’obiettivo di mettere a punto un metodo per ridurre del 50% il consumo d’acqua.

o   Packaging sostenibile. Il tema dell’eco-sostenibilità del packaging rappresenta oggi un tema molto dibattuto e controverso, sia a livello di legislatori, sia di produttori e utilizzatori. ICAM nel 2018 ha acquistato 860 tonnellate di materiale per l’imballaggio dei suoi prodotti, di cui circa l’85% è rappresentato da materiale completamente riciclabile. Facendo proprie le direttive in materia di gestione dei rifiuti indicate dall‘Unione Europea (Direttiva 94/62 CEE), e in risposta alle sempre crescenti sollecitazioni provenienti dai clienti, ha avviato, in partnership con alcuni fornitori e consulenti specializzati del settore, un’importante attività di studio su più fronti, allo scopo di ridurre significativamente l’l’utilizzo del packaging non riciclabile. Lo studio si articola in 3 direzioni principali: la riduzione del volume di imballi, l’impegno, dove tecnologicamente possibile, ad utilizzare confezioni 100% riciclabili e lo sviluppo di soluzioni di packaging biodegradabili/compostabili.

o   Carbon Footprint. Al fine di misurare l’impatto ambientale generato rispetto al riscaldamento globale, ICAM ha avviato un’attività di calcolo e monitoraggio della propria Carbon Footprint. Lo studio, sviluppato col supporto di un ricercatore del Politecnico di Milano, ha permesso di valutare le performance ambientali della produzione di 1 kg di Cioccolato fondente 86% Vanini (origine Bagua, Perù) comprensivo di packaging, in confezioni da 100g. L’analisi è stata condotta secondo la metodologia LCA (Life Cycle Assessment), prendendo in considerazione l’intera filiera a partire dalla coltivazione delle materie prime fino allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal packaging. Lo studio condotto ha calcolato una carbon footprint di prodotto di 1,11 kg di CO2 equivalente per chilo di cioccolato, un dato inferiore di quasi il 30% rispetto ad altri prodotti comparabili.

Chi è ICAM

L’azienda nasce nel 1946 dalla grande passione per il cioccolato che le famiglie Agostoni e Vanini hanno tramandato di generazione in generazione.

Con un’offerta che si distingue in tre principali linee di prodotto (dedicate all’industria, private label e a marchio proprio), ICAM oggi si è guadagnata il suo spazio non solo sul mercato italiano, ma sempre di più si sta affermando anche su quello estero che pesa ben il 58% sul fatturato 2018 (totale fatturato 2018: 156 Mil. €). Il controllo dell’intera filiera produttiva, e uno stabilimento produttivo (a Orsenigo, Como) dotato delle più moderne tecnologie proprie dell’industria 4.0, sono i due tratti distintivi che da sempre caratterizzano l’offerta di ICAM.

 

OVS: cotone 100% sostenibile entro il 2020 per risparmiare 12 mld di litri di H2O

 

OVS: l’obietivo è quello di utilizzare entro il 2020, per le proprie collezioni, il 100% di cotone sostenibile, ovvero: cotone organico, cotone proveniente da coltivazioni BCI o riciclato (nel 2018 questo materiale rappresentava quasi il 70% della produzione totale). Un traguardo che, in termini di impatto ambientale, si tradurrà in un risparmio di circa 14 miliardi di litri d’acqua, una significativa riduzione di pesticidi (15 tonnellate) e di Co2 (circa 6000 tonnellate).

OVS già da tempo ha posto l’innovazione sostenibile al centro delle attività produttive, infatti è stata la prima azienda italiana ad aver sostenuto Better Cotton Initiative (BCI), l’organizzazione internazionale che mira a migliorare radicalmente l’impatto sull’ecosistema e sulle persone dell’industria globale del cotone. BCI  l’ha inserita nel  “Better Cotton Leader Board”, tra le prime 15 realtà più virtuose al mondo (su oltre 100 aziende associate), per aver contributo ad incrementare l’acquisto proveniente da coltivazioni più sostenibili.

Ma l’impegno di OVS non si ferma al cotone. Per la Primavera/Estate 2020, infatti, OVS incrementerà ulteriormente l’utilizzo di alternative sostenibili anche per altri materiali impiegati tra i quali la viscosa proveniente da cellulosa certificata FSC, il nylon e il poliestere provenienti dal recupero della plastica. Un nuovo step per il programma OVS #wecare, avviato nel 2016, che tocca tutte le dimensioni aziendali, dal prodotto al negozio, alle persone, attraverso il quale OVS intende accelerare la transizione verso una moda circolare e contribuire a proteggere

L’Angelica entra nel mercato degli snack salutistici

L’Istituto Erboristico L’Angelica, entra nel mercato degli snack salutistici con i COCO CHOCO snack chips, realizzati con la collaborazione del Maestro Cioccolatiere Mirco della Vecchia.

Si tratta di snack funzionali, in formato di golose chips (non fritte, ma cotte al forno e senza glutine): croccanti scaglie di cocco, ricche di fibre e dall’azione ricostituente, si fondono con le proprietà benefiche del pregiato Cacao Criollo (lo stesso protagonista della linea di Cioccolate funzionali BuonisSsima), con l’aggiunta di preziosi superfood in grado di supportare il benessere dell’organismo!

La gamma dei COCO CHOCO snack chips è composta da 2 esclusive referenze:

1) COCO CHOCO snack chips Energy Ricarica, fiocchi di cocco con Cacao Criollo arricchiti con Maca, Matè e Vitamina PP. La Maca, detta ginseng delle Ande, fornisce un supporto alle capacità di adattamento dell’organismo allo stress ed alla fatica, mentre il Matè ha un’azione tonico-energetica. Grazie anche all’aggiunta di Vitamina PP, lo snack nel suo complesso è utile per il metabolismo energetico e la riduzione della stanchezza, per una sferzata di gusto e di energia. Disponibile sia nel formato da 40 grammi, che nel formato da 20 grammi.

2) COCO CHOCO snack chips Antiox: fiocchi di cocco con Cacao Criollo, arricchiti con Spirulina, Acerola e Zinco. La Spirulina è un’alga ricca di proteine vegetali, utile alleato grazie alla sua azione ricostituente, mentre L’Acerola, detta “Ciliegia delle Barbados”, è particolarmente ricca di Vitamina C. Grazie anche alla presenza dello Zinco, lo snack nel suo complesso si rivela utile per il sistema immunitario e per la protezione delle cellule dallo stress ossidativo. Disponibile sia nel formato da 40 grammi, sia nel formato da 20 grammi.

 

 

Alcedo SGR rileva il 68% di Eurochef Italia

Eurochef Italia Srl cede, attraverso il Fondo Alcedo IV, il 68% ad Alcedo SGR che ha rilevato la partecipazione dai tre soci fondatori Stefano Stanghellini, Alessandro Cipriano e Franca Raspa. Stefano Stanghellini ed Alessandro Cipriano rimangono ciascuno con una quota del 16% mantenendo i propri ruoli all’interno dell’azienda rispettivamente nell’area produzione-acquisti e nell’area commerciale.
La società, con sede a Sommacampagna (Verona) è nata nel 1998 dall’intuizione di Stefano Stanghellini, specializzandosi nella produzione e commercializzazione di piatti pronti e pastorizzati di gastronomia fresca e affermandosi negli anni come partner per le principali catene della GDO, anche grazie all’ingresso di Alessandro Cipriano. Nel corso del tempo la Società ha affiancato alla linea tradizionale anche le linee vegana e biologica, distinguendosi sul mercato per l’utilizzo di ingredienti naturali di prima qualità.
Per il 2019 è previsto un fatturato di oltre 19 milioni di euro.
I soci erano alla ricerca di un partner finanziario in grado di accompagnarli nel percorso di crescita di Eurochef, ed hanno identificato in Alcedo il partner ideale per guidare l’azienda e rafforzare la struttura in un’ottica di sviluppo in Italia ed all’estero anche tramite acquisizioni.
Per Alcedo si tratta del settimo investimento con il Fondo Alcedo IV, avente una dotazione di 195 milioni di Euro, la cui raccolta è stata completata a maggio 2016.

Realtà virtuale: in cerca di nuove frontiere per potenziare la user experience

inVRsion nasce nel 2015, focalizzandosi su soluzioni realistiche e scalabili di realtà virtuale per simulare negozi, prodotti e shopping experience.
Nel 2016 sviluppa il software, ShelfZone: una web application da cui si possono progettare gli spazi retail e visualizzare dati e analytics.

La sua strategia a lungo termine? Pensare in un modo completamente nuovo l’e-commerce, potenziando la user experience.

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Ai confini della realtà virtuale. A tu per tu con Matteo Esposito di inVRsion

Tutta colpa (ma forse, col senno di poi, sarebbe più giusto dire merito) di una cartolina. Meglio: DELLA cartolina. Quella che gli aprì la strada del servizio civile e, quindi, del mondo del lavoro. Fu così che Matteo Esposito, oggi CEO di inVRsion, mosse i suoi primi passi professionali.

“Dopo un debutto (breve ma intenso) nella facoltà di ingegneria informatica – ci racconta Matteo – e una prosecuzione in direzione “eccentrica” nel ramo della filosofia, in seguito (grazie al richiamo al dovere da parte della Patria) riuscii ad operare una sintesi delle due esperienze (apparentemente incompatibili)”.

Dopo i primi passi nella comunicazione digitale e nello sviluppo di applicazioni multimediali, sarà nei primi anni del Duemila tra i fondatori della nota agenzia digital Imille, dove ricoprirà il ruolo di amministratore delegato fino al 2015. Sarà sul finire di questa esperienza che nascerà l’idea per una nuova startup, inVRsion.

Può spiegarci inVRsion?

“Beh, potremmo dire che la sua forza risiede nella simulazione di spazi retail. Fin dalla sua nascita nel 2015, infatti, la startup si è focalizzata su soluzioni realistiche e scalabili di realtà virtuale per simulare negozi, prodotti e shopping experience.
Nel 2016 abbiamo sviluppato il nostro software, ShelfZone, che consiste in una web application da cui si possono progettare gli spazi retail e visualizzare dati e analytics, e in un simulatore di realtà virtuale immersiva pensato per un hardware di fascia enterprise.
In un crescendo scandito dal passare del tempo, la nostra tecnologia si è evoluta consentendoci di simulare spazi sempre più grandi, prodotti sempre più realistici e di studiare il comportamento dei consumatori in realtà virtuale integrando sistemi neuroscientifici d’avanguardia.”

Il vostro obiettivo oggi?

“Quello di continuare a crescere, essenzialmente in due direzioni: quella del trade marketing e della ricerca, estendendo quindi il ricorso alla realtà virtuale per misurare del gradimento del consumatore, grazie all’ottenimento di specifici KPI come il percorso di navigazione in store, le fissazioni oculari sullo scaffale, l’attivazione mentale ed emotiva rispetto a un determinato stimolo. Tuttavia, la strategia a lungo termine della nostra società è quella di pensare in un modo completamente nuovo l’e-commerce, potenziando la user experience che da troppo tempo è ferma a una banale scheda prodotto. Noi lo chiamiamo v-commerce e pensiamo che, grazie ai dispositivi VR di prossima generazione come quelli prodotti da Facebook o da Sony, possa arrivare presto in tutte le case.
Per perseguire questi due obiettivi ci siamo specializzati nel perfezionamento dei processi di digitalizzazione dei prodotti in 3D, con l’obiettivo di migliorare la qualità e di abbattere i costi. A questo proposito, nel 2016 abbiamo depositato un nostro brevetto per la riproduzione di prodotti tridimensionali, ricorrendo a un sistema di intelligenza artificiale basato su Computer Vision e reti neurali”.

Le vostre soluzioni vengono comprese dalle aziende?

“L’interesse verso soluzioni in grado di accrescere la visibilità dei brand, ottimizzare le attività in store o testare l’efficacia espositiva di un prodotto sul punto vendita, non manca. Serve ancora tuttavia da parte di molte aziende una maggiore organizzazione per strutturarsi a livello di processi. La digitalizzazione dei prodotti 3D, per esempio, non è funzionale solo alla realtà virtuale, ma presto potrà servire diversi casi d’uso che vanno per esempio dal social media marketing al web 3D commerce”.

In termini di scenario competitivo, qual è il panorama?

“I nostri competitor appartengono a realtà con massa critica decisamente più grande della nostra e lavorano all’interno di sezioni dedicate al trade marketing. Realtà dinamiche, agili e piccole (diciamolo pure) come la nostra, non sono attualmente molto diffuse”.

Come vede inVRsion nel prossimo futuro?

“Ancora più proiettata all’estero, come dimostra infatti l’imminente apertura di una nuova sede negli States. Il nostro effort principale continua a essere la ricerca e sviluppo per creare una piattaforma SaaS sempre più evoluta che consenta a brand e retailer di entrare nel futuro di questa tecnologia dalle infinite opportunità che è la VR”.

Vino: l’Australia sorpassa la Francia nell’export verso la Cina

Foto di Wokandapix da Pixabay

L’export di vino versa la Cina, non marca bene. Almeno per quanto riguarda gli storici leader (in materia enologica) europei: francesi (-31,5% a valore), spagnoli (-16,9%) e italiani (-12,5%).

Fuori dal vecchio continente, invece, le cose vanno in direzione opposta. Specialmente per australiani e cileni che crescono rispettivamente del 4,8% e 8,4%.

Le cause

Il calo nell’import cinese di vini francesi ha riguardato i vini fermi imbottigliati – che rappresentano a volume il 95% del totale – diminuiti a valore di quasi il 34%, mentre ha risparmiato gli spumanti (principalmente Champagne) che all’opposto sono cresciuti di oltre il 24%. La stessa cosa, nel suo piccolo, ha riguardato l’Italia: mentre si sono ridotti gli acquisti a valore del 15% in seno ai vini fermi, quelli relativi agli spumanti hanno fatto registrare un +5%.

Il prezzo gioca un ruolo fondamentale negli acquisti dei vini da parte dei cinesi e gli accordi di libero scambio di cui godono australiani e cileni (che permette loro di entrare in Cina a dazio zero) li favoriscono rispetto ai competitor, anche nei confronti dei più blasonati francesi che fino a qualche anno fa sembravano immuni da queste logiche concorrenziali”, dichiara Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor.

Ne è riprova quanto accaduto all’import di vini statunitensi in questi primi cinque mesi: la guerra commerciale combattuta da Trump con la Cina a colpi di aumenti tariffari alle frontiere ha portato le vendite di vini Usa sul mercato cinese a -54% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: una bella botta per i produttori americani!

E’ invece fuori di dubbio come l’Australia abbia deciso di investire pesantemente sul mercato cinese, tanto da farlo diventare il primo mercato di sbocco dei propri vini. Oggi il 40% dei ricavi derivanti dalle vendite oltre frontiera dei vini fermi imbottigliati australiani deriva proprio dalla Cina quando dieci anni fa tale incidenza non arrivava al 4%.

“Ma il sorpasso australiano ai danni della Francia può anche essere interpretato come un cambiamento nelle modalità di consumo dei vini da parte dei cinesi, un segno di maturità e maggior consapevolezza negli acquisti, non più dettati solo dalla ricerca di status e notorietà, ma di qualità al giusto prezzo. E, in questo caso, il vino italiano può giocare la sua partita, a patto di farsi conoscere dal consumatore cinese” ha aggiunto Pantini.

La riduzione che ha interessato l’import dei vini italiani sul mercato cinese non ha fortunatamente trovato analogie sugli altri principali mercati mondiali. Restando in tema di mercati terzi, l’import di vini dall’Italia è cresciuto infatti – sempre a valore e nei primi cinque mesi del 2019 – di quasi il 10% in Giappone, del 2% in USA, Svizzera e Norvegia e dell’1% in Canada. Percentuali significative di incremento in Corea del Sud (+18%) e Brasile (+4%).

Le nuove tecnologie danno sicurezza. Ma quante aziende le utilizzano?

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Le nuove tecnologie piacciono. E rassicurano. Peccato però che le aziende del Food & Beverage, pur percependone l’importanza per la sicurezza alimentare, non siano ancora del tutto consapevoli di come applicarle. Ecco in estrema sintesi una delle principali evidenze emerse dall’indagine Il futuro della sicurezza alimentare: quale il prossimo passo? condotta da DNV GL e GFSI (The Global Food Safety
Initiative) su oltre 1.600 professionisti del settore in tutto il mondo. Lo studio ha infatti evidenziato come soltanto 1 azienda su 10 utilizzi già oggi le nuove tecnologie per garantire la sicurezza alimentare. Migliori gli scenari futuri: da qui a 3 anni si prevede infatti che il rapporto salga a quasi 4 su 10.

Ma quali sono le nuove tecnologie più diffuse?
I dati indicano sensori e beacon (44% oggi, 56% fra tre anni) seguiti dalla blockchain (15% oggi, 40% fra tre anni). Il problema è che in mancanza di idee chiare in materia, gli investimenti sono anch’essi fluttuanti: più di un quarto delle aziende intervistate dichiara di non sapere quanto investirà in soluzioni digitali nei prossimi 12-18 mesi, mentre il 14% risponde che non effettuerà alcun investimento.

Unrecognizable female supermarket customer reaches for fresh oranges while shopping for produce. Focus is on a shopping basket filled with leafy greens and fresh oranges.

“Le tecnologie digitali come la blockchain hanno già trasformato molti settori, specialmente nel mondo retail, ma la nostra indagine suggerisce che per molte aziende queste tecnologie devono ancora passare dall’essere oggetto di discussioni teoriche, a possibilità di applicazione concreta,” commenta infatti Luca Crisciotti CEO di DNV GL – Business Assurance.

A intuire il valore della blockchain sono soprattutto le aziende asiatiche, il 57% delle quali prevede di utilizzare questa tecnologia entro tre anni, una percentuale significativamente più alta che nelle altre regioni.

Se poi andiamo a guardare le motivazioni che portano le azuiende a implementare la sicurezza alimentare, vederemo che sl primo posto svetta la salvaguardia della salute dei consumatori (88%), seguita da leggi e normative (69%) e dalle esigenze/richieste dei consumatori (60%). I benefici commerciali ottengono invece un punteggio più basso (30%), a suggerire che la sicurezza alimentare sia percepita più come un prerequisito che come un differenziale competitivo.
E quali sono le paure peggiori?
I rischi operativi (76%), come le contaminazioni, sono percepiti come la minaccia più evidente, seguiti dai rischi associati alla mancanza di una cultura della sicurezza alimentare (30%) e alla conformità con le normative (28%). I timori per i rischi operativi sono particolarmente sentiti in Europa (82%) rispetto alle altre regioni.

Ma come disinnescare (o quanto meno ridurre la minimo) i rischi?

A questo scopo, le aziende si concentrano sui sistemi di sicurezza alimentare: HACCP (85%), procedure per garantire la sicurezza nelle fasi iniziali di progettazione di un prodotto (68%) e un sistema di gestione (es.ISO 22000) che copra i requisiti di produzione e permetta al contempo di ottenere un miglioramento continuo (66%).

Infine, è stato chiesto al campione, perché ricorrere alle certificazioni.
Una netta maggioranza di aziende ha risposto di vedere la certificazione come un requisito per fare business (79%) mentre, più di metà (53%) ha detto di considerarla anche come un modo per migliorare ulteriormente la sicurezza alimentare.Metodologia dell’indagine

L’indagine è stata condotta tra novembre e dicembre 2018 e ha interessato 1.643
specialisti di aziende Food & Beverage lungo tutta la catena del valore in Europa,
Nord America, Centro-Sud America e Asia.

Il campione è costituito da clienti di DNV GL – Business Assurance e da aziende certificate secondo almeno un programma di certificazione riconosciuto da GFSI.

Nel campione sono state considerate come LEADER 241 aziende in totale, che rappresentano il 15% di tutti i rispondenti e l’analisi delle loro risposte offre spunti di approfondimento sulle buone pratiche e la filosofia delle aziende che presentano un approccio più maturo alla sicurezza alimentare.

Bottega ricorda lo sbarco sulla luna con uno Jeroboam in vetro soffiato

L’azienda Bottega, cantina e distilleria di Bibano di Godega (TV), per celebrare l’anniversario dei 50 anni dello sbarco sulla luna, ha creato una bottiglia speciale in vetro soffiato dedicata allo straordinario evento, che ha segnato la storia dell’umanità. La creazione artistica, realizzata nella soffieria di proprietà dell’azienda trevigiana, riproduce al suo interno una mezzaluna simbolica.

La bottiglia dedicata alla luna è uno Jeroboam che contiene 3 litri di grappa di Prosecco e che viene prodotta in edizione limitata. Il packaging è completato da un elegante astuccio in legno. Il prezzo al pubblico è di 269 euro.

L’inedito prodotto rientra tra vetri artistici dell’azienda trevigiana, che ha creato nel tempo una collezione di grande suggestione. Nata nel corso degli anni ’80, ha conseguito svariati riconoscimenti culminati nella mostra “Art in Grappa”, presso gli Istituti Italiani di Cultura di New York, Montreal, Colonia, Barcellona e Madrid. Nel 2017 il comune di Hiroshima ha ospitato in tre musei della città l’esposizione artistica “Spirit of Peace”, ideata da Sandro Bottega per ricordare gli effetti devastanti della tragedia nucleare. Si tratta di una raccolta di bottiglie e oggetti in vetro soffiato, creati ad hoc. L’elemento simbolico più significativo è la colomba sinonimo di pace, riprodotta in due esemplari, anch’essa in vetro soffiato.

Malnatt: nasce progetto brassicolo per l’inserimento di carcerati ed ex-carcerati

Si chiama “Malnatt, il gusto del riscattol’innovativo progetto brassicolo della città di Milano che vuole accendere l’attenzione sul tema e il valore del reinserimento delle persone carcerate ed ex-carcerate nel mondo produttivo.

Il progetto nasce dalla collaborazione tra i Direttori dei tre Istituti penitenziari milanesi di Bollate, Opera e San Vittore e un gruppo di imprenditori ed esercenti del territorio milanese, grazie al supporto del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e del Comune di Milano.

Finalità del progetto è rafforzare ulteriormente il ponte tra le attività educative e produttive svolte in carcere e il territorio milanese: grazie alla filiera birraria, Malnatt darà un’opportunità concreta di formazione e lavoro ad alcuni detenuti ed ex-detenuti, in particolare nelle fasi di produzione – presso l’Azienda Agricola La Morosina nel Parco del Ticino – e di distribuzione presso la società Pesce.

A tendere, l’inserimento potrà coinvolgere anche le attività di servizio grazie alla collaborazione con gli esercenti che si renderanno disponibili.

L’obiettivo atteso, a 24 mesi dal lancio, è duplice: reinserire almeno dieci detenuti o ex-detenuti e generare risorse per sostenere ulteriori progetti che procurino ricadute positive sul sistema di esecuzione penale.

Le birre Malnatt, attualmente in fase di distribuzione presso il canale horeca e moderno (a seguire l’elenco dei locali milanesi che hanno già aderito), sono birre agricole – ovvero prodotte con materie prime coltivate in loco presso La Morosina – ad alta fermentazione, non pastorizzate, non filtrate e rifermentate in bottiglia o in fusto. Tre saranno le referenze prodotte e dedicate ai tre istituti carcerari di Milano: Malnatt San Vittore, birra chiara non filtrata di solo malto d’orzo; Malnatt Bollate, birra di frumento; Malnatt Opera, birra rossa.

Nome e logo di Malnatt (termine del dialetto milanese che sta affettuosamente a significare “nato male”), ideati da Take, l’Agenzia di comunicazione partner del progetto, pongono in particolare l’accento sulla milanesità del progetto e sulla cultura popolare meneghina. Non a caso, è un malnatt il protagonista di Ma mi, la celebre canzone, scritta da Giorgio Strehler e cantata da Ornella Vanoni e poi da Enzo Iannacci, che racconta di una detenzione nel Carcere di San Vittore.

La presenza digitale di Birra Malnatt – attraverso il sito www.birramalnatt.it e i canali Facebook e Instagram – è curata da Redfarm, società di produzione e comunicazione digitale controllata da Take.

 

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