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Anche le parafarmacie insieme con Conad per la liberalizzazione dei farmaci di fascia C

A sostegno dell’iniziativa Liberalizziamoci lanciata da Conad si schiera anche la Federazione nazionale parafarmacie italiane, dopo un incontro tra il presidente della Federazione nazionale parafarmacie italiane Davide Gullotta e l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese.

Liberalizziamoci riguarda la raccolta di firme indirizzate al presidente del Consiglio e ai ministri della Sanità e dello Sviluppo economico perché la vendita dei farmaci di fascia C sia allargata alle parafarmacie.

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«Vogliamo che siano riconosciuti la dignità e i diritti della professione che i farmacisti svolgono nelle parafarmacie», sostiene il presidente della Federazione nazionale parafarmacie italiane Davide Gullotta. «I nostri farmacisti sono iscritti allo stesso Albo professionale, hanno conseguito la stessa laurea, hanno uguale ruolo e competenze rispetto a coloro che lavorano nelle farmacie. Conad è un alleato importante, perché ha la giusta sensibilità e ottime motivazioni per assicurare ai cittadini un valido presidio sanitario e un’ulteriore possibilità di risparmiare sull’acquisto dei farmaci, fruendo della competenza e professionalità di farmacisti ai quali nulla manca rispetto a chi opera in farmacia».

«Le farmacie cercano di mantenere i loro privilegi di casta ed economici», aggiunge l’amministratore delegato Conad Francesco Pugliese «ignorando che la concorrenza è, prima di tutto, un interesse del cittadino. Allargare la vendita dei farmaci di fascia C alle parafarmacie è un segno di civiltà. Questa, come altre mancate liberalizzazioni, pesa soprattutto nelle tasche di tanti italiani ancora alle prese con bilanci familiari difficili da far quadrare. Per dispensare salute serve un farmacista e non delle mura. I farmacisti delle parafarmacie sono qualificati come e più di quelli delle farmacie per il ruolo che svolgono».

L’attuale Ddl in discussione al Senato – condiviso e sostenuto dalle potenti lobby delle multinazionali del farmaco – presenta alcuni aspetti pericolosi quali l’ingresso del capitale nelle farmacie, eventualità che consegnerebbe di fatto la proprietà nelle mani di alcuni grandi gruppi della distribuzione del farmaco dando vita a nuovi possibili monopoli in un comparto delicato qual è la dispensazione dei farmaci.

Stupisce, perciò, il silenzio dei farmacisti di fronte ad un elemento che di fatto sconfessa quanto da anni sostengono, ovvero che la farmacia, nell’ambito del SSN, è il presidio socio sanitario a servizio dei cittadini e uno dei centri preposti all’assistenza sanitaria di base, con uno specifico riferimento alle prestazioni farmaceutiche.

Secondo Conad Conad, che ha in attività 100 parafarmacie in cui operano 400, il mercato dei farmaci di fascia C vale 2,9 milioni di euro e, se liberalizzato, farebbe risparmiare ai cittadini una cifra tra i 500 e i 900 milioni di euro.

Lidl Insegna dell’anno 2015-2016. IperCooop per gli ipermercati

Mesi di attesa in cui migliaia di consumatori hanno espresso le proprie preferenze in merito al luogo d’acquisto prediletto e fornito altresì suggerimenti per renderlo ideale. Un sondaggio che ha sancito lo stesso verdetto degli ultimi due anni, con Lidl che per la terza volta consecutiva si è aggiudicato il Premio assoluto di Insegna dell’Anno, l’edizione italiana del prestigioso riconoscimento internazionale noto con il nome di Retailer of the Year, dal 2008 dedicato alle insegne votate dai consumatori.

L’edizione 2015-2016 ha visto anche l’assegnazione del Premio Negozio Web – per la prima volta sotto questo nome – e l’introduzione del Premio Cross Canalità, un nuovo riconoscimento assoluto non suddiviso nelle singole categorie. Nel primo ha trionfato il colosso Amazon mentre nel secondo Kiabi Italia, specializzato nella vendita online.

Sono state ben 27 le categorie sotto la lente d’ingrandimento con 375 insegne valutate, alcune delle quali in corsa su diverse categorie. Kiabi Italia ha monopolizzato la categoria Abbigliamento Donna aggiudicandosi sia il Premio Insegna dell’Anno che il Negozio Web. Nell’uomo invece, Conbipel è stata eletta Insegna dell’Anno, mentre per il web ha avuto la meglio OVS.

Nell’Intimo e Lingerie l’insegna più votata è stata Tezenis, con Yamamay padrone della rete. Bijou Brigitte e Camomilla hanno vinto rispettivamente come Insegna dell’Anno e Negozio Web nella categoria Bigiotteria e accessori donna. Profumeria & Drugstore ha visto trionfare Yves Rocher, specializzata in trattamenti per viso, corpo, capelli e prodotti per il make-up. Per quanto riguarda la categoria delle librerie, Amazon si aggiudica nuovamente il primo posto per il Negozio Web mentre il premio Insegna va ai Mondadori Store.

Grande successo per Ipercoop che, superando l’agguerrita concorrenza di Auchan, Bennet, Carrefour e Ipersimply, si è aggiudicata l’Insegna dell’Anno relativa agli ipermercati. Lidl invece, oltre a confermarsi come vincitore assoluto della manifestazione, ha prevalso su Coop, Esselunga, Eurospin e Tuodì nella categoria Supermercati. Old Wild West ha guadagnato il primato nella ristorazione servita, mentre Burger King ha prevalso su Autogrill, Eataly, McDonald’s e Spizzico in quella veloce.

L’iniziativa di Q&A Research & Consultancy, organizzata in collaborazione con SEIC – Studio Orlandini.

Nielsen: cesce la fiducia degli italiani, ma 1 su 4 risparmierà ancora sulla spesa

Mandano segnali incoraggianti i dati dell’ultima Global Consumer Confidence Survey di Nielsen: l’indice di fiducia degli italiani cresce infatti di 4 punti rispetto al trimestre precedente e di ben 10 punti se raffrontato al dato di un anno fa, attestandosi a quota 57. Diminuisce nettamente poi chi ritiene che il Paese sia ancora in crisi (89% vs.96% nel terzo trimestre 2014). Un italiano su quattro (26%) è propenso a spendere per viaggi e vacanze dopo aver coperto le spese essenziali.

«Il livello di fiducia degli italiani è tornato a quello registrato nel primo trimestre dell’anno, al valore più alto dal 2011 – ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia –. Variazioni positive si sono osservate sia nella visione della propria situazione lavorativa che nello stato finanziario personale. Nel complesso le vendite dei beni di largo consumo hanno riscontrato un incremento dell’1.5% nei primi 8 mesi del 2015, incremento trainato dalla spesa delle famiglie a reddito elevato localizzate soprattutto al Nord. Segnali di debolezza nei consumi provengono, invece, dalle famiglie più povere nel Sud del Paese. Si può affermare che l’Italia, come i due terzi dei Paesi europei, ha imboccato la strada della ripresa, anche in presenza di segnali altalenanti. Nel terzo trimestre la nostra economia ha confermato le indicazioni di crescita emerse a inizio anno nonostante la decelerazione delle esportazioni, condizionate dal rallentamento delle economie dei mercati emergenti. L’inversione di tendenza del trend occupazionale può essere indicata come la chiave di volta del miglioramento della fiducia del consumatore italiano. In sintesi, le
famiglie stanno di nuovo diventando, seppure moderatamente, centri di produzione di reddito e non solo di spesa».

Il 13% degli italiani rivela una visione positiva della propria situazione lavorativa, valore in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 7% dello scorso anno. La percezione dello stato delle finanze personali è buona per il 21% degli intervistati (+6 punti percentuali vs. terzo trimestre 2014). Diminuiscono al 56% (vs. 60% tendenziale) coloro che dichiarano che il tunnel della crisi durerà per altri 12 mesi.
Continua però l’apprensione per lo stato occupazionale (22%), per l’economia generale (8%), per la salute (9%), per il fenomeno immigratorio (8%, +3 punti percentuali vs terzo trimestre 2014).
L’Italia poi è ancora un Paese di risparmiatori: il 40% è propenso a gestire in forma conservativa e prudenziale le somme di denaro che rimangono dopo aver coperto le spese essenziali.Tra coloro che, invece, evidenziano un maggiore orientamento agli acquisti, il 29% preferisce spendere per nuovi vestiti, il 20% per svaghi fuori casa. Mentre il 23% degli italiani dichiara di non riuscire a risparmiare nulla alla fine del mese.
Sul tema delle azioni di “spending review” messe in campo dagli italiani, è in sensibile contrazione la quota di quanti intendono controllare la spesa (64% vs 72% dell’anno precedente). Il 54% controlla gli acquisti per risparmiare sui vestiti (11 punti percentuali in meno rispetto al 65% di un anno fa). Diminuisce la percentuale degli intervistati decisi a non spendere per piatti pronti e take away (-9 punti rispetto al 65% del terzo trimestre 2014). Il 56% intende tagliare sui divertimenti fuori casa (valore stabile rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, al 57%). In calo la quota del campione che applica risparmi sulle vacanze (41% vs 44%).
In merito ai comportamenti d’acquisto che gli italiani dichiarano di voler mantenere anche in caso di miglioramento delle proprie condizioni economiche, un italiano su 4 continuerà
a risparmiare sulle bollette di luce e gas e sulla spesa al supermercato orientandosi verso brand economici. Il 23% si manterrà cauto nei pranzi fuori casa, mentre è il 21% la quota di quanti continueranno a risparmiare sulle spese per l’auto.

 

Fiducia globale mai così alta dal 2006

La Global Consumer Confidence Survey è realizzata da Nielsen su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi, tra i quali l’Italia. Anche a livello globale si riscontra un generalizzato incremento dell’indice di fiducia che, con un incremento di 3 punti vs trimestre precedente, fa segnare il livello più alto dal 2006 (quota 99). Il risultato è da ricondurre soprattutto alle performance dei Paesi occidentali. In particolare, gli Stati Uniti fanno registrare un incremento mai verificatosi nella misurazione del proprio indice di fiducia (+ 18 punti, raggiungendo quota 119). Si posizionano in questo modo al secondo posto nel Mondo dopo l’India, che fa osservare il punteggio più alto (131, pur rimanendo stabile sul trimestre precedente). In declino, invece, Asia Pacifico (- 1, totale 106) e America Latina, che scende di 2 punti (81). Stabili, a 94 punti, Africa e Medio Oriente. Da segnalare anche che in Cina l’indice ha subito un declino di un punto (106) e di tre punti in Giappone (80).
I 10 Paesi che hanno riportato gli indici di fiducia migliori sono dunque: India 131, Usa 119, Filippine 117, Indonesia 116, Thailandia 111, Danimarca 109, Arabia Saudita 109, Emirati Arabi 107, Cina 106, Vietnam 105.
L’Europa cresce complessivamente di 2 punti sul trimestre (a 81 punti), raggiungendo il livello più elevato dal 2008, grazie ai valori positivi registrati in 21 nazioni su 32 (66%) e nonostante la decrescita di 9 paesi e la stabilità di due. Da sottolineare il dato della Germania (+3 punti, totale a 100) e della Gran Bretagna (+4 punti, totale 103, punta record), le due economie forti del Vecchio Continente. Polonia e Portogallo hanno rispettivamente incrementato di 10 e 9 punti (a 80 e 66), le variazioni positive più alte in Europa. Il mercato russo è ancora in crisi, tanto che fa rilevare un calo dell’indice pari a 4 punti (74).

La spinta gentile di #ogilvychange aiuta le persone a prendere decisioni (e le imprese a comunicare)

Come può una campagna di comunicazione stimolare e favorire cambiamenti positivi nelle abitudini delle persone? È per rispondere a questa domanda che nasce #ogilvychange, la unit italiana di Ogilvy & Mather presentata ieri, che si propone di integrare i più recenti studi di psicologia cognitiva e sociale e di economia comportamentale con le competenze in comunicazione del Gruppo.

Nata nel 2012 nel Regno Unito per iniziativa di Rory Sutherland, Vice Chairman di Ogilvy & Mather UK, #ogilvychange opera anche in Italia per realizzare progetti di comunicazione con forte impatto culturale e sociale partendo dalle conoscenze sui principi teorici che condizionano il comportamento individuale all’atto di qualsiasi scelta e che in genere non sono considerati dalle comuni analisi di mercato.

«Nei momenti decisivi, le persone compiono scelte economiche che riguardano cibo, salute, investimenti o viaggi sull’onda di percezioni, sentimenti e condizionamenti sociali che spesso scavalcano la logica e che, perciò, tendono a sfuggire agli studiosi di economia», dichiara Guerino Delfino, CEO & Chairman di Ogilvy & Mather Italia. «Per questo, ancora una volta, abbiamo voluto rompere gli schemi e inaugurare un innovativo approccio di comunicazione in Italia, integrando nei nostri progetti competenze provenienti dall’ambito delle Behavioural Sciences, per metterle al servizio di quanti vogliono promuovere cambiamenti positivi nei comportamenti sociali».

Le conoscenze messe in luce dalla Behavioural Economics vengono oggi applicate efficacemente anche in ambiti non strettamente economici, ma legati alla vita di tutti i giorni. Questo ambito di applicazione è stato definito Architettura delle scelte (Thaler & Sunstein, 2008) e spazia dalle politiche sociali alla comunicazione pubblicitaria.

Particolare rilievo ha assunto, negli ultimi anni, la pratica del Nudging, intesa come un’applicazione dell’Architettura delle scelte a temi di forte rilievo sociale e con un approccio etico, rispettoso delle libertà di scelta e dei valori dell’individuo (Thaler & Sunstein, 2008).

L’attività è finalizzata allo sviluppo e all’applicazione di strumenti utili a indirizzare le persone verso comportamenti orientati al benessere individuale e sociale. Il nostro lavoro si ispira ai principi del Nudging, in italiano “spinta gentile”.

Il Nudging nasce da un assunto di base: molti comportamenti dannosi sono messi in atto e/o mantenuti da scelte irrazionali. Spesso infatti siamo influenzati da elementi contestuali di cui non siamo consapevoli e che tuttavia ci conducono a commettere errori di valutazione (es. mangiare cibo spazzatura, guidare sotto l’effetto d’alcool, fare poca attività fisica, ecc…). Per questo motivo, l’utilizzo di una “buona” architettura delle scelte, ovvero un’impalcatura contestuale che faciliti comportamenti virtuosi, è spesso sufficiente per permettere alle persone di comportarsi in maniera più funzionale, in linea con i valori in cui credono.

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Le aree in cui #ogilvychange opera

Coordinata da Filippo Ferraro, Head of Planning, la nuova unit #ogilvychange si avvale della collaborazione e contributo scientifico di IESCUM – Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano. Grazie a questa partnership, il team italiano di #ogilvychange lavora già da tempo al fianco di esperti italiani e internazionali con una vera e propria unit deputata a sviluppare idee e progettualità che stimolino e favoriscano cambiamenti positivi nelle attitudini dei consumatori. Tra gli esperti, Francesco Pozzi, Psicologo e Analista del Comportamento e docente a contratto di Behavioral Economics all’Università IULM.

«Negli ultimi anni, gli studi scientifici sui fattori psicologici, cognitivi ed emozionali che impattano sulle scelte economiche dei singoli ci hanno lasciato in eredità conoscenze e tecniche che hanno amplificato in modo incredibile le capacità predittive e di comprensione del marketing», sottolinea Rory Sutherland, Vice Chairman Ogilvy & Mather Group UK. «La conoscenza delle piccole sfumature che modificano il modo in cui la gente reagisce in ambito locale, regionale o nazionale fa realmente la differenza nel portare il cambiamento desiderato nella società, vincendo inerzie che altrimenti richiederebbero un lentissimo lavoro di sensibilizzazione e persuasione».

Prodotti a marchio del distributore, gli internauti hanno le idee (quasi) chiare

C’è grande consapevolezza (91% dei pareri intercettati nel web domestico) sul fatto che i prodotti MDD indicano la proprietà ma non il produttore; nel 90% delle opinioni lasciate in rete i netsurfer sanno che le referenze a marca privata sono realizzate dalle stesse aziende che vendono prodotti analoghi, spesso presenti anche sugli scaffali dalla stessa insegna; dall’analisi dell’ 88% delle menzioni intercettate si deduce che gli internauti hanno una perfetta percezione dell’appartenenza dei prodotti MDD alla catena distributrice anche quando il nome non coincide.

Il sentiment a tale proposito è positivo nel 96% dei casi, qualifica sia la marca privata che l’insegna di appartenenza.

Una ricerca effettuata con metodologia tradizionale, cioè con questionari cartacei, interviste telefoniche e face to face ha quantificato nel 75% i mood positivi relativi alla marca privata; si evince che il popolo della rete è decisamente più propenso al suo acquisto.

Nel 19% dei pareri si evidenzia un sentiment negativo nei confronti del produttore – ma non dell’insegna! – che vende lo stesso prodotto (o analogo) a prezzo maggiore (col proprio brand).

Il 77% di chi ne digita nel web è un acquirente abituale dei prodotti MDD, contro il 53% degli intervistati con le metodologie storiche di cui sopra.

Le insegne più citate sono (menzioni multiple): Coop (77%), Carrefour (65%), Lidl (58%), Auchan (56%), Esselunga(53%), Europsin (49%), Conad (46%) e questo, con passaggio ardito, può essere considerata una brand awareness del web (limitatamente ai prodotti MDD).

 

Come cambia la percezione dei prodotti MDD al variare del prodotto

Le citazioni per i prodotti MDD sono quasi totalmente relative ai prodotti alimentari (86%), poche le menzioni riservate alle altre referenze (14%).

Per quanto riguarda i prodotti alimentari (86% di pareri riferiti alle referenze alimentari a marca privata) i naviganti menzionano le linee dedicate/diversificate (bio, ecologiche, solidali, specialità regionali …) nel 23% dei casi.

Fatto 100 il rimanente 14%, le opinioni riguardano le linee per bambini (42%), il pet food (39%) e nel restante 19% dei casi le altre linee: cura casa, cura persona, parafarmaco, altro.

I netsurfer quantificano il risparmio derivante dall’acquisto di prodotti MDD tra il 25% e il 50 % del prezzo del prodotto equivalente a marca industriale; la maggior parte dei giudizi (64%) stima un risparmio compreso tra il 30% ed il 40% rispetto ai prodotti top di gamma.

Il mood rinvenuto in rete riguardo il prezzo è meno polarizzato per le marche commerciali premium e primo prezzo, dove si evidenzia confusione: per il 22% degli intrenauti (pareri multipli) le linee premium costano più del top di gamma, un ulteriore 26% reputa più conveniente il discount rispetto al primo prezzo.

Questi i motivi alla base dei prezzi vantaggiosi dei prodotti MDD (pareri multipli), secondo i pareri lasciati in rete: potere di acquisto dell’insegna (81%); assenza di investimenti pubblicitari (78%); ottimizzazione logistica (64%).

Segnaliamo che nessuna di tali motivazioni è un corruttore di reputazione (anzi!) o tanto meno è un erosore del concetto di qualità.

Ripartendo le opinioni inerenti ai prodotti MDD in marche bandiera e contromarche, abbiamo la conferma della consapevolezza che il popolo del web ha riguardo la proprietà dei prodotti: i pareri relativi alle marche bandiera sono maggiormente positivi di quelli riferiti alle contromarche.

Osservando le motivazioni d’acquisto nell’infografica, si può rilevare come ad oscillare è quasi esclusivamente il prezzo. Immagine, reputazione, contenuti dei prodotti MDD sono concetti solidi e trasversali alle tre linee.

Diapositiva1

Come cambia la percezione dei prodotti MDD nelle varie categorie

Per prima cosa segnaliamo che le opinioni lasciate in rete non fanno registrare differenze significative tra segmenti “base” e “non base”.

Ricordiamo che i giudizi relativi ai marchi del distributor alimentari sono l’86%; fatto 100 il restante 14% di pareri il mix per linea di prodotti è : bambini 42%, pet food & care 39%, altro / specializzato 8%, cura casa 4%, cura persona 4%, parafarmaco/generico 3%.

L’approfondimento qualitativo basato sull’analisi semantica dei pareri intercettati spiega perché la suddivisione di pareri per linee di prodotto non rispecchia le quote di vendita.

Si palesa nettamente un coinvolgimento emotivo molto superiore nei driver di acquisto di prodotti per bambini ed animali domestici rispetto a quanto accade per i prodotti per la casa.

Relativamente alla cura della persona siamo in presenza di due fenomeni che concorrono ad abbattere il totale dei pareri: la consolidata fiducia nei prodotti a marchio dei distributori e la parziale non specializzazione dei prodotti per la persona commercializzati attraverso la GDO.

Ciò avviene anche per il parafarmaco, (ricordiamo inoltre che le referenze per i farmaci generici sono pochissime tra i prodotti MDD).

Il basso numero di pareri riguardanti i prodotti “cura casa” è causato, come in parte visto per i “cura persona”, dalla fiducia riposta nelle catene e ad un contesto che “non suscita il dibattito” nel web.

I numeri riguardanti le motivazioni d’acquisto si commentano da soli; i cluster in cui si aggregano i giudizi relativi alle reason why di acquisto confermano e completano quanto già emerso grazie all’analisi semantica.

È evidente come ogni linea di prodotti sia ben connotata; definite le motivazioni per cui si scrive poco nel web di casa e persona, andrebbe secondo noi fatta aumentare la notorietà delle categorie “altro/specializzato” e “parafarmaco/generico”.

Lo sbilanciamento del numero di giudizi a favore dell’alimentare è da imputare sia al fatto che è linea in cui i marchi dei distributori hanno esordito, sia al fatto che esso rappresenta il segmento principale della GDO.

Le Linee Bio ed Equoslidali

Fatto 100 il numero di opinioni intercettate in rete riguardanti la marca privata, il 21% è riferito alle linee dedicate, diversificate: bio, ecologiche, equosolidali, di specialità regionali, dietetiche/per particolari regimi alimentari.

Di questo 21%, il 98% riguarda le linee Bio Alimetari (83%) e Equosolidali Alimentari (15%).

Segnaliamo per prima cosa come “Bio” riferito all’alimentare ha per i netsurfer un’accezione particolarmente ampia: include anche quanto proveniente da allevamenti etici, come le uova di galline allevate a terra, tonno di provenienza tracciata/pescato nel rispetto delle quote CEE e con tecniche ritenute di minor impatto ambientale ecc. I giudizi negativi riferiti al cibo bio a marca privata sono quasi inesistenti (2%) e relativi a dubbi sulla certificazione biologica. Molto segmentati ma ovvi gli argomenti alla base del 98% di pareri positivi.

Seconda macro-evidenza riguardante l’equosolidale: siamo in presenza di una polarizzazione dei giudizi, le critiche maggiori rivolte alla marca privata (41% del 15%), provengono da netsurfer che con equosolidale identificano la negazione di una politica di massimizzazione del profitto, politica che invece attribuiscono sia   alle insegne della GDO che ai grandi produttori.

Fatto 100 il 59% dei pareri positivi riferiti alle referenze alimentari equosolidali a marca privata, queste sono le principali argomentazioni (pareri multipli): divieto di lavoro minorile 92%, reinvestimento di parte dei profitti in opere sociali come la realizzazione in loco strutture sanitarie 87%, di orfanotrofi 81%, di pozzi per l’acqua potabile 82%, di scuole per l’infanzia 77%, scuole professionali 73%, controllo degli orari di lavoro adottati dai produttori locali 68%, impiego di materie prime rinnovabili 65%, rimboscamento 52%, altre infrastrutture 37%, altro 21%.

Riguardo le linee equosolidali le citazioni (multiple) sono per i seguenti prodotti : caffè (68%), tè (46%), cacao 23%, zucchero di canna 19%, banane 17%, spezie 11% orzo 10%, frutta secca 9%, infusi differenti dal tè 7%, altro 4%.

Qunto alle motivazioni d’acquisto, le due linee sono decisamente ben connotate, il loro posizionamento è ben definito ed i driver di acquisto sono evidenti. Confrontando queste reason why di acquisto con quelle per le linee Alimentari (non Bio, non Equosolidali), Bambini, Pet Food & Care, Cura Casa, Cura Persona, Parafarmaco / Generico, notiamo che, relativamente ad Alimentari Bio e Alimentari Equosolidali, il prezzo ha il peso più basso in assoluto, la qualità negli Alimentari Bio ha il peso maggiore (ex aequo con i prodotti per Bambini), la Sostenibilità fa segnare il peso più alto, la ricerca di Sicurezza negli alimentari Bio è seconda solo a quella dei prodotti per Bambini.

I numeri della ricerca

Abbiamo analizzato le opinioni lasciate nel web domestico in un periodo di 12 mesi. I pareri eleggibili ai fini del presente rilevamento sono 5.815.342. Il campione statisticamente rappresentativo realizzato conta 1.356.218 giudizi e ci salvaguarda dall’errore in ogni cella di quota. Per scelta metodologica abbiamo escluso siti proprietary, articoli della stampa specializzata e non, news ed ogni altra fonte non rappresentasse l’opinione scritta liberamente in Social Media, Blog e Forum da consumatori privati.

di Gian Marco Stefanini – Web Research

 

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I farmacisti all’attacco della petizione liberalizziamoci di Conad

Non si è fatta attendere molto la replica dei farmacisti alla mossa di Conad di lanciare la petizione liberalizziamoci affinché “il Governo intervenga al più presto con un provvedimento di liberalizzazione, che consenta anche alle parafarmacie la vendita dei farmaci di fascia C con ricetta”.

Leggi l’articolo Conad lancia la petizione per consentire alle parafarmacie la vendita di farmaci di fascia C

Con toni forti e un linguaggio da scontro diretto, il presidente di Federfarma Sunifar (che rappresenta le 6000 farmacie rurali) Alfredo Orlandi ha dichiarato: «Management Conad, pensate agli sconti su prosciutti e formaggi! I cittadini vi chiedono questo, non di poter riempire i carrelli di medicine. Non si capisce perché chi si occupa di generi alimentari e detersivi debba sentirsi in diritto di occuparsi di salute e farmaci. Sono mestieri diversi, non capiscono la differenza?», si chiede Orlandi. E risponde: «I farmaci si trovano in farmacia perché estranei alle logiche del commercio, perché qui ci sono le condizioni di sicurezza e privacy, perché il farmacista sotto casa ti conosce e ti mette in guardia se il farmaco che richiedi può interferire con altre terapie in corso».

Orlandi poi sfodera l’attacco diretto:

«Continuino a fare i pizzicagnoli, e a farlo bene, che per fortuna dei farmaci ci occupiamo noi nelle farmacie. Vogliono usare i farmaci come specchietti per le allodole, per tornare a riempire i carrelli. Ma non saranno i farmaci a salvarli. In farmacia i cittadini hanno già l’opportunità di risparmiare sulle terapie grazie agli equivalenti».

Dobbiamo rilevare, ancora una volta, che le motivazioni dei farmacisti sono sempre le stesse da anni. E spiace constatare che si faccia ancora confusione tra scaffali e parafarmacie, visto che si tratterebbe di dare la facoltà di vendita dei farmaci con ricetta bianca alle parafarmacie presidiate da un farmacista regolarmente laureato e iscritto all’ordine.

Del resto al riguardo si era a suo tempo espresso l’Antitrust quando aveva rilevato che l’estensione della vendita alle parafarmacie determinerebbe “un incremento delle dinamiche concorrenziali nella fase distributiva, con indubbi benefici per i consumatori”.

Attualmente i farmaci di fascia C con ricetta sono in vendita esclusivamente nelle farmacie tradizionali, a prezzi medi di gran lunga superiori a quelli dei farmaci da banco: 11,8 euro cadauno in media, cioè 3,7 euro cadauno in più rispetto ai medicinali senza obbligo di ricetta, già liberalizzati, argomenta a sua volta Conad, riprendendo dei dati di Assosalute.

Conad lancia la petizione per consentire alle parafarmacie la vendita di farmaci di fascia C

Nel pieno del dibattito in corso per l’approvazione al Senato del ddl concorrenza, Conad lancia una raccolta di firme per estendere la vendita dei farmaci di fascia C alle parafarmacie. A nove anni dalla legge Bersani che aveva in parte liberalizzato il settore, oggi sono ancora 3.800 i farmaci che si acquistano con la prescrizione del medico ma sono pagati integralmente dai cittadini (quelli, per intenderci con la ricetta bianca). In valore, citando il rapporto Osmed 2014, si tratta di 2.937 milioni di euro, cioè l’11% della spesa farmaceutica nazionale.

La vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie torna periodicamente ad affacciarsi tutte le volte che il Governo affronta la questione liberalizzazioni. Lo fu per il decreto Bersani e più recentemente con i provvedimenti di Mario Monti. Nessuno però ruscì a scalfire il muro innalzato dalla lobby dei farmacisti, che usano trincerarsi dietro la difesa degli interessi dei “pazienti” grazie anche all’effetto “camice bianco” su gran parte della popolazione. Tuttavia, uno dei punti che le organizzazioni dei farmacisti si guardano bene dal chiarire è quale sia la differenza tra un farmacista che lavora in una farmacia o in una parafarmacia, avendo entrambi conseguito la medesima laurea.

Così, come si legge in una nota, “Conad ha deciso di sensibilizzare e mobilitare i cittadini perché il Parlamento – a costo zero per le casse dello Stato e della Pubblica amministrazione – renda più dinamica la concorrenza nel mercato dei farmaci, allargando alle parafarmacie la vendita di quelli di fascia C. Ciò porterebbe ad una competizione sui prezzi con un beneficio per i cittadini stimato tra i 500 e i 900 milioni di euro all’anno. Così come è avvenuto per la liberalizzazione dei farmaci senza obbligo di prescrizione medica (Sop) e i farmaci da banco (Otc), che ha prodotto un’indubbia convenienza per i cittadini: con la concorrenza, i prezzi dei farmaci sono risultati più contenuti, con un valore medio di 8,1 euro in farmacia, 7,4 euro in parafarmacia e 6 euro della grande distribuzione (fonte: Assosalute, 2015)”.

Conad ha in funzione 97 parafarmacie su tutto il territorio nazionale, per un fatturato di 50 milioni di euro. I 3,7 milioni di clienti che le frequentano annualmente hanno risparmiato il 20 per cento rispetto ai prezzi della farmacia per complessivi 10 milioni all’anno.

«Preoccupa l’orientamento del Parlamento, che sul ddl concorrenza continua a tenere i farmaci di fascia C fuori dalle parafarmacie ignorando le raccomandazioni dell’Antitrust per una più completa liberalizzazione del settore farmaceutico», sottolinea l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. «In questo modo si nega a tante famiglie la possibilità di risparmiare molte centinaia di milioni di euro all’anno, cifra che sarebbe un’importante boccata di ossigeno. Abbiamo scelto la petizione e la raccolta di firme nell’interesse dei cittadini e dei nostri clienti; per riconoscere la dignità della professione che i farmacisti svolgono nelle parafarmacie; nel nostro stesso interesse, perché sia possibile competere in un mercato aperto e con regole chiare quanto eque per tutti. Dobbiamo sottolineare, purtroppo, come il Paese sia ostaggio di lobby che cercano di assicurare la propria sopravvivenza anziché sostenere lo sviluppo dell’economia, far nascere nuova imprenditorialità, creare nuova occupazione e garantire ai cittadini servizi e convenienza».

Sul sito www.liberalizziamoci.it i cittadini trovano tutte le informazioni necessarie a conoscere più a fondo il tema, un dossier che ripercorre la storia e i benefici della liberalizzazione del mercato dei farmaci, dal primo decreto Bersani ai giorni nostri, e, soprattutto, la petizione da firmare. Oltre che sul sito, la raccolta delle firme avverrà anche nei punti di vendita Conad.

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Libri/Scoprire i Millennials, la generazione che vive nel momento

cover libro Millennials«Dei Millennials si parla tanto (e qualche volta a sproposito) e proprio per questo motivo ho voluto dare non solo un quadro di riferimento descrittivo, ma anche degli esempi pratici, delle case history e una vera e propria guida all’azione». Così spiega Diego Martone il senso de “I nuovi Dei dell’Olimpo dei Consumi: alla conquista dei Millennials”, il libro che ha scritto e pubblicato come e-book in modalità self-publishing (proprio come farebbe un Millennial!).

Martone è presidente e fondatore di Demia, società di consulenza strategica e ricerche di mercato, si occupa da più di venticinque anni di ricerche demoscopiche e di marketing. Negli ultimi anni ha approfondito il tema del marketing generazionale, e ha realizzato per conto di Assogestioni e presentato al Salone del Risparmio 2015 la prima indagine sui risparmiatori di domani: i Millennials italiani. E questa occasione gli ha dato lo spunto per approfondire il tema.

Cominciamo col dire che in questo agile e-book non ci si perde per strada. L’autore lo scrive avendo ben chiara la domanda che pone solo nell’ultimo capitolo per introdurre una serie di indicazioni per affrontare questo universo di nuovi interlocutori del sistema del consumo in tutte le sue molteplici sfaccettature.

“Come ci si deve comportare – si chiede Diego Martone – per conquistare la Generazione Y? Che si tratti di proporre un prodotto, di orientare un’offerta di servizi, di scoprire un talento da assumere, di conquistare un voto elettorale e così via, la domanda rimane inalterata. Vi sono, senza dubbio, degli indirizzi da seguire per rendere il proprio lavoro più mirato in questa direzione, con l’avvertenza che ciascun campo d’azione contiene delle specificità che non possono essere ignorate”.

I Millennials (o generazione Y) sono 6 milioni e 120 mila ragazzi/uomini e 6 milioni e 35 mila ragazze/donne che costruiscono, come avviene nel resto del mondo occidentale, la forza lavoro e di governo dei prossimi anni, scrive Martone. Sono quelli nati tra il 1980 e il 2004 rappresentano “una fascia di popolazione che condivide valori e comportamenti talmente differenti da quelli delle Generazioni precedenti (X, Boomers, Silent) al punto da permettere di immaginare nell’arco di poco tempo l’imporsi di un ‘sistema di vita’ rivoluzionario e la necessità per le aziende di ogni settore merceologico e di servizi di riscrivere le proprie strategie di comunicazione e vendita”, si legge nella premessa.

Detto questo, il percorso proposto dall’autore si snoda, in maniera chiara, ad analizzare le caratteristiche di questa fascia di popolazione che, molto efficacemente, viene identificata come la generazione che “vive nel momento e svolge la propria vita un passo alla volta, senza creare troppo vincoli al cambiamento” e l’identikit che Martone ne traccia non è ne troppo edulcorato, né negativo. È una generazione forse disillusa, abituata a vivere nella precarietà, ma ben distante dagli sdraiati, dai bamboccioni o dai choosy che dir si voglia. È una generazione invece che ha a disposizione le tecnologie, vive in una società dove la condivisione è diventata un modo per surrogare livelli di reddito ridotti. Ma è anche quella generazione che dal punto di vista sociale è più aperta, da quello scolastico più preparata (anche se sulla conoscenza delle lingue il gap con i giovani degli altri Paesi europei persiste), da quello tecnologico, va da sé, più consapevole.

Il racconto di Martone, con il supporto di risultati di ricerche effettuate direttamente, accompagna la generazione Y nei suoi rapporti con il lavoro, con la famiglia, con gli strumenti digitali, con il mondo del consumo e dei viaggi, con il cibo, con la società multietnica, con il sesso.

Forse il primo quadro completo dei Millennials con i quali le imprese devono imparare a confrontarsi utilizzando il loro linguaggio (o i loro linguaggi, visto che questa definizione comprende ai due estremi ragazzini nativi digitali e trentacinquenni) che però è ancora in buona parte da imparare. Martone, nell’ultimo capitolo, tira le fila del discorso e dà una serie di utili indicazioni proprio a questo scopo.

Come dice l’autore, «Siccome ho il massimo rispetto dei potenziali lettori e non posso esimermi dall’invitarvi a leggere gratuitamente un piccolo assaggio di quello che troverete all’interno. In fondo in libreria siamo tutti abituati a sfogliare un testo prima di portarlo alla cassa! Leggi l’Indice dei contenuto  e la Premessa nell’Anteprima I nuovi Dei dell’Olimpo dei Consumi».

Il libro può essere acquistato secondo queste modalità:

  • Su Lulu.com
  • All’interno dello store di Kobo (manon è necessario avere il kobo per leggerlo)
  • Presso il sito di Feltrinelli
  • Su iTunes, per tutti quelli che hanno iPhone, iPad, Mac in genere…
  • Su Amazon, anche in questo caso generosa anteprima generata in automatico  da Amazon stessa

I trend della spesa 2015 secondo Waitrose: piccola, frequente, informale e flessibile

Quali sono le tendenze dell’alimentazione e della spesa nel 2015? Come l’anno scorso (vedi anche l’edizione 2014) Waitrose, insegna di supermercati britannica, li raccoglie in un rapporto basato non solo sulle vendite reali (va tenuto conto che la catena è di gamma medio-alta) ma anche su studi di mercato e focus group. Se alcuni risvolti possono essere molto “british”, altri trend si notano già nei nostri supermercati e alcuni, ci scommettiamo, arriveranno a breve.

Ormai abbiamo a disposizione “un campo di scelte illimitate” e disponibili a tutte le ore. Le restrizioni nell’orario di apertura dei negozi e nei tempi del lavoro, ma anche di disponibilità di merci e servizi sono saltate, complice l’e-commerce, le consegne in giornata, le aperture prolungate o addirittura 24 ore su 24. Dunque ecco come sta cambiando il nostro approccio al cibo, il nostro stile di vita, i rapporti di lavoro e di conseguenza anche la nostra spesa.

Il carrello della spesa nel 2015

  • Si fanno acquisti “come in vacanza”, spesso e scegliendo pochi articoli di uso immediato o quasi e con una grande attenzione al fresco.
  • Si fa la spesa in settimana, sempre più tardi. A Londra il 40% delle vendite nei pdv Waitrose ha luogo dopo le 5 del pomeriggio.
  • Due terzi delle persone sono “sopraffatte” dalla infinita possibilità di scelta da tutti i punti di vista e cercano di darsi dei paletti per riottenere il controllo sulle proprie vite (si sta diffondendo ad esempio il “martedì sera senza schermi, in cui si spegne ogni tipo di dispositivo elettronico.
  • L’ora del pranzo e della cena oscillano e il pasto diventa sempre più informale. I programmi tv spesso sono on demand e non hanno più un orario fisso. Una famiglia su 7 dice di usare la sala da pranzo meno, e un quarto mangia fuori casa più spesso che in passato.
  • La salute è un tema importante, ma otto intervistati su dieci non amano farsi dire cosa è salutare e cosa non lo è, e tendono a stabilire da soli le proprie “ricette per la salute”, cercando diete compatibili con il loro stile di vita.
  • Internet è la via maestra per informarsi sull’alimentazione e food blogger, social media e ricettari lanciano in continuazione nuove mode ed alimenti. E questo è vero non solo tra i giovani; anche molti pensionati hanno abbracciato la rete. Tra le ricerche più cliccate avocado, “gluten free” e “senza latticini”.
  • Cucine affollate e conflitti tra chef: se la mamma regina ai fornelli è da tempo un ricordo del passato, tra crisi economica con figli che ritornano in famiglia e famiglie allargate le cucine sono sempre più affollate di aspiranti cuochi, e sorgono attriti. Le ragioni principali? Disordine, prepotenza, lentezza ed “eccesso di sperimentazione”.
  • Nelle bevande il focus e sull’origine e la qualità: crescono le birre artigianali (+34%) e i vini inglesi (+95%) ma continua il successo del Prosecco come alternativa allo Champagne (che però cresce specie nella versione rosé, +46%). In genere si preferisce bere meno e meglio, e bilanciare l’eccesso di alcol, quando si abusa, con alimenti salutari come un’insalata, il giorno dopo. Aumentano le donne che apprezzano il whisky mentre il rum scuro esce dal “ghetto” del Cuba Libre e diventa superalcolico da meditazione. Una persona su 4 nel corso dell’anno ha deciso di evitare gli alcolici durante la settimana.

 

Borsino della spesa: cosa va su

  • pasti pronti
  • alternative vegetali al glutine, come gli spaghetti di zucchine e la base della pizza di cavolfiore
  • sostituti del sostituto: il latte di mandorla e cocco crescono più di quello di soia
  • i pasti da mangiucchiare, come tapas o mezes. Piccoli assaggi sfiziosi; si mangia meno e più spesso durante la giornata
  • il nutribullet, una sorta di superfrullatore in grado di sminuzzare semi e bucce che si presenta come “estrattore” di nutrienti ha spinto le vendite di frutta surgelata e pretagliata
  • cibo dal mondo: kimchi (cibo fermentato coreano), semi di chia (dal centro America) e cavolo nero (il nuovo “SuperTuscan”) agganciano i gusti dei consumatori britannici

 

Responsabilità sociale, cresce la sensibilità dei consumatori: in Italia il 52% disposto a pagare di più

Per i brand che operano azioni di sostenibilità sociale e ambientale si è disposti a pagare di più: in Italia questa affermazione è vera per il 52% dei consumatori, un dato in aumento rispetto al 45% del 2014 e al 44% del 2013, anche se ancora inferiore rispetto alla media globale del 66% ma superiore al 51% della media europea. Lo rivela il Nielsen Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability condotta su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi.

Che l’approccio sostenibile “paghi” è poi confermato dal dato che vede come, a livello globale, le aziende impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale hanno fatto registrare nel 2015 una crescita del fatturato pari al 4%, a differenza di quelle scoperte su questo versante, il cui giro d’affari è incrementato meno dell’1%. E coprono ormai il 65% delle vendite totali nel largo consumo le marche impegnate con l’ambiente o il sociale.

Gli under 34 i più sensibili al tema

Nei 60 mercati presi in esame, in media le fasce d’età maggiormente propense a pagare di più per la sostenibilità sono quelle dei Millennials (21- 34 anni) e della generazione Z (15-20 anni). La prima si posiziona al 73% nel 2015 (in crescita del 50% rispetto al 2014), la seconda al 72% (era il 55% nel 2014). Il dato sorpendente riguarda la disponibilità finanziaria dei consumatori (forse legata propiro alla loro età): è maggiormente disposto a pagare un premium price per il prodotto con brand sostenibile chi guadagnano 20 mila dollari all’anno rispetto a chi dichiara entrate per 50 mila (68% vs. 63%).
«I consumatori – commenta l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – hanno raggiunto un grado di responsabilità sociale e ambientale determinante anche nel momento dell’acquisto. Nello stesso tempo, si attendono il medesimo impegno da parte dei produttori. Per questo motivo la sostenibilità dei beni di largo consumo è da considerarsi non più solo un valore aggiunto del prodotto e del brand, bensì un requisito essenziale. Non si può parlare della sostenibilità come di un semplice differenziale di marketing. Essere sostenibili comporta per l’azienda il consolidamento della fedeltà alla marca, soprattutto quando il cliente appartiene alla fascia dei Millennial e della generazione Z, particolarmente attente a questi aspetti nel momento in cui si avvicinano allo scaffale. Ambiente, impegno sociale, freschezza degli ingredienti sono le declinazioni dell’unico concetto di sostenibilità, che posiziona l’azienda come big player sia a livello nazionale sia globale grazie alla reputazione acquisita dal marchio».

Paese che vai esigenza che trovi: in Italia vince il fresco e il bio
La sostenibilità di un prodotto si declina in diversi fattori, emerge ancora dalla ricerca, che a loro volta costituiscono altrettanti driver d’acquisto. In Italia la freschezza e la presenza di ingredienti naturali/biologici incide per il 61% nel comportamento davanti agli scaffali. Il beneficio salutistico per il 53%. In particolare, il comparto del biologico a totale Paese nel marzo 2015 ha fatto registrare una crescita del 14% sull’anno, generando un giro d’affari di 866 milioni di Euro, gli alimenti gluten free +31% (101 milioni), quelli senza grassi +10% (25 milioni), il comparto dell’integrale +11% (235 milioni).
La fiducia nel brand, nella classifica dei driver di sostenibilità nel nostro Paese, si posiziona al 53%. Al 41% si riscontra il fatto che la società produttrice sia eco-friendly, al 38% che il packaging sia a basso impatto ambientale, al 33% che il brand sia impegnato nel sociale, al 31% il fatto che l’azienda abbia un impatto positivo sulla comunità territoriale locale.
L’impegno etico, uno degli aspetti della sostenibilità, diventa premiante anche nel messaggio pubblicitario: se il 17% ha acquistato per avere visto la pubblicità di un prodotto in Tv, la percentuale sale al 21% se il messaggio contiene riferimenti alla sostenibilità dell’operatività della marca.


Se a questi dati si affianca la classifica di quanti, oltre ad essere attenti ai fattori sostenibili dei prodotti, si dichiarano disposti a spendere di più per gli stessi, le percentuali salgono: il 72% pagherebbe un premium price per prodotti di brand affidabili, il 70% per prodotti in linea con le esigenze di salute e benessere, il 69% per prodotti freschi e fatti da ingredienti naturali, il 58% se l’azienda produttrice è eco-friendly, il 56% se è impegnata nel sociale, il 53% se il packaging è a basso
impatto ambientale, stesso dato se l’azienda ha implementato iniziative a favore della comunità locale, il 45% se l’adv televisivo veicola messaggi positivi mirati alla società e all’ambiente.

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