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Come i social cambiano la spesa, Waitrose svela i trend del food 2016

Identitario, sociale, salutare, fotogenico: è questo il cibo nel 2016 secondo il quarto Waitrose Food and Drink Report appena pubblicato. Frutto dell’analisi di milioni di dati derivati dalla spesa in una delle principali (e più cool) insegne britanniche, ma anche dal lavoro di analisti ed addetti ai lavori, il Report scatta una fotografia dei consumi in fatto di cibo e bevande nell’anno in corso (un po’ come fa il rapporto Coop in Italia, anche se con un angolatura molto più limitata).

Il cibo, e di conseguenza la spesa, sono specchio della società e mutano a seconda della sua evoluzione. L’avanzata del digital e la consuetudine sempre più diffusa di pubblicare foto di cibo sui social ha davvero influenzato il nostro modo di mangiare e di presentare il cibo. Un britannico su cinque ha postato food nell’ultimo mese, il 9% nell’ultima settimana, e il 44% ha confessato di mettere più impegno nel preparare una pietanza rispetto a cinque anni fa, se sa che avrà buone probabilità di essere fotografata e diffusa sui social, mentre il 39% dichiara di mettere più cura nella presentazione (l’immancabile impiattamento dei talent culinari che affollano i canali tv).

Le ricette colorate e stilose, belle per la vista e non necessariamente per il gusto, sono in grado di decretare, soprattutto nei Paesi anglosassoni (ma il trend è già ben instaurato anche da noi) il successo di pubblico (e di vendite) di toast all’avocado e frullati, colorati e fotogenici.

Ecco gli altri trend individuati dal rapporto:

Porzioni più piccole specie per gli snack dolci Non si rinuncia ma si riduce: le vendite di mini hot cross bun (sorta di pane all’uvetta pasquale) sono aumentate quest’anno del 165%.

Più fresco e più leggero lo è il cibo che si mette in tavola rispetto a soli cinque anni fa per il 60% degli intervistati

Viva i Sandwich le vendite sono aumentate del 5% nel 2016 nel Regno Unito. I best sellers?Gamberetti e maionese e salmone affumicato e formaggio

Avanti gli avanzi il 34% degli interpellati congela più cibo rispetto a cinque anni fa e le vendita di contenitori per riporre il cibo sono aumentati del 37%, perché sempre più persone conservano gli avanzi per riutilizzarli anziché buttarli

Gin, un gran ritorno– Quest’estate i tre alcolici più venduti da Waitrose erano tutti gin, e il gin ha contato per un terzo di tutte le vendite di alcolici

Bevande zuccherate dure a morire Le usano durante il pranzo 2/3 dei britannici, insieme a bevande calde; solo 1/3 beve acqua

Il boom del rosé Quest’estate le vendite di vino rosé hanno registrato uno straordinario +104%, spinte dalla moda (che impazzava su Instagram) del “frosé”: una sorta di sorbetto di vino rosé, fragole o limone e ghiaccio tritato.

 

I cibi più “in” del 2016…

Secondo il rapporto, nel 2016 alcuni alimenti hanno fatto il salto da giovani promesse a star del carrello. La voglia di novità, ma anche di salute e sostenibilità, ha quindi portato fortuna a Alghe (in insalata, o per i più avventurosi come sostituito degli spaghetti), Churros (dolci fritti spagnoli), Vegetali “brutti” (hanno iniziato a comparire sugli scaffali in funzione di lotta allo spreco), Acqua di cactus (alternativa trendy all’acqua di cocco), Semi e cereali alternativi (da mettere nelle insalate ma anche come opzione gluten-free: le vendite di grano saraceno sono aumentate dell’82% e di semi di chia del 62%); Cibo abbrustolito, Farina di cocco, Picanha (taglio di carne sudamericano); Cibo Vegano (anche nella variante eterodossa “con uova”, Bao (panini cinesi ripieni al vapore).

 

…E quelli che saranno sotto i riflettori nel 2017

Yogurt alle verdure Alla carota, barbabietola, patata dolce o pomodoro, questa novità proveniente dagli USA potrebbe arrivare sui nostri scaffali l’anno prossimo. Leggermente dolce ma non troppo, si accompagna a vari tipi di cibo.

Kit per cucinare per bambini.. gourmet Per mamme attente alla salute e al gusto ma a corto di tempo arrivano i kit per cucinare con tutti gli ingredienti prepesati e una ricetta semplice e veloce, ma non banale.

Salse leggere La panna è out, i purè di verdure decisamente “in”

Poké Già imperversa nei blog di cucina di casa nostra il Poké, l’insalata di pesce crudo marinato hawaiana, e qualcuno pensa diventerà il “nuovo sushi”

Un cocktail per un profumo Ha iniziato Givenchy al Café Royal di Londra ma potrebbe guadagnare fan l’idea di abbinare un cocktail alla nota del profumo preferito.

L’intero rapporto è scaricabile a questo link.

Leggi anche le tendenze della spesa evidenziate nei rapporti precedenti:

I trend della spesa 2015 secondo Waitrose: piccola, frequente, informale e flessibile (2015)

Waitrose rivela le tendenze del food (2014).

Insegna dell’Anno e Premio Negozio Web Italia: i finalisti

Insegna dell’Anno e Premio Negozio Web Italia: ecco i nomi delle aziende selezionate, sulla base delle valutazioni dei consumatori.

Sono 85 le insegne (suddivise su 27 categorie merceologiche) che concorrono per vincere il premio “Insegna dell’Anno Italia 2016-2017” mentre sono 53 le catene (classificate in 18 categorie merceologiche) che concorrono per il premio “Negozio Web 2016-2017”.schermata-2016-11-02-a-14-38-49

Le insegne finaliste di entrambi i premi nella stessa categoria, entrano in competizione in automatico per il Premio Cross-Canalità. Si tratta di un nuovo riconoscimento assoluto, non suddiviso nelle singole categorie come accade per Insegna dell’Anno Italia e Premio Negozio Web. In questo caso, sono 14 le insegne a contendersi il premio.

schermata-2016-11-02-a-14-38-30L’iniziativa “Insegna dell’Anno” è la più importante manifestazione in Italia per le catene distributive (food, non food e ristorazione) perché registra fedelmente il giudizio del consumatore finale e disegna un quadro preciso del mondo della distribuzione organizzata in Italia.

Proprio per questo le catene si impegnano in prima persona per stimolare le valutazioni attraverso gli strumenti più idonei: si va dal classico volantino per i supermercati e ipermercati fino alle newsletter tipiche invece delle catene con un utenza più giovane e digitalizzata.

Il verdetto finale sui vincitori verrà emesso il 9 novembre nel corso della serta di gala.

Alimentazione e salute, gli italiani cercano lumi sul web, le aziende latitano

È sempre più il web il consigliere, confidente ed oracolo al quale rivolgersi prima di effettuare un qualsiasi acquisto, e questo è vero anche per i consumi alimentari. Lo stabilisce Bem Research in un’analisi sulle ricerche ottenuta analizzano Google, il motore di ricerca più utilizzato. Perché analizzando ciò che le persone cercano, si possono cogliere bisogni e necessità dei consumatori italiani. Magari non sempre espresse nel punto vendita.
Dalle ricerche fatte dagli internauti sul tema dell’alimentazione emerge un Paese in cambiamento, con le esigenze che evolvono in base alle diverse fasi della vita e alla maggiore diffusione di alcuni temi connessi con il cibo, tra cui anche le mode. Posto che l’alimentazione e la passione per la cucina è uno dei tratti che ha contraddistinto l’Italia degli ultimi 50 anni, vedere come le nuove generazioni italiani si interfacciano con i prodotti alimentari può fornire anche uno spaccato dell’attuale società.

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Alimentazione, la ricerca è “targhetizzata” e spazia in positivo e in negativo
Un primo elemento che emerge dall’analisi sulle tendenze di ricerca sul web è che argomenti d’interesse simili possono esprimere bisogni diversi. Questo è per esempio il caso delle ricerche relative alle parole chiave “alimentazione” e “alimenti”. Generalmente orientate a trovare informazioni utili, in primo luogo, al proprio benessere fisico. A seconda della fase di vita che si sta attraversando, o dei bisogni più avvertiti al momento, la ricerca si amplia poi di argomenti più specifici, come ad esempio “alimentazione quando si allatta”, “alimentazione quando si va in palestra”, “alimentazione quando si ha colite”, ecc…

Gli argomenti più cercati sul web
Fonte: Google Trends

1. Dieta
2. Calorie
3. Glutine
4. Colesterolo
5. Integratori
6. Valori nutrizionali
7. Yogurt
8. Proteine
9. Peso ideale
10. Celiachia
11. Tonno
12. Trigliceridi
13. Carboidrati
14. Grassi

Alimentazione, dunque, va a braccetto con tematiche quali dieta, calorie, glutine, colesterolo e integratori.
Questo è vero non solo in positivo però, con la ricerca di alimenti “buoni” (tipo lo yogurt) o miracolosi “superfoods” (una moda che però forse da noi non ha ancora preso così piede come nei Paesi anglosassoni), ma anche in negativo, con la ricerca di maggiori informazioni su prodotti alimentari “a rischio” per problematiche salutari ma anche etiche (forse in quest senso va interpretata la presenza di tonno, specie a rischio per la pesca intensiva). In questa categoria vanno inserite le ricerche di prodotti alimentari senza olio di palma. Il termine “olio di palma” infatti, inizia a far parlare di sé in modo evidente solo alcuni anni fa (intorno al 2011, anche se in alcuni forum ad esempio di mamme se ne parlava già da molto prima) e ad oggi è sempre più frequente trovare prodotti alimentari che sul proprio packaging esplicitino il “senza olio di palma” in modo chiaro ed evidente. Ivi compersi prodotti che non hanno mai utilizzato questo tipo di grasso vegetale.
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Nuovi stili di vita, frenetici e veloci ma anche gourmand
La passione per la cucina e per le ricette in generale è una caratteristica che accomuna un grande fetta di italiani. Sono innumerevoli i siti web, blog e applicazioni mobile dedicati alle ricette, segno del forte interesse sul tema, confermato anche dall’attenzione che i molti programmi televisivi dedicati alla cucina riscontrano presso il grande pubblico.
Analizzando la tipologia di ricerche correlate a “ricette”, si riscontra qualcosa di più dei semplici gusti degli italiani. Il cambiamento dello stile di vita influenza anche il rapporto con il cibo, tant’è che rispetto a pochi anni fa sono aumentate notevolmente le ricerche relative a “ricette veloci”, ad evidenziare, da un lato, come la vita frenetica abbia riflessi anche in cucina e, dall’altro, come in ogni caso non si voglia rinunciare a mangiare qualcosa di buono nel poco tempo che oramai si ha a disposizione.
Insieme alle ricerche di “ricette veloci” e sue correlate (per esempio, per citarne solo alcune più indicative e stagionali, “ricette veloci pasta”, “ricette facili e veloci”, “ricette light veloci”, “ricette veloci estive”, “ricette veloci per cena”) è in aumento anche l’interesse per un’altra modalità di cucinare in modo rapido, che implica un ulteriore uso della tecnologia rispetto alla sola consultazione del web. La diffusione dei robot da cucina, di cui il Bimby, prodotto dalla tedesca Vorwerk, è al momento lo strumento più conosciuto e apprezzato dai consumatori italiani, ha indotto molti a cercare online il termine “ricette bimby”.

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Opportunità per lo più sprecate: la Case history olio d’oliva

Il web insomma offre opportunità per il settore agroalimentare superiori a quelle di altri settori. Ma non sempre le aziende dell’agroalimentare e della distribuzione moderna sono pronte a coglierle.  Se in alcuni comparti produttivi è spesso necessario un forte sforzo di creatività per attirare l’interesse dei consumatori, per chi si occupa di cibo sono innumerevoli le possibilità “naturali” di fornire informazioni originali e accattivanti con sforzi sufficientemente contenuti.

Bem Reserch prende ad esempio i produttori di olio d’oliva, uno dei prodotti di punta del settore agroalimentare italiano. Quali informazioni potrebbe mettere a disposizione del consumatore un sito web di un’azienda? Numerosissime, dalle caratteristiche organolettiche, al tipo di consumo in base alle diverse esigenze e bisogni, alle ricette che valorizzino l’olio d’oliva. Ciò permetterebbe di attirare visitatori e potenziali acquirenti, sia dall’Italia che dal resto del mondo.

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Amazon e Alibaba, il rischio di lasciare i Big Data in mano ai big…

Interessanti in questo senso sono le recenti iniziative volte a favorire il commercio online dei prodotti tipici italiani da parte dei “re” dei marketplace digitali, Amazon e Alibaba. L’americana Amazon, con la sua vetrina sui prodotti italiani, e la cinese Alibaba, con il recente accordo sottoscritto con il Ministero delle Politiche Agricole nato sia per contrastare la contraffazione sia per promuovere il Made in Italy sulla piattaforma cinese che conta oltre quasi mezzo miliardo di consumatori, sono iniziative che dovrebbero indurre in qualche ulteriore riflessione. “Se da un lato queste piattaforme offrono grandi vantaggi, come quello di potersi interfacciare con milioni e milioni di potenziali acquirenti senza l’incombenza di gestire una logistica a livello planetario, dall’altro gli operatori italiani vedono sottrarsi un importante valore della compravendita – spegano da Bem Research – . Non ci riferiamo soltanto alle commissioni di vendita, alcune volte non proprio trascurabili, ma ancor più alla raccolta delle informazioni sui consumatori. I dati su chi ha acquistato sono infatti gestiti dai marketplace digitali, che poi tipicamente li utilizzano con applicazioni nel campo dei big data per profilare la clientela ed offrire in futuro altri prodotti, che non necessariamente potrebbero essere italiani. In altri termini, facendo esclusivo ricorso a questa piattaforma si rischia di barattare delle vendite aggiuntive nel breve-medio termine con la possibilità di avere prospettive di crescita più solide nel lungo termine”.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di realizzare un grande portale italiano dedicato alla vendita online di prodotti agroalimentari italiani, in grado di vendere in mercati stranieri, che sia quindi multilingua ma ancor più multiculturale. Il Ministero delle Politiche Agricole e quello dello Sviluppo Economico potrebbero farsi promotori di tale. L’iniziativa, coinvolgendo in particolare la grande distribuzione nazionale, potrebbe creare un fronte per promuovere l’interesse comune dell’Italia.

Le imprese italiane che potrebbero unire le forze su questo fronte non mancano, e già ad oggi dimostrano un’ottima padronanza del web.

 

A ottobre non cambia il podio delle insegne con la migliore performance online

L’analisi di ottobre  sulle aziende che hanno la migliore performance online nel settore della grande distribuzione, il BEM Rank, emerge come in testa alla classifica si attestino tre imprese italiane, ovvero Ipermercati Iper, Esselunga e Coop.

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Fiducia in calo. Complici la Brexit, i flussi migratori e le guerre internazionali

La fiducia si contrae in tutta l’Europa dei 28. Secondo l’indice presentato da GFK per il terzo semestre del 2016, si è infatti scivolati dai precedenti 13,1 punti ai 12,3 nel periodo compreso tra giugno e settembre 2016.

Le cause? La Brexit ha pesato parecchio a livello transnazionale (andando però ad attenuare gradatamente i suoi effetti negativi), ma ogni singolo paese ha dovuto fare i conti con questioni interne.schermata-2016-10-17-a-11-38-42

In linea generale, dunque, si può dire che se è vero che sul fronte economico, l’Europa sta attraversando una positiva fase di sviluppo economico (cresce anche il numero degli occupati), è pure vero che le aspettative economiche e di reddito tra i consumatori non sono alte. Così come la propensione all’acquisto. Ciò potrebbe essere imputabile ad aspetti diversi prettamente nazionali, ma anche a fattori psicologici generali e incertezze fondamentali, quali la guerra in Siria, gli attacchi terroristici che hanno colpito Francia e Germania, l’ascesa dei movimenti politici di estrema destra alle elezioni o nei sondaggi e le imminenti elezioni presidenziali americane.schermata-2016-10-17-a-11-37-14

Per quanto attiene all’Italia, pare chiaro che da qui ai prossimi mesi lo scenario non sarà molto roseo.

A causa del persistere della crisi, ma anche per via degli arrivi in massa di migranti, sempre più vissuti come un pericolo.schermata-2016-10-17-a-11-37-54

Ne consegue che le aspettative economiche dei consumatori hanno toccato quota -40,6 punti (il valore più basso da gennaio 2014). Nel complesso, il dato risulta in calo di 9,3 punti dal giugno di quest’anno e di ben 25,2 punti rispetto a settembre 2015.schermata-2016-10-17-a-11-38-16

Non va meglio all’indicatore delle aspettative di reddito: -10 punti dallo scorso gennaio (il livello più basso). E in questo caso la sfiducia è fomentata dall’andamento del livello di disoccupazione in Italia, sempre elevato o addirittura in aumento negli ultimi mesi.

Ed ecco, infine il corollario inevitabile di questo mood: un nuovo calo anche della propensione all’acquisto. Nella prima parte dell’anno questo indicatore aveva raggiunto livelli soddisfacenti, ma nel terzo trimestre è calato drasticamente di 13,9 punti, andandosi ad assestare a 6,8 punti a settembre.

Etichette, stereotipi e luoghi comuni: le donne non ci stanno. La ricerca di Special K

Etichette? No grazie. E non stiamo parlando di quelle nutrizionali, ovviamente. Ma dei luoghi comuni, degli stereotipi che troppo spesso vengono loro affibbiati e che le donne rifiutano con forza.

Lo conferma una recente ricerca commissionata da Special K (come parte della nuova campagna di Special K “La Forza è…”) che ha coinvolto un campione di donne italiane, alle quali è stato chiesto di stilare l’elenco delle parole che non vorrebbero più sentire e quelle che invece contribuiscono a celebrare la forza interiore femminile nella società. Lo studio è nato con l’obiettivo di arrivare al cuore della forza femminile e celebrarne ogni giorno le sue espressioni: in questo scenario, Special K offre il suo contributo sul piano nutrizionale con Special K nutri-mi™, la nuova combinazione di fiocchi e agglomerati multi cereali, arricchita di vitamine, ferro e acido folico.

Parole da bandire

Dalla ricerca emerge che ci sono definizioni sminuenti, avvilenti e offensive per il 63% delle intervistate e per questo andrebbero cancellate dal vocabolario e dal gergo quotidiano.

Ecco le 5 parole più invise alle donne italiane: mestruata e isterica (rispettivamente primo e secondo posto sull’inviso podio). Seguono rompi palle, stronzetta e prima donna.

«Le parole ritenute poco tollerabili da parte delle donne sono quelle che le etichettano in modo svalutante fondandosi sugli stereotipi legati alla “donna lavoratrice” o alla “donna forte” – ha commentato la psicologa e psicoterapeuta Laura Duranti. – Come stereotipi sono particolarmente irritanti poiché tendono ad inquadrare qualsiasi donna nello stesso cliché riducendola al solo essere donna e stressandone le caratteristiche prettamente femminili (diresti mai ad un uomo che è “mestruato” o “isterico”?) ed è questo che li rende meno tollerabili, perché la attaccano in quanto donna e non in quanto persona».

E l’autostima ne fa le spese

Non sono tanto le over 50 ad essere destabilizzate da queste etichette, quanto le giovani: oltre il 58% delle intervistate tra i 18 e i 34 anni, se descritte in questo modo, si sente meno saldo nella propria determinazione a essere fedele a se stessa. Per fortuna ci sono le parole positive, quelle che piacciono e che fanno sentire bene: determinata, sicura di sé, coraggiosa, intraprendente e coerente.

Ad ogni modo le donne non soffrono troppo di complesso di inferiorità, per fortuna. L’86% delle italiane, infatti, pensa di poter contare su una considerevole forza interiore; le donne con figli e quelle con più di 50 anni sono quelle che sono convinte di possederne più della media.

Modelli e figure ideali

Dalla ricerca, inoltre, emerge che circa una donna su due afferma di avere un modello femminile di forza interiore. Quello più gettonato, che si colloca al primo posto è una figura fondamentale come la mamma. Segue Rita Levi Montalcini mentre la terza icona è rappresentata da Madre Teresa di Calcutta.

Shopping on line: il busillis di costi e disservizi. E spunta il serial returner

Shopping on line sempre più sulla cresta dell’onda. Ma i clienti non sono sempre soddisfatti.

Per i disservizi in fase di consegna (a domicilio o sul pdv) ma anche per via dei costi o dei sistemi contorti con cui gestire i resi.

Ecco alcune delle evidenze emerse dalla nuova ricerca “JDA/Centiro Customer Pulse Report Europe 2016″, condotto da YouGov.

La survey realizzata online – coinvolgendo 8.190 acquirenti in Regno Unito, Germania, Francia e Svezia –  ha infatti rivelato che, nonostante la propensione a spendere di più (specialmente perché superando l’importo minimo, si bypassano le spese di consegna), i clienti continuano a non tollerare un servizio scadente.

In caso di delusione, infatti, ha espresso l’intenzione di rivolgersi a un altro retailer, quasi due terzi (63%) degli intervistati, con punte del 74% nel Regno Unito.

Click & Collect

Parliamo di un servizio in crescita, come dimostra il fatto che quasi la metà degli intervistati (49%) ha dichiarato di avere acquistato in modalità “Click&Collect”, con un aumento del 17% rispetto al 2014. I mercati di Francia (59%) e Regno Unito (54%) hanno registrato il tasso di adozione maggiore. Tuttavia c’è ancora qualcosa che non va:  la survey ha rivelato che 1 consumatore su 2 ha riscontrato problemi con le consegne a domicilio degli ordini online  effettuati negli ultimi 12 mesi.

“[….] Come si evince dalla nostra ricerca – ha commentato Jason Shorrock, Vicepresidente, Retail strategy EMEA di JDA  – le problematiche associate al “last mile” delle consegne a domicilio continuano a influire in modo negativo sull’esperienza dei clienti, che sono più propensi a rivolgersi ad un altro retailer se le loro aspettative non vengono soddisfatte. La buona notizia è che i consumatori sembrano essere propensi a superare gli importi minimi degli ordini se questo assicura loro una consegna o un ritiro gratuito. Oggi più che mai è importante offrire un servizio clienti eccellente, se non si vogliono compromettere  le relazioni con i consumatori e il fatturato”.

Valori minimi degli ordini

Ma quali sono le reason why di acquisto più diffuse? Il costo continua a essere il fattore più rilevante per gli acquirenti che ordinano articoli online con consegna a domicilio (50%). Seguono praticità (26%) e velocità (18%). È interessante notare che la velocità è un fattore molto più importante soprattutto in Germania (21%) e Francia (21%) rispetto a Regno Unito (16%) e Svezia (12%).

Nel corso degli ultimi 12 mesi, molti retailer hanno introdotto diverse misure, tra cui valori e addebiti minimi per gli ordini Click & Collect, con l’obiettivo di aumentare la profittabilità delle proprie operazioni online.  Nonostante la maggioranza (79%) dei consumatori indichi di essere disposta a superare gli importi minimi degli ordini, la ricerca mostra chiaramente come, in questo senso, sia dirimente per i consumatori l’opzione di consegna:  il 25% è propenso a farlo per una delivery il giorno stesso e il 22% per una consegna il giorno dopo, ma questa percentuale scende al 15% per le consegne standard (3-5 giorni). Le risposte inoltre variano a seconda dell’area geografica, con un terzo (33%) degli intervistati nel Regno Unito disposto a superare i valori minimi degli ordini per beneficiare di una consegna entro il giorno successivo, rispetto al 16% degli intervistati francesi.
Per quanto riguarda la consegna gratuita, i consumatori del Regno Unito mostrano la maggiore aspettativa, con quasi il 72% che si aspetta una consegna standard gratuita (3-5 giorni), percentuale nettamente inferiore in Svezia (61%), Germania (55%) e Francia (55%).

I resi: alla caccia dei serial returner

La questione è spinosa: la ricerca mostra che il 30% dei consumatori europei restituisce articoli in media due volte l’anno, con un ulteriore 25% che li rende tre o più volte. Complessivamente, il 46% degli intervistati ha effettuato resi poiché non soddisfatto. Un ulteriore 16% ha dichiarato di avere comprato diversi prodotti con l’intenzione di restituirne alcuni. È significativo notare che questa percentuale è maggiore in Germania (23%) e Regno Unito (19%), a indicare una possibile tendenza verso i “serial returner”.
“L’elaborazione dei resi online continua a porre una sfida sia operativa che finanziaria per i retailer. Allo stesso tempo sta avendo un’influenza crescente sulla scelta dei retailer con cui i consumatori decidono di effettuare acquisti online”, ha dichiarato Niklas Hedin, CEO di Centiro. “[…] Per i retailer diventerà sempre più importante identificare i “serial returner”, così da personalizzare al meglio le condizioni offerte per i resi e utilizzarle come fonte di maggior coinvolgimento dei clienti”.

Punti vendita, quale futuro?
Naturalmente in Europa la situazione nn è omogenea: molto dipende dal grado di maturità dei mercati. “Per i retailer internazionali – ha infatti commentato Jason Shorrock –  è importante comprendere queste differenze a livello regionale, in modo da personalizzare il proprio approccio per soddisfare specifiche esigenze locali”.

Comunque un dato è certo: nonostante gli ordini online con consegna a domicilio rappresentano la modalità più popolare negli ultimi cinque anni (61%), ancora un numero significativo di clienti dichiara di utilizzare il servizio Click & Collect (28%) o di utilizzare il punto vendita per fare acquisti e ritirare in negozio (35%) o per fare acquisti e optare per una consegna a domicilio (21%). Se ne deduce, quindi, che il punto vendita continuerà a svolgere un ruolo significativo nel settore retail in futuro.
Infine, un accenno a una recente tendenza che comincia, però, a delinearsi bene: quella dell’utilizzo dei servizi di fulfillment di terze parti, per consentire  il ritiro degli articoli presso luoghi quali stazioni ferroviarie e supermercati. Oltre un quarto (27%) dei consumatori ha dichiarato di essere propenso a utilizzare questi servizi in futuro, particolarmente popolari in Svezia (37%) e Francia (36%).

Greenpeace: il 77% dei consumatori disposti a pagare di più il pesce sostenibile

Quasi otto italiani su 10 sono disposti a pagare di più pur di consumare  pesce catturato con metodi di pesca sostenibili: lo rivela un sondaggio Ixè per Greenpeace. Anche sul pesce si gioca la battaglia dell’alimentazione sana e sostenibile, e di conseguenza della spesa degli italiani. Giudicato da un lato tra i cibi più sani perché fonte di proteine animali di altro profilo ma anche di grassi omega 3 in grado di calmierare il colesterolo, e dunque ottima alternativa a una carne in crisi e costante calo di consumo (vedi Come cambia la spesa degli italiani: su legumi, quarta gamma e riso, giù carne e uova), il pesce è anche sotto i riflettori per una pesca incontrollata che impoverisce i mari, ma anche per le preoccupazioni per le sostanze inquinanti del quale i mari sono ricchi, anche più che di pesci a volte. E i consumatori italiani lo sanno.
Secondo il sondaggio sul consumo di pesce commissionato da Greenpeace, il 77% degli intervistati italiani ha dichiarato di essere disposto a pagare di più il pesce pur di avere garanzie sulla sua sostenibilità e il 91% è pronto a modificare le proprie abitudini alimentari per ridurre lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche e tutelare il mare.

infografica_consumo_pesce«Il sondaggio evidenzia che, se correttamente informati e sensibilizzati sull’importanza di acquistare pesce in modo responsabile, i consumatori possono spostare il mercato verso forme più sostenibili di consumo – ha detto Serena Maso, Campagna Mare di Greenpeace Italia -. Considerato lo stato drammatico in cui versa il Mediterraneo, per invertire la rotta è necessario dare maggior valore a una risorsa preziosa come il pesce, ridurne il consumo ed essere più attenti e responsabili quando si va a fare la spesa».

Il sondaggio, condotto un campione di oltre 1.000 intervistati per ciascun Paese oggetto dell’indagine (Italia, Spagna, Grecia), ha analizzato le abitudini, il grado di conoscenza e la sensibilità dei consumatori rispetto all’acquisto di pesce, sia in casa sia al ristorante. L’analisi rivela che quasi la metà degli intervistati italiani mangia pesce almeno una volta alla settimana e lo acquista prevalentemente nei supermercati.

 

Attenti sì, ma non leggono l’etichetta

Non mancano le contraddizioni però. Pur ritenendo importante informarsi sulla qualità e la provenienza del pesce, solo il 28% dei consumatori è al corrente dell’esistenza della nuova normativa sull’etichettatura del pesce fresco (vedi Arrivano le guide di GS1Italy Indicod-Ecr per la tracciabilità e l’etichettatura di carni e pesce) mentre solo l’11% sa che è obbligatorio indicare in etichetta anche la categoria degli attrezzi da pesca utilizzati: un’informazione fondamentale, che consente ai consumatori di poter scegliere il pesce pescato con attrezzi artigianali e che hanno un basso impatto sull’ambiente. Per questo motivo Greenpeace ha lanciato un nuovo sito per aiutare i consumatori a comprare pesce in modo responsabile: fishfinder.greenpeace.it

Un’altra problematica rilevata dal sondaggio è la scarsa varietà del consumo, limitato a poche specie ittiche (quali tonno, merluzzo, acciughe e pesce spada), spesso fortemente in declino proprio a causa di una pesca eccessiva e distruttiva.

«È evidente che le scelte dei consumatori dei prodotti della Pesca sono influenzate dall’attuale distorsione del mercato, invaso da prodotti ittici provenienti per lo più dalla pesca industriale e non sostenibile. Questo dimostra quanto sia importante informare adeguatamente i consumatori e dar loro tutti gli strumenti per fare scelte responsabili – continua Maso -. È ora che i rivenditori, dalla grande distribuzione alle piccole pescherie di quartiere, soddisfino le richieste dei consumatori e promuovano, come fanno per tanti altri prodotti alimentari e non, le filiere sostenibili anche per il pesce, valorizzando la pesca artigianale e sensibilizzando i consumatori».

In questi senso alcune catene si sono già mosse, come ad esempio Carrefour (vedi Carrefour Italia collabora con MSC per offrire prodotti ittici da pesca sostenibile). Ma, è evidente, si può fare molto di più, per educare il consumatore che, lo rileva il sondaggio, è attento al tema.

Verso Natura Bio: Conad lancia la nuova linea Bio, Veg, Equo, Eco

Consumo responsabile? Sì, grazie.

Sono sempre più numerosi i consumatori convinti dell’importanza di scelte alimentari rispettose dell’ambiente e del proprio benessere. Per dare una risposta univoca, chiara e immediata, Conad  lancia il marchio  “ombrello” Verso Natura Bio, Veg, Equo, Eco, rafforzando questo progetto con una campagna stampa sia sui principali media nazionali, che su web e social.

Quattro aree di bisogno, contrassegnate da un codice cromatico specifico (due diverse tonalità di verde per bio e eco; due distinte nuances di rosso per equo e veg). Saranno in totale circa 200 le referenze disponibili nei negozi Conad, dal prossimo anno: oltre al rilancio delle 60 referenze da agricoltura biologica già in assortimento, Conad ha infatti pianificato il lancio di un’ampia gamma di nuovi prodotti: 94 nella linea Bio – dall’ortofrutta ai legumi secchi, dalle carni avicole e bovine ai surgelati, dai biscotti al latte e agli infusi –, 27 in quella Veg – dai gelati ai sostitutivi di latte e yogurt a base soia, dai piatti pronti freschi vegetali ai sostitutivi di carne surgelata e alle zuppe fresche –, 9 in quella Eco – carta, detergenti casa e detergenti bucato – e 6 in quella Equo – cacao, caffè, cioccolato e te.
«Ai tradizionali brand Conad si affianca ora Verso Natura, un marchio che è testimone di una nuova cultura di Conad, ancora più sensibile, più attenta ai nuovi trend di consumo, più consapevole della necessità di soddisfare meglio i bisogni di quanti fanno la spesa», sottolinea il direttore commerciale di Conad Francesco Avanzini. «È sicuramente un marchio ben articolato per rispondere a stili di vita emergenti legati a scelte consapevoli, alla crescente attenzione al benessere e alla salute, alla qualità di ciò che si porta in tavola, al rispetto dell’ambiente e al rispetto dei diritti dei lavoratori. In linea con i valori della nostra impresa e nella consapevolezza che l’evoluzione dei consumi è un’opportunità per far crescere e sviluppare la nostra marca».

Il lancio di Verso Natura è sostenuto con una campagna stampa sui principali media nazionali e con un’innovativa campagna di comunicazione web e social.

Carrefour innova ancora la sua piattaforma di e-commerce

Carrefour, inarrestabile, continua a migliorare il proprio canale e-commerce, che oggi (ecco l’ultimo step) vede una sempre maggiore integrazione tra i contenuti on line del sito carrefour.it e il servizio di e-commerce.

L’obiettivo lo spiega  Enrico Fantini, Responsabile e-commerce Carrefour Italia “Miriamo a garantire ai nostri clienti un’esperienza di navigazione e di acquisto sempre più facile ed ingaggiante. Con un solo click, ad esempio, è possibile ordinare tutti gli ingredienti necessari per realizzare la ricetta che si sta consultando sul magazine on line di carrefour.it. Prestiamo ovviamente particolare attenzione alle tendenze di mercato più vicine al target dei nostri clienti e-commerce ed è per questo che stiamo sperimentando alcune interessanti innovazioni dell’offerta. Ad esempio la possibilità di ordinare on line il sushi fresco preparato direttamente in punto di vendita, e riceverlo a casa con il resto della spesa. Per noi di Carrefour, comodità, flessibilità e qualità sono le parole d’ordine”.

Guerilla urbana

as3y8429-2-bisE per dare a questa novità l’onore della ribalta, Carrefour ha organizzato – insieme all’agenzia Essense un’installazione ad hoc sia lungo i Navigli a Milano che in Piazza Gnoli a Roma. Protagonisti di questo evento un centinaio di delivery boy, intenti ad arrampicarsi sugli edifici delle vie per consegnare la spesa direttamente a casa delle persone, portando con sé un sacchetto della spesa Carrefour. Niente paura, però: nessun rischio si tratta infatti di  omini realizzati attraverso una stampa 3D, p e indossano vestiti reali.as3y8450-2-bis

Sulle pettorine “Ghe pensi mi” per i milanesi e “Nun te scomodà” per i romani, veicolano un unico messaggio: “Goditi il tempo risparmiato, alla spesa ci pensa Carrefour”.

Hobby, tempo e relax

Sul concetto  di tempo risparmiato da poter dedicare ai propri hobby, l’insegna punta molto e vuole trasmetterlo ai propri clienti grazie anche alla campagna #OreSpeseBene. as3y7839-2-bisPer chi farà la spesa online su carrefour.it, ci sarà infatti un contest on line con cui è possibile vincere una tra numerose esperienze pensate da Carrefour, dal viaggio in elicottero all’attività total wellness, proprio per rimarcare il concetto per il quale, grazie alla spesa on line, le persone possono risparmiare del tempo che possono dedicare anche a se stesse.

 

Arriva il Baromètre de la Valeur Shopper, ovvero cosa pensa il cliente italiano delle insegne?

Un’indagine che analizza anno dopo anno la qualità della relazione tra le insegne retail e i loro clienti: è il Baromètre de la Valeur Shopper di Altavia che, in Francia da cinque edizioni, debutta ora in Italia. «Abbiamo cercato di guardare il mondo del retail visto con gli occhi del cliente – sintetizza Paolo Mamo, Presidente e Amministratore Delegato di Altavia Italia. – perché l’empatia e la relazione sono oggi alle basi del commercio».
La ricerca appena presentata ha analizzato 160 catene inquadrate in otto settori merceologici: GDO alimentare, Abbigliamento, Cosmetica, Hi-tech, Casa & Decò, Bricolage-DIY, Pet food e Varie-multisettore.
Ognuna di queste è stata valutata in rapporto a 11 “attese shopper”, identificate in sede di focus group, che coprono le attese tangibili e intangibili, relazionali e transazionali che influiscono sull’esperienza d’acquisto.

Immagine le 11 attese individuate dai consumatori italiani.
Immagine le 11 attese individuate dai consumatori italiani.

Forse scontato il fatti che, degli 11 elementi individuati, una volta chiesti ai clienti quali sono i tre che determinano la scelta “sul campo” di un’insegna piuttosto che di un’altra, i prescelti sono i “soliti noti”, la “triade razionale”: risparmio (ovvero prezzo, o meglio la consapevolezza di spendere il giusto), tempo (ottimizzazione dello stesso) e assortimento (trovo ciò che cerco e che mi aspetto di trovare in quel posto). Come se nulla fosse cambiato in questi ultimi 10/15 anni.

E invece è cambiato tutto. Tanto che molte delle insegne che hanno guadagnato il podio (e il cuore degli italici consumatori) 15 anni fa nemmeno esistevano. Pure player dell’e-commerce come l’immancabile Amazon, ma anche Dalani, Zara Home e, nella Gdo, Esselunga, tra i “grandi vecchi” che hanno saputo incontrare i tempi, ed Apple (che invero i tempi li ha piuttosto plasmati e precorsi).
Se la triade non cambia per nessuna categoria, ci sono poi aggiustamenti dovuti al prodotto venduto. Nella cosmetica e nell’informatica ad esempio c’è fame di informazioni, e nell’alimentare svetta la responsabilità e la trasparenza.

alimentare

«Due le strade che si possono scegliere in questa categoria: o l’iperprestazione sulla triade classica, come viene riconosciuta ad Auchan, o una differenziazione sul prodotto come ha fatto Natura Sì” ha spiegato Anna Cassani, Strategic Development Manager di Altavia che ha presentato i risultati della ricerca.

cosmetica

pet

Il benchmark è ancora Amazon
Resta dunque la sensazione che la gran parte delle aziende sia rimasta indietro, ferma in posizioni di difesa, con una sorta di appiattimento della proposta da cui si distinguono pochi specializzati, che hanno puntato proprio sulla differenziazione come Natura Sì, Erbolario, Yves Rocher. Nella Gdo la già citata Esselunga e Iper.
Sorprende il caso dell’abbigliamento (o forse non tanto visti i dati recenti vedi Nella moda è sempre più e-commerce, 1,8 miliardi e cresce più di tutti (+25%)). Qui le prime tre insegne a colpire il cuore (e di conseguenza il portafogli) dei consumatori italiani sono tutte pure player dell’e-commerce: Amazon, Zalando e Yoox.
Amazon in particolare ottiene punteggi molto alti sia nella triade “razionale”, sia nelle altre attese più “emozionali” dei consumatori.

 

Differenziarsi per sfuggire all’appiattimento

Nel vissuto dei consumatori, insomma, i retailer tendono ad assomigliarsi eccessivamente e le esperienze d’acquisto finiscono per essere pressoché sovrapponibili. Cosa devono dunque fare le insegne oggi per soddisfare il loro cliente?
«Devono cercare di cambiare il modello di gioco, ragionare meno sulla tattica e guardare di più al cliente e a ciò che vuole. Sopra a tutto deve esserci la relazione, il cliente deve sentirsi coccolato e poi deve pensare alla differenziazione, comprendendo che non tutte le insegne vanno bene per tutti i clienti» spiega Paolo Mamo.
Oggi, in un’epoca di rivelazioni metriche e di analisi dei BigData, è cruciale rivolgersi non solo ai numeri ma anche ai sentimenti che guidano il consumatore.

 

Italiani, nel punto vendita vogliono calore e tecnologia

«Siamo rimasti sorpresi dal calore e dall’attaccamento degli italiani verso l’esperienza d’acquisto – conferma Anna Cassani -. Gli italiani amano la tradizione ma rincorrono l’ultimo device hi-tech appena uscito, postano sui social ma si trovano ancora al bar con gli amici, amano essere considerati e non sono soddisfatti di una relazione di mero acquisto».

Rispetto ai cugini francesi hanno aggiunto un undicesimo desiderata, la modernità. Come a dire: oggi tutto è possibile, non ci sono barriere. Voglio potere acquistare ovunque e in qualsiasi momento, e dunque l’omnicanalità e l’adeguamento alle nuove tecnologie diventano cruciali. O, come conclude Cassani, “quando l’innovazione è “Tech à porter”, così vicina e disponibile a tutti, quando è così veloce da utilizzare, non può più essere considerata un’opzione. L’opzione è decidere quanto investire e come sfruttarla in termini di identità e posizionamento”.

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La ricerca è stato presentata da AltaviaLab, divisione di Altavia. È la prima edizione italiana della più grande indagine sulla qualità della relazione tra le insegne retail e i loro clienti, nata in Francia cinque anni fa da Shopper Mind, società del Gruppo Altavia.

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