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Cina prossima frontiera della Gdo? Walmart apre altri 115 pdv

In Occidente la guerra dei prezzi morde i profitti e le insegne della GDO soffrono. Sempre più guardano allora ai grandi mercati emergenti (in realtà già emersi da tempo) come modo per sistemare i conti. Primo tra questi la Cina. Così Walmart, che ieri ha annunciato l’apertura di altri 115 punti vendita nel Paese asiatico entro il 2017. Le nuove aperture di concentreranno nelle grandi città, come Shanghai, Shenzhen e Wuhan, e andranno ad  aggiungersi ai 411 pdv Walmart in Cina creando 30mila nuovi posti di lavoro. Allo stesso tempo però il gigante americano, numero uno della GDO mondiale, chiuderà gli store meno performanti (dopo averne chiusi 29 lo scorso anno), mentre 50 di questi saranno ristrutturati con un investimento di 60 milioni di dollari. Perché in realtà qui sta il punto: le vendite cinesi di Walmart hanno lo scorso anno subito un rallentamento, e così è successo a Tesco e Carrefour, mentre Auchan nel 2014 ha dichiarato un “traino” da parte dei suoi ipermercati cinesi su uno scenario sempre più internazionale (ormai la Francia risponde per il 33,5% delle vendite). “Anche se c’è stato un rallentamento delle vendite, abbiamo guadagnato quote di mercato negli ipermercati” ha detto Scott Price, capo delle operazioni asiatiche di WalMart.

“Vogliamo diventare parte dell’economica cinese” ha spiegato così la strategia dell’insegna l’Ad Doug McMillon durante una conferenza stampa a Pechino. Potenziato anche l’e-commerce con il sito Yihaodian.com che offre oggi ben 8 milioni di articoli.

Confcommercio compie 70 anni: come sono cambiati i consumi degli italiani

Un reparto ortofrutta di oggi (Unes) e Venditori ambulanti di cavolfiori espongono la merce su carretti, foto di Federico Patellani (Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo)

Il 29 aprile ci sarà la manifestazione ufficiale per i 70 anni di Confcommercio.  Fondata nel 1945, su iniziativa di alcune libere Associazioni dei Commercianti provinciali del Centro-Sud e di categoria, la Confederazione del commercio e del turismo ha seguito l’evoluzione della società italiana in questi settant’anni. Ed è interessante la ricostruzione che fa del cambiamento dei consumi delle famiglie in questo arco di tempo, prendendo come punto di riferimento il 1938, due anni prima dell’entrata in guerra.

Alla fine della seconda guerra mondiale, in un contesto di sopravvivenza, i consumi delle famiglie italiane erano rivolti per circa l’80% a generi alimentari e bevande (negli anni prebellici erano intorno al 54%). Mediamente il prezzo del pane, calcolato con i valori attuali in euro, era pari a poco più di un euro al chilo, un litro di latte costava 1,03 euro, un chilo di pasta circa 2 euro, un chilo di carne bovina 13 euro.Schermata 2015-04-27 alle 10.42.35

Già nel 1955 i consumi si erano diversificati e la quota di consumo dei beni e servizi aveva raggiunto il 39%, mentre i generi alimentari scendevano al 50%. Questa tendenza negli ultimi 60 anni si è progressivamente accentuata.

Oggi, in una società post-industriale e fortemente terziarizzata, il consumo di beni e servizi non alimentari supera il 75%, mentre la spesa per i prodotti alimentari rappresenta meno del 20%.

Fermo restando la diversificazione nella qualità e nella varietà dei prodotti in commercio, attualmente un chilo di pane costa in media 2,80 euro, la pasta 1,60 euro al chilo, un litro di latte 1,55 euro, la carne bovina poco più di 16 euro. Per pasta, uova ed olio i prezzi sono in media più bassi che negli anni ’50.

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Anche il sistema distributivo è radicalmente cambiato. Nell’immediato dopoguerra gli esercizi commerciali totali al dettaglio non raggiungevano le 800mila unità, di cui circa 250 mila erano operatori in forma ambulante.

Migliorando nel corso degli anni ‘60 e ‘70 le condizioni di vita e di reddito dei cittadini, la rete degli esercizi si è ampliata sul territorio superando nel 1971 complessivamente 1 milione di unità. Oggi la rete si è assestata al di sotto dei 950 mila unità di cui otre 188mila ambulanti.

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Nel 1945 l’Italia era povera e, pur uscendo da un lungo e doloroso conflitto bellico, evidenziava un debito per abitante inferiore rispetto al reddito prodotto. Negli anni ’60 si registrava il “periodo d’oro”, con un Pil per abitante, calcolato con i valori attuali, che, sulla spinta del boom economico, superava i 9mila euro e un debito pubblico che per ogni italiano era di soli 2.300 euro: il Pil prodotto era 4 volte circa superiore al debito accumulato. A partire dagli anni ‘70 il divario tra Pil e debito pubblico si è iniziato ad assottigliare per invertirsi completamente dagli anni ‘90. Oggi a fronte di un Pil per abitante pari a circa 27 mila euro, ci sono oltre 35mila euro di debito per ogni italiano.

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Unicoop Firenze: vendite in calo nel 2014, ma cresce la produttività e i soci superano il milione

Sono cominciate il 9 aprile e si protrarranno fino al 4 maggio le assemblee dei soci di Unicoop Firenze per conoscere e discutere il bilancio 2014.

Un anno, si legge in una nota pubblicata sul sito della cooperativa, di calo dei consumi anche alimentari e quindi la “coperta” delle vendite si è fatta più corta per tutti gli operatori commerciali.

In questa situazione, la cooperativa ha registrato nel 2014 vendite inferiori rispetto all’anno precedente, scontando in gran parte la trasformazione degli ipermercati in grandi supermercati alimentari: una perdita di area di vendita di quasi il 5%.

A questo occorre aggiungere una riduzione dei prezzi di vendita dello 0,7 per cento. Ma è aumentata la produttività e sono stati ridotti i costi di gestione; quindi il risultato commerciale sarà nel complesso positivo.

Un altro dato estremamente positivo – sottolinea la nota – è che i “soci attivi”, quelli che hanno fatto almeno una spesa nei punti vendita di Unicoop Firenze in un anno hanno superato il milione, l’1,71 per cento in più rispetto all’anno precedente. In generale i soci hanno apprezzato la politica di riduzione dei prezzi con la riduzione per ben mille prodotti a marchio Coop, ai quali si sono aggiunti a febbraio altri mille prodotti, anche di marca.

Crai rafforza i legami con il territorio e il fatturato 2014 vola a +24%

Attivo nella distribuzione moderna con 3000 punti vendita  in più di 1000 comuni Italiani, Crai chiude il 2014 con un fatturato di 4.850milioni di euro, in crescita del 24%, a suggello di un anno in cui la focalizzazione sul punto vendita ha rafforzato l’identità d’insegna che sempre più punta a soddisfare la tendenza al ritorno ai negozi di prossimità e la tendenza a ricercare elevati livelli di qualità e servizio.

“La soddisfazione cresce – dichiara Marco Bordoli, Amministratore Delegato CRAI Secom – se si considera l’attuale situazione economica con trend ancora negativo. Per fronteggiare la crisi dei consumi e attrarre sia nuovi operatori commerciali, sia nuovi clienti, abbiamo attuato alcune azioni per noi determinanti ai fini del successo: nuovo posizionamento strategico della marca “Nel cuore dell’Italia”, nuovo format per i punti vendita; forte spinta alla marca privata con attenzione alla gamma di prodotti di qualità; potenziamento della rete multicanale sul territorio e nuovo assetto organizzativo della centrale. Inoltre, al comparto food si aggiunge la forte presenza anche nel settore Drug, con oltre 1000 negozi in Italia. Oggi – continua Bordoli – siamo tra i principali leader nella formula distributiva multicanale.”

Crai infatti presidia il canale alimentare e l’area dei prodotti cura casa e cura persona (canale drug), dove i punti vendita sono cresciuti nel corso del 2014 rispettivamente di 323 e 270 unità. La focalizzazione sul punto vendita ha poi rafforzato l’identità d’insegna che sempre più punta a soddisfare la tendenza al ritorno ai negozi di prossimità e la tendenza a ricercare elevati livelli di qualità e servizio

Significativa la crescita dei prodotti a marchio del distributore che registrano una crescita dell’1% sul 2103 e rappresentano il 19,28% delle vendite. Tra questi sono da segnalare le buone performance della linea Piaceri italiani (titicità del territorio) e  Giardino Cosmetico (prodotti di bellezza con principi funzionali biologici).

Nel corso del 2014 si è anche concretizzata la partnership con Sisa all’interno della centrale d’acquisto con Auchan, terza in Italia, in grado di  garantire sinergie sia a livello di strutture nazionali che a livello di territori.

“Il percorso di rinnovamento di CRAI ha portato anche alla riorganizzazione dell’organigramma con l’ottimizzazione dei ruoli per una maggiore efficienza delle diverse attività. Il nuovo assetto ha ridefinito le responsabilità delle aree operative più strategiche – commenta Marco Bordoli – nuove persone e nuove funzioni hanno portato nuova linfa nel gruppo e i risultati sono visibili”.

Esselunga archivia un 2014 positivo e spinge sugli investimenti

Il 2014 si è chiuso per il Gruppo Esselunga con vendite in linea con l’anno precedente a 7.013 milioni di euro (+0,8%) nonostante una deflazione del 1,6% dei prezzi di vendita al dettaglio e una generale contrazione del mercato nella Gdo. In crescita del 3,2% il Margine operativo lordo a 521 milioni di euro e del 2% il Risultato operativo pari a 335 milioni di euro. È di 212 milioni di euro l’utile netto (210 nel 2013)

Si conferma, secondo la nota diramata dall’azienda a seguito del condisco di amministrazione, la vicinanza di Esselunga con i suoi clienti, che sono cresciuti dell’8,5%.

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Importanti gli investimenti, che sono ammontati a 400 milioni di euro, portando a 1,8 miliardi quelli effettuati negli ultimi cinque anni. Nel 2’014 infatti sono stati aperti nove punti vendita a Calco (Lecco), Aprilia, Milano Porta Vittoria, Novara, Prato Leonardo, Parma via Emilia Ovest, Saronno (Varese), Firenze Galluzzo e Marlia (Lucca) e il polo logistico di Campi Bisanzio (Firenze).

Nel corso del 2015 è previsto un ulteriore sviluppo della rete vendita che è già iniziato con l’apertura del 150° negozio a Milano in via Adriano, sull’area dove un tempo sorgevano i capannoni della Ercole e della Magneti Marelli.

Per una analisi delle performance economico-finanziarie di Esselunga 2013 con una proiezione 2014 e 2015 potete acquistare il Report inStore realizzato da DGM in formato Pdf direttamente da qui al prezzo di 79 euro+Iva. 

 

Ref Ricerche: l’Italia alla prova della deflazione buona

Nell’articolo pubblicato sull’ultimo numero di inStore, Fulvio Bersanetti , economista di Ref. Ricerche scrive: “Le prime settimane del 2015 hanno certificato il passaggio dell’inflazione in campo negativo, in una misura compresa tra il -0,6% rilevato a gennaio ed il -0,2% di febbraio (v. grafico). L’Italia è dunque tornata in deflazione, come nello scorso mese di settembre: ciò significa che i prezzi al consumo dei beni e dei servizi acquistati dalle famiglie risultano più convenienti se messi a confronto con quelli praticati a gennaio e febbraio 2014.

Si è a lungo dibattuto sugli effetti nocivi che una discesa prolungata dei prezzi finirebbe per produrre sul sistema economico, come insegna l’esperienza giapponese a partire dalla metà degli anni Novanta: in prima battuta un trend deflattivo spinge i consumatori a rimandare gli acquisti, in quanto ad ogni rinvio corrisponde un risparmio crescente. Nel medio termine questi comportamenti contribuiscono a deprimere i consumi delle famiglie ed a ridurre i margini delle imprese produttive, innescando una spirale deflazione-recessione economica dalla quale è assai difficile risollevarsi”.

Proseguendo nell’articolo, Bersanetti afferma che in realtà si tratta di una deflazione ‘buona’ per le implicazioni sul potere d’acquisto delle famiglie, “riconducibile in larga parte a uno shock esterno quale la caduta delle quotazioni petrolifere”  con possibili effetti sulla ripresa anche alla luce dell’avvio, qualche settimana fa, del Quantitative Easing della Bce.

Potetee leggere l’articolo integrale, dal titolo Whatever it takes: l’Italia alla prova deflazione,  nella versione sfogliabile di inStore

Unicomm e MaxiDi danno vita a Unimax

Marcello Cestaro (a sinistra) e Dario Brendolan

Dopo anni di collaborazione all’interno di Selex Unicomm e Maxi Di uniscono le forze e fanno nascere Unimax, un “progetto che li porterà ad affrontare al meglio i profondi cambiamenti che la crisi economica degli ultimi anni ha prodotto nel nostro paese anche nel settore della distribuzione moderna”, come recita una nota diffusa da Selex.

Gli effetti della crisi degli ultimi anni stanno ormai contribuendo a disegnare un panorama distributivo in Italia dove la parola d’ordine è quella di recuperare efficienza a tutti i costi acquisendo reti dismesse da altri (Conad e Carrefour che hanno rilevato gran parte dei punti vendita Billa), fondendosi (le Coop emiliane) o aggregando le forze come è il caso dei due retailer veneti, storici cavalli di razza della Do italiana.

I due gruppi fanno capo alle famiglie venete Brendolan (Unicomm) e Cestaro (MaxiDi),  occupano oltre 13.000 addetti ed hanno sviluppato nel 2014 un fatturato di 4,1 mld di euro, con una rete vendita di 1.110 punti vendita tra cui 25 ipermercati, 259 supermercati e 64 Cash & Carry. La superficie di vendita supera un milione di mq ed è distribuita in dodici regioni con una quota di mercato superiore al 4,5%.

«La crisi ha prodotto un grosso cambiamento ed il futuro va affrontato con criteri e mezzi diversi – hanno dichiarato Dario Brendolan ed Marcello Cestaro presidenti dei due gruppi promotori dell’iniziativasoprattutto recuperando efficienza e risparmio da trasferire al cliente».

Unimax inizia la propria attività condividendo da subito i piani commerciali e di marketing del 2015, avviando un percorso di sinergie logistiche, informatiche e gestionali.

La gestione commerciale e marketing di UNIMAX è affidata a Stefano Brendolan e Giancarlo Paola.

I due gruppi hanno un piano di sviluppo che li porterà ad investire 200 milioni di euro nel prossimo triennio tra nuove aperture e ammodernamento della rete esistente.

MaxiDi e Unicomm sono le prime due imprese del Gruppo Selex, terzo operatore della grande distribuzione italiana, con 16 Imprese regionali associate che gestiscono oltre 2.400 punti di vendita ed oltre 31.000 addetti, per un fatturato al consumo 2014 di quasi  9 mld di euro.

Dall’Osservatorio Economico GS1 Italy aspettative di crescita e focus sulla filiera agroalimentare

La XX edizione dell’Osservatorio economico di GS1 Italy | Indicod-Ecr, che ogni sei mesi dal 2005 rileva il sentiment delle imprese del largo consumo associate, registra un significativo orientamento positivo nelle aspettative sul futuro, che vale per tutti i principali indici economici:ž dalla situazione economica generale del paese, che da 49 passa a 88, all’occupazione, che da 61 arriva a 85, agli investimenti, 87 contro 65 della scorsa edizione.

Questo orientamento ottimistico al futuro spinge verso l’alto il clima di fiducia generale, il cui indicatore da 64 arriva a 74. Anche le percezioni e le attese del giro d’affari nel proprio settore registrano un aumento:da 46 a 71 le percezioni  e da 73 a 90 le attese.

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A commento delle percezioni sull’andamento economico, Marco Cuppini, direttore del Centro Studi di GS1 Italy | Indicod-Ecr, rileva che «le aziende del largo consumo manifestano primi, deboli segnali positivi, e si rivelano più caute sulla percezione del presente, ma maggiormente ottimiste rispetto alle aspettative: la fiducia prosegue nel suo andamento altalenante».

Nel dettaglio delle percezioni relative al secondo semestre del 2014, le imprese del largo consumo sono maggiormente ottimiste rispetto alla situazione economica generale del paese (che da 39 passa a 55) e un po’ più caute su occupazione (da 50 a 51) e investimenti (da 65 a 61).

La filiera alimentare: un bene da valorizzare
In questa edizione l’Osservatorio ha dedicato un focus speciale al tema della “filiera agroalimentare”: per il 71,6% delle aziende rispondenti (che arriva all’81,8% nella GDO) l’Italia ha una forte vocazione al “mangiar bene” riconosciuta anche oltre confine, che si collega al principio secondo cui “mangiar bene vuol dire vivere meglio”, condiviso dal 68,8% delle imprese manifatturiere rispondenti.

«Di fronte a fattori di eccellenza come la filiera agroalimentare» spiega Marco Cuppini «le aziende sono pronte a riconoscerne il valore e auspicano interventi mirati a rilanciare opportunità di crescita sia in Italia sia all’estero».

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Sarebbe utile per il 60% delle imprese manifatturiere e GDO valorizzare un “modello italiano” basato su tradizione-cultura-modernizzazione che possa essere riconosciuto anche all’estero, oltre a predisporre interventi mirati ad attrarre investimenti, a sostenere l’export (62% dei rispondenti) e a consolidare la collaborazione tra gli operatori della filiera, come sottolinea il 73% circa della GDO rispondente.

La sintesi e tutti i risultati dell’Osservatorio Economico suddivisi per Tipologia di impreseMisure e Indicatori possono essere consultati qui

La fusione Kraft -Heinz dà vita al quinto operatore mondiale nel food

Il gigantismo delle multinazionali non conosce fine e dall’annuncio della fusione tra H.J. Heinz Company e Kraft Foods Group nasce il terzo operatore nel food & beverage negli Stati Uniti e il quinto a livello mondiale. La nuova azienda si chiamerà The Kraft Heinz Company e potrà contare su un fatturato di circa 28 miliardi di dollari con otto brand da oltre un miliardo di fatturato e altri cinque compresi tra 500 milioni e un miliardo.

Numerose le categorie di prodotti in portafoglio alla nuova società: dalla salsa ketchup alla maionese, dalle zuppe agli snack ali prodotti per l’infanzia. Tra i marchi più noti anche al mercato italiano Heinz, Wheigt Watchers e Plasmon

Ismea: in crescita l’export del vino italiano. Bene soprattutto gli spumanti (+14%) grazie al boom del Prosecco

Foto Ennevi-Veronafiere

Buone notizie per l’export di vino italiano alla vigilia del Vinitaly.

Con un fatturato di 5,1 miliardi di euro in crescita dell’1,4% sul 2013, il vino italiano continua ad avanzare sui mercati esteri. È boom in particolare per la spumantistica che chiude l’anno con un incremento di oltre il 14% degli introiti realizzati oltre frontiera.

È quanto emerge in sintesi dalle elaborazioni Ismea sui dati Istat relativi all’intero 2014, da cui si evince anche un avvicendamento al vertice della classifica dei maggiori esportatori mondiali di vino.

Dopo essere stata infatti a lungo il primo fornitore mondiale, l’Italia con 20,4 milioni di ettolitri esportati l’anno scorso (+1% circa sul 2013) è scesa infatti al secondo posto dietro alla Spagna. Il record delle spedizioni iberiche (22,6 milioni di ettolitri, il 22% in più sul 2013), sulla scia di una vendemmia abbondante, è stato accompagnato però da una significativa riduzione dei listini, che hanno determinato una contrazione degli incassi del 5%.

Anche la Francia, sempre prima in termini di fatturato legato all’export vinicolo (7,7 miliardi di euro) ha subito, sottolinea l’Ismea, una battuta d’arresto dei flussi in valore, lasciando l’Italia unica tra i tre big player ad avere incrementato, anche se di poco, il giro d’affari nel 2014.

Una performance, quella dell’Italia, meno brillante rispetto all’incremento del 7% degli introiti evidenziato nel 2013, ma su cui ha pesato il calo dei prezzi all’origine dei vini, scesi di ben 14 punti percentuali sui valori molto alti del 2013.

La crescita seppure limitata dell’export in valore è sintesi di dinamiche divergenti, con lo sfuso in flessione di quasi il 18% e i vini confezionati in crescita del 2%. Sono soprattutto gli spumanti a trainare la crescita degli introiti e, all’interno di questi, il segmento che comprende il Prosecco (+28%). Volendo fare una suddivisione secondo la piramide della qualità si evidenzia come i vini Dop fermi, esclusi quindi spumanti e frizzanti, abbiano sostanzialmente confermato i 4,7 milioni di ettolitri del 2013 con un +1% dei corrispettivi monetari giunti quasi ai 2 miliardi di euro. Bene i vini Igp con un più 4% in valore e male i vini comuni, che cedono il 23% sul valore del 2013. E’ su questo ultimo segmento che la Spagna ha agito in maniera fortemente concorrenziale.

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Analizzando le principali destinazioni, risultano in crescita gli invii verso il mercato statunitense (+4,4% in valore), che da solo copre una quota di oltre il 20% del fatturato oltre frontiera. Una flessione di pari entità ha riguardato invece l’export verso la Germania, principale mercato di sbocco delle esportazioni italiane in termini quantitativi. In aumento del 6% gli incassi nel Regno Unito, terzo nella graduatoria dei principali clienti italiani con un quantitativo molto vicino a quello degli Usa. Scendendo lungo l’elenco delle destinazioni si evidenzia un andamento positivo in Svizzera (+1,8%) e nei Paesi Bassi (+3,4) a fronte di una flessione in Canada (-1,5%), Giappone (-1%), Francia (-5,3%) e Russia (-10,4%).

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