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L’olio extravergine di oliva? Bisogna assaggiarlo dice l’Onaoo. E a Expo un contest mondiale tra assaggiatori

L’industria olivicola nazionale, alfiere dell’olio extravergine d’oliva (sono oltre 40 gli oli Dop e Igp) sta guardando con una certa apprensione l’evolversi di questa stagione , dopo il disastro della campagna 2014-2015 che si è chiusa con un calo della prduzione del 50%. «La campagna olivicola 2014/2015 – commenta Marcello Scoccia, Capo Panel e Vice Presidente Onaoo –  verrà ricordata come una delle peggiori in Italia sia in termini qualitativi che quantitativi. Basti pensare che la produzione di oli vergini (in cui rientrano gli extra vergini di qualità, i vergini, i lampanti, cioè quelli di categoria inferiore) non ha superato le 200.000 tonnellate, in relazione alla media degli anni precedenti che si aggira sulle 300.000/400.000 tonnellate. Si è addirittura registrato un calo dell’80% in alcune Regioni del centro Italia. La causa principale? Il meteo e l’attacco da parte di parassiti (nel dettaglio, la mosca olearia “Bactrocera Olea”) che quest’anno si è propagata da Nord a Sud condizionando la quantità dell’olio».

Se a questo aggiungiamo chein Italia se ne consumano più di 650 mila tonnellate, si comprende che i ripetuti allarmi contro la presunta invasione di oli “taroccati” lanciate dalle organizzazioni agricole possono apparire strumentali. L’industria olearia ha sviluppato una grande maestria nella creazione di blend (di cui sci instoremag si è già occupato), su cui si è costruito il successo all’estero dell’olio evo italiano. Su un altro versante, l’Onaoo (, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Olio di Oliva) ha sviluppato da quando è nata nel 1983 a Imperia, una metodologia di assaggio che consente di valutare la qualità dei prodotti. E non è un caso che siano ormai diversi i buyer delle catene distributive che hanno frequentato i suoi corsi.

Il Presidente Lucio Carli afferma che «Insegnare l’assaggio dell’olio di oliva è indispensabile affinché ogni individuo sappia utilizzare al meglio le proprie capacità di valutazione organolettica del prodotto e diventi così lui stesso il primo valutatore. Ma prima di difenderne la qualità è necessario conoscerne l’incredibile biodiversità: avere più di 40 DOP è straordinario, purtroppo nessuno le apprezza».

La figura dell’assaggiatore, spiega il responsabile scientifico di Onaoo Mauro Amelio, ha un ruolo fondamentale per le aziende, nella valutazione del prodotto finale, ma anche durante tutto il processo della filiera produttiva, importante nell’individuare gli eventuali “difetti dell’olio” che possono verificarsi prima o dopo la trasformazione delle olive. In tal modo, i produttori possono intervenire, risalendo all’origine del difetto e preservando le annate successive.

I corsi si tengono abitualmente presso la sede centrale di Imperia ma, vista la richiesta sempre più intensa, sono attivi anche i corsi online. Onaoo invia una campionatura di oli da analizzare col docente in una seduta telematica. Un servizio perfetto anche per i residenti all’estero o per gli stranieri, con lezioni in lingua. La scuola organizza, inoltre, corsi negli Stati Uniti, Sud Africa, Taiwan, Turchia, Tunisia e Marocco, intervallati da viaggi annuali in Spagna, Grecia, Marocco e Portogallo.

A Expo l’associazione sta preparando  la “Sfida Mondiale Assaggiatori Olio d’Oliva Onaoo (The Worldwide Olive Oil Tasters’Challenge by Onaoo)”. Il 13 Settembre presso il Padiglione Italia,  cinquanta concorrenti di tutto il mondo si sfideranno in due prove: una di assaggio e una teorica, con test di valutazione degli attributi organolettici positivi e negativi, individuazione e riconoscimento delle origini, ed un test sulle cultivar, le tecniche di coltivazione, produzione e trasformazione, l’analisi sensoriale, la legislazione, il mercato. In palio il trofeo di miglior assaggiatore mondiale di olio d’oliva.

Pam fa storytelling nella nuova campagna pubblicitaria e aiuta il territorio

Hanno studiato bene quelli di Pam le logiche dell’impresa del nuovo millennio. Lo si vede nella nuova campagna pubblicitaria fresca di lancio, “Selezioniamo da italiani”, volta a valorizzare l’esperienza del Gruppo nella selezione delle migliori eccellenze alimentari italiane. Protagonisti sono infatti, come richiede il “nuovo” consumatore curioso, in cerca di qualità e prodotti regionali e anche un po’ diffidente, i veri selezionatori ed i reali produttori e fornitori di pesce, frutta, verdura, formaggi e salumi dell’insegna, che si sono prestati per l’occasione nel ruolo di “attori per un giorno”. In primo piano i “must” del momento: sensibilità alimentare Made in Italy, qualità ed eccellenze regionali, “umanizzazione” del rapporto tra retailer e cliente/consumatore.

La campagna “Selezioniamo da italiani”, costituita da quattro soggetti video e stampa, realizzati dall’agenzia Life Longari Loman, sarà presente, oltre che sui più importanti web network nazionali, anche su stampa periodica e radio, sino a fine agosto 2015.

A voler ribadire la logica di attenzione verso il territorio, c’è l’iniziativa al via da oggi della raccolta fondi lanciata da Pam Panorama in aiuto delle famiglie colpite dal tornado che la scorsa settimana ha investito parte della provincia di Venezia, e in particolare gli abitanti di Dolo, Mira e Pianiga, i comuni più colpiti. Ogni cliente possessore di Carta Per Te, la carta fedeltà di Pam Panorama, potrà scaricare 100 punti tra quelli accumulati (equivalenti a 1 euro), o multipli di 100: il valore degli euro scaricati verrà raddoppiato da Pam Panorama, che devolverà l’importo sotto forma di buoni spesa alle famiglie che hanno riportato ingenti danni alle proprie abitazioni. “Con questa iniziativa vogliamo essere vicini e offrire il nostro aiuto a quanti sono stati sfortunatamente colpiti dal tornado che ha investito la provincia di Venezia negli scorsi giorni – afferma Michela Airoldi, Direttore Marketing di Pam Panorama – Siamo sicuri che saranno numerosi i Clienti che, per far sentire il loro sostegno, dando un proprio concreto contributo, sceglieranno di aderire all’iniziativa. Più siamo e più possiamo aiutare!”

Dalter Alimentari, anche il Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa certificato BRC e IFS

Nuove importanti certificazioni per il Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa: controllato da Dalter Alimentari, azienda leader nel settore del confezionamento dei formaggi grattugiati e porzionati freschi, il caseificio sulle colline di Reggio Emilia ha ottenuto la certificazione BRC – British Retail Consortium, livello A, e la certificazione IFS – International Food Standard, livello A. Il primo è uno standard relativo alla sicurezza alimentare, fondamentale in particolare per operare nel mercato britannico, mentre il secondo sancisce la competenza delle aziende del settore food in termini di qualità e sicurezza dei prodotti.

Caseificio_Colline-Selvapiana-Canossa_Alberto-ViappianiEsprime soddisfazione Alberto Viappiani, CEO di Dalter Alimentari e Presidente di Colline di Canossa: «Il Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa rappresenta un caso peculiare: nel panorama dei 350 caseifici del comprensorio del Parmigiano Reggiano, siamo infatti una delle pochissime (poco più del 5%) realtà certificate. Gli standard BRC e IFS appena ottenuti confermano che la strada dell’integrazione della filiera produttiva del Parmigiano Reggiano intrapresa nel 2005 è vincente: sono un premio all’impegno da noi profuso per offrire ai clienti un prodotto di qualità eccellente e per rendere sempre più efficienti e controllati i processi. Inoltre aver ottenuto queste importanti certificazioni per la prima volta ottenendo per entrambe il livello A, il più alto possibile, è motivo di orgoglio. Ricordo anche che il Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa è in possesso della certificazione ICEA per la produzione di Parmigiano Reggiano biologico: ad oggi produciamo quattro forme biologiche al giorno, che saliranno a 10 dal mese di agosto».

Determinanti per l’ottenimento delle certificazioni BRC e IFS sono stati gli investimenti (per due milioni di euro) effettuati per l’ammodernamento strutturale e tecnologico del Caseificio Colline di Selvapiana e Canossa. Oggi questa realtà è dotata di 30 caldaie (in origine erano 12) e di un magazzino per la stagionatura con una capacità di 14.000 forme. Tra le novità più recenti, una citazione meritano il salatoio ad immersione, che assicura alle forme uniformità di assorbimento del sale ed è quindi garanzia di costanza qualitativa del Parmigiano Reggiano e la camera di asciugatura dove le forme riposano nei primi giorni di vita, collegata direttamente alla produzione attraverso un tunnel.

Host 2015 al via il 23 ottobre, è già a un passo dal sold out

Un momento della conferenza stampa di presentazione di Host tenutasi a Expo presso Identità Golose.

Si preannuncia un’edizione di Host eccezionale quella che si terrà a fieramilano Rho dal 23 al 27 ottobre, a due passi da Expo, negli ultimi giorni prima della chiusura dell’Esposizione Universale e in concomitanza con essa. La fiera che porta sotto lo stesso tetto le intere filiere dell’HoReCa e del retail, dove sarà possibile vedere le ultime novità tecnologiche e di prodotto, dalla miscela alla macchina per il caffè, dal banco frigo all’arredo contract, conta già 1.748 espositori, che si prevede arriveranno a 1.900, il 38% dei quali stranieri. In crescita anche lo spazio espositivo, con 14 padiglioni, due in più rispetto all’edizione 2013, e una crescita del 12% nei metri quadri occupati. Quest’anno un’area espositiva sarà dedicata alla refrigerazione commerciale.

La fiera si sviluppa in tre macro-aree che raggruppano filiere affini e dedicate a: Ristorazione Professionale con Pane-Pasta-Pizza; Caffè-Tea con SIC – Salone Internazionale del Caffè, Bar-Macchine per caffè-Vending e Gelato Pasticceria; Arredo e Tavola.

Germania, Francia, Spagna, USA e Svizzera sono i Paesi più rappresentati, ma non mancheranno le delegazioni dalle economie più dinamiche. Incontreranno 135mila professionals e 1.500 top buyer profilati da 60 Paesi, oltre a missioni incoming da promettenti mercati in collaborazione con ICE, in un contesto arricchito da un fitto palinsesto di eventi, che vedranno la presenza di chef stellati, baristi e pasticceri pluripremiati, pizzaioli inventivi ma anche architetti specializzato in spazi retail, formatori ed esperti dei tanti settori coperti.

Osservatorio Gea-Fondazione Edison: le 4A trainano il made in Italy. Gli Usa guardano al food

La nuova edizione dell’Osservatorio GEAFondazione Edison registra che l’Italian food ha rappresentato nel 2013 un importante driver di crescita dell’export.

Su una base di riferimento di 616 prodotti, infatti, l’Italia presenta 63 prodotti in cui è prima, seconda o terzaal mondo per migliore bilancia commerciale con l’estero, generando una bilancia totale attiva di 21,5 miliardi di dollari.

Insieme, le ‘4A’ del Made in Italy (Alimentari-vini; Abbigliamento-moda; Arredo-casa; Automazione-meccanica-gomma-plastica) confermano un andamento positivo toccando un nuovo record di 128 miliardi di euro.

Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che gli Stati Uniti sono in assoluto il terzo mercato di esportazione dell’Italia, dopo la Germania e la Francia, con un export complessivo italiano verso gli USA di 29,8 miliardi di euro ed un surplus di 17,3 miliardi, il più alto che l’Italia ha avuto nel 2014 negli scambi bilaterali.

Il mercato americano, in particolare, è sempre più focalizzato sul settore agro-alimentare e presenta il maggiore potenziale di crescita; basti considerare che nel 2014 il 10% circa dell’export italiano è stato proprio verso il mercato statunitense. I primi 10 casi provinciali-settoriali per più elevato export agro-alimentare verso gli USA nel 2014 sono: Firenze, Lucca, Grosseto, Milano e Perugia per gli olii e i grassi vegetali e animali; Modena per gli altri prodotti alimentari; Napoli per i prodotti da forno e farinacei; Salerno per la frutta e gli ortaggi lavorati e conservati; Sassari e Parma per i prodotti delle industrie lattiero casearie. I primi 10 casi provinciali-settoriali per export di vini e bevande verso gli USA nel 2014 sono: Trento, Milano, Cuneo, Firenze, Verona, Siena, Venezia, Treviso, Asti e Brescia. In totale sono 61 i prodotti agro-alimentari in cui l’Italia è risultata prima, seconda o terza al mondo per migliore bilancia commerciale con gli USA, per un controvalore di surplus commerciale bilaterale generato di 3,3 miliardi di dollari.

La relazione sempre più forte tra il mercato USA e l’Italian food è confermata da una ricerca di GEA Digital. Dallo studio, che si è focalizzato sul sentiment verso il food e l’Italian food in particolare, espresso dai consumatori nel mondo e negli Usa attraverso il traffico nel web, è emerso che il numero delle ricerche relative al food da parte degli utenti statunitensi è tre volte superiore al resto del mondo e che l’Italian food supera nelle ricerche online topic quali l’arte e la musica italiana.

consiglioPartendo dalla constatazione delle enormi potenzialità dell’Italian food negli Usa, Luigi Consiglio, Presidente di GEA (nella foto) , commenta: «I dati e le tendenze dimostrano che l’interesse per l’Italian food nel mondo è molto forte, in particolare negli Stati Uniti, un mercato estremamente vivace dove la domanda esprime l’attesa di un food più salutare. Oggi chi ritiene che il mercato USA sia maturo si sbaglia. Le opportunità per il Made in Italy ci sono e c’è un grande spazio per tutte le aziende dell’agro-alimentare che desiderano esportare ed investire negli USA. La battaglia politica che abbiamo vissuto finora non ha permesso di vedere le meraviglie del nostro sistema industriale. Per questo motivo Gea, insieme ad Harvard Business Review Italia, ha voluto ribaltare i luoghi comuni sull’industria italiana attraverso la creazione di un punto di osservazione annuale sull’eccellenze imprenditoriali italiane».

È stato così ideato il Premio “Eccellenze d’Impresa” GEA-Harvard Business Review Italia, che sarà attribuito per la seconda edizione il 27 Ottobre 2015.

Ocse e Fao, prezzi dei prodotti agricoli in calo: proteine e carne su, cereali e biofuel giù

Produzione e consumi stabili, prezzi in calo: sono queste le Previsioni sull’Agricoltura 2015-2024 di Ocse e Fao. Il rapporto firmato dalle due organizzazioni mostra un mondo diviso in due, con le fasce di popolazione più benestanti dei Paesi emergenti che richiedono più proteine animali e zucchero, mentre nel “Vecchio mondo” gli stessi prodotti sono causa crescente di malattie legate a sovrappeso ed obesità, specie tra le fasce più disagiate e con meno istruzione.

Prezzi: cereali giù, carni su

Nel 2014 i prezzi di cereali e carni nel 2014 hanno preso direzioni opposte. Due anni di raccolti abbondanti hanno portato a una pressione ulteriore sui prezzi per cereali e oli di semi. Al contrario i prezzi delle carni, a causa di alcuni fattori come la ricostituzione delle mandrie e le epidemie, sono schizzati a livelli record.
In termini reali, i prezzi di tutti i prodotti agricoli dovrebbero diminuire nei prossimi dieci anni a causa della crescita della produttività e dalla diminuzione dei prezzi di ingresso, che hanno superato il rallentamento dell’incremento della domanda degli alimenti base, dovuto all’arresto dell’incremento di consumi pro capite che nelle economie emergenti si sta avvicinando alla saturazione. Questo è in linea con la tendenza al ribasso del secolo, ma si prevede che rimarranno più alti che nel periodo precedente l’aumento del 2007-08.

Cambia la dieta nelle economie emergenti

Il rallentamento della crescita della popolazione, l’urbanizzazione e l’aumento del reddito pro capite hanno portato ad un aumento del,a domanda di cibo, e in particolare di certi alimenti come le proteine animali. Per questo motivo il prezzo della carne e dei latticini resterà alto, rispetto a quello dei cerali e degli semi oleosi. Non solo: aumenterà per quanto riguarda i semi grezzi il prezzo di quelli usati come mangime. Secondo il direttore generale della FAO José Graziano da Silva l’aumento delle calorie nella dieta dei Paesi in via di sviluppo “è una buona notizia”, ma è anche vero che questi paesi “sono ancora molto indietro rispetto alle economie avanzate, e questo significa che la fame in questi paesi non è ancora sconfitta”. Non solo: anche la cattiva alimentazione è un problema “nel momento in cui anche questi paesi dovranno affrontare le malattie derivate dal sovrappeso e dall’obesità”.

Biocarburanti non più così convenienti
Il prezzo del petrolio ai minimi storici ha portato a un abbassamento del prezzo dei biocarburanti e la coltivazione è generalmente meno redditizia che in passato, in assenza di incentivi che non si pensa saranno adottati dai governi europei o americani. In Brasile invece la produzione di etanolo da zucchero aumenterà grazie alle detrazioni fiscali e a un aumento nella percentuale di etanolo che obbligatoriamente deve avere la benzina. La coltivazione di biocarburanti è anche intensamente promossa dal governo indonesiano.

Pochi esportatori, sempre più importatori

Solo in Sud America è previsto un aumento della superficie coltivabile, mentre in Asia, Europa e Nord America l’aumento della produzione deriverà solamente dal miglioramento della produttività. Modesta la crescita prevista in Africa. Si prevede che l’esportazione dei prodotti agricoli si concentrerà sempre più verso pochi paesi, mentre sempre di più si affideranno all’importazione. Ciò porterà a un aumento delle fluttuazioni del mercato, causate da disastri naturali o dall’adozione di particolari misure commerciali . In generale, ci si aspetta che il commercio crescerà a un ritmo meno sostenuto che nel decennio precedente. Mantenendo però una quota stabile in relazione ai consumi e alla produzione globale. Il rapporto evidenzia che, se saranno mantenute le variazioni storiche circa la raccolti, il prezzo del petrolio e la crescita economica nei prossimi dieci anni dobbiamo aspettarci almeno una forte crisi sui mercati internazionali.

Chi va su e chi va giù alla mensa globale
La forte richiesta di proteine porterà a un ulteriore crescita nella produzione di semi commestibili, in particolare della soia, soprattutto in Brasile.
La maggior domanda di zucchero da parte dei paesi in via di sviluppo aiuterà la ripresa dei prezzi ai minimi storici, e potrebbe portare a investimenti nel settore. In Brasile, maggior produttore mondiale, questo dipenderà dalla redditività dello zucchero rispetto all’etanolo ricavato dalla stessa fonte.
Si prevede che la produzione derivante dalla pesca aumenterà fino del 20% entro il 2024, con l’acquacoltura che potrebbe sorpassare la produzione di pesca diretta nel 2023.
L’esportazione di latticini si concentrerà ancor più verso quattro paesi: Nuova Zelanda, Unione europea, USA e Australia, dove sono scarse le opportunità verso un aumento della domanda interna.
Il prezzo del cotone si abbasserà a causa della crisi di produzione cinese, ma dovrebbe tornare a stabilizzarsi nel resto del periodo; nel 2024 in ogni caso si prevede che i prezzi, reali e nominali, non raggiungeranno i livelli del 2012-14.

Al Senso ritrovato di Plef in Expo è di scena il lavoro per la sostenibilità

Proseguono gli appuntamento della serie il Senso ritrovato  in Expo 2015 organizzati da Plef – Planet life economy foundation, fondazione senza scopo di lucro che si occupa di dare concretezza ai principi della Sostenibilità promuovendo la realizzazione di un nuovo modello economico e sociale in grado di creare vero “Valore” (economico, sociale, ambientale, umano) superando le tesi contrapposte della “Crescita” o della “Decrescita”.

Il 7 luglio sempre alla Cascina Triulza, lo spazio della società civile all’Esposizione universale, è la volta del workshop dedicato a Il lavoro dell’uomo, il lavoro del consulente di management per la sostenibilità.

La sostenibilità dell’azione economica dell’uomo e del suo stile di vita sono la vera sfida dell’oggi e dei decenni a venire, si legge nella presentazione del workshop. In questa sfida essenziale è l’apporto dei consulenti di management che, con le loro competenze, sono i naturali portatori d’innovazione e cambiamento.

L’evento promosso da Apco, Associazione italiana dei consulenti di management, assieme al proprio network internazionale, ICMCI, vuole portare su questa sfida i professionisti italiani e i loro colleghi di ben 54 Paesi, affinché le eccellenze non rimangano sconosciute o isolate, ma costituiscano radice e stimolo all’ulteriore divulgazione di una cultura della sostenibilità, consapevole sintesi di idealità e convenienze.

Qui il programma. Per iscrizioni e informazioni rivolgersi ad Apco (02 7750449).

Rapporto commercio estero agroalimentare: saldo a +47% nel 2014

Fa il punto dei flussi import-export del 2014 il Rapporto del Commercio estero agroalimentare. Il valore del saldo del commercio con l’estero si è attestato intorno ai 43 miliardi di euro (+47% rispetto all’anno precedente). Performance positiva iniziata nel 2012, quando ha avuta luogo un’inversione di tendenza rispetto alla dinamica negativa verificatasi nella bilancia commerciale italiana a partire dal 2004. Lo sottolinea in una nota Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria autore del rapporto.
Le esportazioni, pari a circa 35 miliardi di euro, sono cresciute, rispetto all’anno precedente, in misura superiore alla media dell’economia in generale (rispettivamente 2,7% contro il 2% delle esportazioni totali). Tale performance positiva è da attribuirsi all’aumento dei volumi esportati (4,6%) a fronte di una diminuzione del loro valore (-1,8%). Le importazioni si sono attestate su poco più di 41 miliardi di euro registrando una crescita del 2,9%, in controtendenza rispetto alla media dell’economia (-1,6%).

Verso il Sud America la crescita maggiore
Passando a considerare le aree geografiche, spiccano le esportazioni verso il Sud America, aumentate del 10,6%, e quelle verso il Nord America del 6% circa. Le esportazioni verso l’UE-28 hanno invece segnato una variazione più contenuta rispetto all’anno precedente, pari al 2%. Dal lato delle importazioni, è da sottolineare l’aumento del 42% circa degli acquisti dal Nord America, mentre diminuiscono del 21% circa le importazioni dai Paesi Terzi Mediterranei Africani.

Import: in su crostacei e olio Evo. Export: pasta e vini al top
Quali sono i prodotti che hanno aumentato maggiormente le importazioni? In crescita l’aggregato dei crostacei e molluschi congelati (+15,3%), e dell’olio di oliva vergine ed extravergine (+17,6%), spinto dalle note difficoltà climatiche dello scorso anno. I primi quattro prodotti esportati si confermano invece pasta, conserve di pomodoro, vini rossi e rosati Dop confezionati, prodotti dolciari a base di cacao, tutti bandiere del Made in Italy, ma si evidenzia la crescita degli spumanti di oltre il 27% in un anno, e quella di panelli, farine e mangimi (+22,9%).
La “bilancia per origine e destinazione” mette in evidenza il peso dei prodotti destinati al consumo alimentare diretto, in totale circa l’84% per le esportazioni e il 52% per le importazioni.
Dal punto di vista della “bilancia per specializzazione commerciale” emerge che il peso degli aggregati di importazione ed esportazione netta sul totale rimane praticamente invariato rispetto al 2013.

«Il Rapporto sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari – ha dichiarato Salvatore Parlato, Commissario Straordinario del CREA – è un appuntamento istituzionale di riflessione e approfondimento sulle evoluzioni degli scambi commerciali del sistema agroalimentare, nell’anno in cui ospitando Expo gli sguardi del mondo sono puntati sul nostro paese e sui suoi prodotti. Si è data particolare attenzione all’analisi delle voci per l’esportazione individuate con il termine Made in Italy, identificati dai consumatori all’estero come “tipici” del nostro paese, segnalando i principali mercati di destinazione dei prodotti e dei paesi clienti.
«Per quanto concerne i processi di internazionalizzazione – ha sottolineato Gianpaolo Bruno, Direttore dell’Ufficio per la pianificazione strategica, studi e rete estera dell’Agenzia ICE – il settore agro-alimentare sta assumendo una morfologia complessa, in cui i vantaggi competitivi sono sempre di più associati alla capacità delle imprese di presidiare le catene globali del valore, attraverso modalità di collaborazione strategica che raggruppino produttori di beni e servizi interdipendenti, anche dislocati in Paesi diversi, al fine di creare valore percepito per i consumatori finali»

Apo Conerpo, più di un milione di tonnellate di ortofrutta fresca

Maltempo estivo, contrazione dei consumi, embargo russo. Il 2014 è stato un anno particolarmente difficile per l’ortofrutta italiana. Ciononostante il Gruppo Apo Conerpo ha registrato un netto incremento (+12,7% sul 2013) dei volumi conferiti dai produttori delle cooperative socie. Particolarmente consistente l’aumento degli ortaggi, cresciuti del 15,4% rispetto al 2013, con indice però negativo per asparagi, carote, cipolle, meloni e fagioli, condizionati dalla scarsa allegagione nei mesi primaverili. Leggermente più contenuto l’incremento dei conferimenti di frutta (+7,9%) con indice negativo per pesche, uva da tavola e castagne.

«Complessivamente – sottolinea il presidente, Davide Vernocchi – Apo Conerpo, insieme alle sue filiali Alegra, Brio, Naturitalia e Valfrutta Fresco, ha collocato sul mercato più di 1 milione di tonnellate di ortofrutta fresca, di cui oltre 630.000 di ortaggi e quasi 406.000 di frutta, sviluppando un fatturato superiore ai 670 milioni di euro, stabile sui livelli del 2013».

Questi i prodotti di punta di Apo Conero: le pere con un’offerta di quasi 166.000 tonnellate, le pesche e nettarine con oltre 92.000 tonnellate, le mele con circa 55.000 tonnellate, i kiwi con più di 43.000 tonnellate, le susine con circa 22.500 tonnellate.

Per quanto concerne le orticole, i prodotti più importanti per Apo Conerpo sono i pomodori con quasi 430.000 tonnellate, seguiti dalle patate con 43.000 tonnellate, dalle cipolle con 20.000 tonnellate, dai piselli con oltre 19.000 tonnellate, dalle carote con circa 13.300 tonnellate, dai fagiolini con quasi 8.900 tonnellate, dai cocomeri con 6.600 tonnellate e dai meloni con circa 5.000 tonnellate.

Le destinazioni e i canali. Particolarmente dinamico il mercato estero, dove sono set collocate 130 mila tonnellate di ortofrutta fresca (+11,3%) per 115 milioni di euro, con risultati interessanti in Nord Africa, Nord America e Asia

In Italia, presso la Gdo sono state commercializzate 163.500 tonnellate (+5,5%) per un valore di quasi 120 milioni di euro, mentre al mercato tradizionale sono state indirizzate più di 144.000 tonnellate di prodotto (+6,44%) per un valore di oltre 90 milioni di euro (+0,89%). All’industria di trasformazione infine sono state destinate più di 560.000 tonnellate per un valore di 83 milioni; il plusvalore del trasformato ha sfiorato i 270 milioni di euro.

Gli investimenti. Consistente il capitolo investimenti, ammontati a 41,5 milioni di euro così suddivisi: «più di 13,5 milioni di euro – afferma il vice presidente Roberto Cera – indirizzati al miglioramento della qualità dei prodotti, 11,8 milioni per le misure ambientali, oltre 5,3 milioni per la pianificazione della produzione e dell’offerta, 5 milioni per la promozione dei prodotti freschi e trasformati, oltre 3,7 milioni destinati alla prevenzione e alla gestione delle crisi, 1,8 milioni indirizzati all’incremento del valore commerciale dei prodotti».

Per aumentare sempre più il livello qualitativo delle produzioni è stata ulteriormente rafforzata la diffusione dell’assistenza tecnica in campagna ed è stato aumentato il numero dei controlli lungo l’intera filiera.

Prosegue poi l’attività di ricerca e sperimentazione sviluppando temi come i nuovi sistemi di impianto e gestione agronomica dei frutteti, la difesa, la valutazione qualitativa in post-raccolta, la verifica di nuovi formulati e tecniche di conservazione, gli studi sulle minori emissioni di CO2 e le risposte produttive e qualitative delle nuove selezioni e varietà frutticole. Negli ultimi 5 anni, più del 70% delle nuove varietà introdotte negli impianti di pesco e susino è rappresentato da cultivar studiate dai Comitati tecnici di Apo Conerpo in ambito New Plant; questa percentuale supera il 90% considerando altre specie come le pomacee, l’albicocco, il ciliegio, l’actinidia e le colture industriali.

Ricco il programma di sviluppo per il prossimo triennio, che si articolerà nel supporto alla ricerca e sperimentazione per migliorare le produzioni ed aumentare la difesa dalle fitopatie, nell’innovazione di prodotto, nella valorizzazione delle produzioni dei soci con azioni mirate di supporto alle vendite utilizzando la grande notorietà dei marchi del Gruppo anche per l’ortofrutta fresca, nell’internazionalizzazione delle vendite cercando di rimuovere gli ostacoli che in alcuni paesi impediscono l’ingresso ai prodotti dei soci Apo Conerpo, nella concreta attuazione di aggregazioni e collaborazioni produttive e commerciali. «La solidità patrimoniale di Apo Conerpo – hanno concluso Vernocchi e Cera – consentirà di potenziare anche nel 2015 gli investimenti in questi campi e di continuare a dar pieno supporto finanziario ed operativo alle società del Gruppo, favorendo un ulteriore rafforzamento delle cooperative socie».

Nel 2014 sono poi aumentati gli interventi di mercato, destinati quasi esclusivamente alla distribuzione gratuita per beneficenza, che per Apo Conerpo ha interessato oltre 3.000 tonnellate per un controvalore di 1,2 milioni di euro. La crisi della frutta estiva e l’embargo russo hanno inoltre reso necessari ritiri straordinari che hanno riguardato 8.800 tonnellate per quasi 3 milioni.

Il manifesto della Green Economy per l’agroalimentare: dall’Italia 7 proposte per l’agricoltura del futuro

UN momento della presentazione. Da sinistra: Carlo Blasi, Direttore del Museo dell’Orto Botanico, Andrea Olivero, Vice-Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, e Claudia Sorlini, Presidente, Comitato Scientifico di Expo Milano 2015.

“Il punto di vista della green economy sulla produzione agroalimentare, articolato in proposte sui temi cruciali per l’agricoltura della nostra epoca”, ai tempi di Expo2015: vuole essere questo il Manifesto della green economy per l’agroalimentare elaborato con un ampio processo partecipativo dei gruppi di lavoro degli Stati Generali della Green Economy e approvato al Consiglio Nazionale della Green Economy che raggruppa 65 organizzazione di imprese green (tra cui Confagricoltura, Comieco, Federambiente, Legacoop Servizi), e presentato a Roma presso la Sala Aranciera del Museo dell’Orto Botanico.
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Temi che riguardano, come ha spiegato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che è l’organismo di supporto del Consiglio nazionale della green economy “la necessità di uno sviluppo durevole e di buona qualità delle produzioni agroalimentari per nutrire la popolazione mondiale, il rapporto che va regolato per coordinare la priorità della produzione di cibo con le altre attività e produzioni non alimentari cresciute nelle campagne, le misure da adottare anche nell’agricoltura per far fronte alla crisi climatica in atto, la necessità di sostenere la diffusione delle buone pratiche di un’agricoltura sostenibile e di qualità, quelle per rafforzare i controlli e la sicurezza alimentare, come combattere lo spreco di alimenti e di risorse agricole e come far fronte agli inquinamenti e al continuo consumo di suoli agricoli. Questo manifesto si propone di diffondere, su questi temi, il punto di vista della green economy per contribuire a un dibattito nazionale e internazionale”.

Il settore agricolo italiano ha un valore aggiunto annuo che supera i 260 miliardi di euro, oltre 3,3 milioni di occupati e un’incidenza sul PIL dell’8,7%. Negli ultimi anni le relazioni con la green economy si sono intensificate: la produzione di energia rinnovabile di origine agricola è cresciuta da 6 a 7,8 milioni di Tep tra il 2010 e il 2012 e oltre 21.500 aziende agricole possiedono impianti per la produzione di energia rinnovabile; l’agricoltura italiana ha ridotto le emissione di gas serra di 10 Mton di CO2Eq dal 1990 al 2013 ed è responsabile del 7,1% delle emissioni di gas serra nazionali. In flessione anche il consumo di fitofarmaci passati da 11,2 Kg/Ha nel 2010 a 9,2 Kg nel 2013, inoltre il 10% della superficie agricola italiana è occupata da coltivazioni biologiche (1,3 mln ettari) e l’Italia è seconda in Europa per coltivazioni bio subito dopo la Spagna. Tra le criticità, l’aumento delle frodi alimentari che sono cresciute del 48,6% tra il 2010 e il 2012, la riduzione della superficie agricola (15 milioni di ettari nel 1990 e 12,8 nel 2012) e il consumo del suolo, che continua a crescere a un ritmo, nel 2013, di 55 ettari al giorno.

Ecco, nel dettaglio, le sette proposte del Manifesto:

Adottare la visione della green economy per assicurare uno sviluppo durevole e di qualità della produzione agroalimentare. L’agricoltura deve essere in grado di produrre il cibo necessario alle generazioni presenti e alle future e di produrre reddito adeguato per gli agricoltori, occupazione e qualità ecologica dei prodotti e delle modalità di coltivazione. La green economy è in grado di integrare qualità eccellente, redditività e tutela del capitale naturale, utilizzando i saperi, le buone tecniche e le buone pratiche dell’eco-innovazione.

Coordinare la multifunzionalità con la priorità della produzione di alimenti. La conservazione di una ricca biodiversità è una delle attività proprie e strategiche di un’agricoltura multifunzionale orientata alla green economy. L’agricoltura alimenta anche la bioeconomia, le biomasse impiegate per generare energie rinnovabili e fornire materiali in settori come la chimica verde. Attività che, se sono integrate e sostenibili per i territori e non sottraggono suoli e produzioni destinate all’alimentazione, contribuiscono a migliorare il presidio e la cura del territorio.

Attuare misure di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica. L’agricoltura può dare un contributo importante alla mitigazione della crisi climatica, sia con attività di assorbimento di gas serra (con un’accorta gestione delle risorse forestali, dei terreni e dei pascoli), sia riducendo le emissioni (con l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, un minore utilizzo di fertilizzanti azotati, un controllo della dieta per gli allevamenti ecc). Ma è anche necessario rafforzare ed estendere misure di adattamento accelerandone la diffusione di azioni e pratiche agronomiche in grado di aumentare la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici (con la scelta di varietà vegetali e specie animali più resistenti, il reintegro sistematico nel suolo della sostanza organica, l’adozione regolare di rotazioni con leguminose, la diffusione di tecniche e misure di risparmio idrico).

Superare modelli agricoli non più sostenibili e promuovere la diffusione delle buone pratiche. I modelli agro-industriali che inseguono logiche di un mercato a breve termine e a basso costo possono essere definitivamente superati promuovendo una green economy agroalimentare basata su produzioni sostenibili di qualità, veri e propri motori di sviluppo delle economie e delle culture locali. Occorre puntare su territori ben coltivati con buone pratiche agricole – senza l’impiego in campo aperto di organismi geneticamente modificati (OGM) – supportate da buoni livelli di formazione e di conoscenza e da un maggiore contributo della ricerca e dell’eco-innovazione.

Tutelare la sicurezza alimentare, potenziare i controlli e le filiere corte. Occorre: migliorare e potenziare i controlli su scala globale; rafforzare la lotta alle frodi e alle manipolazioni nocive degli alimenti; armonizzare le normative ambientali e sanitarie; puntare sulla tracciabilità, sull’origine garantita e protetta dei prodotti agroalimentari; rafforzare le filiere agroalimentari corte e le produzioni locali. Le filiere corte possono essere favorite anche dallo sviluppo dell’agricoltura urbana e periurbana.

Fermare lo spreco di alimenti, assicurare la circolarità dell’economia delle risorse agroalimentari. Gli sprechi possono essere eliminati tramite una corretta informazione e una migliore educazione alimentare. È, inoltre, necessario applicare alle filiere agroalimentari un sistema di economia circolare, puntando a minimizzare i rifiuti, a prevenire attivamente scarti e perdite in tutte le fasi. Occorre diffondere le buone pratiche e le migliori tecniche disponibili per utilizzare tutti i sottoprodotti.

Fermare le minacce alla produzione agroalimentare e ai suoli agricoli. Oltre alla crisi climatica, numerosi sono i fattori di pressione ambientale (emissione di inquinanti atmosferici, prelievi massicci e l’inquinamento delle acque, smaltimenti illegali di rifiuti). Particolare allarme suscita lo sviluppo incontrollato delle urbanizzazioni e delle infrastrutture che alimenta un consumo dissennato di suolo agricolo. Le politiche di gestione e di uso dei suoli vanno cambiate; l’abbondante cubatura – abitativa, industriale e per servizi – inutilizzata, va recuperata e impiegata in alterativa a nuovo consumo di suolo. Il suolo agricolo è un capitale naturale non sostituibile, va conservato perché è un’infrastruttura verde strategica.

Per aderire al Manifesto andare su: http://www.statigenerali.org/manifesto-green-economy-agroalimentare-expo-2015/

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