“Un’indagine di Essere Animali e Promoviendo el Veganismo negli allevamenti nel sud della Francia, dove viene prodotto oltre il 70% del foie gras distribuito in tutto il mondo, Italia compresa, documenta terribili condizioni di vita per milioni di anatre, ingozzate a forza con un tubo metallico per indurre il loro fegato ad ammalarsi. Ancora vengono utilizzate le gabbie individuali, illegali nell’UE, dove gli animali non possono nemmeno aprire le ali”.
Così comincia la petizione Stopfoiegras.org inviata ad alcune catene della Gdo operanti in Italia (Auchan, Bennet, Conad, Carrefour, Eataly, Esselunga, Pam) con la richiesta di interrompere la vendita di questo prodotto.
La petizione è supportata dal filmato Foie gras-Solo crudeltà che documenta il processo di allevamento con alimentazione forzata degli animali e la loro macellazione per estrare il fegato malato.
ATTENZIONE IL FILMATO CONTIENE IMMAGINI FORTI!
Pam Panorama, per ora unica insegna della Gdo italiana, ha aderito a questa campagna di sensibilizzazione lanciata dall’associazione Essere Animali con lo scopo di fermare la distribuzione del foie gras all’interno di supermercati e ipermercati.
Nei 153 punti vendita diretti Pam Panorama a partire dai prossimi giorni non sarà più in vendita il foie gras.
«Siamo molto orgogliosi della nostra scelta – afferma Michela Airoldi, Direttore Marketing di Pam Panorama –. Abbiamo visionato il materiale mostratoci dall’associazione Essere Animali relativo al trattamento a cui sono sottoposte le oche per la produzione del foie gras e abbiamo preso la decisione, che stavamo già maturando da tempo, di cessare la distribuzione di questo prodotto nei nostri punti vendita. Siamo certi che anche i nostri clienti apprezzeranno questa scelta».
Granarolo comunica di aver ceduto Zeroquattro Logistica, scorporandola dal ramo commerciale, a BCube, uno dei principali operatori internazionali nei servizi di logistica integrata, a capitale italiano, presente con più di 110 sedi in Europa, America, Asia, Africa.
L’operazione consente a Granarolo «di concentrarsi maggiormente sui piani di sviluppo in Italia e all’estero, che prevedono una forte spinta verso l’innovazione, diversificazione di prodotto e ampliamento della gamma», come ha dichiarato il direttore generale del Gruppo Granarolo Giampietro Corbari.
Il vicepresidente di BCube Luigi Bonzano sottolinea che «questa operazione porta alla nascita di un nuovo player, con caratteristiche uniche e fortemente orientato allo sviluppo non solo in Italia, ma anche e in particolare sui mercati esteri».
Di fatto l’operatore piemontese, acquisendo oltre 150 persone, 8 piattaforme centrali e 32 transit point in Italia, dotati di celle frigorifere, entra in modo deciso nella logistica del food, arricchendo la propria organizzazione di competenze, risorse e mezzi dedicati per servire quotidianamente la Gdo.
Sempre più tramite smartphone: i cellulari generano il 94% dell’aumento del traffico su base annua, il 74% dell’aumento della creazione del carrello e il 47% della crescita dell’ordine; il tablet soffre (-10% traffico e -2% ordini), con il Pc si procede magari all’acquisto (ancora nel 65% dei casi) ma è sempre meno utilizzato per le ricerche finalizzate allo shopping: sono questi i risultati dell’ultimo Shopping Index di Demandware, azienda attiva nelle soluzioni cloud commerce per le imprese, che con Shopping Index misura con cadenza trimestrale i comportanenti di acquisto dei 200 milioni di clienti che navigano nei 1300 siti che si servono della sua piattaforma Cloud. I dati si riferiscono al secondo trimestre 2015 e ad oggi non comprendono l’Italia, visto che la società ha annunciato la sua apertura nel nostro Paese il 15 ottobre scorso. Ma sono confermati dall’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – Politecnico di Milano (vedi L’eCommerce B2C supera i 16 miliardi di vendite grazie a servizio e convenienza) che vede in Italia il comparto con la più alta penetrazione delle vendite da smartphone sul totale vendite eCommerce essere proprio l’Abbigliamento, con circa il 18% del transato. Oltre alla moda anche per Beauty, Food e Arredamento la ricerca ed acquisto in mobilità è in forte crescita, tanto che una strategia multicanale per i retailer è ormai, lo si dice da tempo ma lo confermano ancora una volta i dati, un must ineludibile: gli ordini che iniziano su un dispositivo e terminano su un’altro sono aumentati del 10%.
Traffico e ordini per dispositivo, media Shopping Index Demandware.
È boom di acquisti in mobilità
L’ubiquità della presenza del telefonino ha fatto sì che la ricerca e l’acquisto di beni avvenga ormai sempre più in mobilità, quando si ha tempo, voglia o necessità, o magari ispirati dalla vista di un cartellone pubblicitario e di una vetrina. Ed è questo un trend mondiale, come confermano i dati Demandware. L‘attraction del cliente (ovvero il volume di visite ai siti monitorati) è aumentata del 18% nel secondo trimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014, e ha guidato l’84% della crescita del commercio digitale. Inoltre, la spesa del cliente, che combina la frequenza della visita del sito, il tasso di conversione e il valore medio dell’ordine (AOV), è cresciuta del 4% e ha portato a un +16% di crescita. La combinazione della spesa del cliente con la shopping attraction ha prodotto un +31% nella Shopping Index di Demandware. La creazione dei carrelli ha registrato un incremento del 26% su base annua, con i cellulari come primi conduttori di questa tendenza, con un +15% di clienti che aggiungono un articolo al carrello via smartphone.
Attività di acquisti online, media globale Shopping Index Demandware.
Ios batte Android ma solo grazie al tablet
Qual è il sistema operativo più utilizzato per gli acquisti mobile? Anche a questo risponde la ricerca Demandware: se prendendo in esame tablet e smartphone, iOS batta Android, osservando i singoli telefoni la differenza si fa più sottile, con iOS che rappresenta il 15% in più in termini di percentuale di ordini e traffico rispetto ad Android. I dispositivi iOS forniscono solo un AOV leggermente superiore ad Android, 107 dollari contro i 96 dollari di Android.
La scatoletta di tonno, poi, non manca mai nella dispensa degli italiani: in media 4 scatolette, ma nel 93% dei casi almeno una è sempre a disposizione. Del resto, sottolinea il presdiente di Ancit Vito Santarsiero «nel 2014 i consumi di tonno sono aumentati a dispetto di una situazione economica complessiva non proprio favorevole».
La metà degli italiani (45%) – riporta la ricerca – acquista il tonno in scatola perché è gustoso, il 33% perché è un cibo antispreco, il 31% perché è conveniente (per la presenza di proteine nobili a basso costo) e sicuro, il 25% per il suo alto contenuto di servizio.
Come lo preferiscono? Oltre la metà degli italiani (57%) toglie l’olio d’oliva presente nel tonno, ma il 17% ne lascia una metà e il 18% lo versa nel piatto. Anzi, 1 italiano su dieci riutilizza l’olio per cucinare e condire.
Il tonno conferma la sua versatilità anche per il fatto che il 65% degli italiani, se ne avanza, lo conserva e lo consuma nel giro di qualche giorno come condimento di pasta o insalate.
A utilizzo completato, poi, l’84% butta la scatoletta nella raccolta differenziata: i tre quarti di loro lava la scatoletta, mentre il 23% la getta senza lavarla.
Delverde (che fa capo al gruppo “Molinos Rio de la Plata s.a.) presenta in questi giorni all’Anuga di Colonia la sua nuova immagine di marca e il nuovo packaging. in concomitanza con l’arrivo sugli scaffali delle più importanti catene distributive e dei negozi gourmet d’Europa.
Logo e packaging acquisiscono maggiore forza anche al punto di vista cromatico, grazie ad una tonalità più intensa di verde, che mette in risalto l’elemento cardine della nuova immagine: l’acqua, che sgorga dalla sorgente del fiume Verde situata alle spalle del pastificio di Fara S. Martino, in Abruzzo, nel territorio incontaminato del Parco nazionale della Maiella. Prelevata a 80 metri di profondità alla temperatura naturale di 8 °C, l’acqua di questa antica sorgente è considerata ideale per la fase di impastamento perché crea le migliori condizioni per la protezione del glutine e consente di produrre una pasta con elevata consistenza e capacità di tenuta in cottura.
Il nuovo pack è stato pensato non solo per avere massima distintività sullo scaffale ma anche per venire incontro al consumatore più esigente, con una serie di servizi a valore aggiunto, come il Qr code geolocalizzato, che fornisce immediatamente una varietà di ricette in lingue diverse, e l’inserimento di nuovi tempi di cottura per garantire un risultato ottimale.
Il lancio del nuovo pack sarà sostenuto sul punto vendita da materiali pop aggiornati per comunicare la nuova immagine di marca, nonché da una nuovissima campagna stampa internazionale che naturalmente avrà come focus principale l’acqua e che sarà declinata nei principali mercati del marchio, Canada e Brasile in primis, e naturalmente in Europa.
Il reatyling è stato affidato a Saatchi&Saatchi con un team internazionale e il coordinamento dell’International Marketing Director di Delverde, Anna Lanzani, da Buenos Aires.
È gourmet e sostenibile, come vogliono i dictat food del nuovo milllennio, con un’etichetta che ne narra la storia il panettone dell’azienda artigianale veneta Fraccaro Spumadoro “Tre Presìdi – Eccellente e Solidale” realizzato per il secondo anno in collaborazione con la Fondazione Slow Food, che sosterrà progetti solidali per la Biodiversità. Il panettone tra l’altro promette di essere il dolce dell’anno, complice le tante iniziative che lo hanno riguardato in concomitanza con Expo coinvolgendo anche chef stellati e pop-up dedicati.
Il “Panettone Tre Presìdi”, prodotto in edizione limitata, senza conservanti e aromi, ha tra gli ingredienti i datteri dell’oasi di Siwa (Egitto), la vaniglia di Mananara (Madagascar) e i canditi provenienti dagli agrumi del Gargano (Puglia), tutti Presìdi Slow Food, che assieme all’antico lievito madre che ha oltre 80 anni e alla farina tipo 0 prodotta da un mulino di Vicenza, al miele italiano e alle uova fresche, rendono questo panettone un dolce della tradizione natalizia “Eccellente e Solidale”. «Con la partecipazione anche quest’anno ai progetti della Fondazione Slow Food per noi è la conferma di un nuovo percorso – afferma Luca Fraccaro – non vincolato ai soli concetti di redditività, ma che sostiene una causa valida come la salvaguardia della biodiversità».
Proposto nelle eleganti scatole di latta in acciaio riciclato realizzate da Ricrea (Consorzio Nazionale Riciclo e Recupero dell’Acciaio), il panettone ha ricevuto, durante la scorsa edizione del Salone del Gusto, la prestigiosa Menzione Speciale del Premio Slow Pack per la Sostenibilità Sociale.
Questo panettone presenta anche “l’etichetta narrante”, dove si racconta descrivendo chi lo produce e tutta la filiera. Un cammino verso la completa trasparenza dell’etichetta, che spiega in modo dettagliato l’origine, la storia e la tecnica di trasformazione, consentendo così al consumatore di capire meglio come la produzione avvenga nel rispetto dell’ambiente.
Candied tomatoes, caviar essence, green salami and whole ketchup: foods that soon, within two years, we could find on supermarket shelves. Speaking about them were researchers from the various departments of the Experimental Station for the Food Preserving Industry (SSICA) at Expo, in the CibusèItalia pavilion.
In addition to these is a coating for metal packaging or film with barrier effect for flexible packaging obtained from by-products of legume processing.
“All five research projects – says the coordinator of the Scientific Committee of SSICA – demonstrate the vocation of the Experimental Station to be at the service of the food industry, both improving quality standards and optimising production costs, in particular as regards waste management. On the other hand, SSICA is very attentive to the possible social consequences of the results of its research projects: corollaries of our mission to promote scientific and technological progress are increasing protection of consumer health and respect for the environment”.
Health, safety, taste and respect for the environment are in fact the main lines along which the projects have been developed, such as that of whole ketchup, using tomato paste but together with the use of industrial processing waste products transformed into healthy ingredients, such as oil from dried seeds rich in phytosterols (anti-LDL cholesterol) and other essential nutrients.
In the same direction of functional food are going green salamis (in the large photo), obtained with the addition of natural ingredients of plant origin (polyphenols and vitamin C) in the mixture or in the muscle which, retaining the sensory and taste characteristics of the traditional product, have a chemio-protective function on intestinal cells and allow salami with reduced salt and nitrite content to be obtained.
With caviar essence (developed in collaboration with Agro Ittica Lombarda) consumers are provided with a high-protein, low-fat and low-salt product, with luxury gourmet characteristics, but at a lower cost and with practically zero environmental impact. It also exploits a by-product of the fish industry so far largely underused, but rich in nutrients.
Finally, candied tomatoes undergo candying processes which are currently not available on the market: the varieties used (Oxheart and Cherry) are usually eaten fresh.
The use of candied tomatoes ranges from garnishing for cocktails and desserts to accompanying cheeses or salamis.
All these products, as happens in the normal activities of SSICA, have undergone scientific tests to ensure their food safety.
Resterà aperto fino a fine ottobre il temporary store tutto dedicato al panettone, progettato da Marketing & Trade per conto di Braims, azienda produttrice di materie prime per pasticceria e di Novacart, leader nella produzione di stampi in carta per la cottura di prodotti dolciari.
Posizionato in uno dei più importanti food district di Milano, lo spazio è contraddistinto da una forte luminosità e visibilità su strada. È caratterizzato al suo interno da una preponderanza cromatica che s’ispira e interpreta le linee del panettone intrecciandosi con i colori del logo EXPO2015. Un pattern che trova spazio sul tavolo centrale e sulle scatole che riempiono gli scaffali, creando un contrasto deciso con le tinte bianche predominanti nel negozio.
Lo store ospita (e vende) ospita le preparazioni sia tradizionali sia rivisitate dei 25 finalisti del concorso Panettone Day 2015 che si è concluso a settembre.
Con questa iniziativa si moltiplicano le iniziative volte a far riconoscere il panettone non solo come il classico dolce natalizio, ma un prodotto che può attraversare tutto l’anno. Anche il Panettone Day programmato domani 7 ottobre a Expo rientra in questo mainstream. L’iniziativa è promossa da Camera di Commercio di Milano e dal Comitato dei Maestri Pasticceri, sponsor Tre Marie. L’iniziativa è promossa da Camera di Commercio di Milano e dal Comitato dei Maestri Pasticceri, sponsor Tre Marie. Saranno distribuiti 5.000 panettoni ai visitatori di Expo.
Quello che è andato in scena venerdì a Expo, con il convegno Fare Meglio Italiano per la regia di GS1 Italy, è con ogni probabilità l’inizio di un diverso approccio nelle relazioni tra industria, distribuzione e mondo agricolo, tutte e tre parti essenziali di un sistema vitale e competitivo, quello dell’agroalimentae italiano che, meglio di altri, ha superato gli anni della crisi.
Non senza difficoltà, indubbiamente. Ma proprio per questo il sistema ha in sé le capacità di segnare un cambiamento nelle relazioni, partendo – ha detto il presidente di Gs1 Italy Marco Pedroni – dalla capacità e dalla volontà di riconoscersi reciprocamente, di riconoscere con un approccio pre-competitivo di essere parte di un progetto comune per far diventare più forte il sistema agroalimentare italiano.
«Riconoscere le specificità dell’agricoltura italiana è importante per tutti gli attori, così come bisogna riconoscere all’industria che è stata fondamentale per dare valore all’agroalimentare italiano. La distribuzione, poi, deve essere considerata fondamentale per l’economia del Paese, come avviene dovunque nel mondo», ha precisato Pedroni.
A dare fondamento scientifico a queste premesse ci hanno pensato Giorgio Di Tullio, filosofo dell’innovazione ed Enzo Rullani, presidente Tedis Center Venice International University.
Per Di Tullio, il concetto di filiera verticale basata sul prodotto deve lasciare il passo a un ecosistema basato sulla condivisione delle conoscenze, sulla trasparenza, sulla tracciabilità e sulla sicurezza. «Il prodotto oggi è il processo ed è un atto di condivisione. È urgente ricercare e fissare i requisiti pre-competitivi del sistema, come primo passaggio di una strategia di revisione dello scenario complessivo, Senza definire il contesto pre-competitivo, si continuerà a interpretare il modello come continua contrattazione tra parti: non l’integrazione governa il sistema, ma la contrapposizione». E ha aggiunto: «Ragionare in prospettiva sistemica e secondo una logica di rete, significa comprendere la propria identità come parte di un ecosistema multidimensionale, dotato di strutture concettuali e di parole chiave, di comportamenti del tutto diversi da quelli conosciuti e attivati».
Sulla stessa onda anche Rullani, per il quale il modello di filiera lineare, ereditato dal Novecento e ispirato alla logica fordista della massima integrazione, ha fatto il suo tempo. Servono relazioni collaborative tra imprese che pur restando autonome, investono sulla relazione. Quali sono queste filiere diverse da quelle passate? «Per stare nelle filiere globali – ha affermato Rullani – bisogna imparare a lavorare in rete. Ma le reti stanno in piedi se rendono e generano valore. Occorre quindi superare i difetti di fondo: le reti spesso nascono per innovare ma nel tempo diventano conservatrici. Per questo sono necessarie idee-motrici, una concezione del vivere e del lavorare con un respiro molto più ampio, come la sostenibilità, l’ancoraggio al territorio (italianità) come differenza distintiva, non solo in termini di origine, ma di qualità e di promesse fatte al cliente. Il sistema agroalimentare italiano può essere la guida di questa trasformazione, valorizzando l’italianità attraverso la tracciabilità dei processi produttivi e presidiando i significati connessi al produrre e al vivere (estetica, sostenibilità, etica)».
I pilastri (i valori) sui quale far poggiare il processo di valorizzazione della filiera agroalimentare italiana sono, per Pedroni, quattro: la condivisione e la collaborazione delle diverse componenti, con il riconoscimento della molteplicità di produzioni, tradizioni e culture legate al cibo; la trasparenza, visibilità e sicurezza nei confronti dei consumatori; l’attenzione estrema alla tutela della legalità; le soluzioni per formare e valorizzare i giovani per la sostenibilità futura del settore stesso.
«Occorre lavorare su due punti – ha poi riassunto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo -, vale a dire prendere atto che ciò che differenzia l’agricoltura italiana (in termini di struttura e di imprese) è figlio della nostra storia e della nostra cultura. Ed è un patrimonio da valorizzare. In secondo luogo spingere su un percorso di trasparenza perché il consumatore possa scegliere. Dobbiamo puntare sulla massima dimensione di italianità dal campo alla tavola. E soprattutto dobbiamo creare modelli nuovi, evitando che una volta terminata la fase di individuazione degli obiettivi comuni, quando si va nella fase operativa ci si torni a chiamare fornitori e clienti».
Da parte delle istituzioni, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina non ha fato mancare il sostegno del Governo a costruire le condizioni per accompagnare la trasformazione. «Lo sforzo che deve essere fatto da tutti – ha spiegato Martina – riguarda la costruzione di un sistema agroalimentare che affronti e risolva il nodo delle difficoltà di rapporti nella filiera e in particolare ripensi a come viene scaricata la catena del valore. Abbiamo agricolture forti con imprese agricole deboli. E per noi il tema dominante è come consentiamo alle persone di stare nell’impresa agricola».
«Le leve su cui agire – ha poi concluso Pedroni – sono la fiducia, la trasparenza, le esperienze di altri sistemi. Accordi di ampio respiro, riduzione delle intermediazioni che creano inefficienza, apertura e dialogo verso i cittadini-consumatori per una trasparenza informativa sui prodotti e sui processi. Queste le sfide che hanno davanti le imprese e le loro persone. Siamo anche convinti che le azioni pre-competitive (dove è importante il ruolo concreto giocato dalle nostre associazioni) siano determinanti per valorizzare l’agroalimentare italiano».
Eleonora Graffione (presidente Coralis) presenta Etichètto
Con i riflettori puntati sul cibo e sull’alimentazone (Expo non sta passando inutilmente) il dibattito sul made in italy si fa ogni giorno più stringente. Da un lato l’obiettivo del ministero delle Politiche agricole di portare l’export alimentare a 50 miliardi di euro nel giro di pochi anni, dall’altro la consapevolezza che comincia a farsi strada nei protagonisti della filiera che, per raggiungerlo, occorre unire gli sforzi e agire in maniera coordinata. In mezzo i cittadini consumatori che vogliono sempre più spesso sapere che cosa mangiano, dove e come è allevato l’animale, dove e come è coltivato quell’ortaggio o quel frutto.
Gli esempi di questo concentrarsi di interesse sopra e attorno al cibo si moltiplicano. Si è appena conclusa la battaglia sul ritorno dell’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta, che già se ne profila un’altra per affiancargli la dichiarazione d’origine del prodotto. E il ministro MaurizioMartina lancia una nuova sfida all’Europa: «Ribadito alla Commissione UE il no ai formaggi senza latte fresco. Avanti per la tutela dei consumatori e dei nostri produttori», ha twittato. E venerdì 2 ottobre a Expo il convegno di GS1 Italy | Indicod-Ecr con il titolo Fare meglio italiano vuole sviluppare l’idea di un ecosistema agroalimentare italiano che, come ha spiegato recentemente il presidente dell’associazione Marco Pedroni, «deve fare un passo avanti, superando gli schemi che vedono contrapporre gli interessi di coltivatori, industria di trasformazione, distribuzione. Occorre affrontare e sviluppare insieme i temi precompetitivi nelle relazioni tra imprese».
In questo filone si inserisce anche l’incontro che si è svolto qualche giorno fa al padiglione CibusèItalia-Federalimentare, che ha cercato di trovare una via d’uscita alla contrapposizione tra Made in Italy o Italian Made. Se cioè I prodotti alimentari “Made in Italy” debbano essere prodotti interamente in Italia, dal campo allo scaffale, oppresse sia possibile definire prodotto italiano anche quello che utilizza materie prime estere?
Tema, come si è visto particolarmente spinoso, perché tra chi sostiene il primo e chi invece vede nel mercato completamente aperto una opportunità di crescita del saper fare italiano, le distanze sembrano incolmabili. Peraltro accettando la prima ipotesi, buona parte dell’industria agroalimentare italiana sarebbe fuori gioco, mentre nel secondo caso si premierebbe solo ed esclusivamente l’origine della materia prima.
Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)
Nela fattispecie il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo afferma: «Secondo quanto emerso dalla consultazione svolta dal Ministero delle Politiche agricole il 96,5% dei consumatori ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori. E quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole non più coltivate perché non c’era più convenienza, e che invece vanno rivitalizzate».
Proprio questo è il punto di partenza del ragionamento di Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia – in Repubblica Ceca -, burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi): «Per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, cioè prodotti finiti già trasformati all’estero. Diverse filiere alimentari non sono e non potranno essere autosufficienti, tanto è vero che tante produzioni italiane sono autobloccate, per sostenere i prezzi. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?».
Sempre sul fronte industriale la testiminianza di Pasquale Petti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo conserviero va proprio nella direzione di una saldatura con il mondo agricolo: «Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima».
Ragioni che non fanno una piega, quelle dei coltivatori e quelle dell’industria alimentare: entrambi vogliono salvaguardare il proprio business. Ma la questione dirimente sta invece nel consumatore, nel cittadino che vuole trasparenza, informazione chiara. Poi potrà scegliere se acquistare un prodotto che arriva da materia prima estera (lo fa già con l’olio extravergine) o se invece acquistare solo prodotto italiano. Ma almeno che ne sia informato, senza sotterfugi e ipocrisie. L’esempio portato da Eleonora Graffione, presidente di Coralis va in questa direzione. Etichètto è infatti il progetto annunciato alcuni mesi fa e che ora è entrato nel vivo della sua attuazione per 150 prodotti di una clear label che identifica i prodotti italiani (a partire dal campo o dall’allevamento) in seguito a un protocollo messo a punto da Coralis e sottoscritto dai vari produttori. «Etichètto fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. È alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti», ha affermato Graffione.
Sulla questione, quindi, si procede a ranghi separati, anche se in linea di principio vi è un sentire comune, che però non ha trovato ancora una sintesi condivisa. Stanno maturando i tempi perché l’agroalimentare si faccia sistema (come recita il sottotitolo del convegno di GS1 Italy), superando steccati e contrapposizioni di parte e pensi principalmente ai cittadini consumatori?
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