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Istat: prezzi in crescita, ma non per le famiglie più deboli

Le ultime rilevazioni dell’Istat sull’inflazione per le classi di spesa per le famiglie, mette in luce che nell’arco degli ultimi trimestri per quelle con maggiore capacità di spesa i prezzi sono debolmente aumentati, mentre per quelle a minore capacità di spesa continua una condizione di deflazione. Ma su un arco temporale di dieci anni le cose si invertone. E le famiglie più deboli hanno subito maggiormente il peso dell’aumento dei prezzi.

La debolezza dell’inflazione nel primo semestre 2015, infatt, sia pure con intensità diverse, ha interessato tutti e cinque i gruppi nei quali l’Istat ha suddiviso le famiglie italiane in base alla loro spesa complessiva (dalla più bassa del primo gruppo alla più alta del quinto). Nel secondo trimestre 2015, tuttavia, gli indici armonizzati dei prezzi al consumo mostrano, per tutti i gruppi di famiglie, segnali di una lieve ripresa tendenziale, interrompendo la flessione dei prezzi per due dei quattro gruppi per i quali nel primo trimestre era stata registrata una dinamica deflattiva.

Sempre nel secondo trimestre del 2015, la dinamica tendenziale dei prezzi al consumo (pari in media a +0,1%) è compresa tra lo 0,3%, misurato per le famiglie con i più elevati livelli di spesa (quelle dell’ultimo gruppo), e il -0,2% per le famiglie con spesa media mensile più bassa (quelle del primo gruppo).

Il differenziale di inflazione tra il primo e l’ultimo gruppo di famiglie è dovuto sia alla alla dinamica dei prezzi dei diversi aggregati di prodotto sia al loro peso nelle abitudini di consumo di ciascun gruppo.

La deflazione – che continua a caratterizzare l’andamento dei prezzi per le famiglie con minore capacità di spesa – è da ascrivere soprattutto alla persistente, seppur attenuata, flessione dei prezzi dell’Energia, un aggregato la cui incidenza sul bilancio di questo gruppo di famiglie è più che doppia rispetto a quella dell’ultimo gruppo.

L’accelerazione, per quanto contenuta, della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni industriali non energetici e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona, ha invece un impatto maggiore per le famiglie con livelli di spesa più elevati, che destinano quasi metà dei loro consumi a questi due aggregati.

Su un orizzonte temporale più lungo, i prezzi al consumo delle famiglie del primo gruppo (con i più bassi livelli di spesa) sono aumentati del 21,6% tra il 2005 (anno base degli indici) e la prima metà del 2015. Sullo stesso arco temporale la crescita dei prezzi al consumo per le famiglie con maggiore capacità di spesa è stata pari al 18,3%. Per il complesso delle famiglie la variazione misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo è stata del 19,3%.

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Nell’ultimo anno il peso della componente alimentare si riduce per tutte le sottopopolazioni, a fronte di un diffuso aumento del peso della componente energetica. Aumenta, per tutti e cinque i gruppi di famiglie, il peso dei Servizi, sebbene con differenze importanti per le diverse tipologie di servizi considerate.

Convegno Granarolo a Expo: nel dopo quote latte la cooperazione a difesa della qualità e della filiera

La fine delle quote latte pone tutto il settore lattiero caseario europeo, e in particolare quello italiano, di fronte a degli interrogativi che pesano sul futuro.

Se n’è parlato nel convegno promosso da Granarolo a Expo sul tema “Latte e Cooperazione”.

Lo scenario è infatti caratterizzato da una crescita del commercio agroalimentare mondiale nell’ultimo decennio del 220% in valore a 1.146 miliardi. All’interno dell’export agroalimentare, i prodotti lattiero-caseari hanno un’incidenza pari al 6%, utilizzando circa l’8% della produzione globale di latte con un trend in rapida crescita.

Nel giro di dieci anni, le importazioni lattiero-casearie a livello mondiale sono cresciute del 214%. Su un valore totale di circa 62 miliardi di euro, il 38% fa riferimento a formaggi mentre un altro 28% riguarda latte in polvere; il rimanente 34% si ripartisce principalmente tra latte (non in polvere), burro e siero.

Rabobank prevede che entro il 2020 il volume dei commerci mondiali dovranno crescere del 25% per soddisfare la domanda in crescita.

Nel caso dei formaggi, ad esempio, l’Unione Europea rappresenta il principale mercato al mondo, con livelli di consumi pro-capite tra i più elevati (17,5 kg/annui contro i 3 kg di media mondiale). Negli Stati Uniti il consumo pro-capite è pari a 15,4 kg/annui; in Russia e Brasile il dato è molto più basso e si attesta a rispettivamente a 6,1 kg/annui e 3,7 kg/annui.

La crescita della domanda, dominata nel mondo dai mercati emergenti, mentre nei paesi sviluppati si registrerà una crescita lenta, è però guidata da una volatilità dei prezzi al ribasso, in cui l’Europa è diventata più competitiva, ma non a sufficienza, avendo necessità di un consolidamento e un rafforzamento degli allevatori, oggi eccessivamente frammentati. «Per le aziende di piccole dimensionisarà difficile sopravvivere in un mondo eccessivamente volatile – afferma Kevin Bellamy, senior dairy analist di Robobank – ma in questo scenario possono rafforzarsi attraverso il modello della cooperazione. Anzi proprio la cooperazione continua a svilupparsi in Europa in varie direzioni».

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Le cooperative hanno un ruolo fondamentale nel soddisfare i bisogni alimentari mondiali. Il modello cooperativo caratterizza il mercato del latte in molti paesi del mondo ed in particolare in Europa dove ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo della sicurezza e della qualità alimentare, modello di valorizzazione del territorio, della conoscenza, generatore di economia e lavoro. In sintesi, le cooperative agricole sono alla base dell’organizzazione agricola e della produzione alimentare. Dell’impertanza del rolo della cooperazione nella filiera del latte sono testimonianza non solo Granarolo, terza azienda alimentare italiana con oltre 1 miliardi di euro di fatturato, ma anche un colosso come l’olandese Friesland Campina, che opera in 32 Paesi con un fatturato di 11,3 miliardi di euro e più di 19 mila soci conferitori che possiedono la cooperativa e la francese Sodial con i suoi 14 mila cooperatori e un fatturato di 5 miliardi di euro.

«Crediamo che il modello cooperativo – sottolinea il presidente di Granarolo Giampiero Calzolari – rappresenti in Italia e in Europa, ancor più nel dopo quote latte, un modello che possa offrire tutela delle filiere agroalimentari nazionali grazie alla conoscenza dei territori e alla capacità di sostenere il sistema agroallevatoriale consentendo il rispetto e la valorizzazione della qualità della materia prima».

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Paolo De Castro

Anche perché il dopo quote latte si è rivelato una specie di disastro. «Dopo la fine dei sostegni europei al settore – aggiunge Paolo De Castro, Coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento Europeo, abbiamo assistito a un aumento medio del 5% della produzione. Lo stesso pacchetto latte votato dal parlamento avrebbe dovuto introdurre una programmazione produttiva dei formaggi e assicurare un’atterraggio morbido nella gestione della nuova situazione. Così non è stato. Ma è sufficiente la regolamentazione per sostenere la volatiloità dei prezzi?», si chiede De Castro. La risposta è che nel beve non ci saranno regole e questa lunga fase di prezzi bassi può portare alla chiusura di decine di migliaia di allevamenti. «Bisogna sostenere le aree più deboli altrimenti la pressione sui prezzi di quelle più competitive le faranno soccombere, intervendo sul livello organizzativo delle imprese. Nel breve, però non ci saranno regole».

Istat: dopo due anni è stabile la povertà in Italia. Ma ancora uno su dieci non ha un pasto regolare

Si mantiene stabile, dopo due anni di aumento, l’incidenza della povertà  assoluta  in Italia. Secondo i dati dell’Istat diffusi oggi nel 2014, sono 1 milione e 470 mila le famiglie (5,7% di quelle residenti) in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente). Non si registrano variazioni significative anche sul territorio: 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all’8,6% nel Mezzogiorno.

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Migliora la situazione delle coppie con figli (tra quelle che ne hanno due l’incidenza di povertà assoluta passa dall’8,6% al 5,9%), e delle famiglie con a capo una persona tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4% al 6%); la povertà assoluta diminuisce anche tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7% al 16,2%), a seguito del fatto che più spesso, rispetto al 2013, queste famiglie hanno al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro.

Nonostante il calo (dal 12,1 al 9,2%), la povertà assoluta, rileva l’Istituto di Statistica,  rimane quasi doppia nei piccoli comuni del Mezzogiorno rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane della stessa ripartizione (5,8%). Il contrario accade al Nord, dove la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane (7,4%) rispetto ai restanti comuni (3,2% tra i grandi, 3,9% tra i piccoli).

Tra le famiglie con stranieri la povertà assoluta è più diffusa che nelle famiglie composte solamente da italiani: dal 4,3% di queste ultime (in leggero miglioramento rispetto al 5,1% del 2013) al 12,9% per le famiglie miste fino al 23,4% per quelle composte da soli stranieri. Al Nord e al Centro la povertà tra le famiglie di stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa tripla.

Anche la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone.

Una recente ricerca dell’Università Cattolica per il Banco Alimentare relativa alla povertà alimentare ha rilevato che 1 persona su 10 non è in grado di permettersi un pasto regolare, di questi 1 milione e 300 mila sono minorenni. Dal 2007 è più che raddoppiato il numero delle famiglie che non possono permettersi un pasto con almeno un ingrediente proteico al giorno, passando dal 6% al 14%.

Ocse e Fao, prezzi dei prodotti agricoli in calo: proteine e carne su, cereali e biofuel giù

Produzione e consumi stabili, prezzi in calo: sono queste le Previsioni sull’Agricoltura 2015-2024 di Ocse e Fao. Il rapporto firmato dalle due organizzazioni mostra un mondo diviso in due, con le fasce di popolazione più benestanti dei Paesi emergenti che richiedono più proteine animali e zucchero, mentre nel “Vecchio mondo” gli stessi prodotti sono causa crescente di malattie legate a sovrappeso ed obesità, specie tra le fasce più disagiate e con meno istruzione.

Prezzi: cereali giù, carni su

Nel 2014 i prezzi di cereali e carni nel 2014 hanno preso direzioni opposte. Due anni di raccolti abbondanti hanno portato a una pressione ulteriore sui prezzi per cereali e oli di semi. Al contrario i prezzi delle carni, a causa di alcuni fattori come la ricostituzione delle mandrie e le epidemie, sono schizzati a livelli record.
In termini reali, i prezzi di tutti i prodotti agricoli dovrebbero diminuire nei prossimi dieci anni a causa della crescita della produttività e dalla diminuzione dei prezzi di ingresso, che hanno superato il rallentamento dell’incremento della domanda degli alimenti base, dovuto all’arresto dell’incremento di consumi pro capite che nelle economie emergenti si sta avvicinando alla saturazione. Questo è in linea con la tendenza al ribasso del secolo, ma si prevede che rimarranno più alti che nel periodo precedente l’aumento del 2007-08.

Cambia la dieta nelle economie emergenti

Il rallentamento della crescita della popolazione, l’urbanizzazione e l’aumento del reddito pro capite hanno portato ad un aumento del,a domanda di cibo, e in particolare di certi alimenti come le proteine animali. Per questo motivo il prezzo della carne e dei latticini resterà alto, rispetto a quello dei cerali e degli semi oleosi. Non solo: aumenterà per quanto riguarda i semi grezzi il prezzo di quelli usati come mangime. Secondo il direttore generale della FAO José Graziano da Silva l’aumento delle calorie nella dieta dei Paesi in via di sviluppo “è una buona notizia”, ma è anche vero che questi paesi “sono ancora molto indietro rispetto alle economie avanzate, e questo significa che la fame in questi paesi non è ancora sconfitta”. Non solo: anche la cattiva alimentazione è un problema “nel momento in cui anche questi paesi dovranno affrontare le malattie derivate dal sovrappeso e dall’obesità”.

Biocarburanti non più così convenienti
Il prezzo del petrolio ai minimi storici ha portato a un abbassamento del prezzo dei biocarburanti e la coltivazione è generalmente meno redditizia che in passato, in assenza di incentivi che non si pensa saranno adottati dai governi europei o americani. In Brasile invece la produzione di etanolo da zucchero aumenterà grazie alle detrazioni fiscali e a un aumento nella percentuale di etanolo che obbligatoriamente deve avere la benzina. La coltivazione di biocarburanti è anche intensamente promossa dal governo indonesiano.

Pochi esportatori, sempre più importatori

Solo in Sud America è previsto un aumento della superficie coltivabile, mentre in Asia, Europa e Nord America l’aumento della produzione deriverà solamente dal miglioramento della produttività. Modesta la crescita prevista in Africa. Si prevede che l’esportazione dei prodotti agricoli si concentrerà sempre più verso pochi paesi, mentre sempre di più si affideranno all’importazione. Ciò porterà a un aumento delle fluttuazioni del mercato, causate da disastri naturali o dall’adozione di particolari misure commerciali . In generale, ci si aspetta che il commercio crescerà a un ritmo meno sostenuto che nel decennio precedente. Mantenendo però una quota stabile in relazione ai consumi e alla produzione globale. Il rapporto evidenzia che, se saranno mantenute le variazioni storiche circa la raccolti, il prezzo del petrolio e la crescita economica nei prossimi dieci anni dobbiamo aspettarci almeno una forte crisi sui mercati internazionali.

Chi va su e chi va giù alla mensa globale
La forte richiesta di proteine porterà a un ulteriore crescita nella produzione di semi commestibili, in particolare della soia, soprattutto in Brasile.
La maggior domanda di zucchero da parte dei paesi in via di sviluppo aiuterà la ripresa dei prezzi ai minimi storici, e potrebbe portare a investimenti nel settore. In Brasile, maggior produttore mondiale, questo dipenderà dalla redditività dello zucchero rispetto all’etanolo ricavato dalla stessa fonte.
Si prevede che la produzione derivante dalla pesca aumenterà fino del 20% entro il 2024, con l’acquacoltura che potrebbe sorpassare la produzione di pesca diretta nel 2023.
L’esportazione di latticini si concentrerà ancor più verso quattro paesi: Nuova Zelanda, Unione europea, USA e Australia, dove sono scarse le opportunità verso un aumento della domanda interna.
Il prezzo del cotone si abbasserà a causa della crisi di produzione cinese, ma dovrebbe tornare a stabilizzarsi nel resto del periodo; nel 2024 in ogni caso si prevede che i prezzi, reali e nominali, non raggiungeranno i livelli del 2012-14.

Le previsioni IRI 2015-2016 sulle vendite nel retail del largo consumo: la stagnazione è finita

Note positive dall’analisi elaborata da Iri sulle vendite del largo consumo nel primo semestre.

La prima parte del 2015 ha superato le aspettative di ripresa per i prodotti confezionati di largo consumo (LCC) espresse a fine del 2014, complice anche un rimbalzo su una controcifra particolarmente negativa nello stesso periodo dell’anno precedente. Il preconsuntivo del primo semestre sancisce perciò la fine della fase critica che ha caratterizzato le vendite del comparto nel biennio 2013-2014.

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Il miglioramento della fiducia delle famiglie – scrive Iri in una nota -ha consentito di riportare gli acquisti sui livelli del 2012. Il dato confortante, secondo gli analisti di Iri è che questi risultati sono ottenuti senza un’ulteriore accelerazione della pressione promozionale di prezzo, un fatto nuovo dopo molti anni di crescita costante del ricorso a questa leva, così come si registra il traino dei prodotti di marca e  si conferma il rallentamento delle vendite dei prodotti a marchio del distributore

Questi elementi hanno contribuito alla ripresa del valore del carrello della spesa che si traduce in un moderato aumento dell’indice medio dei prezzi, nonostante l’inflazione a parità di paniere resti praticamente nulla.

Le previsioni di IRI indicano una chiusura del 2015 positiva (+1,4% a volume e +1,7% a valore) anche se probabilmente nella seconda parte dell’anno ci sarà un affievolimento della spinta dei primi mesi. Ciò a causa delle turbolenze finanziarie innescate dalla crisi greca e dalle crescenti incertezze sul fronte geopolitico che potrebbero influenzare negativamente il sistema di aspettative dei consumatori italiani. Inoltre la ripresa dell’occupazione (ritenuto il principale fattore per sostenere la ripresa) è ancora incerta (i dati ufficiali che si sono succeduti negli ultimi mesi sono spesso contraddittori) e più che altro «annunciata».

Per il 2016 Information Resources prevede un consolidamento dei volumi attorno al punto percentuale di crescita a fronte di un maggiore spunto dei prezzi. Questo scenario fa riferimento all’ipotesi che l’azione di espansione monetaria portata avanti dalle autorità finanziarie europee abbia successo e ridia vigore al sistema dei prezzi dei paesi membri.

Questo scenario – conclude la nota di Iri -non contempla la possibilità che il governo possa ricorrere alla «clausola di salvaguardia» nel caso che non vengano raggiunti gli obiettivi di bilancio concordati in sede di comunitaria. In questo caso il rialzo dell’IVA avrà un effetto sull’inflazione del comparto e bloccherà la crescita dei volumi. Purtroppo questa possibilità rischia di divenire più concreta se gli spread BTP/Bund torneranno a salire sensibilmente come conseguenza della crisi greca.

Il manifesto della Green Economy per l’agroalimentare: dall’Italia 7 proposte per l’agricoltura del futuro

UN momento della presentazione. Da sinistra: Carlo Blasi, Direttore del Museo dell’Orto Botanico, Andrea Olivero, Vice-Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, e Claudia Sorlini, Presidente, Comitato Scientifico di Expo Milano 2015.

“Il punto di vista della green economy sulla produzione agroalimentare, articolato in proposte sui temi cruciali per l’agricoltura della nostra epoca”, ai tempi di Expo2015: vuole essere questo il Manifesto della green economy per l’agroalimentare elaborato con un ampio processo partecipativo dei gruppi di lavoro degli Stati Generali della Green Economy e approvato al Consiglio Nazionale della Green Economy che raggruppa 65 organizzazione di imprese green (tra cui Confagricoltura, Comieco, Federambiente, Legacoop Servizi), e presentato a Roma presso la Sala Aranciera del Museo dell’Orto Botanico.
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Temi che riguardano, come ha spiegato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che è l’organismo di supporto del Consiglio nazionale della green economy “la necessità di uno sviluppo durevole e di buona qualità delle produzioni agroalimentari per nutrire la popolazione mondiale, il rapporto che va regolato per coordinare la priorità della produzione di cibo con le altre attività e produzioni non alimentari cresciute nelle campagne, le misure da adottare anche nell’agricoltura per far fronte alla crisi climatica in atto, la necessità di sostenere la diffusione delle buone pratiche di un’agricoltura sostenibile e di qualità, quelle per rafforzare i controlli e la sicurezza alimentare, come combattere lo spreco di alimenti e di risorse agricole e come far fronte agli inquinamenti e al continuo consumo di suoli agricoli. Questo manifesto si propone di diffondere, su questi temi, il punto di vista della green economy per contribuire a un dibattito nazionale e internazionale”.

Il settore agricolo italiano ha un valore aggiunto annuo che supera i 260 miliardi di euro, oltre 3,3 milioni di occupati e un’incidenza sul PIL dell’8,7%. Negli ultimi anni le relazioni con la green economy si sono intensificate: la produzione di energia rinnovabile di origine agricola è cresciuta da 6 a 7,8 milioni di Tep tra il 2010 e il 2012 e oltre 21.500 aziende agricole possiedono impianti per la produzione di energia rinnovabile; l’agricoltura italiana ha ridotto le emissione di gas serra di 10 Mton di CO2Eq dal 1990 al 2013 ed è responsabile del 7,1% delle emissioni di gas serra nazionali. In flessione anche il consumo di fitofarmaci passati da 11,2 Kg/Ha nel 2010 a 9,2 Kg nel 2013, inoltre il 10% della superficie agricola italiana è occupata da coltivazioni biologiche (1,3 mln ettari) e l’Italia è seconda in Europa per coltivazioni bio subito dopo la Spagna. Tra le criticità, l’aumento delle frodi alimentari che sono cresciute del 48,6% tra il 2010 e il 2012, la riduzione della superficie agricola (15 milioni di ettari nel 1990 e 12,8 nel 2012) e il consumo del suolo, che continua a crescere a un ritmo, nel 2013, di 55 ettari al giorno.

Ecco, nel dettaglio, le sette proposte del Manifesto:

Adottare la visione della green economy per assicurare uno sviluppo durevole e di qualità della produzione agroalimentare. L’agricoltura deve essere in grado di produrre il cibo necessario alle generazioni presenti e alle future e di produrre reddito adeguato per gli agricoltori, occupazione e qualità ecologica dei prodotti e delle modalità di coltivazione. La green economy è in grado di integrare qualità eccellente, redditività e tutela del capitale naturale, utilizzando i saperi, le buone tecniche e le buone pratiche dell’eco-innovazione.

Coordinare la multifunzionalità con la priorità della produzione di alimenti. La conservazione di una ricca biodiversità è una delle attività proprie e strategiche di un’agricoltura multifunzionale orientata alla green economy. L’agricoltura alimenta anche la bioeconomia, le biomasse impiegate per generare energie rinnovabili e fornire materiali in settori come la chimica verde. Attività che, se sono integrate e sostenibili per i territori e non sottraggono suoli e produzioni destinate all’alimentazione, contribuiscono a migliorare il presidio e la cura del territorio.

Attuare misure di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica. L’agricoltura può dare un contributo importante alla mitigazione della crisi climatica, sia con attività di assorbimento di gas serra (con un’accorta gestione delle risorse forestali, dei terreni e dei pascoli), sia riducendo le emissioni (con l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, un minore utilizzo di fertilizzanti azotati, un controllo della dieta per gli allevamenti ecc). Ma è anche necessario rafforzare ed estendere misure di adattamento accelerandone la diffusione di azioni e pratiche agronomiche in grado di aumentare la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici (con la scelta di varietà vegetali e specie animali più resistenti, il reintegro sistematico nel suolo della sostanza organica, l’adozione regolare di rotazioni con leguminose, la diffusione di tecniche e misure di risparmio idrico).

Superare modelli agricoli non più sostenibili e promuovere la diffusione delle buone pratiche. I modelli agro-industriali che inseguono logiche di un mercato a breve termine e a basso costo possono essere definitivamente superati promuovendo una green economy agroalimentare basata su produzioni sostenibili di qualità, veri e propri motori di sviluppo delle economie e delle culture locali. Occorre puntare su territori ben coltivati con buone pratiche agricole – senza l’impiego in campo aperto di organismi geneticamente modificati (OGM) – supportate da buoni livelli di formazione e di conoscenza e da un maggiore contributo della ricerca e dell’eco-innovazione.

Tutelare la sicurezza alimentare, potenziare i controlli e le filiere corte. Occorre: migliorare e potenziare i controlli su scala globale; rafforzare la lotta alle frodi e alle manipolazioni nocive degli alimenti; armonizzare le normative ambientali e sanitarie; puntare sulla tracciabilità, sull’origine garantita e protetta dei prodotti agroalimentari; rafforzare le filiere agroalimentari corte e le produzioni locali. Le filiere corte possono essere favorite anche dallo sviluppo dell’agricoltura urbana e periurbana.

Fermare lo spreco di alimenti, assicurare la circolarità dell’economia delle risorse agroalimentari. Gli sprechi possono essere eliminati tramite una corretta informazione e una migliore educazione alimentare. È, inoltre, necessario applicare alle filiere agroalimentari un sistema di economia circolare, puntando a minimizzare i rifiuti, a prevenire attivamente scarti e perdite in tutte le fasi. Occorre diffondere le buone pratiche e le migliori tecniche disponibili per utilizzare tutti i sottoprodotti.

Fermare le minacce alla produzione agroalimentare e ai suoli agricoli. Oltre alla crisi climatica, numerosi sono i fattori di pressione ambientale (emissione di inquinanti atmosferici, prelievi massicci e l’inquinamento delle acque, smaltimenti illegali di rifiuti). Particolare allarme suscita lo sviluppo incontrollato delle urbanizzazioni e delle infrastrutture che alimenta un consumo dissennato di suolo agricolo. Le politiche di gestione e di uso dei suoli vanno cambiate; l’abbondante cubatura – abitativa, industriale e per servizi – inutilizzata, va recuperata e impiegata in alterativa a nuovo consumo di suolo. Il suolo agricolo è un capitale naturale non sostituibile, va conservato perché è un’infrastruttura verde strategica.

Per aderire al Manifesto andare su: http://www.statigenerali.org/manifesto-green-economy-agroalimentare-expo-2015/

Carrefour Italia e Fondazione Carrefour: un container per recuperare le eccedenze

Carrefour Italia e Fondazione Carrefour danno il loro contributo al recupero delle eccedenze alimentari all’interno di Expo Milano. Da oggi, infatti, grazie all’intervento dell’insegna francese, l’attività di riutilizzo del Banco Alimentare potrà giovarsi dell’ausilio di un container refrigerante.

Un tassello in pù, dunque, che va ad aggiungersi al proficuo il lavoro svolto sinora in sinergia da Expo Milano 2015, Fondazione Cascina Triulza e Fondazione Banco alimentare Onlus, che insieme hanno salvato dallo spreco oltre 4.500 kg di alimenti tra pane, pasta, passata di pomodoro, scatolame vario, frutta, verdura, salumi e piatti pronti. I prodotti sono stati distribuiti ad alcune delle 250 strutture caritative di Milano convenzionate con Banco Alimentare, che assistono oltre 54.000 persone.

“Il rapporto tra Carrefour e Banco Alimentare è nato cinque anni fa – commenta Grégoire Kaufman Direttore Commerciale e Marketing Carrefour Italia (foto) – e ha fruttato eccellenti risultati. Prodotti alimentari non più commercializzabili nei punti vendita del Gruppo, in diverse regioni italiane, sono stati donati alla Fondazione Banco Alimentare, che li ha raccolti e distribuiti attraverso il suo network su tutto il territorio.
Carrefour ha deciso di aderire al progetto per il recupero delle eccedenze alimentari in Expo, donando un container refrigerante per conservare e quindi destinare maggiori quantitativi di generi alimentari ai più bisognosi. L’iniziativa che presentiamo oggi conferma il valore del nostro rapporto con il Banco Alimentare, rafforzandolo ulteriormente”.

Nel 2014, a livello nazionale, Carrefour ha donato al Banco Alimentare circa 500.000 kg di prodotti che si sono trasformati in oltre 1 milione di pasti destinati alle tavole dei più bisognosi.

Sono circa 50 i punti vendita Carrefour che in Italia rientrano nel perimetro del progetto, un numero significativo che in prospettiva potrebbe essere ulteriormente ampliato sulla rete.

Meno volumi, più valore. Il futuro del cibo e i consumi passano da qui

Mentre si celebrano i fasti dell’italian food di cui Expo sta diventando sempre più il portabandiera, si rincorrono le occasioni di riflessione sul cibo, sulla sua produzione e sul suo consumo. Davide Paolini proprio nel corso di un incontro a Expo ha fatto un’affermazione sacrosanta: si parla troppo di cucina, di ricette, di chef e si parla poco della produzione, delle storie che stanno dietro alla materia prima.

È la battaglia pluridecennale di Carlo Petrini che, intervenendo alla presentazione del Food Industry Monitor realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e BSI Bank ribadisce: «Dobbiamo liberarci dal raptus della crescita e concentrarci sul valore, non sulle quantità. È il valore che conta, vale a dire la qualità e, in altri termini, l’economia sana».

CIBO ANAFFETTIVO. Non ci stupiamo allora se  alla presentazione della ricerca voluta da Coop sul Futuro del cibo, il dibattito si è focalizzato sui risultati della ricerca Doxa sui consumatori di otto Paesi che parlano di un mondo futuro popolato di cibo anaffettivo ma utile a stare bene dal punto di vista fisico, più controllato e globale, più pratico e veloce ma non uno strumento di scambio affettivo. Un cibo che ci renderà meno felici, tanto è vero che se  in questo quadro il cibo sarà più “tecnologico”, le paure maggiori dei consumatori intervistati riguardano la manipolazione, l’inquinamento, l’elevato costo del cibo, la sua carenza.

C’è voluto un teologo come Vito Mancuso a sottolineare come lo scenario della ricerca sia gravido di preoccupazioni perché occorre pensare al cibo come nutrimento non solo per il corpo. «L’uomo è ciò che mangia – dice Mancuso – ma è anche emozioni e ideali. Il cibo nutre il corpo, la psiche, lo spirito. In una parla è libertà. E se non c’è capacità di relazione affettuosa non c’è l’uomo».

coop il futuro del ciboCIBO E UGUAGLIANZA. E proseguendo nel ragionamento, anche Marco Pedroni, presidente di Coop Italia ribadisce che il cibo è uno scambio di relazioni, di storie. Ed è l’idea di fondo del Supermercato del futuro, dove la tecnologia è al servizio di questa idea di scambio. «Vi è poi un tema sociale. In futuro non è detto che avremo il cibo uguale per tutti. ma il rischi è una dicotomia tra alta gamma per i pochi che se lo possono permettere e il cibo standardizzato e anche poco sicuro per molti. E quindi il tema del futuro del cibo riguarda la disuguaglianza. Oggi il 40%& delle famiglie italiane accetta compromessi sulla qualità e sicurezza di ciò che mangia. Su un altro versante molti guru del marketing ci dicono di occuparci di quel 10-20% di cosiddetti supershopper con ottimo potere d’acquisto. Noi diciamo che il nostro mestiere è offrire cibo buono e sicuro per tutti».

LE RAGIONI DELL’AGRICOLTURA. Da qui a qualche ragionamento sull’agricoltura scevro da prese di posizione di difesa, il passo è breve, perché tutto si tiene. Ebbene sull’agricoltura italiana ed europea le questioni da risolvere sono tante. «Compito della politica – afferma l’economista Giacomo Vaciago – è elaborare un piano di settore che abbia un orizzonte temporale sufficientemente lungo. Lo si può fare solo se si comincia a parlare di comunità. Oggi l’immagine del cibo italiano è alta: se è imitato, è perché è buono e piace. Ma l’agricoltura sconta i problemi strutturali delle dimensioni delle aziende, di un insufficiente raccordo con la vendita, di mancanza di persone, di difficoltà di un ricambio generazionale, anche se oggi molti giovani stanno tornando alla terra. Ma soprattutto occorre un piano strategico che solo la politica può mettere in campo, fatta da governi che durino nel tempo».

I problemi infatti sono molteplici. Li enumera il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: «Nel mondo agricolo operano soprattutto imprese familiari e la questione fondamentale è come tutelare il reddito di queste imprese. Vi sono problemi su alcune filiere come la zootecnia, dopo la fine delle quote latte. Vi  è un problema generazionale. Ma ricordo che le politiche di sostegno all’agricoltura sono di medio-lungo periodo, non di breve. E se guardiamo l’Italia da mondo, nei prossimi 15 anni 800 milioni di persone della classe media in molti paesi cambieranno dieta e sitile di vita. Se dobbiamo posizionare il prodotto alimentare italiano è lì che dobbiamo guardare».

CIBO DI QUALITA’ E LOCALE. Ancora Petrini fornisce qualche indicazione: «Alcune cose devono essere chiare all’industria italiana e alla distribuzione: a primeggiare sarà la valorialità del cibo, non si vince più applicando le tecniche del marketing. La gente non sposa più le quantità. Le riduce. Noi oggi globalmente produciamo cibo per 12 miliardi di persone. Lo spreco è enorme. E ricordo che Expo non è fatto per rendere forte l’offerta italiana, ma per discutere di questi temi.

Su valore del cibo ricordo solo che nel 1997 in tutti gli Stati Uniti c’erano circa 80 mercati dei contadini. Oggi sono 12 mila. Prima erano riservati alle élite, oggi si trovano anche nei quartieri ispanici delle grandi città. La richiesta è per il cibo di qualità e locale.Stanno cambiando molte cose e il trend del cambiamento è fortissimo. l’industria italiana delle capire in quale direzione va il trend.

Un’alto messaggio. La sostenibilità e la responsabilità sociale non sono elementi da prendere sottogamba. Ogni processo produttivo deve durare di più nel tempo. La sostenibilità è economica, produttiva, ambientale e la responsabilità sociale si misura sui produttori ben pagati, sui clienti ai quali comunicare non solo il buono ma anche il pulito e il giusto e sui collaboratori che devono essere messi nelle condizioni di trasferire la passione».

Il valore, quindi è l’asse attorno al quale sta ruotando il cambiamento. E anche Gianmario Tondato, Ceo  di un’impresa globale come Autogrill, è sulla stessa lunghezza d’onda quando osserva che anche nella ristorazione la formula del quick service restaurant sta cedendo il passo al casual dining. Il volume sta arretrando di fronte al valore. «I consumatori stanno convergendo a livello mondiale verso questo spostamento. O ce ne rendiamo conto o usciamo dai mercati. Come imprese dobbiamo attenderci risultati nel medio periodo creando storie coerenti a livello di sistema. Dobbiamo sempre porci il problema dove andare, in quale direzione muoverci».

Food Industry Monitor: l’industria alimentare ha bisogno di più investimenti e innovazione

Non mancano in questo periodo di Expo le analisi sull’industria alimentare italiana. Ma quando a proporle è la Banca della Svizzera Italiana con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, la cosa diventa interessante. E la chiave di lettura di questa strana coppia la dà proprio Carlo Petrini, fondatore dell’Università e di Slow Food che rimarca come sia «impossibile parlare di cibo senza parlare di economia». E quando si parla di economia, guardando ai risultati della ricerca Food Industry Monitor, si guarda alla solidità finanziaria delle aziende, alla loro capacità di dare continuità all’attività e di disporre dei capitali sufficienti.

Gabriele Corte, responsabile del mercato italiano di Bsi Europe, spiega i motivi che hanno spinto la banca a lanciare l’osservatorio insieme all’Unisg. «Il settore agroalimentare, nelle sue varie sfaccettature, è una delle colonne portanti dell’economia italiana. Paradossalmente risulta uno dei meno studiati e di conseguenza valorizzati. Bsi e Unisg hanno quindi deciso di dar vita ad uno studio sistematico e pluriennale del mondo alimentare italiano con un approccio fortemente pragmatico tipico dei due istituti. Analizzando le singole aziende la volontà è quella di evidenziare punti di forza e di debolezza del settore, individuando fattori critici di successo da condividere con i nostri partner. Il Food Monitor porta all’attenzione l’enorme valore intrinseco nel settore e fornisce elementi utili agli imprenditori per ulteriormente affinare le proprie strategie aziendali».

È in chiaroscuro il quadro che ci restituisce la ricerca, che ha analizzato le performance economico-finanziarie di 520 aziende suddivise in 10 comparti (acqua, caffè, distillati, dolci, food equipment, latte e derivati, olio e condimenti, pasta, salumeria, vino) dal 2009 al 2013. Il campione delle aziende prese in esame, in media le prime 50 per dimensioni di ogni comparto, hanno generato complessivamente 43,5 miliardi di euro di ricavi nel 2013, pari a circa il 71% di tutte le società di capitale operanti nel settore in Italia. Nell’analisi sono stati considerati tre indicatori: crescita, sostenibilità finanziaria e redditività.

Il settore, nonostante la caduta dei consumi interni è uscito meglio di altri da questi anni di difficoltà, registrando dal 2009 al 2013 un Cagr del 4,1%, (merito dei risultati ottenuti sui mercati esteri) e una sostanziale crescita del valore aggiunto superiore a quella dei ricavi, che denota la messa in marcia di processi di miglioramento dell’efficienza. Mediamente positivi sono gli altri indicatori di redditività commerciale (6%), del capitale investito (8,9%), dei mezzi propri (8,8% contro il 4,8% del Roe delle imprese italiana).

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Ovviamente all’interno dei dati medi vi sono alcuni comparti che registrano migliori performance.:

CRESCITA –  Il caffè, il vino, l’olio e il food equipment per quanto riguarda la crescita dei ricavi, tutti comparti rappresentativi dell’eccellenza italiana strutturalmente più votati all’estero. I meno brillanti sono quei comparti più dipendenti mal mercato nazionale o che hanno subito una maggiore pressione sui prezzi come l’acqua, la pasta, i dolci, la salumeria.

REDDITIVITÀ – Il food equipment è il comparto che evidenzia la relazione più favorevole tra crescita e redditività (Ros), ma anche i distillati, la pasta e i dolci registrano un risultato superiore alla media. Caffè, latte, olio e vino hanno sviluppato una crescita soddisfacente tuttavia questa crescita è stata ottenuta sacrificando una parte della redditività del capitale investito. I settori dell’acqua minerale e dei dolci hanno invece sviluppato una crescita insufficiente preservando tuttavia la redditività del capitale investito.

SOSTENIBILITÀ  FINANZIARIA –   Caffè, vino e food equipment insieme ai distillati appaiono  ben posizionati per cogliere le sfide dei mercati anche in futuro poiché, proseguendo su questo percorso, potranno essere in grado di garantirsi una crescita sostenibile sul lungo periodo. Il confronto tra indebitamento e crescita, infatti, mostra che le aziende di questi comparti sono riuscite a crescere mantenendo l’indebitamento finanziario sotto controllo e rimanendo sotto la media del settore, pari al 2,7%.

Salumeria e acqua non sono riusciti a sviluppare una crescita soddisfacente e hanno una struttura finanziaria debole con una forte esposizione a breve.

I BEST PERFORMER – Il risultato combinato di crescita, reddittività e sostenibilità evidenzia ai primi tre posti i comparti del caffè, distillati e food equipment. Ciascuno dei tre comparti occupa il primo posto in uno dei tre indicatori utilizzati per la classifica. Il caffè ha la struttura finanziaria più solida, i distillati la maggiore redditività commerciale e il food equipment la maggiore capacità di crescita sui mercati. Tuttavia i tre comparti hanno performance molto equilibrate anche negli altri indicatori, questo fa si che siano posizionati ai vertici della classifica come aziende in grado di sviluppare una crescita redditizia e sostenibile dal punto di vista finanziario.

Schermata 2015-06-25 alle 22.21.05I comparti della pasta e dei dolci, che occupano la quarta e la quinta posizione, hanno buone performance per quanto riguarda la marginalità commerciale e il tasso di indebitamento, tuttavia hanno performance poco soddisfacenti per quanto attiene la crescita. Il comparto del vino occupa una posizione mediana in tutti e tre gli indicatori. L’olio ha un tasso di crescita molto elevato a cui corrisponde una forte criticità dal punto vista della redditività e della struttura finanziaria. Il latte ha un discreto posizionamento per quel che riguarda la crescita ma performance negative in termini di redditività e sostenibilità finanziaria. I comparti dell’acqua e della salumeria presentano forti criticità nei tre indicatori ed evidenziano la presenza di problematiche strutturali.

«Le aziende del settore alimentare – commenta Carmine Garzia, professore di management all’UNISG e coordinatore scientifico del Food Industry Monitor – sono state colte in contropiede dalla crisi del mercato interno e dalla caduta dei consumi e gli investimenti ne hanno sofferto. Il tasso di indebitamento inferiore alla media di molti comparti e il rapporto del valore della produzione con le immobilizzazioni materiali denotano un forte rallentamento degli investimenti nei beni strumentali e nelle innovazioni di processo. Un tema fortemente critico rimane la logistica e l’efficienza. Se ne ricavano due messaggi: in primo luogo la crescita virtuosa non può prescindere dall’innovazione di prodotto e processo, che consente di incrementare i margini, in secondo luogo le aziende devono dedicare alla gestione finanziaria lo stesso livello di attenzione che dedicano all’innovazione, in quanto la crescita profittevole deve poggiare su solide basi patrimoniali».

Metro vende i grandi magazzini Kaufhof e Inno alla canadese Hudson’s Bay

I canadesi partono alla conquista del mercato europeo, con l’acquisto per la cifra di 2,83 miliardi di Euro da parte di Hudson’s Bay, retailer canadese, già proprietario di Saks Fifth Avenue e Lord & Taylo, del “braccio grandi magazzini” (che comprende le catene Galerie Kaufhof in Germania e Galeria Inno in Belgio) del maggiore retailer tedesco Metro. L’accordo dovrebbe chiudersi il prossimo settembre.

Galeria Kaufhof, fondata nel 1879, ha 135 punti vendita tra Germania e Belgio, con 21.500 impiegati e un fatturato l’anno scorso di 3,1 miliardi di Euro. Da vent’anni faceva perte del Gruppo Metro.

Hudson’s Bay è il più antico retailer canadese (le sue origini risalgono al 1670), già proprietario dei negozi di abbigliamento Saks Fifth Avenue e Lord & Taylo, ed è al debutto in Europa. Dopo l’acquisizione prevede di aumentare le proprie vendite del 50%. Tra le innovazioni che si prevede apporterà c’è lo sviluppo della multicanalità con l’avvio probabile dell’e-commerce (negli anni passati la catena ha molto sofferto la concorrenza con i principali siti online, da Zalando ad Amazon) e la conversione di alcuni negozi, che diventeranno Saks Fifth Avenue.

Il gruppo Metro si aspetta dopo la cessione di aumentare il proprio risultato operativo (Ebit) di 700 milioni di Euro circa. Resterà immutato il management di Galeria Kaufhof, basato a Colonia, con a capo il belga Olivier Van den Bossche.

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