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Retail sportivo: il 2017 è stato l’anno delle grandi catene con più di 10 negozi

La gara si gioca tra pochi. Ovvero, tra quelli che possono contare su almeno 10 punti di vendita. Agli altri, il 90% degli operatori, la media matematica lascia le briciole o poco più. E’ la grande distribuzione a conquistare la maggioranza dei consumatori al momento dell’acquisto di attrezzi e abbigliamento dedicati all’attività fisica. A testimoniarlo, i dati pubblicati nello studio “La distribuzione degli articoli sportivi in Italia nel 2017”, condotto dalla società di ricerche di mercato Dimark. La survey non lascia dubbi: il settore è caratterizzato da una forte polarizzazione. Un club ristretto di 12 catene, che peraltro gestiscono solo l’11% dei pdv attivi nel settore, sviluppa ben il 48% del totale degli acquisti.

Come dire, insomma, che le grandi insegne recitano oggi la parte del leone. E questo grazie a una politica espansiva che si è focalizzata sui centri urbani di maggiori dimensioni e su assortimenti a minore tasso di specializzazione tecnica. E che ha visto una decisa e robusta accelerazione durante lo scorso anno. Anche in questo caso la conferma viene dai numeri: sempre secondo l’analisi fornita da Dimark, nel 2017 il saldo tra aperture e chiusure di negozi appartenenti alle catene risulta nettamente positivo rispetto al 2016, trainato da 49 inaugurazioni, cui si contrappongono soltanto 9 cessazioni di attività. Il che corrisponde a un’implementazione importante: negli anni più duri della crisi, dal 2013 al 2016, infatti, le insegne avevano mantenuto un atteggiamento prudenziale, non spingendosi mai oltre le 17 nuove aperture all’anno, a fronte peraltro di valori ben più alti corrispondenti alla voce “chiusure” (nel 2015 si toccò il punto più critico con 45 interruzioni).

Sport fashion e shopping experience

Ora, evidentemente, qualcosa è cambiato. Individuare che cosa, però, può non essere immediato. «Le ragioni alla base di questa ritrovata vitalità sono molteplici – spiega Manuela Viel, direttore generale di Assosport, l’associazione nazionale che, a monte della filiera, riunisce 140 aziende produttrici della sports industry, il cui fatturato aggregato raggiunge i 4,5 miliardi di euro -. Innanzitutto, si deve considerare il migliorato scenario economico complessivo. In secondo luogo, va tenuta in considerazione la sempre maggiore attenzione che a livello sociale viene riservata al wellness. Infine, occorre non dimenticare l’evoluzione del concetto di sport fashion, che ha comportato l’allargamento delle occasioni di utilizzo di capi un tempo specificamente destinati ad essere indossati durante le attività sportive. A tutto questo si deve poi aggiungere anche la capacità delle catene di creare all’interno dei punti di vendita percorsi evoluti di shopping experience, capaci di travalicare il puro acquisto per sconfinare nella sperimentazione sul campo delle referenze proposte, secondo un ricco carnet di iniziative e attività».

Solo teoria? Pare proprio di no, almeno a giudicare dalle indicazioni rilasciate dalle stesse insegne. Che, dati alla mano, confermano la crescita, come pure le motivazioni che ne sono alla base.

La strategia di Decathlon…

Così vale, ad esempio, per Decathlon. La catene francese ha visto nel 2017 il proprio fatturato italiano superare quota 1,6 miliardi di euro, grazie a un incremento del 7,2% rispetto all’esercizio precedente. Una progressione che ha trovato sostanziale riscontro anche nell’andamento quantitativo degli acquisti: gli scontrini omnicanali erogati – pari a 43.524.138 milioni – hanno infatti messo a segno una progressione del 7,4% rispetto al 2016.

La unit italiana del gruppo è così arrivata a contribuire per il 14% sul fatturato realizzato a livello globale. Un obiettivo raggiunto facendo leva principalmente su due direttrici di sviluppo. Da un lato, quella che rimanda alla rete fisica dei negozi sulla quale la catena ha continuato a scommettere e investire inaugurando nel solo 2017 6 nuovi punti di vendita, tutti nell’area del centro-nord del Paese. E su questa strada si continuerà a muovere anche nel 2018. Nei prossimi mesi – fa sapere l’azienda – saranno inaugurati altri 5 nuovi negozi che si aggiungeranno quindi ai 118 esistenti sul territorio nazionale. E che grazie a format diversi – si adotteranno perfino “taglie” piccole, da 125 mq – potranno presidiare anche i centri cittadini. La presenza sul territorio è infatti considerata dall’insegna imprescindibile, perché consente di stringere con il cliente una relazione capace di andare ben oltre la semplice, seppur basilare, transazione economica. “Nella nostra filosofia – spiegano da Decathlon – i punti di vendita sono diventati luogo di esperienza sportiva dove proporre non solo l’offerta più adatta alla pratica e il test dei prodotti prima dell’acquisto, ma anche la possibilità di praticare sport, attraverso l’organizzazione di eventi gratuiti o l’opportunità di seguire corsi. O ancora di convertire i punti della propria fidelity card in esperienze sportive in circa 1.500 strutture convenzionate per un totale di 9.500 attività prenotabili”. In una parola, i negozi diventano il canale in cui fare confluire un “mondo” di esperienze costruite intorno al brand.

Mondo che trova poi un fondamentale completamento nell’offerta digitale, ovvero nell’altro asset di crescita dell’insegna, capace di regalare anche nel nostro Paese non poche soddisfazioni a Decathlon: grazie ai 26,4 milioni di utenti unici registrati dal sito, la cifra d’affari digitale ha infatti raggiunto il 3,5% del fatturato generato dalla catena in Italia, in buona crescita rispetto al 3,25% registrato nel 2016.

… e quella di Cisalfa

A correre sul doppio binario rappresentato da negozi e web è anche la strategia adottata da Cisalfa Sport, catena specializzata presente in Italia con 143 punti di vendita, che ha archiviato il 2017 con un giro d’affari di 460 milioni di euro, di cui 380 fatturati da Cisalfa e 80 dal gruppo d’acquisto internazionale Intersport. Un risultato frutto di una crescita del 12% rispetto al 2016, che apre le porte alla possibilità della quotazione in Borsa.

«Sul fronte del retail – anticipa il direttore vendite di Cisalfa Sport, Boris Zanoletti – pensiamo, tra nuove aperture e chiusure, di arrivare a fine 2018 con un saldo attivo di 2 o 3 negozi. La nostra attenzione non è infatti focalizzata tanto sul mero sviluppo quantitativo, quanto sulla capacità di dare qualità alla nostra crescita».

E proprio in questa logica si colloca l’introduzione del nuovo format 3.0, al momento utilizzato per i negozi di grande metratura, che rappresentano circa il 10% della rete. «Si tratta di un layout basato sull’utilizzo di materiali ecologici e illuminazione led a basso consumo, che permette di fare dello shopping un’esperienza emozionale, ma al contempo virtuosa sotto il profilo dei prezzi – spiega Zanoletti -. Intendiamo così intercettare un pubblico diversificato, non più composto dal solo nucleo familiare, ma ormai allargato anche al target dei giovani, che trovano nella forza numerica e qualitativa delle nostre referenze un valido spunto d’acquisto».

Nuove mosse sono poi attese anche nell’ambito del presidio della Rete. L’azienda ha infatti messo sul piatto 5 milioni di euro per potenziare lo sviluppo del canale e-commerce che già oggi conta 5 milioni di visitatori l’anno capaci di generare una spesa media di 100 euro, e che proprio entro il 2018, è destinato a diventare un asset molto importante. «Gli investimenti digitali – afferma Zanoletti – ci stanno aprendo nuovi orizzonti, complicati e affascinanti al tempo stesso». Orizzonti che si inseriscono in un solco ben definito: offrire servizi declinabili sia nel virtuale sia nel negozio fisico. «Il cliente può acquistare online con consegna a domicilio, oppure scegliere il ritiro, senza spese di spedizione, in qualsiasi negozio sul territorio. E in caso di restituzione, si ha a disposizione l’opzione di reso gratuito online – un servizio non sempre usuale -, oppure la possibilità di rivolgersi direttamente in store», precisa Zanoletti.

Il vantaggio del web

Le indicazioni raccolte sul campo sembrano insomma andare nella stessa direzione: il web rappresenta oggi un canale più che significativo per il settore, destinato peraltro a mettere a segno ulteriori crescite. A patto però di saperne sfruttare appieno le caratteristiche. La seppure recente storia del canale digitale insegna, infatti, che il giusto approccio al mezzo e la capacità di recepirne con anticipo gli sviluppo futuri possono fare la differenza. Lo dimostra il caso di Maxi Sport, network lombardo che conta 3 punti di vendita nell’hinterland milanese e che in tempi non sospetti ha creduto nell’ecommerce facendone uno dei propri principali cavalli di battaglia. «Abbiamo inaugurato il nostro presidio di vendita online nel lontanissimo 2002 – ricorda Emanuele Sala, titolare e responsabile commerciale dell’insegna -, in largo anticipo quindi rispetto alla maggior parte dei player del settore. Un’intuizione che ha impresso un importante impulso al nostro giro d’affari: il web ci ha consentito infatti di ampliare il bacino di utenza all’intero territorio nazionale, con riflessi importanti sul fatturato, tanto che oggi le vendite digitali rappresentano il 30% dei 40 milioni di euro registrati nel 2017. Ma non è tutto. Sono proprio gli scontrini digitali ad apportare il principale contributo al tasso di crescita dell’azienda, che sempre nello scorso anno si è assestato in media al 20%».

Attenzione però a non cadere in facili entusiasmi: la rete è – e sarà – uno strumento irrinunciabile, ma altrettanto saranno i negozi fisici. Lo confermano le prossime mosse della stessa Maxi Sport «Abbiamo in programma nuove aperture di punti di vendita sempre nell’hinterland milanese – anticipa Sala -, che si affiancheranno a quelli già attivi in Lombardia, più precisamente a Lissone, Merate e Sesto San Giovanni».

Come dire, insomma, che la strada per la crescita passerà dalla capacità di trovare il giusto equilibrio tra le due anime: brick and mortar e digital.

 

 

 

 

di Chiara Bandini

Mi Tienda: il business dell’enclave, dedicato esclusivamente al pubblico ispanico

I flussi migratori e la mobilità umana caratterizzano la nostra epoca e creano  specifiche opportunità imprenditoriali che, nel campo del retail, richiedono creatività e una particolare propensione al rischio. Il commercio è (da sempre) una relazione sociale fondata sull’empatia tra chi desidera possedere qualcosa e chi auspica di cederla con profitto. Parimenti, la diffidenza e il pregiudizio sono i maggiori nemici del commercio. È immediato comprendere, allora, che le ampie differenze culturali che esistono da tempo tra la robusta componente ispanica (40% della popolazione) e quella anglosassone del Texas (o Tejas nell’antica lingua Caddo) sono una complicazione ulteriore per una  catena che voglia operare nel grocery.

La storia

I supermercati per i latinos sono, negli USA, sempre più numerosi e molto dinamici. La loro clientela è più giovane della media, esprime bisogni non ancora saturati ed è dotata di una propria specifica cultura di consumo. Queste sono alcune delle ragioni per le quali la decisione della H.E. Butt Grocery, di aprire formati di vendita totalmente dedicati al pubblico ispanico è oltremodo interessante. Nel 2006, H-E-B completò la ristrutturazione  di un proprio superstore di 6000 m2 nei pressi di Pasadena, la cittadina a sud di Houston, dedicandolo totalmente alla comunità messicana ivi residente, che contava per circa il 70% della popolazione totale e battezzandolo Mi Tienda. A tale scopo vennero assunti 350 dipendenti tutti bilingue, incaricati di gestire acquisti e vendite autonomamente rispetto alla casa madre, la quale gestiva ormai 300 degli attuali 350 punti di vendita di vario formato. Il successo fu superiore alle attese e dunque l’esperimento divenne parte della strategia di lungo termine del gruppo, tenuto conto che il mercato è già presidiato da insegne grandi e piccole come El Rancho, El Rio Grande, Fiesta, Mi Pueblo, El Ahorro … Dunque nel 2011 venne aperto uno store gemello a Nord di Houston e nel 2012 un modello ibrido ispirato a questa tendenza, ad Austin. Nei prossimi anni i Mi Tienda dovrebbero divenire 4.

L’approccio giusto

Agli occhi dei latinos texani, va detto, l’intrusione in questo settore di H-E-B, una catena di “gringos” attiva sin dal 1905 e ora leader indiscusso del comparto grocery in Texas (con propaggini in Messico) e oltre 100.000 dipendenti per un fatturato di circa 22 miliardi di dollari, avrebbe potuto risultare inautentica. Al contrario, ed è questo l’aspetto affascinante dell’impresa, il management del gruppo ha saputo calarsi in quell’ambiente culturale delegando la gestione autonoma del nuovo formato a personale di quelle comunità.

Il proprio modello alimentare, com’è noto, è l’identificativo più forte e motivo di orgoglio di ogni minoranza e di ogni enclave etnica. Pertanto, la cura del dettaglio in ogni aspetto è fondamentale per immettere veridicità nella proposta a lei destinata.  Ebbene, pur non potendomi calare nell’habitus mentale di un latino, l’esperienza d’acquisto dentro Mi Tienda, mi è parsa del tutto paragonabile ad altre insegne più “veraci”, ma con una pulizia e un servizio al cliente meno curati. Ciò che colpisce è l’atmosfera calda, rumorosa di un vero mercato di quartiere seppur dentro una “big box”, con i suoi colori pieni, violenti e vibranti  e un sottofondo continuo e coinvolgente di musiche mariachi, norteña, ranchera. Il personale, che indossa le tradizionali guayabera, ovvero le camicie con ricami, interagisce con il pubblico ad alta voce, scherzando, consigliando e promuovendo i prodotti serviti al banco della macelleria, della pescheria, del forno e della gastronomia.

L’assortimento

Questa offerta, in particolare, appare espansa  rispetto ai supermercati più generalisti, in quanto l’acquisto di prodotti freschi si avvicina al 70% del totale grocery, dato che le famiglie hispaniche nutrono ancora diffidenza per il prodotto industriale confezionato. I loro nuclei familiari allargati (il 20% è costituito da 4 persone e il 23% da più di 5 persone) praticano ancora diffusamente la cucina in casa “from scratch”, preferendo ingredienti carnei e vegetali di base. Ne consegue che il reparto ortofrutta esibisce una ordinata massificazione, funzionale ad una rotazione del prodotto notevolmente più celere di quella degli altri classici supermercati con le loro eleganti esposizioni a piramide. Cambia ovviamente l’assortimento, in base al forte consumo della clientela di frutta fresca che annovera, naturalmente anche varietà esotiche come Feijoas, Mamey, Tamarillos, Atemoya, Tejocotes, Jicama, Breadfruit, Jackfruit, Guava e tanti tipi di Mango: Calypso, Ataulfo, Australian, Jumbo … Egualmente profonda è l’offerta di peperoni e chili quali Pods, Ghost, Pasilla, Shisito, Ancho, Habanero, Red Bell, Anhaim, Chilaca, Manzano, Guajillo, Poblano, Serrano, … oltre a tipicità (per noi) come i Nopales (pale di cactus) nettati dalle spine e vari tipi di mais Bianco, Giallo, Rosso, Blu, Nero, Viola.

Un’altra peculiarità si coglie nel lungo banco della macelleria che allinea, ordinatamente, oltre alle tante varianti di chorizo e di salsicce di produzione propria, 60 tagli con le varie porzionature delle carni avicole, suine e bovine. Nella cucina messicana ed in quella sudamericana non sprecano nulla. Troviamo dunque un’ amplissima selezione che, partendo dalle parti nobili del pollo, marinate, insaporite in vario modo e pronte da cuocere, arriva alle frattaglie, alla testa e alle zampe, così come accade per il suino. Impressionante è anche il corner del ‘pollo asado’ (a complemento della gastronomia) in grado di arrostire simultaneamente sulla graticola oltre 100 capi.

Elogio della panadeira

Altri indubbi punti di forza  sono costituiti dalla pasticceria e dalla panaderia con le sue 80 varietà di pane dolce, oltre ai più i classici Pan de elote, Buñuelos, Conchas, Pupusas e soprattutto tantissime tortillas fresche (di mais bianco e blu, alla fragola, all’ananas e al peperoncino) prodotte in loco, sebbene HEB sia dotata di un impianto in Corpus Christi che ne sforna 72.000 all’ora.

Altrettanto ricco è il reparto della gastronomia, collegato come in quasi tutti i supermercati americani alla Cocina, l’area della ristorazione in cui consumare tacos, torte, carnitas, tamales, chimichangas, menudos (stufati), tingas e poi le creme e le salse, tra le quali il celeberrimo mole,  dall’ampio menu di una cucina cubana e messicana sempre più apprezzate negli USA. Complementare ad essa è l’immancabile chiosco delle “aguas frescas”, un juice bar dove il cliente può dissetarsi con almeno una decina di bevande alla frutta fresca, ovviamente prodotte in-store, e altri succhi.

Il fascino del pdv fisico

Ovviamente pur nell’enfasi della tradizione non poteva mancare la partnership con Instacart e Shipt per la consegna degli acquisti a domicilio, anche se il pubblico latino preferisce ancora acquistare direttamente nel punto di vendita il quale, frequentemente, diventa teatro di eventi in occasioni di celebrazioni e di festività cattoliche.  In questo senso, Mi Tienda assolve a quel ruolo di aggregatore di una componente etnica che (più di quella afroamericana e anche di quella asiatica) contribuisce, per parte sua, al consistente mutamento linguistico, culturale e consumistico del mainstream degli USA.

 

 

 

di Daniele Tirelli

Big Data: nel marasma dell’informazione come scegliere quella di qaulità

Se c’è qualcosa che non può dirsi innovativa è l’idea dei Big Data come soluzione esplicativa
della complessa fenomenologia socio-economica.
Tale può apparire solo agli spiriti semplici sempre pronti a farsi apostoli dell’ultimo neologismo
americano. Il mito dei tanti dati, della più diversa natura, da cui derivare ‘leggi’ che governano il comportamento umano, ha affascinato uomini di genio già molto tempo fa. Francis Galton, un cugino di Charles Darwin, visse di rendita per 89 anni, assecondando la sua smodata bulimia per le più diverse ‘metriche’ socio-antropologiche.

Per anni e anni classificò migliaia di delitti e di sentenze per scoprirne le regolarità implicite. Allo stesso tempo misurò ossessivamente tutte le caratteristiche antropomorfiche dei suoi contemporanei: nasi, occhi, capelli e loro colore, gambe, braccia, peso… Fu affascinato dalle diverse abitudini comportamentali e culturali, persino dalle reazioni dei visi alle corse dei
cavalli. Tentò di mappare l’estetica femminile britannica, classificando i tratti che rendevano le ragazze più o meno attraenti. Infine, instancabile, concluse anche che le impronte delle dita non solo erano diverse le une dalle altre, ma che non mutavano nel corso della vita umana, fornendo così la chiave per nuovi metodi investigativi ancor oggi in uso.
Tuttavia le induzioni più rilevanti di questo suo misurare e correlare maniacalmente tutto, confluirono nella sua ‘nuova scienza’ che egli battezzò eugenica, un nome che oggi evoca orribili ricordi, sia delle tesi segregazioniste, sia di quelle naziste. Prima di Galton, il mito dei Big Data aveva ossessionato anche un’altra mente geniale: quella del belga Lambert Adolphe Jaques
Quetelet, che giunse a formulare la celeberrima (e deteriore) definizione di ‘uomo medio’ (energicamente respinta, già ai suoi tempi, da Antoine-Augustin Cournot). Tuttavia la questione essenziale era stata evidenziata.
Come distinguere, nel marasma delle informazioni disponibili, la significatività o la casualità di ciò che si documenta? I fenomeni sociali ed umani hanno natura diversa da quelli naturali, fisici, – osservava Cournot! Oggi gli americani (sempre loro!) convengono su un punto: Garbage-In-Garbage-Out, ovvero con dati spazzatura si ottiene spazzatura.
Ecco perché risulta fastidioso sentir parlare di grandi progetti che, in virtù di una potenza di calcolo crescente, dovrebbero dare significato a dati di vendita, opinioni sui social network, analisi semiologiche,… tutti mischiati in una bouillabaisse algoritmica miracolosa.

Ed ecco la pars costruens
Nondimeno, per far seguire alla critica un pensiero positivo, diremo che esistono progressi seri ed utili sul piano informativo. Tra essi ne citiamo uno originale e di casa nostra: il progetto Immagino curato da GS1. L’idea è semplice e sfidante, ovvero rilevare e classificare tutte le caratteristiche riportate sulla confezione dei prodotti di largo consumo, assieme alla loro immagine riconducendoli all’identificativo del codice EAN.
Il marketing del settore non sembra aver ancora compreso le potenzialità di questi nuovi ‘big data’
strutturati e standardizzati. Eppure esse sono enormi. Ciò per varie ragioni. La prima è che l’informazione raccolta è oggettiva e dunque confrontabile trasversalmente e lungo la dimensione del tempo.
La seconda è che questa rigorosa base definitoria di marche e prodotti è stabile nel tempo. Ciò
permette una corretta individuazione di eventuali trend di specifiche merceologie. La terza è la sua
adattabilità a ragionamenti di tipo abduttivo, grazie alla possibilità di definire, logicamente, proprie arene competitive. Possiamo cioè scegliere un ampio numero di caratteristiche oggettive, per esempio organolettiche o chimiche o di altra natura per paragonare razionalmente qualcosa a qualcosa d’altro.
Per essere più chiari presenteremo allora un semplicissimo esempio introduttivo. Prendiamo da
Immagino due piccoli gruppi di marche di yogurt bianco e alla fragola, con le loro caratteristiche
nutrizionali. Usando una statistica multivariata: la Correspondence Analysis o la Multidimensional
Scaling, otteniamo una mappa percettiva che rappresenta la distanza multidimensionale di queste
marche. Si tratta di un primo elementare passo nello studio dell’arena competitiva basandoci su tutto ciò che è scritto sulla confezione. Che cosa leggiamo dunque nelle mappe così ottenute? Nel caso dello yogurt alla fragola, il posizionamento delle marche è maggiormente distribuito nello spazio ed alcune si collocano in prossimità di specifiche caratteristiche; diciamo la quantità di grassi. Allora utilizzando altri dati Nielsen, potremmo verificare se i risultati di vendita seguono una tendenza comune ad altri prodotti anch’essi più grassi degli altri, oppure se la spiegazione vada cercata in altre direzioni.
Nel caso dello yogurt bianco notiamo, invece, un addensamento in una zona del grafico, a  omprova che le caratteristiche organolettiche (grassi, zucchero, calorie, ecc.) non discriminano tra quelle marche, poiché il prodotto è più o meno lo stesso.
Proseguendo e sfruttando altri dati disponibili, potremmo poi verificare se questi marchi convivono
nei medesimi punti di vendita, misurandone l’overlapping. Nel caso siano presenti negli stessi
negozi, passeremmo a evidenziare la distribuzione dei loro prezzi relativi. Ulteriormente, tenteremmo di valutare aspetti soggettivi tratti da altre analisi,
tipo la qualità percepita, la fedeltà alla marca, l’estetica delle confezioni, il goodwill pubblicitario,
… In breve, la logica di tipo abduttivo sfrutterebbe progressivamente e in modo ragionato informazioni di diversa natura volte a probabilizzare la veridicità di una certa conclusione. Sino a prova contraria questo tipo di ragionamenti alla Sherlock Holmes, un computer non è in grado di farli, perché la nostra ‘misteriosa’ capacità di intuire e poi dedurne qualcosa è ciò che ci rende (non tutti) più intelligenti delle macchine. I dati di per sé non sono informazione.
L’informazione di per sé non è conoscenza. Il progetto Immagino di GS1 Italy è un bell’esempio
di come dei big data – well done(!) – possano effettivamente rivitalizzare lo stanco marketing del largo consumo, purché si aggiunga loro una reale, seria competenza statistica e soprattutto la pazienza, la meticolosità, lo spirito critico e il buon senso che governano la vera ricerca scientifica.

di Amagi

Tutti pazzi per il vintage: il design second hand in Italia vale 2,6 miliardi di euro

Sono cucina, armadio e divano i pezzi d’arredamento più ricercati in un comparto, quello dell’arredamento di seonda mano (o vintage che fa più fino) che sta letteralmente spopolando in Italia: secondo l’Osservatorio Second Hand condotto da DOXA per Subito, cresce del 164% il volume d’affari dell’arredamento usato nel 2017 ha registrato un volume di affari del valore di 2,6 miliardi di euro, una crescita del 164% rispetto al 2017.

La voglia degli italiani di ricercare pezzi unici con cui personalizzare la propria casa se una volta portava a razziare i mercatini dell’antiquariato, con l’avvento delle nuove tecnologie si è spostata sul web, con la compravendita dell’usato online a fare da traino alla tendenza. Secondo la quarta edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy condotto da DOXA per Subito, piattaforma n. 1 in Italia per comprare e vendere con oltre 8 milioni di utenti unici mensili, solo l’online ha infatti un peso di 9,3 miliardi di euro sull’economia dell’usato, con il settore dell’arredamento che registra un volume di affari del valore di 2,6 miliardi.

 

Compravendita di usato per un italiano su due

La riscoperta del fai-da-te, la fusione tra vintage e moderno, l’espressione della propria identità attraverso gli oggetti che ci appartengono e circondano ogni giorno, sono i trend che stanno prendendo piede non solo nel campo della moda, ma anche e soprattutto nel design. Una volontà che va di pari passo con una maggiore attenzione al mercato dell’usato. Nel 2017 un italiano su due ha comprato o venduto oggetti usati, non solo per la possibilità di acquistare facendo un buon affare in termini economici (è la motivazione per il 70%), ma anche per trovare pezzi esclusivi, d’antiquariato o non più in commercio (35%) che permettono di rendere unico il quotidiano.

In questo scenario, si inserisce a pieno titolo il design e il ritrovato interesse per tutto quello che è in grado di donare un tocco di originalità all’ambiente domestico. Che si tratti di una cucina dallo stile rustico, un’applique anni 50 o un divano dal design contemporaneo, è innegabile che sempre più italiani si affidano all’usato per dare libero sfogo alla propria personalità e creatività.

 

L’identikit dell’appassionato

Oltre ai Millenials, che nel panorama della Second Hand Economy rappresentano il 59% degli utilizzatori di oggetti usati, quando si parla di arredamento, tra i protagonisti più attivi troviamo:

  • L’ingegnoso: uomo over 45, residente in prevalenza nel Centro Sud, a cui piace sentirsi un po’ artigiano, valorizzando pezzi unici grazie a un restauro accurato. Amante di prodotti che raccontino una storia, la Second Hand Economy rappresenta per lui un modo per potersi mettersi in contatto con persone che condividono le stesse passioni e l’online risulta essere il mezzo ideale per scovare pezzi di arredamento e articoli per la casa rari o difficili da trovare;
  • La giovane metropolitana: donna under 30, residente soprattutto nelle città del Nord, impiegata o libera professionista. Pienamente consapevole del valore sociale e ambientale della Second Hand Economy, sceglie l’usato soprattutto per la possibilità di cambiare spesso ed è soddisfatta quando riesce a trovare qualcosa di unico, moderno o vintage che sia, per sé o per la sua casa;
  • La smart chic: donna over 45, residente nel Centro Nord, vede l’usato come il modo perfetto per vendere, e reinvestire il ricavato al fine di finanziare il rinnovamento della casa, magari con l’acquisto di articoli di arredamento e mobili vintage unici e inimitabili.

 

80 milioni di ricerche

Nel 2017, nella categoria Arredamento e Casalinghi di Subito sono state effettuate oltre 80 milioni di ricerche. Ma cosa cercano gli italiani, quando si tratta di design second hand? Pezzi indispensabili, ma anche complementi in grado di dare carattere e personalità agli ambienti.

Nella Top Ten dei prodotti maggiormente ricercati, gli ambienti domestici che più vengono interessati dalla ricerca sono senza dubbio la cucina, il salotto e la camera da letto, i luoghi che si desidera rendere più personali, magari con un pezzo di antiquariato o vintage che spicchi e dia alla stanza un tocco più originale e autentico.

Tra le ricerche effettuate su Subito a livello nazionale al primo posto emergono le cucine, per le quali oggi è richiesto sempre di più un connubio tra antico e moderno che renda lo spazio meno freddo e più accogliente. Al secondo posto gli armadi, che in uno spazio personale come la camera da letto rappresentano uno degli articoli di arredamento a cui si presta maggiormente attenzione. Al terzo posto il divano, simbolo per eccellenza del relax davanti alla tv ma anche pezzo forte in grado di rivoluzionare il look del salotto. Seguono poi tavoli e sedie, che insieme alla cucina rappresentano la convivialità e devono sapere regalare una sensazione di familiarità, divani letto, oggi sempre più ricercati per chi ama avere ospiti, ma anche da chi vive in un monolocale e vuole coniugare funzionalità e stile. Chiudono la top ten credenze, librerie e scrivanie, camerette.

Nel 2017, sono stati 4,2 milioni gli annunci pubblicati nella categoria Arredamento e Casalinghi di Subito. Le regioni più attive per numero di annunci vedono al primo posto la Campania con il 16,8% di annunci, al secondo la Lombardia con il 15,8%, seguite da Veneto (10,7%), Lazio (10,6%) e Piemonte (7,8%).

Foto: Csongor Schmutc on Unsplash

Percassi sceglie il fondo Peninsula come partner per lo sviluppo di Kiko

La Famiglia Percassi ha sottoscritto un accordo vincolante con Peninsula, investitore internazionale di private equity, per l’esecuzione di una complessa operazione che prevede l’ingresso di Peninsula nel capitale di KIKO S.p.A. attraverso un aumento di capitale riservato.

All’esito dell’operazione, che e subordinata all’autorizzazione antitrust in Spagna, Peninsula deterràuna partecipazione del 33% nel capitale di KIKO e saràrappresentata negli organi sociali dell’azienda. L’operazione complessiva ammonta a circa 80 milioni di euro.
L’investimento di Peninsula saràfunzionale alla realizzazione degli obiettivi di crescita di KIKO delineati nel piano industriale 2018-2020, con un particolare focus sugli investimenti per circa 90 milioni di euro, di cui circa un terzo destinati all’innovazione tecnologica per un business sempre piu globale, innovativo e digitale.

 

Più digitalizzazione ed espansione in Asia e Medio Oriente
Le principali linee guida del piano strategico, promosso dall’Amministratore Delegato Cristina Scocchia, comprendono, tra l’altro: una ridefinizione della presenza geografica di KIKO con forti investimenti focalizzati in particolare in Medio Oriente, Asia e India; la modernizzazione dei sistemi IT (con il rafforzamento del CRM e dei sistemi ERP) e della supply chain; investimenti nel settore e-commerce, con l’obiettivo di raddoppiare la percentuale del fatturato ricavato da questo canale di vendita, dall’attuale 3,5% al 7% entro il 2020.

“Questa operazione rappresenta un passo importante per KIKO, a 21 anni dalla sua nascita. Con il nostro nuovo partner Peninsula vogliamo consolidare la crescita di questo marchio, che ha rivoluzionato il settore della cosmetica con un’offerta di prodotti di qualitàa un prezzo accessibile a tutte le donne . ha dichiarato Antonio Percassi, Presidente di KIKO -. Rivestono un ruolo centrale nel nostro piano industriale triennale lo sviluppo di canali digitali innovativi, sia nell’ambito della vendita, con il coinvolgimento sempre maggiore dei consumatori in-store e online, che della gestione aziendale. Si apre una nuova fase nella storia di KIKO, che sarà ancora più vicina ai consumatori dei Paesi con il piu alto tasso di crescita, senza dimenticare le sue origini e il suo DNA italiani”.

Da Peninsula aggiungono: “Kiko è una societàleader con un marchio altamente apprezzato in un settore estremamente interessante e con prospettive di forte sviluppo. Siamo convinti che attraverso le nuove risorse di capitale da noi apportate si potranno accelerare le prospettive di crescita di Kiko creando del valore significativo per tutti gli azionisti. Peninsula daràinoltre un contributo attraverso la propria rete di contatti internazionali per aiutare l’ingresso di Kiko in nuovi mercati”.
KIKO è stata assistita dallo Studio Legale Gatti Pavesi Bianchi e Peninsula dallo Studio Legale Lombardi Segni e Associati; Rothschild ha agito in qualità di advisor finanziario per KIKO.

Fondata nel 1997 da Antonio e Stefano Percassi, l’azienda è presente in 21 Paesi con 7.500 dipendenti, 950 punti di vendita diretti e un canale e-commerce esteso a 32 Paesi, l’ultimo dei quali èla Cina, grazie alla prima vetrina online su Tmall Global, marketplace B2C del Gruppo Alibaba. Kiko ha chiuso il 2017 con un fatturato pari a 610 milioni di euro.

Gli Ikea Locker debuttano a Carugate, Corsico e San Giuliano Milanese per un ritiro H 24

Sono blu i nuovi armadietti di IKEA, ma questa volta  non si devono montare.

Gli IKEA Locker, infatti, sono già pronti all’uso: custodire gli ordini in attesa del ritiro (h24) da parte dei clienti.

E per aprirli basterà digitare il codice inviato sul telefono

Ad oggi i nuovi armadietti blu sitrovano all’esterno di tre negozi del milanese: Carugate, Corsico e San Giuliano Milanese. Qui verrà sperimentato il servizio che promette di semplificare e di gestire in piena autonomia gli acquisti. Una volta selezionati i prodotti sul sito ikea.it, è sufficiente spuntare il Locker nel negozio più vicino attraverso il servizio ‘Clicca e ritira’. L’acquisto potrà essere prelevato il giorno stesso per gli ordini effettuati entro le 16, a partire da 4 ore lavorative successive o nei sei giorni seguenti, usando il codice univoco di apertura arrivato via SMS.

“I nostri clienti oltre alla convenienza cercano soprattutto la rapidità e diventa fondamentale la sinergia tra e-commerce e store, per rispondere alle rinnovate esigenze del mercato – spiega Nicolas Gonzales, Multichannel Rollout Manager IKEA Italia -. Sono sicuro che i milanesi familiarizzeranno molto velocemente con i Locker. Semplificare il più possibile la vita delle persone: con questo obiettivo abbiamo implementato questo progetto”.

Il ruolo guida di Milano nei nuovi stili di vita è confermato anche dalla ricerca condotta ogni anno da IKEA in 22 Paesi, il Life at Home Report, che indaga il rapporto delle persone con la loro casa. Nel 2017 il report ha approfondito il tema della propensione al cambiamento. In questo i milanesi si sono dimostrati, in Italia, tra i più aperti, attestandosi come i più “innovativi” (25% degli intervistati) e “creativi” (32%).

“Abbiamo scelto l’Italia come Paese pilota, ed in particolare Milano, in quanto il capoluogo lombardo è da sempre attento all’innovazione e precursore dei tempi”, aggiunge Gonzales.

Nel suo insieme, in Italia il settore dell’e-commerce quest’anno raggiungerà i 27 miliardi di euro con una crescita del 15%. Secondo le stime dell’Osservatorio del Politecnico, la sola Milano rappresenterà tra il 10 e il 15% dei 230 milioni di spedizioni che saranno effettuate in tutta Italia nel 2018.

Arriva “Vicino”, marchio Penny Market dedicato ai produttori locali di ortofrutta

Sostenibili, di stagione e a prezzi concorrenziali: sono le linee guida di “VICINO – Prodotti del tuo territorio”, nuovo marchio di Penny Market nel reparto ortofrutta nato per sostenere i piccoli produttori locali dando voce alla loro esperienza, salvaguardandone le tradizioni familiari, puntando al rispetto del territorio e della natura e valorizzando le aree vocate di produzione.

L’assortimento, che è destinato ad ampliarsi ulteriormente nel corso dei prossimi mesi, si compone di circa 25 referenze (dall’insalata trocadero, all’insalata gentile, dal pomodoro datterino all’uva) che si alternano a seconda delle stagioni, ad ulteriore dimostrazione dell’impegno di Penny Market nella soddisfazione delle richieste dei propri clienti che confermano sempre più di apprezzare i prodotti a marchio vicini alle realtà locali e al territorio.

Attraverso il marchio “VICINO”, infatti, Penny vuole sostenere i piccoli produttori locali in un’ottica di innovazione dell’etica di produzione, puntando alla sostenibilità come criterio di scelta salvaguardando l’integrità ambientale. Questa missione ha da subito incontrato il favore e l’entusiasmo dei fornitori locali, che sono diventati testimonial del brand “VICINO” e sono lieti di condividere con Penny la passione per il proprio lavoro e la cura verso il territorio e i suoi frutti.

La nuova linea pone al centro dell’offerta alcuni tra i più importanti valori di Penny Market come l’attenzione verso il territorio e la sostenibilità ambientale, privilegiando i regionalismi per andare incontro alle esigenze di tutti i clienti, cogliendo così l’opportunità di diversificare l’offerta nelle diverse regioni in cui Penny Market è presente.

Penny Market, discount alimentare del gruppo REWE, è presente sul territorio italiano con 366 punti vendita distribuiti nelle principali regioni d’Italia ed è attualmente in forte crescita, con fatturato per metro quadro superiore alla media di categoria. A livello internazionale, è presente anche in Austria, Germania, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania.

D.IT lancia la nuova campagna, puntando sul digital

Al via la nuova campagna di comunicazione di D.IT – Distribuzione Italiana, il progetto multi insegna e multibrand lanciato lo scorso anno grazie al coinvolgimento di due marchi storici della distribuzione quali Sigma e Sisa.

Anche in questa occasione il retailer ha scelto di puntare sul digital, pianificando su siti web legati alla cucina e al mondo femminile, attraverso l’utilizzo di una piattaforma di acquisto spazi in programmatic, che in real time propone offerte all’interno del mercato globale del web in base alla profilazione richiesta.

I nuovi contenuti

Se la prima tranche della campagna era dedicata ad una comunicazione istituzionale, e quindi incentrata sui valori di riferimento delle insegne, al centro della nuova campagna sono protagoniste le nuove linee di private label specialistiche, trasversali alle diverse insegne del Gruppo. 

Settimana dopo settimana, dunque, verranno presentate Equilibrio & Piacere, la linea che coniuga bontà e benessere, dedicata a coloro che vogliono mangiare sano senza rinunciare al gusto; VerdeMio, una gamma di prodotti all’insegna di una bontà sana e consapevole, pensati per un target sensibile ai temi legati al rispetto dell’ambiente; e infine Gusto & Passione, una linea premium che propone una selezione di eccellenze gourmet e tipicità del territorio.

Le nuove referenze

Tutte le referenze sono il frutto di un’attenta selezione dei fornitori e di uno scrupoloso presidio della qualità a garanzia del consumatore, ancora una volta “al centro” delle strategie del retailer. Non a caso, il leit motiv della campagna è “la tua scelta”, declinata, a seconda della linea comunicata, sui concetti di benessere, bio e gourmet: un messaggio che esprime la volontà di instaurare un rapporto molto stretto con il consumatore. 

La comunicazione

A sostegno della pianificazione, la cui creatività è stata affidata all’agenzia LessIsMore, una contemporanea campagna sulle fanpage che ospiteranno, di volta in volta, i diversi messaggi veicolati sulle varie piattaforme digital, e l’implementazione di siti web dedicati alle diverse linee specialistiche – www.equilibrioepiacere.info, www.verdemio.info e www.gustoepassione.info – per raccontare, più nello specifico, le caratteristiche principali e i plus dei diversi brand.

Coop riduce la plastica. Obiettivo: risparmiarne 6400 tonnellate annue entro il 2025

Coop accelera il suo impegno per la tutela dell’ambiente. Va in questa direzione la riduzione dell’utilizzo della plastica nei suoi prodotti a marchio e l’adesione alla campagna di impegni su base volontaria lanciata dalla Commissione Europea che scadeva a giugno 2018.

L’obiettivo di Coop, grazie al complesso di inziative, è quello di  raggiungere  nel 2025 un risparmio totale di plastica vergine di 6.400 tonnellate annue, corrispondenti al volume di circa 60 Tir (circa una fila di 1 km di Tir in autostrada).

Il carnet di impegni

Al centro degli impegni sottoscritti da Coop con la Ue in primo luogo le bottiglie di acqua minerale, i flaconi detergenza casa e tessuti, le vaschette per ortofrutta. Rientrano nel progetto anche le cassette riutilizzabili che servono a movimentare l’ortofrutta, la carne e il pesce. Per le 27 referenze di acqua Coop già a dicembre 2019 si raggiungerà il 30% di presenza di riciclato fino a salire al 50% a gennaio 2023. Solo le cassette usate in ortofrutta che vengono rinnovate ogni anno sono 600.000,  già oggi contengono il 40% di plastica riciclata, per arrivare al 60% del 2025. A questi impegni già in essere o contratti con l’Unione Europea si sono aggiunti alcuni progetti speciali, in particolare per la pulizia del mare dalle plastiche e per la migliore informazione ambientale al consumatore.

Un impegno che dura negli anni

Per Coop di tratta di un rilancio importante di un impegno storico a difesa dell’ambiente. Dalle azioni degli anni ’80 (una per tutte la campagna che mise al bando i pesticidi) alla più recente ‘Acqua di casa mia’ (2010/2013, volta a incentivare l’uso dell’acqua di rubinetto e comunque di acqua minerale proveniente da fonti vicine), all’attività di sensibilizzazione verso i fornitori di prodotto a marchio, prima con il progetto Coop for Kyoto del 2006 poi evoluto negli anni con “Coop insieme per un futuro sostenibile” del 2017. I risultati sono oggi importanti: forte adesione alla campagna con 328 fornitori coinvolti in processi di miglioramento sostenibile delle proprie performance produttive.

“Partiamo da una situazione di vantaggio grazie a scelte fatte nel tempo per la riduzione, il riciclo e il riuso – spiega Maura Latini, direttore generale di Coop Italia- Stando alla direttiva europea, ad esempio, abbiamo in Coop già sostituito alcuni prodotti monouso in plastica con materiali biodegradabili e compostabili: è il caso dei piatti e bicchieri in PLA dal 2004 e dei bastoncini di cotone per orecchie biodegradabili, già così da anni, anche se per legge dovranno esserlo dal 2019. Intanto Coop va anche oltre l’adesione alla Campagna Europea e  prevede di raggiungere entro il 2022 gli ulteriori obiettivi che l’Unione Europea ha posto come obbligatori entro il 2030 (entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica dovranno poter essere riciclati o riutilizzati): nell’arco di un quadriennio tutti i prodotti a marchio Coop, con un valore commerciale di circa 3 miliardi di euro all’anno, saranno realizzati con materiali di imballaggio riciclabili o compostabili o riutilizzabili, mentre quelli della linea Vivi Verde, maggiormente dedicata alla tutela dell’ambiente, taglieranno il traguardo già a fine dell’anno prossimo.

Non intendiamo fermarci a questo e stiamo lavorando ad una campagna di mobilitazione e di informazione che partirà dopo l’estate e che coinvolgerà i soci (6,8 milioni) e i consumatori, così da contribuire con azioni e comportamenti sostenibili e coerenti alla tutela del bene più prezioso che abbiamo”.

La campagna Maxi Zoo contro l’abbandono degli animali

Sarà attiva dal 16 luglio al 30 agosto la campagna di sensibilizzazione contro l’abbandono degli animali durante la stagione estiva di Maxi Zoo, parte del gruppo tedesco Fressnapf, la più importante catena retail europea dedicata ad alimenti e accessori per animali.
Anche quest’anno, come ogni estate, milioni di italiani si preparano ad andare in vacanza insieme al proprio amico a quattro zampe. Tuttavia, per i molti cani portati nei luoghi di villeggiatura prediletti dagli italiani, ce ne sono purtroppo altrettanti che ogni anno vengono abbandonati durante l’estate.

Il video della campagna “ANCHE LUI MERITA UNA VACANZA” ribalta i ruoli uomo-cane rivelando come “essere il migliore amico dell’uomo a volte è un duro lavoro”, e sottolineando l’importanza del ruolo ricoperto dai pet nella vita di tutti i giorni del suo “padrone”.

La campagna verrà annunciata ai clienti attraverso un piano di comunicazione digital (sul sito web www.maxizoo.it e sui canali social Facebook e Youtube di Maxi Zoo Italia), in store e attraverso una campagna stampa sulle principali testate settimanali nazionali.

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