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Roadhouse Restaurant primo brand in Italia per la qualità della sua Customer Experience

Roadhouse Restaurant (Gruppo Cremonini) si aggiudica il titolo di primo brand in Italia nella categoria “Ristoranti” – per la qualità della Customer Experience offerta ai propri clienti –  e il 35° assoluto tra i marchi Top nazionali e internazionali. Questi i risultati della ricerca “L’era della Customer Experience”,  realizzata dalla società di consulenza KPMG Numwood*.
I ricercatori, che hanno voluto far emergere le best practice delle aziende leader in termini di qualità della Customer Experience, hanno inoltre riscontrato una correlazione positiva tra quest’ultima e i risultati economici ottenuti dalle varie società.
“Siamo particolarmente soddisfatti di questo brillante risultato emerso da una prestigiosa ricerca indipendente” – ha commentato Nicolas Bigard, AD di Roadhouse Restaurant-. “Questo riconoscimento conferma i nostri sforzi da sempre orientati alla soddisfazione del cliente ed è una vera vittoria di squadra.  Infatti, la customer experience è l’insieme di tanti aspetti che coinvolgono tutte le funzioni aziendali: controllo della filiera, qualità e innovazione dell’offerta, cultura del servizio, facilities tecnologiche, cura della funzionalità e del design. Guardando al futuro sono certo che sapremo migliorare ancora, rendendo sempre più unica e speciale la nostra Roadhouse Experience”.

Il Ristorante di Modena
L’apertura più recente è stata fatta a Modena (il 2° locale dopo quello storico situato vicino al casello di Modena Sud), ha 160 posti a sedere ed è dotato di un parcheggio privato con 40 posti auto, oltre a numero elevato di parcheggi pubblici nelle vicinanze.  I dipendenti sono circa 30, tutti giovani selezionati nella zona di Modena. Al suo interno sono disponibili le facilities tecnologiche che contribuiscono decisamente alla Customer Experience: tra queste, il WIFI gratuito e l’APP Roadhouse, che permette di utilizzare la fidelity per ottenere sconti e promozioni esclusive e di pagare tramite smartphone evitando la fila in cassa. Inoltre per tutti i bambini è a disposizione l’innovativa area kids con giochi interattivi dove possono divertirsi in tutta sicurezza.

I numeri di Roadhouse Restaurant
Oltre otto milioni di clienti l’anno, 103 locali, 2.600 dipendenti, oltre 1.000.000 di soci del Club Fedeltà.  Entro il 2017 sono previste altre 10 aperture. Le prossime saranno a Lentate sul Seveso (MB), Torino Vinovo e Conegliano Veneto (TV).

*La survey è stata condotta tra i mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017, su oltre 140 brand nazionali e internazionali attraverso un campione di oltre 2.500 consumatori.

Vola il vino biologico italiano: 275 milioni (+34%) nel 2016, export da record

Vola il vino biologico italiano: nel 2016 le vendite hanno raggiunto i 275 milioni di euro, con un aumento del 34% rispetto al 2015, ma il mercato interno (83 milioni, il 30% del totale, +22% rispetto all’anno precedente) cresce assai meno rispetto all’export (192 milioni, +40%). Anche se gli italiani stanno imparando ad apprezzare un prodotto prima considerato solo di nicchia: nel 2016 il 25% dei consumatori ha almeno in un’occasione, a casa o fuori, degustato un vino bio, mentre nel 2015 erano il 21% e nel non lontano 2013 appena il 2%. È quanto emerge dalla ricerca Wine Monitor Nomisma realizzata in occasione del Vino bio day per Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

È quindi l’estero il mercato di riferimento del vino bio italiano, molto più di quanto lo sia per il vino tout-court. Le percentuali dell’export sono rispettivamente del 70% e del 52%. L’export di vino biologico italiano pesa per il 3,4% sul totale dell’export di vino dall’Italia, ma il trend è in continua crescita (1,9% nel 2014 e 2,6% nel 2015). Nel 2016 il 79% delle aziende che producono vini biologici ha esportato. Prima destinazione è l’Unione Europea (66% a valore) mentre esaminando i singoli Paesi la Germania (33% del fatturato estero del 2016) è largamente in testa davanti agli Stati Uniti (12%). Seguono Svezia, Canada e Svizzera con una quota dell’8% ciascuno, la Cina con il 7% e il Regno Unito con il 6%.

Dati destinati a crescere visto che la Survey Wine Monitor Nomisma realizzata per Ice-Agenzia in due mercati rilevanti per i vini biologici, Germania e Regno Unito, segnala un’attenzione crescente per i vini italiani (il 22% del vino importato in Regno Unito è italiano, il 36% in Germania) e per i vini bio (nel Regno Unito le vendite di vino bio nella Gdo nel 2016 si attestano a 21 milioni di Euro, con uno share di biologico dello 0,4% sul totale dei vini venduti e un aumento del 24%). La quota di consumatori che negli ultimi 12 mesi ha bevuto almeno una volta un vino biologico è del 12% in Germania e del 9% in UK. Come per l’Italia, la preferenza sul vino bio ricade soprattutto su rossi e bianchi fermi in entrambi i mercati, seguono in UK il rosso frizzante e in Germania il bianco frizzante. In entrambi i mercati i vini bio vengono acquistati principalmente in iper e supermercati (38% in UK, 33% in Germania). In UK il consumatore di vino bio spende in media per una bottiglia da 750 ml intorno alle 13 sterline, in Germania 8 euro. Secondo i consumatori (42% in UK e 40% in Germania), i vini bio made in Italy hanno qualità mediamente superiore rispetto ai vini bio di altri paesi. Qualità che ricorre nuovamente tra gli attributi evocativi: in entrambi i mercati, nel pensare al vino biologico italiano il 19% indica “alta qualità”, mentre un ulteriore 15% individua nell’autenticità il principale valore. Senza dubbio il vino biologico made in Italy gode di un’ottima reputazione oltre i confini nazionali, con un potenziale ancora non del tutto valorizzato: l’84% dei consumatori di vino – sia in UK che in Germania – sarebbe interessato ad acquistare un vino biologico made in Italy se lo trovasse presso i ristoranti.

Insomma, i nostri punti di forza sono la qualità, il valore del marchio e l’affidabilità, la tracciabilità. E i limiti? Chi non esporta trova ostacoli nelle dimensioni ridotte finanziarie e di volumi, nei vincoli doganali e tariffari e nell’incapacità di comunicare adeguatamente. Malgrado ciò, gli operatori pensano che nel prossimo triennio a trainare le vendite italiane all’estero saranno ancora soprattutto i mercati terzi, primo fra tutti quello statunitense. Nemo propheta in patria, neanche nel vino bio.

Il vino per questa (torrida) estate è rosso bianco o rosé? Winenews chiede agli esperti

Quella che stiamo vivendo è una delle estati più calde di sempre. E rischia di condizionare anche le scelte degli enoappassionati. Che sono portati a rinunciare ai vini rossi, magari leggermente refrigerati, a vantaggio di bianchi ghiacciati. Ma è l’unica scelta possibile? Winenews, uno dei portali più noti dell’enologia italiana, ha chiesto tre vini dell’estate (una bollicina, un bianco e un rosso) e una tendenza ad alcune delle migliori enoteche italiane. E i risultati sono spesso sorprendenti.

Si parte dalla Sicilia, dove l’enoteca Picone di Palermo suggerisce uno spumante metodo classico da servire freddo, uno Zibibbo o comunque un vino da vitigno aromatico, che freddo dà il meglio di sé, e tra i rossi il Rossojbleo 2016 della Cantina Gulfi, una versione particolarmente approcciabile del Nero d’Avola della Sicilia sud orientale, pur conservandone in pieno l’espressione varietale e l’identità territoriale.

All’enoteca Partenopea, a Napoli scelgono il Blanc de blancs di Monterossa, un classico Franciacorta, un Müller Thurgau e un Lago di Caldaro Tenute Manincor (Kaltarersee Keil). Poi giocano il jolly di un Riesling pétillant.

A Roma all’enoteca Trimani il titolare Francesco Trimani suggerisce un Brut da Riesling, il Peu Moussant di Le Fracce nell’Oltrepò Pavese, una Passerina 2016 Costa Graia, (una “brillante rappresentazione del territorio e dei suoi sapori”) e l’Aglianico Le Nuvole Franco che “è una voce nuova nel mondo dei rossi, vinificato in cemento, mantiene quasi intatte le caratteristiche del vitigno” e inoltre fa parte di un progetto di sostegno a ragazzi disabili, motivo in più per avvicinarcisi (Francesco consiglia di berlo rinfrescato). Trimani suggerisce di tenere d’occhio anche il Rossese di Dolceacqua Terre Bianche 2015.

A Montalcino Bruno Dalmazio, titolare dell’enoteca Dalmazio, fa la sua lista: un Franciacorta bello freddo, un Vermentino, e un Pinot Nero. Dalmazio punta forte anche sull’Etna Rosso, vino con caratteristiche forti ma comunque versatile e apprezzato dai winelovers.

Alla Vinoteca al Chianti, a Impruneta, consigliano uno Champagne, un bicchiere di Verdicchio per gli amanti del bianco e un Frappato Doc per chi non vuole rinunciare al rosso. Un vino tipicamente estivo è il Quojane di Barone di Serramarocco, uno Zibibbo secco.

Scelta tutta di territorio a Reggio Emilia, all’enoteca Il Cantinone di Toano: il Brina d’Estate Tenuta Ajano Brut Colldi di Scandiano, un Pignoletto frizzante e il Lambrusco Ottocentorosa di Albinea Canali. E come outsider il bianco Solata delle Cantine Cardinali.

Tappa a Verona, all’Antica Bottega del Vino. Anche qui sulle bollicine si va sul sicuro: un buon Champagne. Tra i bianchi un Durello “tranquillo”, bianco tipico delle colline tra Verona e Vicenza, e per i rossi un Valpolicella Superiore. La tendenza dell’estate 2017 è invece il Bourgogne Aligote, Cuvée des Quatres Terroires della cantina Domaine Chevrot, un classico bianco francese.

A Trento, all’Enoteca Grado 12 “spingono” un Trentodoc, il brut nature millesimato di Marco Tonini, l’Incrocio Manzoni Castel San Michele 2016 di Fondazione E. Mach, bianco strutturato e il Pinot Nero 2015 di Pojer e Sandri, un rosso profumato di frutti di bosco. La scelta extra è il Santa Maddalena Classico 2016, di Georg Ramoser.

Milano: all’enoteca Cantine Isola sulle bollicine vanno sul metodo classico, l’extra brut’ di Albino Maria Cavazzuti, prodotto in provincia di Modena. Il bianco viene dal Friuli, la Malvasia Chioma Integrale 2015 dei Vignaioli da Duline. Tra i rossi fa il bis il Lago di Caldaro delle Tenute di Manincor. Scelta del cuore un Cannonau Rosato dalla Sardegna, magari quello delle Cantine Aru a Iglesias.

Restiamo nell’hinterland milanese e spostiamoci a San Giorgio su Legnano. Giovanni Longo, dell’enoteca Longo, suggerisce il Franciacorta Villa Crespia dei Fratelli Muratori, il San Vincenzo delle Cantine Anselmi, un blend di Chardonnay e Sauvignon, e, tra i rossi, un Trentino Superiore di Isera, il Marzemino della cantina De Tarczal. Inoltre Longo crede molto nei rosati e suggerisce un Salento Rosato Igp della cantina Michele Calò e figli.

Ancora Lombardia, ancora fan del rosato. A Cantù, all’Enoteca La Barrique, sono convinti dell’imminente successo di questa tipologia e suggeriscono anche loro di tenere d’occhio il Salento. Per il resto il trio estivo prevede un Prosecco Valdobbiadene, un Collio Friulano e un Lambrusco o un Valpolicella per il rosso.

Si finisce ad Alba, dove all’Enoteca Grandi Vini propongono una scelta tutta regionale: come bollicina un Alta Longa della cantina Ettore Germano, dalla spuma fine che rinfresca la bocca; come bianco il Nascetta di Elvio Cogno; e come rosso Il rosso, il Freisa d’Asti, fresco e amabile. E il trend? Anche qui Piemonte: il Nebbiolo d’Alba 2010.

 

Il classico piace sempre ma la nuova tendenza è il rosato

«I classici – tira le fila Andrea Terraneo, presidente di Vinarius, Associazione Enoteche Italiane – vendono sempre. Abbiamo notato solo una leggera tendenza verso vini meno aromatici, non eccessivamente fruttati ma piacevoli in bocca. Un ritorno, per i vini bianchi, a vini con una maggiore acidità».

Per le bollicine “si registra una tendenza a Prosecchi meno zuccherini. Quando consigliamo un Brut, il riscontro è positivo, rimangono tutti soddisfatti”.

E poi c’è il mondo del rosato, che sta crescendo prepotentemente. «Crediamo molto nei rosé – dice Terraneo – è un prodotto che va ancora coltivato. Solo da qualche anno si è capito il valore e la diversità che ha questo vino, e stiamo cominciando a far capire che è un universo molto vario. Esistono rosati delicati e leggeri, ma anche più rotondi e pungenti». Insomma, l’universo rosa non è più soltanto femminile.

Record di spesa all’Amazon Prime Day, in Italia al top c’è food e grocery ma Paese che vai…

In fondo ce lo si poteva aspettare: l’Amazon Prime Day 2017 è stata la più grande giornata di shopping a livello globale della storia di Amazon, e anche la più grande giornata di shopping di sempre su Amazon.it: la novità è che tra gli articoli più veduti quest’anno in Italia non ci sono videogames, e-book o gadget elettronici ma referenze food e grocery.
Qui le promozioni più acquistate sono state Finish All in One Max 110 Lemon pastiglie per lavastoviglie e le capsule Caffè Vergnano 1882. Tra le promozioni di Prime Now invece il prodotto più venduto è stato l’Hamburger di Scottona – Chianina Igp.

A riprova del fatto che ormai Amazon è diventato un gigantesco supermercato globale, anzi ipermercato, durante il Prime Day sono stati venduti oltre 100.000 prodotti all’interno del negozio Pc, oltre 50.000 prodotti nella categoria fai-da-te, i cuochi amatoriali hanno acquistato oltre 70.000 utensili e gadget per la cucina e sono stati acquistati quasi 100.000 articoli nella categoria sport.

Ma per una volta non tutto il mondo è paese, e uno sguardo globale delle vendite dà uno spaccato quasi antropologico dello shopper globale. Ma anche una anteprima sulle tecnologie che, in tempi brevissimi immaginiamo, invaderanno le nostre case ed entreranno a far parte delle nostre vite. Come è stato con il kindle o l’i-phone. La next big thing sarà quasi certamente Amazon Echo Dot, il dispositivo da casa con a bordo l’assistente vocale Alexa con il quale fare la spesa, conoscere le previsioni del tempo e ascoltare musica e ora anche guardare video, che è stato a livello globale il prodotto più acquistato (e ha venduto sette volte più dell’anno scorso).

Ecco invece i prodotti più venduti nei vari Paesi, escusi i gadget Amazon:

USA: foodie e indagatori genetici. Pentola a pressione programmabile Instant Pot DUO80 7-in-1 Multi-Use; Test per il DNA 23andMe DNA Tests for Health + Ancestry

Regno Unito: nerd giocherelloni. TP-Link Wi-Fi Smart Plug per Alexa; Sony Playstation 4

Spagna: tecnologici. SanDisk Ultra Fit 64GB USB 3.0 Flash Drive; Moto G Plus (5th Generation) Smartphone; Lenovo Ideapad 310 Laptop

Messico: accessoriati. AmazonBasics Apple Certified Lightning to USB Cable; Nintendo Switch

Giappone: salutisti. SAVAS Whey Protein; Happy Belly pure bottled water

Italia: ma che ci vado a fare al supermercato? Finish All in One Max tablets; Caffe Vergnano 1882 Espresso machine

India: tecnologici. OnePlus 5 phone; Seagate Expansion 1.5TB Portable External Drive

Germania e Austria: resto in casa. PlayStation Plus Membership; Soda Stream

Francia e Belgio: gamers seriali. PlayStation Plus Membership; Game of Thrones – The Complete Season 1 to 6 Blu-Ray

Cina: pedagogici. Fisher Price Soothe and Glow Seahorse (peluche luminoso); A brief history of humankind+ A brief history of tomorrow set

Canada: foodie e pragmatici.Pentola a pressione programmabile Instant Pot Duo 7-in-1 Multi-Use, AmazonBasics AA Rechargeable Batteries (8-Pack)

 

L’avanzata del Free from, una “nicchia” da 6 miliardi di euro

Ma quale nicchia: il “free from” conquista gli italiani e diventa mainstream. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy e Nielsen la passione per i prodotti “senza”, caratterizzati dall’assenza o quanto meno dalla diminuzione di taluni ingredienti considerati nocivi, accomuna ormai tutti i consumatori. Il business dei prodotti “free from” nel 2016 ha superato i 6 miliardi di euro, con un aumento del 2,3% sul 2015, e ora pesa per il 28,4% sul totale del largo consumo alimentare rilevato dall’Osservatorio Immagino.

L’Osservatorio ha esaminato ben 36mila prodotti alimentari di ogni genere (acque e alcolici esclusi), ponendo grande attenzione al packaging e all’etichetta, e ha rilevato 6.711 prodotti presentati come “senza” o “a basso contenuto di”. Dall’analisi dell’Osservatorio emerge che il claim più diffuso nel mondo dei free from è “senza conservanti”, presente nell’8,5% dei prodotti presi in esame per una quota complessiva del 12,7% sul giro d’affari complessivo. Seguono le formule “senza coloranti” (presente sulle etichette del 4,3% dei prodotti), “senza OGM” (presente sull’1,9% delle etichette), “senza grassi idrogenati” (1,7%) e “senza aspartame” (0,1%).

Va però notato come le vendite a valore dei prodotti contrassegnati da questi “claim” sono in calo mentre crescono quelle di prodotti caratterizzati da altre formule come “senza additivi” (1,9% delle etichette e con un aumento annuo del 3,8% del business). In aumento anche le vendite di prodotti “senza sale” (+15,2%), “senza olio di palma” (+13,5%), “senza zuccheri aggiunti” (+10,5%), “senza grassi saturi” (+6,9%), “con poche calorie” (+3,3%), privi o a minor contenuto di grassi (+2,2%) o di zuccheri (+2,1%).

«Gli stili di consumo e le scelte di acquisto – dice Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy – raccontano la nascita e la crescita di nuovi segmenti che vanno oltre le tradizionali categorie merceologiche. Il free from ne è il migliore esempio: nato con pochi prodotti destinati a pochi consumatori, ha ampliato e segmentato l’offerta arrivando ad assecondare richieste e tendenze salutistiche sempre più peculiari e specifiche sia sul fronte della naturalità che del salutismo».

Il cliente Censis della Dmo: scaltro, infedele, superinformato

Il nuovo consumatore? È scaltro, infedele e superinformato. Lo rivela la ricerca del Censis «Lo sviluppo italiano e il ruolo sociale della Distribuzione moderna organizzata» presentata a Roma, che scatta la fotografia al consumatore del dopo-crisi (nel primo trimestre 2017 i consumi delle famiglie hanno registrato un aumento dell’1,3% rispetto al trimestre precedente e l’incremento annuo è il più alto dal 2011, +2,6%). Una fotografia molto diversa rispetto a dieci anni fa. L’unica cosa rimasta uguale è il favore accordato alla distribuzione moderna organizzata (supermercati, ipermercati, centri commerciali, grandi magazzini e grandi superfici specializzate) che resta il luogo d’elezione dove fare la spesa, dall’alimentare all’abbigliamento, dall’arredamento al bricolage e il giardinaggio, la profumeria e la cosmetica.

 

Infedele (sei volte su dieci)

Il nuovo consumatore è prima di tutto molto infedele al punto vendita: il 60,3% degli italiani che si rivolgono alla distribuzione moderna organizzata per fare la spesa alimentare acquista dove più conviene, senza sentimentalismi legati a un’insegna o a un punto vendita. Va dove ti porta il portafogli, insomma. La quota dei “fedifraghi” è addirittura del 74,7% nell’abbigliamento e nelle calzature, del 72,2% nell’arredamento, del 70% nell’elettronica e telefonia.

 

Informato (su sociale e web)

Naturalmente per inseguire l’affare bisogna essere molto informati. Sono ben 31,7 milioni gli italiani maggiorenni che nell’ultimo anno hanno letto i giudizi sui prodotti nei social network e nei blog per decidere se e cosa acquistare. E di questi 10,7 milioni lo fanno regolarmente. E a sua volta il consumatore diventa produttore di informazioni: 20,4 milioni di italiani (6,2 milioni regolarmente) hanno pubblicato post su siti web o social network con commenti personali o con il racconto di proprie esperienze relative a prodotti, spese, luoghi della grande distribuzione.
Altro “skill” necessario è la grande dimestichezza con i mezzi informativi sia tradizionali sia digitali: 46,8 milioni di italiani (29,7 milioni regolarmente) nell’ultimo anno sono venuti a conoscenza di promozioni e offerte dai volantini cartacei e 26,7 milioni (10,7 milioni regolarmente) da app scaricate sugli smartphone.

 

Smaliziato (e omnicanale)

Ma l’aspetto forse più interessante del consumatore evoluto è la capacità di combinare spazio fisico e spazio virtuale per massimizzare le opportunità di risparmio. Una delle tecniche maggiormente usate dal consumatore smaliziato è testare un prodotto nel negozio tradizionale per poi ordinarlo online per risparmiare: 30,5 milioni di italiani lo hanno fatto almeno una volta nell’ultimo anno e 8,8 milioni lo fanno spesso. Così come 19,6 milioni (5,4 milioni regolarmente) hanno ordinato prodotti tramite il web e poi li hanno ritirati presso il punto vendita mentre sono 14,4 milioni i nostri connazionali che si sono fatti consegnare la spesa a casa dopo averla ordinata per telefono o sul web (per 5,7 milioni è una pratica abituale). Quelli che sono rimasti ancorati allo shopping tradizionale sono ancora tantissimi: 46,6 milioni di italiani, dei quali 24,5 habituée.

 

Tutto, sempre, velocemente: il supermercato del futuro nei desiderata dei clienti

E spostandoci avanti con la fantasia, come si immaginano gli italiani il punto vendita del futuro? Un luogo versatile, in cui possano trovare dai farmaci, ai carburanti, alle polizze assicurative (43,8%). L’idea è quella di un grande magazzino con coupon personalizzati da scontare subito alla cassa (42,3%), personale preparato e disponibile che aiuti a capire e scegliere velocemente (33,3%), modalità più rapide e semplici di pagamento (29,2%), orari di apertura più flessibili e prolungati (sera tardi, domeniche, festivi: 25,9%), offerte personalizzate recapitate in tempo reale sullo smartphone (21,4%), disponibilità di servizi utili (posta, banca, lavanderia: 21,1%), e naturalmente il wi-fi (17,8%). Insomma, un negozio tailored e multiforme. Il futuro del consumo è adesso.

Istat, dall’inizio dell’anno vendite ferme e il +1% di maggio non fa cambiare rotta

Possiamo parlare di stagnazione delle vendite a questo punto: i dati Istat sul commercio al dettaglio relativi al mese di maggio 2017 registrano un aumento del +1,0% rispetto a maggio 2016 nelle vendite a valore, con l’alimentare a +1,1% e il non alimentare a +0,9%. Dall’inizio dell’anno però l’Istat evidenzia una variazione pari al +0,1% a valore e al -0,9% a volume.

«Il 2017 non si manifesta come un periodo di ripresa delle vendite al dettaglio – è il commento di Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione –. Nei primi cinque mesi dell’anno i volumi sono in calo (-0,9% a livello complessivo) e la lievissima ripresa a valore (+0,1%) è frutto esclusivamente dell’aumento dei prezzi del settore alimentare. Le famiglie mantengono un atteggiamento prudente nei consumi. Preoccupate dalle incertezze del quadro politico, economico e sociale direzionano l’accresciuto potere d’acquisto degli ultimi anni verso un recupero dello stock di risparmio e un consumo di beni e servizi (auto, cultura e intrattenimento, ristorazione) alternativi ai prodotti di più generale e largo consumo. Un quadro non favorevole per le imprese del commercio, costrette ad affrontare un ulteriore periodo di domanda stagnante e una ripresa che continua ad allontanarsi nel tempo».

Secondo Federalimentare, è il mondo food che continua a destare preoccupazione, visto che la crescita (esigua) del mese (+1,0%) è attribuibile “a un “effetto trascinamento” dovuto all’aumento dei prezzi che, sebbene in riduzione, hanno avuto una forte impennata nei primi mesi dell’anno”. Il dato a volume segna infatti un calo del -1,0%. Questa tendenza si evidenzia in modo ancor più chiaro nei dati cumulati dei primi 5 mesi del 2017, che indicano una crescita del +0,6% a valore ma un calo a volume del -1,9%”. E se a maggio è andato meglio il non food, con una crescita sia a valore (+0,9%) sia a volume (+0,8%), nel periodo gennaio-maggio complessivamente abbiamo un calo, sia a valore sia a volume del -0,2%.

Il Codacons parla di un maggio “freddo” per le vendite aò dettaglio. «In realtà le vendite non stanno affatto crescendo, e rimangono stazionarie rispetto allo scorso anno – spiega il presidente Carlo Rienzi – È evidente come tali dati siano del tutto insufficienti ai fini di una ripresa dei consumi. Nonostante i numeri positivi registrati a maggio, le vendite in Italia sono sostanzialmente ferme, confermando i tanti allarmi lanciati dal Codacons e la mancanza di misure per sostenere il commercio interno».

 

Avanzano ancora i discount, soffrono i piccoli esercizi

“Un dato poco rassicurante” anche se si tratta a volume della prima variazione tendenziale positiva dell’anno emerge dalle rilevazioni Istat  secondo l’Ufficio Studi Confcommercio, visto che l’indice destagionalizzato si posiziona sui livelli più bassi degli ultimi anni. “Dalla debolezza della ripresa – fanno sapere dall’Ufficio Studi – restano più colpiti i negozi con meno di cinque addetti, che registrano una riduzione delle vendite in valore del 2,5%, mentre appare meno difficile la congiuntura delle imprese più grandi. La fiducia delle famiglie continua ad essere precaria, comprimendo la propensione al consumo”. 

Se le vendite di alimentari salgono a maggio 2017 rispetto a un anno prima in ipermercati (+0,2%) piccole botteghe alimentari (+0,3%) e supermercati (+0,4%) sono ancora i discount che fanno registrare l’incremento di gran lunga più significativo, del 3,2%.

Coldiretti evidenzia come sia proprio il settore alimentare a far registrare i risultati migliori con una media del +1,1%. “L’aumento della spesa alimentare su base annua è un segnale positivo poiché si tratta della seconda voce del budget familiare dopo l’abitazione. L’auspicio è che ora gli aumenti di spesa nella distribuzione alimentare si trasferiscano anche al settore agricolo dove – commenta Coldiretti –i compensi riconosciuti per molti prodotti non coprono neanche i costi di produzione”.

Gruppo Acqua Minerale San Benedetto si conferma leader del beverage analcolico

Gruppo Acqua Minerale San Benedetto, per il secondo anno consecutivo, si conferma  leader assoluto del mercato Italiano del beverage analcolico nel 2016 con una quota a volume del 15,4%. A certificarlo è GlobalData, prestigiosa società internazionale di ricerca e consulenza di mercato, con sede principale a Londra, accreditata come “specialista” per lo studio e l’analisi dei mercati globali relativi all’industria delle bevande.

A corroborare questo risultato, un secondo riconoscimento: la certificazione del brand San Benedetto come leader nell’intero mercato delle bevande analcoliche in Italia – con una quota a volume del 9,5% – e nei seguenti segmenti di mercato: 

  • Brand più venduto nel mercato delle acque minerali con il 10,5% di quota a volume;
  • Brand più venduto nel mercato del thè freddo con il 29,8% di quota a volume;
  • Brand più venduto nel mercato delle bibite gassate no cola a basso contenuto calorico con una quota a volume del 29,7%;
  • In più Energade si conferma come il brand più venduto nel mercato degli Sport Drink con una quota del 34,2%.

“Confermarsi per il secondo anno consecutivo come leader nelle bevande analcoliche è un risultato eccezionale in un mercato così competitivo come quello italiano. Ciò rappresenta un motivo d’orgoglio per tutta l’Azienda, ma anche una grande responsabilità: vale a dire quella di confermarsi in un mercato con grandi gruppi internazionali e soprattutto nei confronti dei consumatori ”. – ha dichiarato Enrico Zoppas, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. – “Continueremo a investire in maniera importante nell’ innovazione, che riteniamo essere l’unica via di sviluppo possibile. San Benedetto non si ferma mai. I prodotti che si vedono oggi sul mercato sono già storia, siamo sempre oltre, orientati a quello che faremo domani.”

 

A Las Vegas apre il primo locale con bartender robot

Se tra i maggiori temi di discussione contemporanei troviamo la robotica e il suo futuro apporto al lavoro umano – argomento scelto quest’anno anche per le tracce dell’esame di maturità delle scuole superiori italiane – Las Vegas non si risparmia tra innovazioni e interessanti opzioni di intrattenimento legate sempre più al mondo dell’automazione.

Las Vegas rimane infatti la patria indiscussa della tecnologia e dell’innovazione, in primo luogo grazie al CES, la fiera più grande del mondo che la destinazione ospita annualmente a gennaio.
Ogni edizione accoglie oltre 170.000 appassionati e professionisti provenienti da tutto il mondo e circa 400.000 aziende e start up espositrici.

Proprio nella città californiana tra pochi giorni aprirà Tipsy Robot, il primo bar robotico al mondo (su terra ferma), all’interno dello shopping mall Miracle Mile Shops.
I clienti potranno scegliere tra una vasta selezione di drink attraverso un’app dedicata. Saranno poi i robot gemelli al bancone a miscelare, shakerare e versare i cocktail con tanto di entusiasmanti coreografie che promettono una nuovissima tipologia di intrattenimento.

Questa innovativa esperienza di bartending sarà inserita all’interno di un ambiente altamente digitale e high-tech: attraverso un photo booth dedicato dagli sfondi colorati e divertenti, i clienti potranno condividere in pochi istanti la propria esperienza sui social.

La città prosegue poi sull’onda dell’incessante innovazione con il nuovo sistema di prenotazione via Facebook Messenger. Dopo l’introduzione del mobile check in, una modalità già consolidata nei principali resort della Strip, The Venetian sarà infatti il primo resort indipendente a lanciare la prenotazione delle sue stanze tramite un’app social.

Infine, Las Vegas Convention and Visitors Authority (LVCVA), continua ad invitare turisti e futuri visitatori a scaricare la sua app gratuita di Virtual Reality, Vegas VR, per vivere alcune delle esperienze più amate di Las Vegas in maniera ancora più coinvolgente. É possibile scaricare la app, disponibile per iPhone e Android, visitando il sito internet http://www.vrtv.vegas.

Business ibrido: il retail tradizionale vira verso l’online, a partire dall’USA

Business sempre più ibrido? Pare proprio di sì. Stando infatti a un recente studio BDO (BDO’s 2017 Retail Compass Survey of CFOs) , risulta chiara la svolta decisiva verso il digitale dei retailer negli USA.
Secondo l’approfondimento BDO-PitchBook, già nel 2016, infatti, le fusioni e acquisizioni dei Retail tradizionali statunitensi si sono attestate intorno ai 17 miliardi di dollari (il valore più alto registrato negli ultimi cinque anni pari al +60% rispetto al 2015 ) e hanno interessato 105 operazioni.

Ottima pure la crescita degli investimenti di private equity (PE) nel settore che hanno raggiunto,  l’anno scorso, $6,1 miliardi di buy-out completati, contro i 2,2 miliardi registrati nel 2015 e 300 milioni di dollari rilevati nel 2014.

Notizie altrettanto buone per il mero segmento Internet Retail, che fa registare 155 operazioni portate a segno nel 2016 per un controvalore di oltre 13 miliardi di dollari e un +22% di crescita dei volumi rispetto al 2015. È ormai palese che il consumatore preferisca sempre più muoversi online e il modello di business al dettaglio si sta modificando di conseguenza.

Una  conferma di questa più che rapida evoluzione verso il digitale arriva da La National Retail Federation statunitense che prevede in crescita le vendite retail online per l’anno in corso con una quota compresa tra 8 e 12%, e un tasso di crescita tre volte più veloce che nel settore retail in generale.

Le previsioni della NRF per gli store tradizionali fisici attestano invece la quota di crescita a circa il 3%, mostrando così quanto sia rilevante un’offerta multicanale osservando quanto l’ecommerce sia sempre più alla guida della crescita del settore Retail. 

Il caso WalMart

La sfida è stata colta da WalMart, la più grande catena di megastore americana, che, con l’acquisizione della piattaforma di commercio online Jet.com per 3 miliardi di dollari l’anno scorso, ha lanciato la sfida ad Amazon sulle vendite online. Il colosso USA della grande distribuzione ha portato a termine una delle più grandi acquisizioni nell’e-commerce, in particolare per una startup che è partita ufficialmente nel 2015.

“Jet.com è stata acquisita l’estate scorsa con offerta ’premium’ di $3,3 miliardi rispetto alla sua effettiva valutazione di $1,35 miliardi, ma WalMart ha visto giusto, al punto che, alla fine dell’anno scorso, le vendite a livello globale nell’e-commerce sono incrementate a doppia cifra, con +15% rispetto il 2015, e quelle autoctone U.S.A. sono salite di ben il 36%” ha commentato Simone Del Bianco, managing partner di BDO Italia.

Il retail tradizionale: la scommessa di Macy’s e Target

I rivenditori tradizionali stanno facendo grandi investimenti in tecnologia, sia negli store fisici sia nell’e-commerce non solo per offrire un’esperienza multi-canale, ma anche per consentire al consumatore un approccio più olistico al brand. Macy’s e Target, per esempio, hanno stretto una partnership con la startup e-retail ThredUp, consentendo ai consumatori di donare abbigliamento usato alla piattaforma ThredUp in cambio di credito presso i propri store fisici. Alcuni retailer dell’abbigliamento, come Urban Outfitters, stanno collaborando con startup tecnologiche per utilizzare la tecnologia dei beacon in-store raccogliendo informazioni in tempo reale sulle preferenze di acquisto e sul flusso dei propri clienti.

E l’e-commerce puro?

Allo stesso tempo, gli e-retailer puri si stanno espandendo in controtendenza nel mondo fisico. Nel 2017, la Unicorno Warby Parker – startup di eyewear design che prima di aprire il suo store nel cuore di SoHo, ha iniziato online il proprio business vendendo occhialeria originale e di qualità a prezzi estremamente competitivi rispetto alla media – prevede di portare a 70 i propri punti vendita nel mondo. Quanto ad Amazon, la storia è nota…

E’ interessante notare – è il commento di Simone Del Bianco – come i grandi retailer USA, la cui presenza nei mercati europei è sempre più significativa, stiano valutando di portare l’esperienza in-store al livello successivo. Secondo le analisi BDO, 1 retailer su 2 prevede di investire nella riqualificazione e/o nel rimodellamento dei propri store. Allo stesso tempo, la maggioranza, il 70%, si sta concentrando sull’online, investendo più capitale nel commercio elettronico e nei canali mobile. Per aiutare questi canali a comunicare tra di loro e migliorare l’efficienza operativa, il 74% dei dettaglianti USA investirà nell’innovazione tecnologica dei sistemi IT. Anche in Europa e in particolare in Italia la ricerca di nuovi modelli di business, l’innovazione tecnologica e la spinta al digitale sono sfide che le imprese devono e dovranno necessariamente affrontare per raggiungere e/o mantenere una posizione competitiva di mercato e aspirare ad adeguati livelli di margine”.

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