CLOSE
Home Tags Consumi

Tag: Consumi

Latte, via libera all’indicazione di provenienza. Il 67% degli italiani pagherebbe di più se italiano

Si gioca sul latte una delle battaglie che in tutta Europa sta impegnando i rapporti tra grande distribuzione e produttori, colpiti dai prezzi troppo bassi. Tanto che in dieci anni si è dimezzato il numero di stalle in Italia , che hanno segnato nel 2015 il minimo storico di 33mila allevamenti. Sullo sfondo, un consumatore disposto a pagare di più per la provenienza nazionale e la garanzia di qualità. Il premier Renzi presenta il decreto al World Milk Day.La soluzione sembra dunque essere l’obbligo dell’indicazione di origine. Una promessa che ha impegnato il premier Matteo Renzi e al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, al World Milk Day di ieri organizzato dalla FAO, che ha visto scendere in piazza a Milano migliaia di allevatori da tutto il Paese. In questa occasione è stato presentato infatti il Decreto sull’etichettatura obbligatoria del latte e dei derivati, come formaggi o yogurt, già inviato a Bruxelles.

 

Nove italiani su 10 vogliono sapere l’origine: per l’italiano di paga il 20% in più

La questione non è secondaria, visto che il 67% dei consumatori pagherebbe fino al 20% in più per un latte italiano, e il 12% spenderebbe anche di più. Il consumatore oggi vuole, pretende trasparenza. Secondo una consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, in oltre 9 casi su 10 gli italiani considerano “molto importante” che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione.

In questo quadro apparentemente favorevole per la produzione nazionale, l’Italia è diventata il maggiore importatore di latte nel mondo con il risultato che oggi tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti nel nostro Paese provengono dall’estero, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o cagliate straniere. Difficile però saperlo, perché non è obbligatorio riportare la provenienza in etichetta. È quanto emerge dallo studio Coldiretti “Il latte italiano, un primato da difendere” presentato alla Giornata del latte italiano a Milano.

 

I numeri del latte in Italia

I consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 una media di 48 litri di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi, con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche da islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.

Sul fronte della produzione, abbiamo 33mila allevamenti e 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia, per una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte dall’estero.

Una produzione quella nazionale, secondo Coldiretti “garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione”. Ma sono ancora di più, 488, i formaggi italiani tradizionali censiti dalle regioni perché ottenuti secondo metodi mantenuti inalterati nel tempo. Il settore impiega 120mila persone nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano.

Una qualità costantemente minacciata: da una parte dagli oltre 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, che sono imbustati o trasformati industrialmente per diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno secondo Coldiretti avrebbero superato il milione di quintali le cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10 per cento dell’intera produzione italiana. Dall’altra all’estero, dove i formaggi Made in Italy hanno fatturato ben 2,3 miliardi (+5%) nel 2015, dove dilaga il fenomeno dell’Italian Sounding e del’agropirateria internazionale.

 

La Ue consente l’etichetta, previa consultazione popolare

Secondo Coldiretti, l’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, dei formaggi o dello yogurt non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali. “In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Anche l’Ue ha dato il feu rouge all’etichettatura d’origine, con il regolamento comunitario N.1169 del 2011, entrato in vigore il 13 dicembre del 2014, che consente ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti, previa con consultazione con parere favorevole da parte dei cittadini.

Un circolo virtuoso che ha visto già impegnati, oltre al ministero, anche alcuni enti locali e insegne della grande distribuzione. Ne son una prova le iniziative, già segnalate, di Carrefour (leggi Carrefour e Regione Piemonte, accordo sul latte a Km zero: nasce “Piemunto”) in Piemonte e Coop in Lombardia (leggi Coop dà sostegno al latte italiano con promozioni e 10mila quintali di acquisti in più).

Comunicazione: la via del successo per rilanciare la brand equity

Comunicazione, Distribuzione, Marca: un trinomio composito, indagato nel corso dell’evento “Comunicazione. Distribuzione. Marca. L’Italia che riparte”, il primo appuntamento dell’edizione 2016 del Purple Program, organizzato da Mindshare sul mondo della comunicazione.

A proposito degli investimenti pubblicitari, Roberto Binaghi – Chairman&CEO di Mindshare evidenzia come dal 2007 a oggi ci sia stata una contrazione di circa il 29%, pari a una perdita di 3.000 milioni di euro in valore assoluto. Una cifra enorme che potrebbe corrispondere alla cancellazione del budget pubblicitario dell’Olanda. Oppure, a quella di 36 Barilla o di 37 Vodafone! I settori con il calo più spiccato sono quelli del FMCG, dell’Automotive e quello delle Telecomunicazioni. Andamento migliore per la distribuzione e per l’e-commerce.01

L’Italia, sul fronte emorragia di investimenti, è messa decisamente peggio rispetto a altre grandi nazione Europee come Uk, Germania e Francia.

Le aziende più in crisi

Il calo di investimenti più eclatante ha riguardato le aziende leader, che hanno perso il 40% (in altri termini, si potrebbe dire che hanno smesso di comunicare su 2,5 prodotti a testa!) e quelle più piccole (sotto il milione di euro di fatturato). Mentre quelle appartenenti alla fascia media hanno tenuto di più.

Il calo di investimenti e le sue cause

Un -29% di investimenti (ben 3.000 milioni di euro!) non è una cifra da poco. Per spiegarlo Binaghi ricorre a due indicatori: un calo dei consumi pari a – 5,6% e una deflazione della pubblicità pari a -12,6% (frutto di un combinato disposto di prezzo vero e proprio e di un nuovo mix di cespiti).

In questo modo, però, si raggiunge una quota del-18% che spiega solo la perdita di circa 2.000 milioni.

09

Non rispondono dunque all’appello ben 1.000 milioni: che fine hanno fatto? In linea di massima si tratta di una cifra accantonata (ben oltre l’effettiva necessità) come riserva, per essere allocata altrove.

Quindi il problema risiede lì: nella ritrosia da parte delle aziende (che vanno al di là dell’opportuna prudenza) ad investire in comunicazione. Pertanto in futuro lo scenario potrebbe essere più roseo, solo se le aziende ritornassero a considerare il media come una leva strategica del loro marketing mix, e non una fonte dalla quale attingere.

È davvero un peccato” – ha commentato Binaghi – “che, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, le grandi aziende in Italia non supportino adeguatamente le loro marche. Il pericolo di essere superate da competitor più lungimiranti, che appartengono alla fascia media del mercato, è tutt’altro che remoto.”

Questione di marca

In effetti la criticità più grossa è quella di riuscire a dare alla marca quel valore che il consumatore cerca con crescente insistenza. Una comunicazione appropriata, mirata, personalizzata, rinnovata e attualizzata, capace di parlare al nuovo universo valoriale dei consumatori, potrebbe sortire grandi risultati in questa direzione. Purtroppo, come sottolinea Livio Martucci Dir. Global Analytics&Consulting IRI, molte risorse vengono accantonate e sottratte ai media, per essere erroneamente convogliate in attività promozionali, quasi sempre puramente tattiche, che in linea non solo non premiano i leader di Marca, ma ne determinano pure una certa sofferenza dal punto di vista del fatturato.promo iri

 

L’universo mentale e lo spazio della marca

Per creare uno spazio in cui la marca possa riprendere a prosperare in sintonia con la nuova domanda, occorre attrarre l’attenzione del consumatore, accedere al suo spazio mentale. “Purtroppo – commenta dice Federico Capeci, CEO Kantar Consumer Insights – questa è una sfida sempre più difficile ed importante, come dimostrano i dati Millward Brown.”

spazio mentale

Per questo basare una strategia di comunicazione ed engagment su stereotipi, generalizzazioni o ansie da performance di breve periodo non è certo un buon inizio per creare esperienze di valore e ottenere in cambio il riconoscimento di un valore di marca.”

 

Nielsen: fiducia nei consumi cresce, ma il futuro incerto addensa nubi all’orizzonte

La fiducia nei consumi nel mondo avanza di un punto ma con grandi differenze regionali, arranca in Italia, dove nel primo quadrimestre dell’anno arretra di due punti e resta indietro rispetto al resto dell’Ue, la quale comunque in generale recede, fermata dall’incertezza per dalla paura del terrorismo: lo rilevano gli ultimi dati della global survey di Nielsen.

L’economia, la precarietà del lavoro e la salute sono ciò che più preoccupa i consumatori a livello globale, ma, a seconda della regione, si sono aggiunti altri motivi di incertezza: il terrorismo in Europa, la criminalità e l’aumento dei prezzi in America Latina e la difficoltà a conciliare vita personale e lavoro in Asia. La paura della recessione cresce nel primo quadrimestre 2016, aumentando di nove punti in Francia (per arrivare all’81%), Cina (38%) e Olanda (58%), di otto punti in (54%) e di sette punti in Russia (88%), Italia (87%), Giappone (82%), Thailandia (82%) e Canada (72%).

Il 33% dei mercati migliora la fiducia contro il 43% del quarto trimestre 2015.
Il 33% dei mercati migliora la fiducia contro il 43% del quarto trimestre 2015.
I motivi di preoccupazione variano a seconda della regione.
I motivi di preoccupazione variano a seconda della regione.

 

Italia, cresce la fiducia ma non per tutti
Nel primo trimestre del 2016, l’indice di fiducia degli italiani si attesta a 59 punti (+2 punti rispetto al primo trimestre del 2015, ma in calo rispetto ai 61 dell’ultimo del 2015).
In ogni caso, prosegue il trend di incremento a partire dal picco negativo toccato nel dicembre 2012 e ritornando ai livelli intorno ai 60 punti, analogamente ai valori che si registravano dal 2008 al 2010. È da notare però il gap con il resto d’Europa, che fa registrare un dato medio della fiducia pari a 81 punti, soprattutto rispetto ai Paesi trainanti l’economia come Germania e Regno Unito, entrambi a quota 97. Tra i soggetti principali dell’Unione Europea, seguono Spagna (74) e Francia (64).
Sul fronte positivo, si segnala la diminuzione di quanti si dichiarano preoccupati per la posizione lavorativa (-9 punti vs. primo trimestre precedente) e si registra una diminuzione di chi ritiene pessimo lo stato delle finanze personali (73%, -2 punti), e di quanti non giudicano il momento presente adatto per fare acquisti (79%, -3 punti). Nonostante ciò, la porzione del campione che afferma di rimanere senza soldi dopo le spese essenziali rimane consistente (24%, 1 su 4).

 

Giovani e Sud Italia se la cavano peggio
In merito ai fatturati della distribuzione al dettaglio, emergono indicatori di generale stabilità. Se il 2015 si è chiuso con un dato lievemente positivo (+0,1%) sull’anno precedente, nel periodo gennaio – aprile 2016 il dato è negativo (-1,1%). L’analisi dei consumi delle famiglie fa emergere forti differenze sia a livello geografico, sia per fasce di reddito, sia per età.

Nell’ultimo anno la spesa delle famiglie nel complesso ha fatto registrare una variazione percentuale pari a zero, ma le “famiglie a basso reddito” hanno tagliato le spese del 9,1% mentre le famiglie “a reddito medio” e “alto” le hanno incrementate rispettivamente del 2,2% e del 3,5%. Al Sud la variazione è stata negativa, pari a – 1,9% mentre al Centro Nord si registra un +0,7%.
I giovani sono poi quelli che sembrano soffrire di più la situazione, come conseguenza della precarietà lavorativa. Considerando la variazione della spesa in milioni di euro delle singole fasce di età, si nota come mentre al di sotto dei 35 anni sono stati persi 721 milioni e nella fascia 35/44 anni 433 milioni, si incrementa la spesa nelle altre fasce: tra i 45-54enni +20 milioni, 55-64enni +396 milioni, oltre i 65 anni +778 milioni.

Costante è il calo d’efficacia delle promozioni: nonostante l’aumento degli articoli in offerta, nel periodo  gennaio-aprile ’16 le vendite promozionate sono diminuite dello -0,8%.

Premia invece l’innovazione nei punti di vendita: i negozi che hanno introdotto servizi aggiuntivi e garantito una shopping experience più piacevole hanno registrato, nei primi quattro mesi del 2016, una crescita del fatturato del +6,9% (-1,3% il trend per tutti gli altri).

Più qualità e attenzione al cliente insomma e meno focus sul prezzo sembrano al momento premianti.

Come cambia la spesa degli italiani: su legumi, quarta gamma e riso, giù carne e uova

Cambiano i tempi e gli stili di vita, la composizione famigliare e le fonti di informazione, e alla fin fine cambia anche il modo di fare la spesa degli italiani, che mettono nel carrello, e sulle loro tavole, un mix di alimenti diverso rispetto al passato. Privilegiando frutta e verdura, magari di quarta gamma perché i tempi per stare in cucina sono sempre più risicati, e penalizzando le proteine animali, carne e uova in primis. Lo dicono i numeri elencati da Coldiretti: nel carrello del 2015 sono finiti più frutta (+5%) e verdura fresca (+3%) e meno carne (-6%) e uova (-4%), è stabile il consumo di pasta (+1%) e vola il riso (+5%).

Se i consumi alimentari nel 2015 nel complesso rimangono stabili (+0,4%), nella composizione sono fortemente influenzati da una serie di valutazioni derivanti da diete, tendenze salutistiche, necessità di risparmio, allarmismi ed esigenze di praticità.

 

Olio +19%, carne suina -9%

Se nel 2015 il risultato più straordinario è stato messo a segno dall’olio di oliva con +19% della spesa, l’allarmismo si è fatto sentire sugli acquisti di carne delle famiglie che sono crollati del 9% per quella fresca di maiale, del 6% per quella bovina e dell’1% per quella di pollo come pure per i salumi, scendendo ai minimi dell’inizio del secolo.

 

Bene legumi, vino e quarta gamma

Ad aumentare non sono solo i consumi di ortofrutta. Gli acquisti di i legumi secchi sono aumentati in valore del 5% nel 2015 con un ottimo risultato per i ceci in scatola (+11%), e le lenticchie secche (+7,2%), mentre i mix di legumi secchi sono balzati avanti del 15%. In questo contesto le scelte degli italiani premiano anche la praticità d’uso con l’aumento nel 2015 dei consumi di verdure pronte per l’uso, cosiddette di quarta gamma, che fanno segnare in media un +2% della spesa ma la percentuale sale al +3% per gli spinaci e addirittura al +6% per le carote.

Nel 2015 si registra anche una svolta storica per il vino che dopo anni ha visto risalire le vendite delle bottiglie nei supermercati italiani del 2,8% ma è significativo che sul podio dei vini che hanno fatto registrare il maggior incremento delle vendite si trovano produzioni legate al territorio, dal 34,2% di bottiglie stappate di Passerina marchigiana al 22,2% di Valpolicella Ripasso (Veneto) fino al 19,9% del Pecorino (Marche /Abruzzo) secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Infoscan Census per le vendite in volume di bottiglie da 0,75 litri.

 

Nielsen: private label bene se premium e green

I dati di Nielsen confermano l’attenzione verso la salute e la qualità al giusto prezzo, evidenziati nell’andamento positivo delle marche commerciali (+5,1 nel 2015nella totalità dei canali della Gdo) e in particolare nelle linee Premium e Green, le cui vendite hanno registrato un incremento del 16%, e del +10% rispettivamente, mentre risultano sensibilmente negative le linee primo prezzo, al -21%.
Nielsen ha anche tracciato l’identikit del prodotto vincente: deve far risparmiare tempo, essere naturale, salutistico e gustoso ma possibilmente con meno calorie e grassi. E infatti crescono le vendite dei prodotti per uno stile di vita sano: gluten free +29,3%, alta digerib./no lattosio +4,9%, cibi e latte di soia + 15,7%, gallette +21,9%, integrali +13,7%, biologico +20,3%. Bene anche i prodotti che facilitano la vita: salumi affettati +8,9%, piatti pronti freschi +31,2%, spuntini/tramezzini +35,2%, ma anche salmone +12,2%, zuppe pronte fresche + 41,7%.

Innarrestabile e-Commerce: 19,3 miliardi nel 2016 (+17%), raddoppiato in cinque anni

Roberto Liscia, Presidente di Netcomm.

Non si arresta la crescita dell’E-commerce in Italia: secondo i dati presentati dall’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano nel corso della XI edizione del Netcomm eCommerce Forum che tiene oggi e domani a Milano, nel 2016 raggiungerà i i 19,3 miliardi di euro con un incremento del 17% rispetto al 2015. Sono 18,8 milioni gli italiani che fanno acquisiti su web, ormai il 61% dei 30,8 milioni di navigatori digitali: due anni fa erano meno del 50%.

c6fd4f9c-8176-4ba3-9ba3-b6f257905561__O
La dinamica della domanda eCommerce B2c (2010-2016) | Fonte: Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano.

 

Food&Grocery a quota 530 milioni (+29%)
Mentre crescono nelle previsioni per il 2016 i settori che tradizionalmente hanno sostenuto l’e-Commerce fino ad oggi come il Turismo (+11%), l’Informatica ed elettronica (+22%) e l’Abbigliamento (+25%), ma anche l’Editoria (+16%, le crescite maggiori si segnalano nei settori simbolo del Made in Italy che, pur considerati ancora emergenti per la vendita online: il Food&Grocery aumenterà del 29% e superando i 530 milioni di Euro mentre l’Arredamento&Home living crescerà del 39%, sfiorando i 570 milioni di Euro. La penetrazione dell’e-Commerce nel 2016 raggiungerà il 5% delle vendite retail. Lo scontrino medio vale 75 Euro per l’acquisto di prodotti, per un totale di 115 milioni di ordini, e di 253 Euro nei servizi, per 45 milioni di ordini.

La crescita dell’e-Commerce è trainata, nel Turismo, dall’acquisto di biglietti per i trasporti, soprattutto ferroviari, e dalla prenotazione di alloggi, non solo hotel ma anche affitti temporanei gestiti dai principali operatori della “sharing economy”. Nell’Informatica ed elettronica, l’apporto arriva principalmente dagli acquisti di smartphone e tv, a seguire si trovano gli elettrodomestici bianchi e gli accessori. Nell’Abbigliamento continuano a essere determinane l’alta moda, ma  il cresce contributo dell’abbigliamento sportivo e mass market. Nell’Editoria, la crescita è trainata dai libri, in particolare si prevede anche nel 2016 una crescita proveniente dai testi scolastici. «Nel 2016 possiamo considerare come settori fondamentali anche il Food&Grocery, l’Arredamento e Home design -afferma Alessandro Perego, Direttore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano – che insieme valgono più di un miliardo di euro. Gli acquirenti italiani acquistano sempre più online anche quelle categorie merceologiche, come alimentari o oggetti d’arredamento, fino a qualche tempo fa considerate residuali sul web”.

In crescita anche il BtoC, ancora legato prevalentemente ai servizi, per il 55%. Tuttavia l’acquisto online di prodotti cresce a un tasso più elevato (+27%) rispetto all’acquisto di servizi (+10%) e così il paniere italiano si sta conformando a quello rilevato nei principali mercati occidentali. Se continua a crescere con questi tassi, l’e-Commerce B2c varrà entro 3 anni il 10% del totale degli acquisti retail.

c4c5fcac-6892-4f44-a37f-775376e6ec34__O
L’andamento della domanda eCommerce B2c nei Prodotti e Servizi (2015-2016) | Fonte: Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano.

 

Tra i servizi, svetta il Turismo, con 8.525 milioni di euro per il 44% del mercato e-Commerce B2c italiano, le Assicurazioni, con 1.294 milioni di euro, il 7% e gli altri servizi (Ticketing per eventi, Ricariche telefoniche, ecc.), con 836 milioni di euro, il 5,5%.

Tra i prodotti al primo posto c’è l’Informatica ed elettronica, che, con 2.789 milioni, vale il 14% del mercato seguita dall’Abbigliamento, con 1.835 milioni di euro, e un peso del 9%. Troviamo poi l’Editoria (4% del mercato, pari a 691 milioni di euro). Crescono il Food&Grocery (3% del mercato, pari a 531 milioni di euro), l’Arredamento & home living (3% del mercato, pari a 566 milioni di euro) ed anche la categoria degli Altri prodotti (16%, pari a 2,214 milioni) che comprende Beauty, Giocattoli, fai da te e i prodotti del “bazar” di marketplace stranieri.

 

Aziende ancora non pronte a cogliere le opportunità

Anche nel 2015 diverse imprese tradizionali hanno, infatti, attivato un sito di eCommerce. Molte le ritroviamo nell’Abbigliamento e negli accessori, comparto in cui la sensibilità nei confronti dell’eCommerce è ormai particolarmente elevata. Altre appartengono al Fai da Te, all’Informatica ed elettronica, al Food&Grocery e all’Arredamento e Home design. Al tempo stesso, molti retailer o produttori tradizionali vanno online attraverso i marketplace (Amazon, eBay ma anche ePrice) per affiancare un ulteriore canale al sito di eCommerce. Eppure la starda è ancora lunga.

«Non c’è niente in Italia che cresca come il commercio elettronico a +17% – commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm -. In Italia esiste, però, un paradosso perché nel Paese esistono tutte le condizioni potenziali perché quei 19 miliardi raddoppino diventando 40 miliardi. Mentre gli e-Shopper italiani sono raddoppiati, passando da 9 a oltre 18 milioni, le imprese non si sono digitalizzate con lo stesso ritmo: appena 40mila vendono online, contro le 800mila a livello europeo di cui 200mila solo in Francia: cinque volte le nostre. In questo modo le aziende italiane non solo perdono quote di mercato sugli acquirenti italiani, ma rischiano di perdere fatturati anche da e-Shopper esteri”

Nel 2016 l’Export, cioè il valore delle vendite da siti italiani a clienti stranieri, cresce del 18% e supera quota 3,5 miliardi di euro. Il 42% di questo valore è imputabile al Turismo, grazie agli operatori del trasporto e ai portali di hotel, e il 38% all’Abbigliamento con i grandi marchi e i retailer tradizionali, ma anche le boutique multi-brand italiane (tradizionali e Dot Com). Crescono poi l’Arredamento & Home living e il Food&Grocery.

Tra i dispositivi di accesso all’acquisto, sempre più spazio guadagna il mobile. Gli acquisti online tramite Smartphone aumentano del 51%, superano il valore di 2,8 miliardi di Euro e valgono il 15% dell’e-Commerce nel 2016, il 24% se aggiungiamo quelli via Tablet.

Tra i servizi più acquistati via Smartphone ci sono servizi turistici (10% del totale),  Arredamento & Home Living ed Editoria, entrambi con il 23%, Informatica (20%), Abbigliamento (19%) e Food & Grocery (9%).

La domanda eCommerce da nuovi device in Italia (2016) | Fonte: Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano .
La domanda eCommerce da nuovi device in Italia (2016) | Fonte: Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano .

Beacon: proposte ad hoc per ciascun cliente. E un elevato livello di profilazione

Beacon, sempre più spesso sulla bocca di tutti, ma in effetti cosa sono e quali vantaggi possono apportare? Si tratta di devices compatti che sfruttano la tecnologia Bluetooth Low Energy e che, se posizionati in aree strategiche, permettono di erogare contenuti mirati (e con perfetto tempismo) sui dispositivi mobili (smartphone e tablet) degli utenti.

Luca Vajani_CEO AriesTechE lo spettro dei vari utilizzi è molto, molto ampio. “Gli usi della tecnologia Beacon, sono potenzialmente infiniti – spiega infatti Luca Vajani, CEO di Aries Tech, software house di Milano – grazie ad essa gli utenti vengono raggiunti da contenuti mirati nel luogo giusto e al momento giusto accompagnandoli nel loro processo di acquisto in modo attivo e fornendo contenuti esclusivi non usufruibili in altri modi. Marketing di prossimità, coupon e offerte, indoor mapping, guide turistiche e museali, servizi, analisi, domotica, sono solo alcune delle destinazioni d’uso delle applicazioni Beacon.”

I vantaggi

I Beacon, oltre a permettere ai retailers di raccogliere dati statistici importantissimi sulle abitudini dei consumatori, offrono una shopping experience nuova, arricchita, che non obbliga l’utente a effettuare ricerche o consultare volantini e brochure.

Tale tecnologia inoltre consuma pochissima batteria e non richiede la sincronizzazione col telefono ricevente ma invia un segnale continuo ricevuto dai telefoni entro un determinato raggio (da 10 cm a 70 mt), tutto quello serve è un’applicazione realizzata ad hoc, uno smartphone aggiornato e il bluetooth acceso.

“L’uso dei Beacon è sempre più diffuso – prosegue Luca Vajani, CEO di Aries Tech – e sono sempre più numerose le applicazioni che sfruttano questa tecnologia. Le più recenti statistiche infatti affermano che entro il 2018 solo negli Stati Uniti ci saranno 4,5 milioni di Beacon in uso di cui i 3/4 destinati al retail. I Beacon stanno rivoluzionando il marketing mobile e cambieranno il modo in cui i brand comunicheranno con il proprio target, basti pensare che il 67% degli italiani usa uno smartphone e, secondo un recente studio di Google, il 50% delle applicazioni installate svolgono un ruolo determinante nel processo di acquisto [Fonte: Google – Mobile app marketing insights 2015].

Carne, consumi a picco, Coldiretti organizza la Giornata nazionale della Carne italiana

In migliaia tra allevatori, consumatori, cuochi, nutrizionisti e gourmet sono scesi in piazza per la Giornata nazionale della Carne italiana a Torino, presso il Centro Congressi del Lingotto, chiamati a raccolta da Coldiretti con l’obiettivo di combattere “gli allarmismi infondati, le provocazioni e le campagne diffamatorie” contro la “fettina”. Che negli ultimi tempi ha subito una vera e propria “emorragia” di consumi: quasi un italiano su dieci l’ha eliminata dalla sua dieta, e nel 2015 in particolare, complice anche l’allarmismo che ha coinvolto carne rossa e salumi, ha colpito in particolare gli acquisti delle famiglie, crollati del 9% per la carne fresca di maiale, del 6% per quella bovina e dell’1% per di pollo e salumi, registrando uno dei minimi storici dall’inizio del secolo.

In forte aumento anche la percentuale di chi non mangia carne: il 7,1% degli italiani nel 2015 (contro il 5,9% del 2014) si dichiara vegetariano e l’1% vegano, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Eurispes.

Consumi in calo, 12mila stalle chiuse

Proprio nel 2015 secondo la Coldiretti la carne ha perso il primato retrocedendo a seconda voce del budget alimentare delle famiglie italiane dopo l’ortofrutta, con una spesa scesa a 97 euro al mese e un’incidenza del 22% sul totale. Un trend negativo in atto da anni, tanto che non si è mai mangiata così poca carne in Italia dall’inizio del secolo: in media a 85 grammi al giorno. Il consumo degli statunitensi, ad esempio, è superiore al nostro del 60%, quello degli australiani del 54%, quello degli spagnoli del 29% e quello dei francesi e dei tedeschi del 12%.

«Serve educazione e buon senso e soprattutto rispetto per tutti i diversi stili alimentari ai quali l’agricoltura italiana può offrire grandi opportunità di scelta grazie ai primati conquistati nella qualità e nella biodiversità -, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -; proprio il rispetto dei principi della dieta mediterranea ha garantito fino ad ora all’Italia una speranza di vita da record a livello mondiale di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 anni per le donne».

La crisi ha naturalmente colpito le stalle da carne italiane: negli ultimi cinque anni ne sono chiuse quasi 12mila per effetto delle importazioni dall’estero, che oggi rappresentano quasi 1/3 dei consumi, con effetti sull’economia, sull’occupazione e sulla sicurezza alimentare. Ciò ha portato alla scomparsa di circa 300mila bovini da carne, mezzo milione di maiali e 700mila conigli. In Italia “resistono” 80mila allevamenti di bovini da carne, cinquemila di maiali e 4500 di polli da carne. In gioco c’è il futuro delle stalle nazionali dove sono ancora allevati 8,7 milioni di maiali, 6,1 milioni di bovini da carne e 6,5 milioni di conigli, ma risultano minacciate di estinzione ben 24 razze di bovini, 10 di maiali e 10 di avicoli sulla base dei Piani di Sviluppo Rurale della precedente programmazione.

Tagli minori una via d’uscita?

Un modo per superare l’impassse è quella seconda la Coldiretti di valorizzare i tagli “minori” o “alternativi” ai più nobili filetto e costate, perché permettono di risparmiare fino al 50% essendo più economici, e anche, a volte, più adatti alla ricetta che si vuole portare in tavola. Tagli come bolliti e faentina (pancia tagliata a fette e cotta alla griglia), lingua e trippa e anche, per il bovino, il collo, taglio di terza categoria dalla carne gustosissima (ottima per bolliti o stracotti, ma anche per preparare polpette e ragù), la punta di petto, taglio molto economico che può essere usato per preparare arrosti o brodi, il campanello, piccolo taglio molto apprezzato per bistecche alla brace, spezzatini, stracotti e stufati, il geretto, detto anche muscolo, adatto per la preparazione di ossibuchi e stufati. Del maiale la cotenna e le costine. Del pollo del pollo le zampe, le ali e il collo.

 

Arriva la stagione della griglia per 7 italiani su 10

In ogni caso, all’arrivo della bella stagione sono pochi gli italiani che rinunciano alla griglia: secondo la Coldiretti oltre sette famiglie italiane su dieci (71 per cento) la praticano al mare, in montagna, nei parchi, in campagna o più semplicemente a casa propria.

DSC_4670 (2000x1324)

Su twitter spopola l’hashtag dell’iniziativa: #bracioleallariscossa.

Nel formaggio è l’innovazione a trainare le vendite

Per cucinare, da inzuppare, convenienza, snack, spalmabili, con proteine aggiunte, appagamento, senza lattosio, che non si scioglie (ma diventa morbido col calore) e per i bambini: sono queste le dieci tendenze che, secondo il rapporto 2016 di Zenith International, stanno guidando lo sviluppo di prodotto nel settore.

Nel 2015, secondo la società di consulenza, il formaggio è tornato a crescere a livello globale, guadagnando l’1% e raggiungendo 11,5 milioni di tonnellate.

Il formaggio naturale è il più popolare, con l’83% delle vendite a volume e l’85% a valore, con una maggioranza di formaggio duro e semiduro. Il formaggio fuso ha un consumo maggiore nelle economie emergenti (Asia Pacifico, Medio Oriente e Africa rispetto all’America e all’Europa, dove è da anni oggetto di campagne salutiste.

Quello del formaggio è un mercato molto frammentato, che vede cinque marche, Kraft, Président, The Laughing Cow, Philadelphia e Sargento che assommano una quota di mercato dell’8% a volume. Punto chiave diventa dunque l’innovazione, con la quale le marche tentano di conquistare quote di mercato più ampie. Tra i nuovi prodotti spiccano quelli con pochi grassi, un evergreen evidentemente e le “accoppiate” di gusti diversi ma anche le quelli rivolti a occasioni particolari di consumo.

«Senza dubbio il livello di innovazione nell’industria casearia ha mantenuto il mercato a livello importanti per il consumatore di oggi, che cerca varietà, convenienza e valore aggiunto» ha commentato il direttore di Zenith Market Intelligence Esther Renfrew.

Sant’Anna: a tu per tu con Luca Cheri per parlare di novità

“Dopo due anni intensi di lavoro in R&D, il 2016 segna il debutto della novità, confermando un anno importante per Sant’Anna” è così che Luca Cheri direttore commerciale del gruppo, presenta le più recenti conquiste aziendali.

Luca_Cheri“Parliamo di una linea di prodotti, maturati anche grazie a un’intensa esperienza internazionale, focalizzati sui concetti di benessere e funzionalità.

Dalla constatazione che le bevande gassate stanno attualmente vivendo una parabola discendente, è nata questa nuova proposta alternativa: sei referenze, a basso contenuto calorico, in cui salute, gusto e piacevolezza vengono ben coniugati.

A quali consumatori vi rivolgete? 

Essenzialmente a un target adulto, capace di apprezzare sapori decisi (un ingrediente utilizzato è per esempio lo zenzero), disposti a sperimentare mix inediti, salutisti (ma decisi a non rinunciare alla personale gratificazione) attivi e dinamici (da qui la proposta in formato per l’on the go).

Nuove iniziative anche sugli altri prodotti in portfolio?

Nel secondo semestre contiamo di completare la gamma dell’acqua minerale, con l’introduzione di un nuovo formato per il fuori casa e per le attività sportive outdoor (dotato, quindi, di presa ergonomica e pratica chiusura).

Anche in questo caso, ammicchiamo al target più adulto, dinamico e intenzionato a prendersi cura del proprio corpo con attività di fitness.

fardello_025R_P&P_a

E per i più piccoli?

Dopo il lancio della bottiglietta d’acqua baby, continueremo con succhi e nettari ad hoc per i bambini, con licensing di Marsha e Orso, presto disponibili a scaffale. Siamo consapevoli che quello dei succhi è un mercato difficile (basti pensare che a fronte di una crescita del 6,3% del beverage nel suo complesso, essi segnano solo uno +0,9%) e per questo abbiamo scelto di differenziarci con un formato nuovo, quello del bicchierino, con l’intento di accelerare il sell-out.

La Gdo, da sempre costituisce il vostro core, ma vi state anche affacciando ad altri canali alternativi. Ce ne può parlare?

Da circa tre anni, abbiamo iniziato a presidiare il canale Horeca, avvalendoci di una struttura dinamica in cui il promoter vada ad affiancare e supportare il distributori.

E siamo attivi pure su canali specializzati come il travel e l’intrattenimento.

Oggi abbiamo iniziato a guardare con interesse l’e-grocery: la popolazione è sempre più eterogenea e per conquistarla occorre adottare linguaggi diversi e alternativi, come quello offerto dai social.

Sant’Anna e l’impegno fuori dal territorio nazionale: quanto vale per voi oggi l’export?

Oggi il fatturato del gruppo è di 300 milioni di euro, l’estero incide per un 5%, ma nel prossimo triennio intendiamo convogliare fuori dai confini nazionali molte delle nostre forze. Puntiamo essenzialmente su Usa, Germania, Cina e Giappone, paesi che hanno scoperto i benefici dell’acqua minerale leggera e che stanno dimostrando di apprezzare Sant’Anna.

Recente la partecipazione alla fiera di Dubai: quali i risultati? Quali le prospettive nel medio oriente?

Arabia Saudita ed Emirati, hanno oggi un potenziale molto elevato, direttamente collegabile al consumo pro capite di acqua, uno dei più alti al mondo.

Ancora una volta si ricerca un’acqua leggera e questo, ça va sans dire, rende appetibile per loro un prodotto come il nostro.

 

Mamme sempre più social, iperconnesse e amanti dell’e-commerce

Mamme sempre più on line: per loro il digitale è ormai un ambiente quotidiano. E questo costituisce un elemento fondamentale per aziende e retailer che operano nel comparto Baby. Questo l’assioma emerso nel corso dell’evento “GfK for B@by. The online opportunity”.

Nel mondo ci sono 3,1 miliardi di utenti Internet (il 43% della popolazione mondiale) e 1,5 miliardi di acquirenti on-line (fonte: GfK/e-Commerce Europe). Anche il settore dei prodotti per l’infanzia registra oggi un’influenza crescente del canale on-line. Secondo i dati GfK, per il comparto della puericultura leggera e pesante l’online rappresenta il 23% del giro d’affari a livello europeo; un dato superiore alla media del mondo beni durevoli, per il quale il web si attesta al 21%.

Il comparto Baby

Da gennaio 2013 GfK Italia ha iniziato a rilevare il sell-out dei dieci principali mercati che compongono questo settore (passeggini, biberon, seggiolini auto ecc.) nei punti vendita specializzati e nella distribuzione generalista. All’interno di questi canali- ha evidenziato Enzo Frasio, ‎Commercial Director GfK Italia – il giro d’affari complessivo dell’ultimo anno si attesta sui 270 milioni di euro, in crescita del 2,1% rispetto al 2014.

Schermata 2016-05-02 a 16.21.05

Tale incremento di fatturato è da attribuirsi principalmente ai mercati del comparto Trasporto che, pur crescendo solo dell’1%, contribuiscono positivamente grazie alla loro importanza sul totale Baby (circa il 76%). In tale contesto, i prodotti più dinamici sono quelli della puericultura leggera (biberon, massaggia gengive, tiralatte e succhietti) che vedono un aumento dell’8% rispetto allo scorso anno. Per entrambi i comparti, il maggior valore è legato alla buona performance dei prodotti di fascia medio-alta. Nel caso del Trasporto, tali prodotti sono molto ben veicolati all’interno del canale on-line, mentre per il Feeding è il canale specializzato a proporre un’offerta di più alto valore rispetto al passato.

 

La sfida del web

Oggi i consumatori, sempre più influenzati dalle opportunità offerte dal digitale, cercano soluzioni che gli consentano di vivere in libertà e risparmiare tempo, ma allo stesso tempo apprezzano il lato umano della rete e la possibilità di creare relazioni virtuali, che talvolta assumono importanza pari a quelle reali. Per affrontare questo cambiamento epocale, i retailer devono adeguarsi, puntando sull’innovazione, introducendo nuovi modelli di business, nuovi metodi di distribuzione, promozione, e gestione degli assortimenti, attraverso un approccio omnichannel, capace di offrire ai consumatori un’esperienza integrata tra online e offline, sfruttando le potenzialità dei social media e creando nuovi punti di connessione tra brand e consumatori.

Schermata 2016-05-02 a 16.20.11

Per questo capire come evolve il target e avvicinarlo sfruttando tutti i dispositivi digitali diventano fattori chiave per il successo di un’azienda. Così diventa di primaria importanza tracciare un identikit dei degli acquirenti principali dei prodotti baby, cioè le mamme.

Secondo quanto emerge dai dati GfK-Sinottica TSSP – presentati da Vania Zangheratti, Product Manager Sinottica TSSP GfK Italia – le mamme di oggi sono iperconnesse, ipertecnologiche e grandi esperte di come ricavare il meglio dal mondo online. Andando ad analizzare il rapporto con il web delle donne italiane, infatti, si nota come le mamme utilizzino internet più spesso rispetto alle non mamme. Oltre a navigare più di frequente, le mamme si espongono ai media in maniera differente rispetto alle proprie coetanee senza figli: cala significativamente il consumo della TV generalista, mentre crescono i canali specializzati (dove è possibile ad esempio seguire cartoni animati).

Sul web, le mamme digitali fanno delle ricerche molto specifiche: internet rappresenta per i genitori di oggi un grande alleato nell’organizzare la vita di tutti i giorni. Vengono privilegiati quindi soprattutto i siti di informazione specializzati (ma anche blog, forum, community…) che aiutano a rispondere ai tanti dubbi delle neo-mamme, i siti che consentono di confrontare i prezzi di beni e servizi e più in generale tutti i portali che aiutano a risparmiare tempo e denaro (e-commerce compresi).

Questo si nota in particolare tra le donne con bambini da zero a due anni, l’età che sicuramente assorbe maggiormente i genitori, che tendono ad abbandonare parzialmente le proprie abitudini di navigatori per dedicare gran parte del tempo ad attività direttamente connesse alla gestione della prole.

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare