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Prezzi: aumenta a febbraio il carrello della spesa, la deflazione si raffredda

Carrefour Gourmet, Roma

Nel mese di febbraio 2015, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,4% su base mensile e segna un calo su base annua dello 0,1% (la stima preliminare era -0,2%), meno ampio rispetto a gennaio (-0,6%).

Lo rileva l’Istat che ha diffuso oggi i dati sull’andamento dei prezzi al consumo per il mese di febbraio, che portano a un tasso di inflazione acquisita per il 2015 pari a -0,2% (da -0,6% di gennaio).

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Più in dettaglio nel mese di febbraio 2015 si registra un aumento congiunturale marcato dei prezzi delle Bevande alcoliche e tabacchi (+2,8%), che riflette principalmente i rialzi dei prezzi dei prodotti a base di tabacco, registrati a partire dalla seconda metà del mese di gennaio. Aumenti su base mensile più contenuti si rilevano per i prezzi di Trasporti (+0,7%), Prodotti alimentari e bevande analcoliche (+0,6%) e Ricreazione, spettacoli e cultura (+0,4%). Rialzi congiunturali modesti, pari a +0,1%, interessano inoltre i prezzi di Abitazione, acqua, elettricità e combustibili, Servizi sanitari e spese per la salute e Servizi ricettivi e di ristorazione.

Per quanto riguarda i beni alimentari, il rialzo su base mensile dei prezzi degli Alimentari non lavorati è principalmente dovuto all’aumento – su cui incidono fattori di natura stagionale – dei prezzi dei Vegetali freschi (+7,8%), che, di conseguenza, registrano una netta inversione della tendenza su base annua (+10,8% da -1,7% di gennaio). Un rialzo congiunturale, per quanto più contenuto, si rileva anche per i prezzi della Frutta fresca (+0,5%), la cui crescita tendenziale accelera (+1,2%, da +0,1% del mese precedente). Aumenti su base mensile modesti si registrano poi per i prezzi del Pesce fresco di mare di allevamento (+0,3%, +1,7% su base annua) e di pescata (+0,1%, +0,2% rispetto a febbraio 2014) e per quelli della Carne bovina (+0,1%; il tasso tendenziale è nullo). Per tutte le rimanenti aggregazioni di prodotti non lavorati i prezzi sono in diminuzione rispetto a gennaio 2015.

Con riferimento agli Alimentari lavorati, le variazioni congiunturali sono per lo più di lieve entità. Da segnalare il rialzo del prezzo dell’Olio d’oliva (+1,0% e +2,2%, rispettivamente, in termini congiunturali e tendenziali).

Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi dei prodotti per frequenza d’acquisto, l’Istat rileva che i prezzi di quelli acquistati con maggiore frequenza aumentano dello 0,6% su base mensile – per effetto principalmente dei forti rialzi dei vegetali freschi, dei tabacchi e della ripresa dei prezzi di benzina e gasolio per autotrazione – e registrano un deciso ridimensionamento della flessione su base annua (-0,5%, da -1,4% di gennaio)

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Anche i prezzi dei prodotti a media frequenza di acquisto aumentano su base mensile (+0,3%) e fanno registrare una lieve ripresa su base tendenziale (+0,1%, da -0,2% del mese precedente); a questa dinamica contribuiscono in particolare i rialzi dei prezzi dei servizi di trasporto aereo, ferroviario e marittimo passeggeri e di alcuni servizi ricreativi. I prezzi dei prodotti a bassa frequenza di acquisto non variano in termini congiunturali e segnano una lieve flessione in termini tendenziali (-0,1%; a gennaio il tasso annuo era pari a zero).

Istat: il Pil al Sud è la metà del Nord. Federdistribuzione: Mezzogiorno priorità assoluta

L’Istat ha diffuso oggi i numeri relativi al 2013 che confermano l’aggravarsi del divario tra Sud e Nord del Paese. Due Paesi con indicatori totalmente opposti, sia quelli relativi al Pil sia quelli dei consumi finali delle famiglie.

Nel 2013 il Pil per abitante risulta pari a 33,5 mila euro nel Nord-ovest, a 31,4 mila euro nel Nord-est e a 29,4 mila euro nel Centro.

Il Mezzogiorno, con un livello di Pil pro capite di 17,2 mila euro, presenta un differenziale negativo molto ampio. Il suo livello è inferiore del 45,8% a quello del Centro-Nord.

La spesa per consumi finali delle famiglie a prezzi correnti nel 2013 risulta pari a 18,3 mila euro per abitante nel Centro-Nord e a 12,5 mila euro nel Mezzogiorno.

PIL REGIONALE E SPESA PER CONSUMI

«Sono dai estremamente preoccupanti – sottolinea Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – e riportano il tema del Sud d’Italia tra le assolute priorità del Paese».

Nel 2013, il Pil per abitante ha registrato una riduzione rispetto al 2011 in tutte le regioni italiane, con l’eccezione di Bolzano e della Campania. Risulta in testa Bolzano con un Pil per abitante di 39,8 mila euro, seguito da Valle d’Aosta e Lombardia (rispettivamente con 36,8 e 36,3 mila euro). Prima tra le regioni del Mezzogiorno è l’Abruzzo, che registra un livello paragonabile a quello delle regioni del Centro, con 23 mila euro. Le altre regioni del Mezzogiorno presentano tutte valori inferiori ai 19 mila euro. All’ultimo posto della graduatoria si trova la Calabria con 15,5 mila euro, ovvero un livello inferiore del 61% rispetto a Bolzano e del 57% rispetto alla Lombardia

Nel 2013, la spesa per consumi finali delle famiglie valutata a prezzi correnti2, (in Italia pari a 16,3 mila euro), è risultata di 18,3 mila euro nel Centro-Nord a fronte di 12,5 mila euro nel Mezzogiorno, con un differenziale negativo del 31,7%, molto inferiore a quello registrato per il Pil. La spesa per consumi finali delle famiglie per abitante è in calo, rispetto al 2011, in tutte le regioni. Tra il 2011 e il 2013 la graduatoria regionale non subisce cambiamenti e nelle due prime posizioni si collocano Valle d’Aosta e provincia autonoma di Bolzano (rispettivamente con 22 e 21,8 mila euro), nelle ultime due Campania e Basilicata (11,6 e 12,1 mila euro). Tutte le regioni del Mezzogiorno si posizionano alla fine della graduatoria.

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Il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli

«Questi dati si aggiungono a quelli sui livelli di disoccupazione e di lavoratori irregolari, che sono più del doppio nel Sud rispetto al resto del Paese, disegnando un quadro drammatico dal punto di vista economico e sociale»,continua il Presidente di Federdistribuzione.

Secondo l’Istat infatti nel 2013 il tasso di disoccupazione è stato del 19,7% nel Sud rispetto a una media nazionale del 12,2%. Nel 2012 le unità di lavoro irregolari sono state nel Mezzogiorno pari al 20,9% del totale delle unità di lavoro, contro un dato nazionale del 12,1%.
“Questo quadro complessivo produce anche situazioni di concorrenza sleale tra imprese, scoraggiando investimenti e allontanando dal territorio aziende soffocate dalle situazioni di contesto. Affrontare il problema del Mezzogiorno è una priorità che non può essere più rimandata. Correggere le attuali distorsioni e avviare una decisa politica di sostegno dello sviluppo delle regioni meridionali è una chiave fondamentale per la crescita di tutto il Paese. Senza interventi in questo senso tutto il cammino dell’Italia di uscita dalla crisi sarà più lungo e complicato», conclude Cobolli Gigli.

ref.Ricerche al convegno di Tuttofood: l’economia migliora, ma l’Iva è una minaccia

Il fantasma della clausola di salvaguardia e della riverse charge dell’Iva non fa dormire sonni tranquilli alle aziende del largo consumo. Tanto più ora che Il barometro dell’economia italiana segna un miglioramento. sono due temi emersi durante il convegno Consumi2015 organizzato da Tuttofood, mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano.

Fedele De Novellis (ref.Ricerche) - FotoZil
Fedele De Novellis (ref.Ricerche) – FotoZil

Nell’analisi di Fedele De Novellis Chief economista a re.Ricerche, «forse non si può ancora dire che si sia spostato sul bello stabile, ma quantomeno si interromperà quest’anno e nel prossimo la lunga serie di indicatori negativi che hanno scandito l’ultima lunga crisi. Unica ma rilevante eccezione, la disoccupazione, che resterà  elevata» .

Secondo ref.Ricerche il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016, sostenuto da una ripresa dei consumi. Le esportazioni miglioreranno ulteriormente la loro ottima performance e le importazioni cresceranno trainate dalla ripresina, senza peraltro compromettere il saldo della bilancia commerciale, che si manterrà positivo ed elevato (intorno ai 70 miliardi) grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Il vincolo del 3% nel rapporto deficit pubblico su Pil sarà rispettato e l’inflazione sarà zero quest’anno e 0,7% nel 2016. Unica nota dissonante, il tasso di disoccupazione che beneficerà in maniera contenuta del miglioramento del quadro economico rimanendo stabilmente al di sopra del 12%.

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La convergenza di fattori sistemici favorevoli recentemente emersi, dall’indebolimento dell’euro al crollo del prezzo del petrolio, dall’allentamento della convergenza fiscale al quantitative easing della Banca Centrale Europea (fattori rispetto ai quali ref.Ricerche si chiede nel titolo della sua analisi “Ultima chance per l’Italia?”), sembrano dunque aver creato un contesto più favorevole, contribuendo all’uscita dal tunnel in diversi modi: la discesa del petrolio ha un impatto rilevante su un’economia di trasformazione; il cambio favorevole euro-dollaro, insieme alla ripresa americana, è uno dei fattori trainanti delle esportazioni; l’allentamento monetario della Banca centrale europea agevola in credito e abbassa i costi di produzione.

Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. In questo quadro complessivamente positivo – avverte il ref.Ricerche – non mancano rischi. Due particolarmente significativi sono la caduta delle aspettative di inflazione e il possibile aumento dell’Iva, in base alla clausola di salvaguardia già prevista nell’ambito della discesa del rapporto deficit/Pil dell’Italia, secondo quanto imposto dalle regole europee di finanza pubblica. Qualora l’Iva subisse aumenti, l’impatto sarebbe negativo per la domanda di consumo e – affermano compatti industria e distribuzione – in special modo per i consumi alimentari.

Oltre a ciò, vi è l’incognita sulla riverse charge, che, secondo Roberto Bucaneve direttore del centro studi Contromarca, avrà un impatto di 8 miliardi sull’intera filiera alimentare. Qualora non avesse il via libera da Bruxelles, sarebbe surrogata con un aumento elle accise sui carburanti per circa 800 milioni.

«La motivazione è corretta, ma il settore è sbagliato», commenta lapidariamente Marco Pedroni presidente di Coop Italia. E Valerio Di Natale, vicepresidente di Contromarca aggiunge che «si consolida l’idea che alcune porzioni dell’economia possano diventare creditrici a lungo termine dello Stato. È quantomeno strano che in um momento in cui le imprese dovrebbero investire, sono invece obbligate a pensare a come far fronte a una norma che ne aumenta le difficoltà».

 

a cura di Fabrizio Gomarasca

 

Eccesso di promozioni. Coop cambia strada, l’industria osserva

Il tema delle promozioni ha tenuto banco al convegno sui consumi organizzato da Tuttofood a Milano, di fronte a un parterre da grandi occasioni. A scaldare i motori e a infondere un poco di cauto ottimismo alla platea sono stati Fedele De Novellis di ref.Ricerche e Angelo Massaro, Ceo di Iri. Il primo nel tracciare lo scenario macroeconomia ha ipotizzato un lieggera ma costante crescita del reddito disponibile delle famiglie nel prossimo triennio, con l’avvertenza che il modello previsionale si basa su un’ipotesi di ridimensionamento delle politiche di austerità. In caso contrario lo scenario cambierebbe completamente con l’entrata in vigore delle clausole di salvaguardia sull’Iva e relativo aumento delle aliquote che avrebbe un effetto devastante sui consumi e in particolare il food. Alla domanda di De Novellis se e quando il reddito disponibile si potrebbe trasferire sui consumi risponde il Ceo di Iri Angelo Massaro che prevede per fine 2015 una crescita dei consumi alimentari, pari allo 0,2% in volume e allo 0,6% in valore, grazie a un leggero recupero dei prezzi.

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Fonte: Iri

Ripercorrendo il biennio trascorso caratterizzato da vendite con segno negativo in tutte le categorie, Massaro pone l’accento sulla crescita indiscriminata delle promiozioni, fino a toccare una pressione quasi del 30%.

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Fonte:Iri

Ma il livello complessivo di produttività di questa leva di marketing è sceso ulteriormente rispetto al 2013 aumentando il valore delle perdite di ben 117 milioni di euro.

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Fonte: Iri

Ciò significa che la GDO sacrifica circa un 1 punto di crescita dei ricavi sull’altare delle promozioni. Quali le vie alternative per il governo dei prezzi? Massaro auspica un approccio più analitico alle promozioni. Anche se Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez, osserva che a preoccupare non è tanto il 30% di pressione promozionale, ma la sua inefficienza e non efficacia coop  costa meno La decisione di Coop Italia di abbassare i prezzi  di 2.000 prodotti è stata oggetto del dibattito sia perché è una decisione presa dal leader del retail italiano, sia perché l’attesa è forte sui risultati per capire se i tempi sono maturi per una revisione di pratiche commerciali ormai sclerotizzate, che non accontentano più né l’industria né la distribuzione. «Abbiamo deciso di praticare una strategia di posizionamento di prezzo più sano e di disinvestire gradualmente sulle attività promozionali», spiega Pedroni. «Ma se proponiamo all’industria di spostare il valore verso il prezzo tutti i giorni, bisogna che l’industria non adotti politiche di altro tipo con altri retailer».

Questo è infatti uno dei nodi cruciali per capire se l’azione intrapresa da Coop avrà fiato per durare («e non c’è dubbio che come sistema Coop una volta presa la decisione, siamo in grado di sostenerla», puntualizza Pedroni) e quanta parte dell’industria la seguirà agendo in questo modo da effetto moltiplicatore sull’insieme della distribuzione. Infatti, secondo il presidente di Coop Italia, occorre immaginare che ci sia massa critica sufficiente per un’azione di questo tipo che nasce individuando i prodotti più importanti delle marche importanti e i prodotti più importanti a marchio del distributore, che insieme valgono circa il 35-40% del fatturato grocery.

Un’azione che trova l’industria di marca attenta a seguirne gli sviluppi e a valutarne tutti gli effetti. Dice Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez e vicepresidente di Contromarca: «L’operazione di Coop parla di prezzi, ma in realtà dice tutto sull’equità dell’insegna. Per questo va seguita con attenzione». E aggiunge: «Questa crisi ci ha consegnato un numero crescente di persone estremamente sensibile al prezzo, ma vi è una grande maggioranza che invece chiede convenienza, non prezzo. E la convenienza si declina anche in termini di servizio, di tempo, di innovazione. Vi è uno spazio di miglioramento enorme nella collaborazione tra le imprese».

Il discorso su un diverso modo di affrontare le promozioni – Pedroni segnala anche la campagna Scelgo io dedicata ai prodotti a marchio Coop, che vorrebbe poter allargare anche ai prodotti di marca – si allarga presto alla necessità di una collaborazione più trasparente tra industria e distribuzione, fino a prefigurare da parte del presidente Coop il superamento del listing fee, un diverso modo di lavorare per rendere più vivace lo scaffale, non certo le aree promozionali.

Se siamo alla vigilia di un vero cambiamento nelle modalità anche operative tra industria e distribuzione lo vedremo.

Di certo c’è che la guerra dei prezzi non è sostenibile né per l’industria né per la distribuzione.

di Fabrizio Gomarasca

2015 anno della ripresa? Italiani sfiduciati secondo Nielsen

Per Confindustria sarà questo finalmente l’”anno spartiacque”, che vedrà l’uscita dalla lunga recessione iniziata nel 2008. Ma i consumatori italiani, come la vedono? Nera, anzi nerissima secondo il rapporto Nielsen sulla Consumer Confidence aggiornato al quarto trimestre del 2014.

A livello globale l’anno passato si è chiuso in negativo, con un calo di due punti sul trimestre precedente, anche se rispetto allo stesso periodo del 2013 la fiducia dei consumatori è salita di due punti, e dopo due anni di crescita. Le differenze sono molto marcate da regione a regione. Se gli USA, avvantaggiati dalla ripresa dell’occupazione, registrano un indice sopra la media di 106 l’Europa è fanalino di coda con un indice di 76, ma il Paese con il tasso di fiducia più basso al mondo è proprio l’Italia, che registra un mero 45.

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Vecchio Continente sfiduciato, vecchia Italia ancor di più

La fiducia in Europa è calata in 20 mercati su 32, e solo la Danimarca ha un punteggio positivo (>100) anche se la Germania si avvicina con 98 punti, e solo in Svizzera e Germania oltre la metà degli intervistati sono ottimisti (49% e 56%). Italia e Francia calano di due punti ma è proprio l’Italia il fanalino di coda del continente (con un indice pari all’anno scorso), mentre cresce la fiducia in Irlanda, trainata da tassi di disoccupazioni in calo e dalla crescita del Pil.

“Se nei mercati emergenti si registra un consolidamento della capacità di acquisto della classe emergente, nelle economie consolidate, come quella italiana, questa ha subito un deciso indebolimento, da cui deriva la difficoltà della ripresa dei consumi – ha dichiarato Giovanni Fantasia, amministratore delegato Nielsen Italia -. A questo fattore si aggiungono gli elementi di criticità provenienti dalla congiuntura internazionale (Ucraina e Medio Oriente). Tale scenario spiega i motivi alla base del mancato incremento dell’indice di fiducia registrato da Nielsen nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non da ultimo, inoltre, si riscontra un crescente divario tra la posizione economica dei giovani e quella delle fasce più mature, considerato l’alto tasso di disoccupazione che si registra tra i primi”.

Il 96% degli italiani ritiene che l’Italia si trovi ancora in fase recessiva: il dato più alto rispetto ai principali Paesi dell’Ue. La preoccupazione maggiore per la quasi totalità del campione riguarda le proprie condizioni lavorative, e il 60% degli italiani pensa che la crisi proseguirà per i prossimi 12 mesi, valore tornato ai livelli del primo trimestre del 2014, dopo la fase positiva registrata nel secondo trimestre. Di conseguenza gli acquisti non sono certo in cima alla lista, specie se voluttuari. Solo il 13% si considera pronto a fare acquisti di qualsiasi genere. Una volta sostenute le spese strettamente necessarie (alimentari, cura casa, bollette, tasse, ecc.), il 39% ritiene giusto destinare ciò che rimane a forme di risparmio. Il 26% lo riserva per i vestiti, il 25% per viaggi e vacanze, il 20% per l’intrattenimento fuori casa (ristoranti e cinema). Solo il 13% si dice propenso a spendere per beni tecnologici e, in misura uguale, a immettere denaro per spese dedicate alla casa.

 

USA in ripresa, Asia e Africa bene, Sud America in difficoltà

Nel resto del mondo le cose vanno meglio, la fiducia aumenta lentamente ma aumenta comunque in più della metà dei Paesi (39 su 60).

11 mercati hanno registrato aumenti di fiducia di due cifre sul 2013 tra questi gli USA (+12) e i Regno Unito (+10) ma anche Romania (+15), India (+14), Egitto (+14) Irlanda (+13) e Bulgaria (+13).

Anche se nel 2013 sono scesi tutti gli indicatori di fiducia dalle prospettive di lavoro (-3), finanze personali (-1) e intenzioni di spesa (-1), tutti questi indicatori sono in crescita sul 2013, tanto che il 49% degli intervistati ritiene che nei prossimi mesi le prospettive di lavoro saranno positive (erano il 47% nel 2013) mentre le intenzioni di spesa sono cresciute dal 38 al 40%.

L’area del mondo che ha registrato i miglioramenti più marcati è il Nord America, dove le aspettative nel mondo del lavoro sono aumentate di ben 12 punti al 50%, lo stato delle finanze personali è sopra di 6 punti e le intenzione di spesa di 12 punti.

Incrementi significativi si sono registrati anche in Africa e Medio Oriente mentre l’America del Sud è l’unica regione che ha arretrato in tutti e tre gli indicatori sull’anno precedente.

“Alcune regioni del mondo non sono ancora fuori dal tunnel, ad esempio l’Eurozona, mentre altre, come la Cina e alcuni Paesi sudamericani, probabilmente stanno entrando un periodo di crescita minore nel 2015” si legge nel rapporto.

Il Nielsen consumer confidence index misura la percezione delle prospettive di lavoro locali, sulle finanze personali e sulle intenzioni di spesa immediate. I livelli di fiducia del consumatore superiori o inferiori a una base di 100 indica gradi di ottimismo o pessimismo. Il Nielsen Global Survey of Consumer Confidence and Spending Intentions, nato nel 2005, misura la fiducia del consumatore le preoccupazioni e le intenzioni di spesa di oltre  30mila intervistati tramite web in 60 Paesi.

Rapporto Ismea-Qualivita: export si conferma traino per Dop e Igp

Al primo posto il Grana Padano DOP, seguito dal Parmigiano-Reggiano DOP e, in terza posizione, dalla Mela Alto Adige IGP. Sono i top seller della speciale classifica elaborata da Qualivita, che misura le performance economiche dei 269 prodotti italiani a denominazione di origine.

Seguono Prosciutto di Parma DOP, Pecorino Romano DOP, Aceto Balsamico di Modena IGP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Speck Alto Adige IGP, Mela Val di Non DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP, Taleggio DOP e Toscano IGP.

Entrando nel dettaglio, il Grana Padano guida la classifica 2014 con circa 885 milioni di euro di fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale, 530 milioni all’export e il 30% della sua produzione che varca i confini nazionali. Poco distanziato è il Parmigiano Reggiano DOP: 809 milioni di euro il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Anche in questo caso il 30% della produzione viene esportato. Terza classificata la Mela Alto adige IGP, principalmente riguardo alla quantità percentuale exportata (pari al 61%) ha comunque buone performance economiche.

Significativi i risultati anche del Prosciutto di Parma DOP (4°): 500 milioni di euro per il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 241 milioni all’export. Il Pecorino Romano (4° pari merito) primeggia soprattutto per la quantità di produzione certificata esportata.

prodotti dop e igp

Il Rapporto sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp e Stg, pubblicato da Ismea e Qualivita segnala una flessione del fatturato delle Dop e Igp, anche se cresce l’export, che si conferma fattore di traino.

Produzione in calo
Nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%. Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Passando ad analizzare i valori di mercato, si osserva un giro di affari potenziale di 13 miliardi di euro di fatturato al consumo – di cui 9 registrati sul mercato nazionale – e di 6,6 miliardi di euro di fatturato alla produzione – di cui 2,4 miliardi sono il fatturato all’export alla dogana (+ 5%).

Per numero di registrazioni, l’Italia si conferma leader con 269 prodotti (161 DOP, 106 IGP, 2 STG); seguono la Francia con 219, la Spagna con 180, il Portogallo con 125, la Grecia con 101. Per quanto riguarda la Germania, il numero totale delle sue denominazioni scende notevolmente a causa della cancellazione della categoria delle acque minerali. Si conferma anche nel 2014 il ruolo attivo dei Paesi dell’Europa dell’Est, che continuano ad aumentare il numero di prodotti registrati.

Il numero totale di denominazioni in Europa al 30 Novembre 2014 è di 1249, suddivise in 583 DOP (46,7% sulle denominazioni totali), 617 IGP (49,4% delle denominazioni) e 49 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,9%)

Molti prodotti, pochi vincitori
Le criticità dei prodotti a denominazione sta nei numeri rilevati dal rapporto Ismea-Qualiivita, che non cambiano i rapporti interni ai 269 prodotti. Vale a dire che osservando il fatturato alla produzione generato dai singoli prodotti, si continua a rilevare una forte concentrazione dei valori su poche denominazioni.

Nel 2013 la quota delle prime dieci DOP e IGP è pari all’81% del fatturato. Inoltre si registra per questo valore un calo dell’1,7%, generatosi a causa esclusivamente della flessione del mercato interno (-5,2%) che sconta ancora le conseguenze della crisi dei consumi. Per lo stesso motivo, il fatturato al consumo sul mercato nazionale registra una flessione del 3,8%. In termini assoluti, nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%.

Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Proprio nel comparto degli oli d’oliva (e degli ortofrutticoli) il rapporto Ismea-Qualivita rileva un’asimmetria nel peso sul totale in termini di numero di denominazioni e di fatturato. Tale asimmetria deriva dal fatto che, nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato, mentre la gran parte dei prodotti realizzano fatturati estremamente limitati.

Per quanto riguarda i comparti, gli ortofrutticoli e cereali si confermano a livello europeo la prima categoria per numero di prodotti con il 27,3% del totale (341 prodotti), seguito a forte distanza dai formaggi con il 17,8% (223 prodotti), dai prodotti a base di carne con 12,4% (155 prodotti), dalle carni fresche 11,8% (147 prodotti) e dagli oli e grassi con 10% (125 prodotti).

La cartina al tornasole di questa situazione è il livello di concentrazione dei comparti.

Quello dei formaggi, che rappresentano il principale comparto delle DOP e IGP, con un’incidenza nel 2013 tra il 54 e il 58 % circa, rispettivamente sul fatturato al consumo nazionale e sul fatturato alla produzione, comprensivo dell’export, continua a essere molto concentrato: i primi due prodotti, Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP, rappresentano il 71% del valore totale alla produzione, i primi cinque quasi il 90% e i primi dieci circa il 97%. Nei prodotti a base di carne, i primi cinque per fatturato alla prima fase di scambio (nell’ordine: Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mortadella Bologna IGP e Speck Alto Adige IGP) rappresentano oltre l’89% del valore totale. Per mon parlare degli ortofrutticoli nei quali le due principali mele coprono in termini di fatturato alla produzione quasi il 78% dei 451 milioni di euro complessivi (di cui 194 realizzati sui mercati esteri).

Questioni aperte
Secondo il presidente di Ismea Ezio Castiglione «Il sistema italiano dei prodotti agroalimentari a denominazione protetta mantiene un buono stato di salute. L’export, ancora in crescita sostenuta, resta tuttavia l’unico elemento trainante. Continua invece a drenare fatturato il mercato interno, anche se i consumi, in una situazione quest’anno un po’ meno critica, stanno tendendo gradualmente a stabilizzarsi. Il più 5% delle vendite all’estero – ha proseguito Castiglione – conferma il successo del Brand Italia oltre confine, dove gli spazi di crescita restano ampi e incoraggianti.

Sfruttare i potenziali significa però agire con maggiore determinazione sulle leve aziendali, in particolare sulla competitività, in un mercato reso nel frattempo più trasparente dal Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’,  impone agli Stati Ue la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi. Cruciale sarà anche l’esito dei negoziati nell’ambito dell’accordo bilaterale con gli Usa. L’inserimento della tutela dei marchi di origine tra i punti fondamentali della trattativa rappresenta un importante passo in avanti: bisognerà adesso tradurlo nei testi attuativi».

Alberto Mattiacci, processore alla Sapienza di Roma evidenzia a sua volta come il valore del sistema IG poggi su tre pilastri connessi: il contributo del food a formare l’identità del Paese e dei suoi cittadini, il rilevante peso che riveste nell’economia nazionale e la salubrità che conferisce alla popolazione. «Questi pilastri – evidenzia il docente – vanno consolidati, attraverso programmi, rispettivamente, di tutela, valorizzazione e controllo, così da innescare un ulteriore circuito virtuoso di sviluppo. In tale scenario, i temi aperti da risolvere attengono la ancora bassa e frammentaria consapevolezza e conoscenza delle DO da parte dei consumatori e gli ancora insufficienti sforzi distributivi (sia come penetrazione che merchandising) e comunicativi»

In particolare il rapporto rileva che il budget dichiarato che viene investito in comunicazione si aggira intorno ai 30 milioni di euro, per il 76% speso dal comparto dei formaggi a DO e per il 15% dei prodotti a base di carne a DO. La scelta preminente tra i media rimane quella della televisione, seguita dalla partecipazione a fiere (nazionali ed estere) e dalla stampa. Marginali gli investimenti sul web.

Da segnalare come i Consorzi di tutela non si avvicinino ancora alla comunicazione social, probabilmente la migliore soluzione comunicativa in termini di rapporto costi-efficacia. Solo il 43% degli organismi di tutela dichiara, infatti, di gestire un canale social per valorizzare la propria IG.

 

Fabrizio Gomarasca

Aspiag Service entra in ESD Italia

Anche Aspiag Service, la concessionaria Despar per il Nord Est si accasa dopo lo scioglimento di Centrale Italiana.“Ieri l’ assemblea dei Soci di ESD Italia ha deliberato un aumento di capitale sociale che è finalizzato all’allargamento della compagine sociale ad Aspiag Service Srl con decorrenza dal 1° gennaio 2015”.

Comicia così la nota diffusa da ESD Italia che, grazie alle ottime performance delle imprese ad essa associate, sviluppa già nel 2014 un volume di acquisti convenzionati pari a 5 miliardi di Euro, destinato a raforzarsi dopo l’ingresso di Aspiag.

«Con le decisioni assunte nel corso dell’Assemblea, ESD Italia prosegue nella propria strategia di rafforzamento, con l’obiettivo primario di divenire sempre più punto di riferimento e polo di aggregazione delle medie aziende d’eccellenza operanti nel nostro Paese – commenta Marcello Poli, Presidente di ESD Italia -. Il nostro è un modello ormai pressoché unico, un modello di Centrale “democratica”, dove ognuno dei Soci ha pari dignità e mette a fattor comune idee evolutive ed iniziative di sviluppo nella relazione con l’Industria».

Dal canto suo Harald Antley, Amministratore Delegato di Aspiag Service, spiega così le ragioni per l’ingresso della società in ESD Italia. «Chiusa l’esperienza pluriennale e positiva in Centrale Italiana, che cesserà la propria attività alla fine dell’anno, riteniamo di aver trovato in ESD Italia il contesto commerciale e strategico ideale per il futuro della nostra azienda: è una centrale in cui convergono imprese eccellenti, in grado non soltanto di generare una efficace sinergia sul mercato, ma anche di esprimere competenza e capacità di innovazione su ampia scala. Apprezziamo inoltre il fatto che ESD non sia una semplice “aggregazione”, ma un contesto democratico, come giustamente sottolinea il Presidente Poli, che favorisce il confronto e lo scambio di know-how tra i partner. Scelta premiante, vista la crescita che la Centrale ha vissuto dalla sua nascita ad oggi, non soltanto in termini di quota di mercato ma anche di qualità».
Nel 2015 la compagine potrà contare su un ulteriore progresso: la crescita del fatturato è prevista in misura del 15%, nonostante il contesto sfavorevole, grazie al contributo di Aspiag e anche alla prevista crescita dei soci storici, Selex Gruppo Commerciale (che da gennaio avrà Il Gigante come nuovo socio), Acqua e Sapone, Agorà Network e Sun.

Expo, puntare sui territori per il business del vino

Expo, una grande vetrina per il mondo del vino made in Italy e una grande occasione di far conoscere il vino italiano a un potenziale pubblico di 20 milioni di visitatori. Ma come fare per trarre vantaggio da Expo? Le aziende se lo chiedono e lo chiedono, perché, nonostante i progetti sul tappeto, poco si sa e poco si riesce a prefigurare.

wine temple
Wine Temple (ph. Alberto Vita)

Se n’è parlato nel corso dell’inaugurazione di Wine Temple, lo spazio enoteca con 7600 bottiglie dei migliori vini italiani, parte dell’hotel Seven Stars e primo tassello di quella che sarà a breve la Gallery Wine Experience, uno spazio multifunzionale con 14 camere di design affacciate su Piazza Duomo, con spazi per incontri e due ristoranti.

L’incontro, organizzato da Business Itaernational-Fiera Milano Media con Marco Polo Experience e Alessandro Rosso Group ha cercato di fornire alcune prime risposte alla domanda iniziale.

Eugenio Pomarici
Eugenio Pomarici (ph. Alberto Vita)

Eugenio Pomarici, docente di economia e presidente della Commissione Economia e diritto dell’Organizzazone internazionale della vite e del vino, ha illustrato come l’Italia veda crescere la propria quota nel commercio mondiale del vino in valore, ma la veda diminuire in volume, replicando quello che viene definito il modello francese. Ma la criticità dell’Italia consiste nel fatto che è primo fornitore nei mercati tradizionali del vino, ma ha una quota modesta in quelli a maggior tasso di crescita (i cosiddetti nuovi consumatori).

In un orizzonte previsionale di crescita della domanda di vino nell’economia globale che rispetti gli elementi standard di qualità, sicurezza, trasparenza, sostenibilità ambientale e autenticità, il sistema del vino italiano può trare grandi vantaggi. Ed Expo rappresenta un’occasione unica per accreditarsi rispetto ai predetti elementi necessari per entrare nella scelta dei consumatori e costruire quella piattaforma di conoscenza diffusa sui vini italiani per rendere più efficaci le strategie di impresa. “Ma – ammonisce Pomarici – le aziende non dovranno contare solo sul brand, potendo valorizzare i vitigni e i territori dai quali provengono i loro vini”.

Un ulteriore contributo è arrivato da Stefano Cordero di Montezemolo, economista e coordinatore scientifico del Wine Business Executive Program, la cui seconda edizione partirà a gennaio ed è rivolto ai manager delle imprese vinicole.

Stefano Cordero di Montezemolo
Stefano Cordero di Montezemolo (ph. Alberto vita)

Cordero di Montezemolo ha posto l’accento su tre questioni.

1)  Bisogna rivolgersi ai mercati che hanno una domanda superiore alla produzione e quindi dove maggiore è l’opportunità di sviluppo. Uno degli errori nei quali incorrono le aziende è quello di “sparare largo” ampliando il portafoglio prodotti  e mettendosi in gioco su molti mercati.

2)  Non sottovalutare il mercato interno, che vale comunque il 50% delle vendite e nei prossimi anni sarà strategico perché ci saranno profonde scremature, aprendo delle opportunità per le aziende che hanno incrementato il fatturato nel mercato interno.

3)  La terza questione riguarda l’organizzazione aziendale e il modo in cui le aziende si devono strutturare. Il settore del vino italiano è molto frammentato, e ciò genera vitalità, ma economicamente è un elemento di debolezza. Occorre creare – ha evidenziato Cordero di Montezemolo – massa critica per essere competitivi sul mercato e dotarsi di sistemi in grado di gestire una fase di forte competizione.  «A questo riguardo oggi il 40/50% della produzione passa da sistemi cooperativi in contrapposizione con aziende private. Io credo che questa contrapposizione possa e debba essere superata. Dobbiamo renderci conto che la produzione di volumi non è un fatto negativo: senza volumi non possiamo pensare che un sistema produttivo possa sostenersi ed effettuare investimenti sui mercati internazionali. Quindi benissimo Expo, ma bisogna fare promozione in loco».

Una tavola rotonda ha concluso l’incontro con la presenza di alcuni imprenditori del vino che hanno ribadito la necessità di associarsi per fare sistema (Marillisa Allegrini dell’omonima cantina), di cogliere la grande promessa di Expo anche da parte delle piccole aziende pensando al futuro (Anselmo Guerrieri Gonzaga di Tenuta San Leonardo). E soprattutto di trovare le motivazioni e le occasioni per portare nei territori di produzione, a visitare le cantine, le masse di visitatori che in sei mesi entreranno in contatto con le eccellenze agoalimentari italiane. E il vino è una delle più accreditate.

 

Fabrizio Gomarasca

 

Conad chiude a +1,5% il 2014. A febbraio lo sbarco in Cina

Nel consueto incontro con la stampa di fine anno l’amministratore delegato di Conad  Francesco Pugliese ha presentato il preconsuntivo 2014 e i programmi di Conad per il 2015, non senza dare qualche stoccata all’industria di marca.
Cominciamo dai numeri.

Nel 2014 Conad registra una performance in controtendenza rispetto all’andamento del mercato, con il giro d’affari attestato a 11,73 miliardi di euro – 173 milioni in più del 2013 –, in crescita dell’1,5 per cento (fonte: Fatturato Rete Conad). Risultato ottenuto con la riqualificazione della rete di vendita e un piano strategico di sviluppo realizzato anche per linee esterne (Billa, Despar e Eurospar). La rete è cresciuta con 351 punti di vendita, 89 dei quali rappresentati da nuove aperture mentre il resto sono ristrutturazioni o cambi di insegna. L’investimento complessivo è stato di 350 milioni di euro e ha creato 1.890 nuovi posti di lavoro, portando il totale a 48.604.

Ad inizio 2015 la rete si amplierà con altri 40 punti di vendita Billa, frutto di acquisizioni per 38.581 mq e un fatturato stimato di 205 milioni di euro. Servirà a incrementare la quota di mercato, salita quest’anno all’11,4 per cento, e rafforzare la leadership nel canale supermercati, ora al 18,6 per cento (+0,4 punti percentuali rispetto al 2013), e nei punti di vendita di prossimità, al 14,3 per cento (fonte: Guida Nielsen Largo Consumo).

La rete
SuperstoreNel complesso la rete di vendita cresce di 33.818 mq, pur essendo diminuita di 12 unità rispetto al 2013 a causa della riorganizzazione: i punti di vendita sono 3.007 (37 Conad Ipermercato, 192 Conad Superstore, 1.003 Conad, 970 Conad City, 560 Margherita Conad, 180 Todis e 65 altri canali) per 1.784.461 mq di superficie. Una rete che soddisfa ogni esigenza di acquisto e che è improntata all’impegno per l’italianità dei prodotti.  “Dopo la chiusura del rapporto con Leclerc abbiamo riportato gli ipermercati sotto l’insegna Conad. 22 li abbiamo trasformati in Superstore, altri li abbiamo ridimensionati nela superficie. Oggi tutti gli ipermercati viaggiano con una crescita dell’1%. Le operazioni di rebranding saranno terminate nel corso del 2015” ha detto Pugliese.

“Non abbiamo bisogni di metro quadrati in più, ma di punti vendita in line con le esigenze di oggi. Oggi abbiamo verificato che rimodernare il punto vendita genera da subito un aumento di vendite del 25-30%. Realizzarne uno nuovo ha dei tempi, anche da questo punto di vista, decisamente più lunghi”.

Promozioni=cocaina
Sull’industria di marca, rilevando come il 53% delle aziende del largo consumo ha ridotto gli investimenti in comunicazione nei primi 9 mesi del 2014, il 40% ha ridotto la comunicazione e aumentato le promozioni e solo il restante ha investito di più in comunicazione e ridotto le promozioni, Pugliese ha affermato: “La pressione promozionale è una droga che prima o poi ci travolgerà. Sono come la cocaina che dà dipendenza dopo averla assunta la prima volta. Come porvi rimedio? Noi abbiamo scelto due strade: la valorizzazione dell’insegna e la targettizzazione dei clienti. Perché il commercio deve passare dalla massificazione alla targettizzazione dell’offerta. Non parlo delle promozoni ad personam. Quelle sono nel libro dei sogni. Noi stiamo sviluppando un sistema di scavo nei big data dei comportamenti dei nostri clienti in tutti i touch point per individuare dei cluster su cui lavorare.
Già nel 2014 come Conad abbiamo ridotto la pressione promozionale di un punto percentuale. Occorre arrivare a un corretto posizionamento del prezzo dei prodotti”.

 Robin Hood e lo sceriffo di Nottingham
“Non siamo Robin Hood. Come distributori negli ultimi cinque anni abbiamo visto i nostri margini scendere sempre di un po’, i bilanci dell’industria crescono. Noi stiamo ridando alla gente ciò di cui ha bisogno, ma non possiamo durare a lungo”.

La Marca del distributore
Per il primo anno la MDD segna il passo. “Per gli altri. In Conad è cresciuta del 5,4% a valore e del 2,7% a volume. Mi piacerebbe sapere quante sono le industrie di marca che possono vantare questi dati. Se hanno volumi e valori in negativo, si chiedano perché.
Ma se poi analizziamo meglio, la quota della MDD sulle vendite totali è del 27,2% (contro il 19,1% del mercato), allineata con le performance europee e la differenza con la media italiana è del +8,1%, quasi raddoppiata rispetto al 2007 quando era del 4,8%. Ciò significa che Conad da un grande contributo alla crescita della MDD nel suo complesso”.

La produttività
produttivita gdo«Rispetto alla produttività media italiana di 5.350 euro al metro quadrato, Conad registra 6.160 euro/mq. Ma con una superficie media per punto vendita di 600 metri quadrati, molto inferiore rispetto  a Coop, Iper, Eurospin che la precedono. Non considero Esselunga perché è un fuoriclasse: con i suoi 18.020 euro al metro quadrato si confronta con i migliori europei. Ma anche Conad in area 1 e 2 ha già varcato le Alpi, con oltre 11.000 euro al metro quadrato e i punti vendita Sapori & Dintorni raggiungono la punta d’eccellenza di 21 mila euro al mq”.

Le minacce
C’è una spada di Damocle che pende sulla distribuzione italiana, già provata da due anni di calo dei consumi: si chiama reverse charge dell’Iva. «Se sarà definitivamente approvata nella legge di stabilità, la reverse charge sarà un’altra bella botta per la liquidità dei distributori, pari a tre volte l’effetto dell’articolo 62.

La Cina è vicina
Finalmente qualcuno dei (pochi) grandi retailer tricolori ci ha pensato ad andare in Cina per veicolare l’italian food, uno dei pochi valori italiani a mettere d’accordo tutti. E così lo fa Conad, che si è accordato con un imprenditore cinese e con un’azienda statale che apriranno a febbraio cinque punti vendita a Shanghai e in due province con un assortimento di250 prodotti Sapori e Dintorni (che si chiameranno Creazioni d’Italia) e Conad tra fresco, secco, surgelati e vini. “L’obiettivo è di aprire 1000 punti vendita e di espandere il modello cooperativo di Conad in Cina, puntando sul nostro dna di imprese di persone”.
Oltre a ciò saranno installate 400 vending machines in tutta la Cina contenenti prodotti monoporzione in assaggio. Chi li acquista, li prova e se gli piacciono può ordinare via internet con consegna in tutto il Paese in 24 ore.
Nel 2014 l’export di Conad ha superato i 60 milioni di euro alla vendita. Dalla Cina arriverà un deciso incremento.

L’alleanza con Finiper
“Per scelta condivisa non faremo acquisti insieme a Finiper nelle piccole e medie imprese. L’accordo è decennale ed è un’alleancza che vuole essere di più di quello che si vede oggi. Sono tante le aree di scambio e gli effetti si vedranno con il tempo”.

Il Natale alle porte
“Secondo le nostre stime, dall’avvio della campagna di vendita per le feste, non siamo molto ottimisti. Se le cose vanno bene il Natale si potrà chiudere con un -1,5/1,8% rispetto al 2013. Nellìipotesi peggiore registreremo -2,5/2,8% sull’anno scorso”. In assoluto vale a dire 200-300 milioni di euro, passando dai 10,8 miliardi spesi nel 2013 ai 10,5-10,6 stimati nel 2014

 

Fabrizio Gomarasca

Infografica: Manpower prevede una lieve ripresa dell’occupazione. In calo il commercio

Manpower ha rilasciato le previsioni per il primo trimestre 2015 sull’occupazione, sintetizzate nell’infografica. Come si vede, si prevede un calo dell’occupazione di 2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, che porta l’occupazione netta a -5%, ma una crescita di 5 punti sullo stesso periodo del 2014.

I datori di lavoro delle aziende di grandi dimensioni (250 o più dipendenti) prevedono una crescita del personale nei prossimi tre mesi segnalando una previsione netta sull’occupazione pari a +9%.  Tuttavia, si prevede che il numero delle assunzioni subirà un calo sia nelle micro aziende (meno di 10 dipendenti) che nelle piccole aziende (10-49 dipendenti), per le quali la previsione si attesta rispettivamente al -8% e al -3%.

Quanto ai settori, le prospettive d’assunzione migliorano in quattro dei 10 settori industriali rispetto al 4 trimestre del 2014  e in due delle quattro regioni rispetto allo scorso anno.

Infografica Previsioni Occupazione  1° trimestre 15 Italia

 

La previsione per il settore trasporti e comunicazioni si attesta a +7%, mentre i datori di lavoro prevedono un aumento dell’occupazione, con una previsione pari a +3% sia nel settore finanziario, assicurativo, immobiliare e servizi alle imprese che nel settore ristoranti e alberghi.

Si prevede invece che i mercati del lavoro più deboli saranno quelli dei settori edile e minerario ed estrattivo, dove la previsione netta sull’occupazione si attesta rispettivamente al -29% e al -23%. Deboli prospettive occupazionali sono riportate anche nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, con previsioni pari a -11%.

Secondo i datori di lavoro intervistati nel prossimo trimestre il mercato del lavoro nel settore commercio all’ingrosso e al dettaglio continuerà a dare segnali negativi. Le intenzioni di assunzione mostrano il segno negativo in ogni trimestre da quasi sette anni. Tuttavia, la previsione resta relativamente stabile rispetto al trimestre precedente e migliora di ben 19 punti percentuali rispetto allo scorso anno.

«Le prospettive d’assunzione per il nuovo anno ci mostrano segnali positive e incoraggianti. – sotolinea Stefano Scabbio, Presidente e Amministratore Delegato di ManpowerGroup Italia e Iberia – Non siamo ancora fuori dalla crisi , ma la nuova riforma del lavoro è un passo importante e fondamentale per rilanciare l’economia in Italia. I datori di lavoro devono essere preparati per la ripresa. La chiave sta nell’attrarre e trattenere i talenti migliori e adottare un approccio al lavoro più flessibile in modo tale che si possono valorizzare tutte le competenze nel posto giusto e al momento giusto».

 

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