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Sostenibilità, Granlatte propone di applicare l’OCM al settore lattiero-caseario

Pochi giorni fa si è svolto un seminario tecnico sulla sostenibilità della DG Agri convocato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di discutere con il gruppo di dialogo civile sui piani strategici della PAC e sulle questioni connesse proponendo di rafforzare l’OCM per favorirne un diffuso utilizzo nel settore lattiero caseario. A prendere parte anche la Presidente di Granlatte Simona Caselli, che ha portato al tavolo l’esperienza sulla sostenibilità fatta finora dalla cooperativa e alcune riflessioni in termini di sviluppi politici.

Il percorso intrapreso dalla filiera Granlatte si è articolato nel corso degli ultimi anni passando da più ambiti. Il primo ha previsto la creazione di un Comitato Tecnico Scientifico composto dalle Università di Milano, Brescia e Bologna, la verifica delle emissioni di gas serra di un campione rappresentativo di aziende Granlatte, l’estensione del risultato a tutte le aziende agricole Granlatte. Una ricerca ha esaminato la produttività, le prestazioni gestionali e le pratiche agronomiche adottate dalle aziende anche in relazione alla collocazione geografica valutando in parallelo il possibile utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e la gestione e il trattamento delle acque reflue. L’analisi ha portato alla determinazione, nel 2021, di un’impronta di carbonio della filiera pari a 1,50 kg di Co2 eq per kg di latte crudo. Con l’obiettivo di ridurre del 30% tale dato, sono state intraprese varie azioni ed una piattaforma digitale raccoglierà nel giro di qualche mese tutti i dati qualitativi, ambientali e sociali volti a un monitoraggio costante degli indicatori di sostenibilità. Il secondo passo è stato il raggiungimento della certificazione EPD sul latte crudo. Questo rappresenta un grande risultato per la cooperativa. Molti sono i prodotti Granarolo e Yomo ad aver ottenuto la certificazione EPD nel corso degli ultimi 20 anni, ma in Italia sul latte crudo si tratta della prima certificazione EPD in assoluto. La Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD) è definita dall’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO) 14025 come una dichiarazione di Tipo III che “quantifica le informazioni ambientali sul ciclo di vita di un prodotto per consentire la comparabilità”. Terzo passo è stato il grande risultato raggiunto sul Benessere Animale: il 100% della filiera Granlatte è certificata Classyfarm e Bonlatte. Classyfarm è la certificazione ministeriale e Bonlatte la certificazione proprietaria, definita con un Gruppo Operativo d’Innovazione finanziato dalla Regione Emilia-Romagna.e da fondi UE, che contempla un significativo numero di indicatori aggiuntivi e fornisce all’allevatore una serie di indicazioni per migliorare nel tempo. Tutti i dati sono inseriti nella piattaforma digitale della cooperativa.

In parallelo, sul fronte dell’economia circolare, Granlatte ha avviato il Progetto Biometano di filiera che prevede la costruzione di dieci impianti consortili in tre anni situati in diverse regioni italiane. Essi produrranno 30 milioni di metri cubi all’anno di metano, ovvero l’equivalente di quanto necessario in termini di energia termica negli stabilimenti italiani di Granarolo, 500.000 tonnellate all’anno di fertilizzante naturale (digestato), evitando l’emissione in atmosfera di 60.000 tonnellate di Co2 eq. Ad oggi cinque impianti consortili sono stati avviati: Gran Metano Mantova (formalizzato), Gran Metano Cremona (formalizzato), Gran Metano Brescia (formalizzato), Gran Metano Crema (ufficializzata la partenza a dicembre 2023), Gran Metano Varese (ufficializzata la partenza a dicembre 2023). Tre invece sono gli impianti di filiera proprietari già in funzione.

In termini di biodiversità è stato siglato un accordo con Conapi per la sottoscrizione di un disciplinare di buone pratiche agricole per la salvaguardia degli insetti impollinatori e la collocazione di arnie all’interno degli allevamenti. Attualmente nelle aziende agricole Granlatte sono presenti 350 alveari sparsi in diverse regioni italiane, per un totale di 17.450.000 api. Ne deriva per gli allevatori la possibilità di richiedere finanziamenti nell’ambito dell’Ecoschema 5 della PAC 2023-2027. Da gennaio 2024 Granarolo è la prima azienda con il marchio “ApprovedByConapiBees” presente anche sulla confezione del Latte Biologico Granarolo. Tra le iniziative rivolte a una transizione sostenibile vi è anche la partenza a fine 2023 di un corso di formazione rivolto ai giovani agricoltori soci di Granlatte di età compresa tra i 25 e i 40 anni che mira a fornire strumenti concreti per far crescere le aziende nel segno della sostenibilità misurata, governando l’efficienza tecnica ed economica e promuovendo la condivisione e la capitalizzazione di conoscenze, esperienze e soluzioni.

“Nell’esperienza del Progetto di Sostenibilità Granlatte si è assunta gran parte degli oneri di progettazione, organizzazione, gestione dei dati e predisposizione della piattaforma digitale, con risultati positivi e apprezzati dai soci perché i singoli allevatori non sarebbero stati in grado di affrontare la complessità di un tale progetto e questo ha come riflesso anche una riduzione degli oneri burocratici”, ha commentato Simona Caselli, Presidente della cooperativa Granlatte. “Tuttavia, l’implementazione e la manutenzione del sistema sono molto impegnative e gli allevatori devono essere sostenuti in questa fase di grandi cambiamenti per le loro aziende, anche in prospettiva dell’entrata in vigore della nuova Direttiva CSRD. La transizione verso modelli sostenibili comporta costi tali che le risorse private dovranno comunque essere affiancate da quelle delle politiche pubbliche, che mantengono un ruolo fondamentale. Data la natura frammentata delle aziende agricole italiane ed europee, un’adeguata diffusione di queste innovazioni in tempi ragionevolmente brevi è possibile solo se affrontate in forma aggregata (cooperative, organizzazioni di produttori, filiere). Uno strumento come l’OCM, applicato anche al settore lattiero-caseario, a supporto dei Piani d’Azione per la Sostenibilità e degli investimenti nella digitalizzazione, nella certificazione e nei sistemi di controllo, sarebbe di aiuto per consentire una efficace transizione ecologica delle nostre filiere. L’OCM potrebbe fornire strumenti utili per favorire l’adozione di buone pratiche innovative, e può essere utilmente affiancato alle misure agro-climatico-ambientali dei PSR (benessere animale, biologico, agroenergia, biodiversità) ed agli eco-schemi della PAC (benessere animale, riduzione dei farmaci, biologico) utili a sostenere gli agricoltori nella fase di transizione”.

Granarolo e Lactalis insieme contro l’inflazione

A fronte di una situazione che non consente ritardi nelle risposte della politica, il Gruppo Granarolo e il Gruppo Lactalis in Italia, superano i consueti antagonismi di mercato e, insieme, pongono all’attenzione del Governo la forte preoccupazione per un’inflazione galoppante che da 12 mesi colpisce l’agroalimentare italiano e in particolare il settore lattiero caseario. Occorre un intervento pubblico che scongiuri conseguenze ancora più disastrose per le migliaia di imprese che compongono la filiera.

L’inflazione ha toccato in maniera importante, con numeri a doppia cifra, quasi tutte le voci di costo che compongono la filiera del latte: alimentazione animale (aggravata dalla siccità che riduce sia i raccolti degli agricoltori sia la produzione di latte) che ha reso necessario un aumento quasi del 50% del prezzo del latte riconosciuto agli allevatori, packaging (carta e plastica sono in aumento costante da mesi), ulteriori componenti di produzione impiegati nella produzione di latticini. Oggi, però, la preoccupazione maggiore è rappresentata dall’incremento dei costi energetici che nelle ultime settimane sono aumentati a tal punto da rendere difficile trasferirli sul mercato, in un momento economicamente complesso per le famiglie italiane.

Nonostante entrambe le aziende abbiano assorbito autonomamente un’inflazione che oscilla tra il 25% e il 30%, dalla primavera il prezzo del latte per il consumatore è cresciuto raggiungendo gli 1,75/1,80 Euro/litro (dato Nielsen) e potrebbe aumentare ulteriormente entro dicembre 2022. È impensabile che un alimento primario e fondamentale nella dieta italiana possa subire una penalizzazione così forte da comprimerne la disponibilità di consumo.

“Per quanto concerne le sole energie, se non avviene un’inversione di rotta, si tratta di una inflazione del 200% nel 2022 rispetto al 2021 e un rischio di oltre il 100% nel 2023 rispetto al 2022– dichiara il Presidente di Granarolo Gianpiero Calzolari. È insostenibile anche da parte di una grande azienda, dal momento che si protrae nel tempo e che se fosse scaricata tal quale sul mercato colpirebbe significativamente i nostri consumatori e avrebbe inevitabili conseguenze sui consumi, con ricadute negative su tutta la filiera”.

“L’aumento del costo energetico sulla nostra organizzazione ha generato un impatto devastante, che sarebbe stato anche maggiore se non fossimo intervenuti con delle coperture ad hoc. Parliamo di un +220% di spesa registrato nel 2022 rispetto al 2021, e una stima di un +90% nel 2023 rispetto al 2022 – afferma Giovanni Pomella, AD di Lactalis in Italia. Le imprese sono allo stremo, hanno già fatto ben oltre le loro possibilità ed è arrivato il tempo della responsabilità pubblica. In questo drammatico frangente, come imprenditori abbiamo messo da parte le rivalità di mercato ed abbiamo unito il nostro appello al mondo politico per ribadire la necessità di intervenire responsabilmente a tutela dell’intera filiera e del consumatore”.

“Ad oggi l’inflazione ha portato a un aumento di listino del 23/24% ma i costi energetici continuano a crescere in misura esponenziale. Chiediamo un provvedimento transitorio per contenere un aumento dell’inflazione scatenato prevalentemente da questioni geopolitiche e da evidenti fenomeni speculativi. Si rende necessario un intervento urgente del Governo”, chiedono all’unisono Gianpiero Calzolari, Presidente di Granarolo e Giovanni Pomella, AD di Lactalis Italia.

Latte senza lattosio, le mamme ne vanno “pazze”

Cresce il consumo di latte senza lattosio (+6%) e di bevande alternative (+9%) mentre si prevede un arresto per il latte vaccino fresco (-4%) e latte vaccino UHT (-5%). Il dato emerge dalle dichiarazione delle mamme, influenzate in primis dai siti web (54% delle mamme con figli piccoli e 53% delle mamme con figli adolescenti) e dai social network (42% delle mamme con figli piccoli e 34% per le mamme con figli adolescenti). Queste tra le evidenze più significative che sono state presentante a Cremona al convegno “Aspettando la Giornata Mondiale del Latte”, promosso dal Comitato italiano della Federazione Internazionale del Latte – FIL/IDF, con il supporto della Fondazione Invernizzi e la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La nostra ricerca ha fotografato in primis il consumo di latte nelle famiglie italiane – dichiara la Prof.ssa Guendalina Graffigna, Direttore di EngageMinds HUB – Consumer & Health Research Center del Dipartimento di Psicologia della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari, Ambientali, dell’Università Cattolica del Sacro – evidenziando che  il 44% degli italiani intervistati beve tutti i giorni latte vaccino UHT e il 30% il latte vaccino fresco, in particolare le mamme con figli fino ai 13 anni. Nonostante ciò registriamo l’intenzione per il futuro di diminuirne il consumo, rispettivamente -5% per il primo e -4% per il secondo,  a favore del latte senza lattosio (+6%) e di bevande alternative (+9%)”.

Il dato che colpisce maggiormente è che il latte senza lattosio fa gola anche a chi non soffre di allergia o intolleranza (75%). “Questo dimostra come le riflessioni di natura psico-sociale – continua la Graffignasono molto importanti, nonostante spesso in passato hanno avuto un ruolo marginale rispetto ad altre scienze come la medicina, la farmacologia e la biochimica nelle quali, invece, notiamo una leggera crescita. La nostra ricerca, nell’ambito del progetto Cremona Food Lab, ha l’obiettivo proprio di fotografare il consumo di latte e bevande alternative in Italia, in generale e in relazione agli atteggiamenti, le motivazioni e le percezioni dei consumatori, con un focus specifico sul target delle mamme”.

I canali informativi

I canali di riferimento sono, rispettivamente, i siti web (50%), seguiti dalla televisione (40%) e dai social network (32%), quest’ultimo in particolare per le mamme con figli fino ai 13 anni d’età (42%), mentre solo il 19% delle stesse mamme dichiara di documentarsi leggendo le riviste scientifiche. Su dove viene riposta la fiducia per reperire le informazioni, però, i dottori e i nutrizionisti restano al primo posto (58%) per gli italiani, seguiti dai familiari e gli amici (51%) e dai gruppi di difesa dei consumatori (41%), dati che rimangono sostanzialmente stabili anche per le mamme. Si confermano poco credibili i politici, per il 64% degli cittadini intervistati, sia italiani che internazionali. Nucleo familiare e gruppo di amici sembrano essere decisivi (51%) anche per i consigli per l’acquisto di prodotti.

 

A Natale ancora più pagamenti con carta (+26%), soprattutto nei negozi tradizionali (+33%)

Sempre più con carta, sempre meno contanti: nella settimana dal 18 al 24 dicembre sono state effettuate 92 milioni di operazioni con carte di debito, credito e prepagate di cui 77 milioni hanno riguardato i pagamenti fisici e 15 milioni gli acquisti online. Da inizio dicembre, sono stati 278 milioni i pagamenti con carte: un incremento che ha riguardato soprattutto – come è ovvio che sia – i canali tradizionali mentre nell’e-commerce si è registrato un +8% rispetto allo stesso periodo del 2017.

I dati vengono da SIA, leader europeo nella progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi tecnologici dedicati alle Istituzioni Finanziarie, Banche Centrali, Imprese e Pubbliche Amministrazioni, nelle aree dei pagamenti, della monetica, dei servizi di rete e dei mercati dei capitali. SIA gestisce circa la metàdelle operazioni di pagamento con carte di debito, credito e prepagate in Italia. Complessivamente, nel periodo dal 1° dicembre al 24 dicembre 2018, SIA ha gestito 278 milioni di operazioni con carte in aumento di quasi il 25% rispetto ai 223 milioni dello stesso periodo 2017. In particolare, il 20% circa del totale dei pagamenti con carte ha riguardato gli acquisti su siti di e- commerce per un totale di 55 milioni di transazioni (+7,8% rispetto allo stesso periodo del 2017).

Piùevidente, invece, l’aumento dei pagamenti nei negozi tradizionali (+29,7%). Il picco di pagamenti con carte èstato registrato nel “Big Saturday”, il sabato prima di Natale, il 22 dicembre con 15,6 milioni di operazioni di cui 13,6 milioni effettuate nei negozi fisici e circa 2 milioni online.

Nel 2017 SIA ha gestito il clearing di 13,1 miliardi di transazioni, 6,1 miliardi di operazioni con carte, 3,3 miliardi di pagamenti, 56,2 miliardi di transazioni finanziarie e trasportato in rete 784 terabyte di dati. Il Gruppo, che conta attualmente oltre 3.400 dipendenti, ha chiuso il 2017 con ricavi pari a 567,2 milioni di Euro.

L’AICIG dopo la sentenza UE sul latte: aiutiamo tutte le denominazioni

Che la posizione della Corte di Giustizia Europea sui prodotti vegetali, avrebbe suscitato clamore e polemiche non stupisce affatto: tanti, troppi gli interessi in gioco e gli attori coinvolti.

Una sorta di dominio gigante in cui agire su una tessera può provocare a cascata il crollo delle altre.

Lo dimostra per esempio la posizione assunta da AICIG (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche) dopo la pubblicazione della sentenza UE. Sostanzialemente – si osserva – regolare le denominazioni è sacrosanto (giusta quindi la sentenza). Quello che non si capisce è perché poi sulle denominazioni di origine l’Europa venga messa in minoranza. “In siffatto contesto – commenta infatti il Segretario Generale di AICIG Leo Bertozzi – diventa essenziale definire il significato esatto delle denominazioni. Se uso il termine latte, il consumatore deve sapere esattamente di cosa si tratta, ed averne tutte le garanzie. Per questo ci rammaricano a tal proposito le prese di posizione sempre più dure oltreoceano per contrastare le denominazioni d’origine europee: nessuno qui si sognerebbe di usare denominazioni quali arance della Florida o prugne della California se non provengono da quegli Stati e se ciò avvenisse sarebbe subito stroncato dagli organi di sorveglianza sul mercato. Questo per garantire il consumatore sulla esatta origine del prodotto acquistato. Se sosteniamo che  denominazioni come Asiago, Fontina, Gorgonzola, ma anche Feta ed altre debbano essere riservate ai soli prodotti ottenuti nei rispettivi territori della UE, è proprio per dare garanzia al consumatore anche d’oltreoceano. D’altronde è ciò che viene fatto nella UE rispetto alle denominazioni di altri paesi terzi registrate da noi”.
Se dal versante europeo si affronta dunque una questione avente come obiettivo finale quello della trasparenza totale nei confronti del consumatore e l’eliminazione di terminologia ingannevole, più complicata è la situazione che vede protagoniste le IG europee ed i segnali di  politica protezionista di oltreoceano che – come riportato nel rapporto governativo “2017 Special 301 Report” pubblicato dal Dipartimento Usa per il commercio (USTR) – si impegna quotidianamente a “limitare i danni creati dal riconoscimento delle Indicazioni Geografiche (Ig) da parte dell’Unione Europea”, evidenziando altresì “gli effetti negativi che l’approccio dell’Ue nei confronti delle Ig può avere per i produttori e commercianti Usa nell’accedere ai mercati internazionali e del terzo mondo, specialmente quelli con diritti precedenti sui marchi commerciali, o quelli che confidano nell’uso dei nomi comuni dei prodotti agroalimentari”.

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La Corte Europea ha sentenziato: in linea di principio, la denominazione «latte» è riservata unicamente al latte di origine animale.

E ancora: salvo le eccezioni espressamente previste (latte di mandorla, latte di cocco, fagiolini al burro e burro di cacao, secondo le indicazioni della Decisione della Commissione del 20 dicembre 2010), anche le denominazioni come «crema di latte o panna», «chantilly» «burro», «formaggio» e «iogurt» sono appannaggio unicamente dei prodotti lattiero-caseari, vale a dire dei prodotti derivati dal latte.

Quindi?

Quindi tanti prodotti vegetali, come quelli derivati dalla soia, non potranno più essere chiamati latte, yogurt o burro.

Ma perché la Corte Europea è stata interessata alla questione?

Tutto nasce da una diatriba tra la società tedesca TofuTown, che produce e distribuisce alimenti vegetariani e vegani (con denominazioni tipo: «Soyatoo burro di tofu», «formaggio vegetale», «Veggie-Cheese», «Cream»,) e la Verband Sozialer Wettbewerb, un’associazione tedesca avente l’obiettivo specifico di contrastare la concorrenza sleale, che contesta alla prima la scelta di tali nomi. Ritiene, infatti, che essi violino la normativa dell’Unione sulle denominazioni per il latte ed i prodotti lattiero-caseari (Regolamento (UE) n. reg_1308_2013_del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013).

Inevitabili le polemiche e la confusione: come si dovranno chiamare d’ora in poi questi prodotti?

E ancora (è l’obiezione mossa da qualcuno), perchè alcune eccezioni sono ammesse (vedi al decisione del 2010, di cui sopra), mentre per soia e tofu c’è il bando?

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“I prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’. In sostanza, il latte è per sua definizione solo di origine animale e la denominazione  non può essere utilizzata per prodotti di origine animale.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia della Ue “anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione” esprimendosi su un caso sollevato in Germania la società da Verband Sozialer Wettbewerb, un’associazione tedesca che si batte contro la concorrenza sleale che ha citato in giudizio TofuTown, azienda che produce e distribuisce alimenti vegetariani e vegani con denominazioni quali ‘burro di tofu’ e ‘formaggio vegetariano’.

 

Soddisfazione da Coldiretti che si spinge oltre, chiedendo l’applicazione dello stesso principio per carne e insaccati vari. «La Coldiretti da anni porta avanti questa battaglia contro le indicazioni scorrette e fuorvianti con l’atteso stop al latte che deve ora estendersi anche alla carne e derivati, dalla bresaola alla mortadella fino alla fiorentina, venduti impropriamente in Europa come vegan – commenta Ettore Prandini, Vice Presidente Nazionale -. Adesso bisogna rendere trasparente l’informazione anche su tutti gli altri prodotti vegan che utilizzano denominazioni o illustrazioni che rimandano o in qualche modo ricordano l’utilizzo di carne, uova o altri derivati animali con cui in realtà non hanno nulla a che fare. È una questione di coerenza e di onestà nei confronti sia dei consumatori sia dei produttori».

La confederazione sottolinea poi come i prodotti vegetali che “mimano” il latte e i formaggi costino molto di più, a volte anche il doppio, rispetto agli originali con i drink a base di riso, avena, cocco e soia che sfiorano i 3 euro al litro.

“Ognuno è libero fare le proprie scelte e bere ciò che preferisce – conclude Prandini -, ma è giusto che l’informazione sia chiara e completa”. 

 

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Alto Adige, quando il territorio parla di qualità

L’Alto Adige con i suoi masi e le sue malghe rappresenta una risorsa importante per l’eccellenza alimentare italiana.

Nel 1941 a Bolzano viene fondata la Federazione Latterie Alto Adige, cooperativa che da allora riunisce le 10 latterie sociali altoatesine con lo scopo di promuovere le attività dei soci e di farsi garante davanti ai consumatori – con il Marchio di Qualità Alto Adige che si trova sulle confezioni di latte, yogurt, mozzarella, burro e formaggio altoatesini – della qualità dei prodotti lattiero-caseari del territorio.

Il marchio di qualità

Oltre al latte, l’assortimento di prodotti lattiero-caseari con il marchio di qualità Alto Adige include yogurt, formaggio, mozzarella, mascarpone, ricotta, burro, panna e latte UHT. C’è inoltre il formaggio Stelvio, l’unico formaggio altoatesino con una denominazione di origine protetta a livello europeo (DOP).

La Federazione

La cooperativa oggi vanta una produzione di circa 392 milioni di kg di latte all’anno, pari al 3,5% della produzione italiana di latte e allo 0,3% della produzione europea, impiega 940 addetti e ha al suo attivo un fatturato di 461 milioni di euro. Con la quantità di latte a disposizione vengono realizzati i seguenti prodotti:

Latte Fresco21,5 milioni di kg, di cui latte fresco biologico 1,2 milioni di kg
Latte UHT29,2 milioni di kg
Yogurt135,4 milioni di kg, di cui yogurt biologico 5,0 milioni di kg
Formaggio20,4 milioni di kg, di cui 14 milioni di kg di Mozzarella
Burro3,2 milioni di kg
Panna2,6 milioni di kg
Mascarpone, Ricotta9,5 milioni di kg

Le novità dei soci

L’impegno della Federazione è quello di promuovere il “gusto” dell’Alto Adige e in quest’ottica l’innovazione diventa prioritaria.

Tante le nuove proposte dedicate ai consumatori e alle loro esigenze si spazia dai nuovi imballaggi sempre più green alle referenze free from, per arrivare a sapori nuovi e inediti in grado di esaltare una materia prima naturale come il latte.

Vediamo insieme una rapida carrellata delle proposte più recenti, presentate a Milano nella cornice del IN KITCHEN LOFT.

Latteria Merano presenta:

  • due nuove referenze per la linea Bellavita Free – cocco e caffè zero.
  • il maxi formato da 400 grammi senza lattosio, sia nella versione classica che con zero grassi.
  • lo yogurt da bere nel formato eco pack.

 

Latteria Tre Cime presenta:

  • il formaggio Montagna Alto Adige Superior a pasta semidura, di forma rotonda con un diametro di 38 cm e un’altezza di 10 cm e al taglio si evidenzia una pasta semidura di un bel giallo oro e dall’occhiatura scarsa a forma di noce.
  • il formaggio Originale Dobbiaco, il prodotto più tradizionale e più noto della Latteria Tre Cime. La particolare forma a stanga, lunga 35 cm e con un’altezza e una larghezza di 13 cm, lo rende un formaggio dal formato originale e inconfondibile.
  • Il formaggio Inticina, nome ladino della città di San Candido, un formaggio da tavola a pasta semidura prodotto con latte vaccino intero proveniente dagli alpeggi dell’Alta Pusteria.

Brimi presenta:

  • la nuova Mozzarella Latte Fieno 125gr.
  • Mozzarella Brimi Senza Lattosio è prodotta solo con latte vaccino pastorizzato delattosato che ha un contenuto inferiore allo 0,01% di lattosio.
  • la ricotta monoporzione di Brimi con il suo nuovo e pratico formato da 100 grammi

Latteria Vipiteno presenta:

  • tre nuove referenze della gamma Sapori di Vipiteno Pera e camomilla, Miele e melissa, Mirtillo rosso.

Mila presenta:

  • il nuovo yogurt da bere Fiori di Sambuco e Lime di Mila, nella bottiglietta richiudibile
  • lo yogurt bicomparto Gusto + Gusto nella versione senza lattosio.
  • Il nuovo gusto della linea “Gli speciali” Mango maracuja e kiwi
  • la variante Benessere Zero Grassi Frutto del Drago – Guaranà.

Origine in etichetta, parte il latte ma un terzo della spesa è ancora “anonima”

Carne di coniglio, Carne trasformata, Frutta e verdura trasformata, Derivati del pomodoro diversi da passata, Sughi pronti, Pane: sono i prodotti che ancora vengono venduti senza dover indicare obbligatoriamente l’origine della materia prima in etichetta. Lo rende nota la Coldiretti nel giorno in cui entra in vigore l’etichettatura di origine obbligatoria per il latte a lunga conservazione e i suoi derivati. Un terzo della spesa degli italiani però resta anonima.

«L’Italia è diventata il più grande importatore mondiale di latte – afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -; dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare fino ad ora magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, dei formaggi o dello yogurt non ha consentito di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy. In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti».

 

Con materia prima straniera 2 salumi e pacchi di pasta italiani su 3

Oggi, due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione (in attesa dell’ok di Bruxelles al decreto per l’introduzione dell’etichetta d’origine), come pure i succhi di frutta o il concentrato di pomodoro dalla Cina o il pane.

L’Italia sotto il pressing della Coldiretti ha fatto scattare il 7 giugno 2005 l’obbligo di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal 1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro.

A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Il prossimo passo?L’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine del grano impiegato nella pasta condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che dopo la mobilitazione della Coldiretti hanno annunciato anche un analogo decreto per il riso. 

In Italia cresce il consumo di prodotti vegetali e Alpro si conferma leader del settore

Secondo dati Nielsen, lo scorso anno il settore dei prodotti alternativi al latte e derivati ha raggiunto un valore di 220 milioni di euro. La crescita è guidata in particolare dalle alternative vegetali allo yogurt e dalle bevande vegetali; queste ultime vedono al primo posto i prodotti a base di soia e a seguire i drink a base di mandorla, avena, riso e cocco, segnando una crescita del 36%. 

Alpro si conferma il leader del settore con una quota nel segmento del vegetale pari al 19,1% in Italia e del 43% in Europa. “L’attenzione dei consumatori verso un stile di vita più salutare e quindi verso un’alimentazione sana è un trend ormai riconosciuto. L’interesse crescente verso i prodotti a base vegetale mostrato dal mercato ne è la conseguenza”, spiega Bjorn Verbrugghe, marketing manager South Europe di Alpro.

I dati dimostrano che il consumo di bevande e alimenti vegetali si sta diffondendo sempre di più tra i consumatori italiani e non è limitato a particolari abitudini o intolleranze alimentari. Uno studio condotto da Alpro conferma questa tendenza: “Il gruppo di consumatori che utilizza maggiormente questi prodotti è rappresentato da chi punta a uno stile di vita orientato al benessere, interessandosi maggiormente alla salute, e affianca all’alimentazione uno stile di vita sportivo. Per questo sono propensi a integrare prodotti a base vegetale nella dieta quotidiana”, dichiara Verbrugghe.

Ad esempio, il prodotto più venduto del brand – la Bevanda alla Soia Original da 1 litro – si posiziona tra i 20 più acquistati nell’intera categoria che tiene conto sia delle bevande del settore lattiero-caseario, sia delle alternative.

Prevedere e soddisfare le esigenze dei consumatori è fondamentale per alimentare la crescita della categoria”, spiega Verbrugghe. “Per questo l’innovazione è il motore di Alpro, che ha recentemente lanciato nuove categorie e rafforzato la presenza in altre. Per rispondere a chi è molto attento al consumo di zuccheri, infatti, abbiamo lanciato la Bevanda Alpro alla Mandorla non tostata, senza zucchero e la Bevanda alla Soia senza zucchero. Inoltre, ci stiamo concentrando sul momento della colazione e sull’esigenza di variazione nel pasto più importante della giornata. Qui la gamma di alternative vegetali allo yogurt da 500 gr, a cui si possono aggiungere frutta secca o fresca e muesli, sono la nostra forza”.

Anche i momenti di consumo stanno evolvendo: i consumatori ricercano sempre più una colazione a base vegetale sia in casa, sia fuori casa. “Il lancio della bevanda Alpro Delicato è strategico in questo senso: si tratta infatti di un drink dalla consistenza cremosa, ottimo per essere scaldato e montato a schiuma e ideale da abbinare con il caffé”, conclude Verbrugghe.

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