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Donne: il lavoro è l’obiettivo primario. Il loro mito Samantha Cristoforetti

Donne: sempre più spesso il loro obiettivo è il lavoro. A dirlo è lo studio #donnedidomani realizzato da TNS per Danone Vitasnella, da cui emerge che  il 75% delle intervistate (15-29enni) nutre questa ambizione.

Le aspirazioni, però, si scontrano con la realtà, e, troppo spesso, il sogno si infrange: 1 su 5 fra le 25-29enni dichiara di vedersi ancora in cerca di un lavoro. Ed è la stabilità il traguardo agognato: il 74% cerca lavoro full-time e 8 su 10 vorrebbero un contratto a tempo determinato.

Fra le giovanissime, quasi il 50% sogna di essere una libera professionista o imprenditrice. La prima preoccupazione è la disoccupazione, che spaventa più delle malattie e cresce con l’avvicinarsi ai trent’anni, più forte al Sud.

Uomini e donne: il gap

7 giovani italiane su 10 dichiarano che avere 30 anni vuol dire avere un’indipendenza economica” un segnale di quanto il lavoro sia visto come un elemento cardine della vita di una donna – afferma Rosalba Arlotti, Account Manager TNS.

E continua: “Solo il 52% ritiene che le donne abbiano oggi le stesse possibilità di carriera, e il dato  scende al 46% fra le 25-29enni, mentre il 27% pensa che ci sarà sempre una disparità salariale tra uomini e donne a parità di livello: dato più basso fra le giovanissime 21% fra le 15-19enni”.

E purtroppo hanno ragione: In Italia, infatti, le donne guadagnano in media all’ora il 7,3% meno degli uomini, un divario che pur essendo inferiore alla media europea(pari al 16,3%), tra il 2008 e il 2013 è aumentato di 3,6 punti mentre nel resto del Continente è calato di 1! E non basta: le donne italiane ricevono un salario pari a quello degli uomini di dieci anni fa, secondo studi ed elaborazioni World Economic Forum.

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Mito, simbolo, esempio

Simbolo di professionalità, autonomia, competenza e voglia di avventura, ma anche  donna empatica e positiva è per le giovani under 30, Samantha Cristoforetti, (34% delle preferenze) che compendia in sè, con successo, il Work life balance: Affetti (68%), Lavoro (29%), casa (23%).

Come si relazionano e come interagiscono con il loro mondo? Le #donnedidomani sono e vogliono essere connesse: il 72% usa Facebook quotidianamente, il 34% YouTube con crescita di 8 punti vs 2014. E sono convinte che aziende ed istituzioni non le comprendono né le rappresentano. o. L’autoproduzione e la condivisione di contenuti nelle piattaforme Social (26%) le interpreta e le racconta più di quanto non facciano le istituzioni (24%) e le marche nelle pubblicità (19%).Schermata 2016-02-01 a 12.04.51

L’identikit

“Le #donnedidomani sono concrete, focalizzate, aperte. Hanno una visione chiara del loro futuro e della loro progettualità – ha detto Federico Capeci – CEO TNS Italia. Il digitale ha dato loro strumenti e opportunità per ampliare i loro confini. Sono donne connesse, informate, autonome ed attive. Ma soprattutto vivono lavoro, famiglia ed acquisti in modo completamente diverso rispetto alle generazioni precedenti. Abbiamo visto che si sentono poco rappresentate dalla pubblicità: se le aziende, non conoscendole adeguatamente, non riescono ad intercettarle ed a parlare loro, nei linguaggi, nei luoghi elettivi di relazione, il rischio è che non riescano a connettersi con loro, rendendo inefficaci le comunicazioni dei loro Brand”.Schermata 2016-02-01 a 12.05.01

Si è parlato inoltre di stereotipi nella comunicazione, che spesso anche in modo molto sottile ed indiretto, ripresentano preconcetti di genere e inducono prefigurazioni future in termini di ruoli o professionalità di per se discriminanti e di come il Gender Digital Divide possa sottrarre valore al paese.

 

 

Vini e spumanti in Gdo: il Prosecco si conferma il driver principale

Vini e spumanti in GDO: lo scenario si rivela positivo, evidenziando una crescita sia in volume sia in valore. “A trainare – spiega  Domenico Zonin, Presidente dell’Osservatorio del Vino, commentando i dati Ismea – sono state soprattutto le bollicine le cui vendite sono salite del 6,7% a volume e del 6,5 a valore. Come nel commercio con l’estero, anche nel mercato interno il prodotto trainante è il Prosecco”.

“Un buon indicatore – aggiunge Zonin – è rappresentato dalla tenuta sugli acquisti dei vini di qualità. La cultura media del consumatore rispetto ai nostri prodotti è sicuramente aumentata e questo dato ci conforta molto. La strada intrapresa è quella corretta: senza qualità, amore per la terra e rispetto per il consumatore, non si arriva lontano. Il mercato lo sa, e ci sta premiando, prova ne sia che per i vini Doc-Docg, la variazione positiva è soprattutto sul fronte della spesa e, quindi, del prezzo medio che i consumatori sono disposti a spendere”.

Le bollicine anche in questo ambito svettano rispetto agli altri vini. Va sottolineato l’ottimo risultato dei rosati. Fatto, questo, che dimostra che in Italia come in Francia, c’è interesse verso questa tipologia, che nel nostro contesto rappresenta il 5% del totale vino.

Fuori dai confini nazionali

“Passando sul fronte export – prosegue Domenico Zonin – da gennaio a ottobre 2015, secondo le elaborazioni Ismea su dati Istat analizzate dall’Osservatorio del Vino, si registra una flessione del 3% rispetto allo stesso periodo del 2014 (16,4 milioni di ettolitri da gennaio ad ottobre 2015). A trainare sono sempre le Dop (+3%) guidate dagli spumanti che nel complesso (Dop, Igp, comuni e varietali) nei primi dieci mesi del 2015 fanno segnare un export superiore ai 2 milioni di ettolitri (+10%) per un valore pari a 742 milioni di euro (+12%)”.

“Molto bene la fiducia che gli Stati Uniti confermano verso il nostro vino – continua Zonin – con un incremento del 6% in volume accompagnato da un +13,6% in valore che da gennaio a ottobre 2015 vale oltre 1 miliardo di euro. Alla base di questo risultato, l’ottima performance dei vini spumanti che fanno registrare un +20% nel mercato a stelle e strisce. Anche il Regno Unito dimostra apprezzamento per il vino italiano con un +5,4% in volume e un + 8,6% in valore, completamente attribuibile, in questo caso, ai vini spumanti. Segni positivi anche dalla domanda di vino italiano in Cina che cresce del 6,6% in volume e del 17,4% in valore. Risultati, questi, che ci fanno ben sperare per il nuovo anno appena cominciato”.

 

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Dinamica degli acquisti di vino e spumante nella DM: 2015 vs 2014 

Fonte: ISMEA su dati Nielsen Market*Track

 

 

San Benedetto: la smentita sui rumors circolanti

A seguito delle insistenti voci che si rincorrono secondo le quali gli azionisti di San Benedetto avrebbero affidato incarico ad apposito advisor per la cessione del pacchetto azionario, l’amministratore della società comunica che le informazioni sono del tutto infondate e quanto mai lontane dalla realtà.

L’azienda non ha affidato incarico ad alcuno né ha in corso trattative per la cessione dell’attività. Al contrario, la volontà della compagine societaria è quella di proseguire nel percorso di crescita del gruppo consolidando i recenti successi e investimenti in Italia e puntando sui mercati esteri, tavoli su cui si giocheranno la sfide competitive per il prossimo futuro.

Millennials: intraprendenti, social e stakanovisti

Millennials, un universo da scoprire. E da apprezzare, mettendo da parte pregiudizi e luoghi comuni.
È quanto emerge dalla ricerca «Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova» realizzata dal Censis per il Padiglione Italia di Expo 2015, su un campione di giovani tra i 18 e i 35 anni. Accantonato il clichè che li classificava come “bamboccioni” o “choosy” i giovani si rivelano intraprendenti, fortemente motivati, stakanovisti , sobri, strenui fautori del proprio io, ma solidali e… accomodanti.
Specialmente per quanto riguarda il mercato del lavoro, non sempre generoso con le nuove generazioni.
Pare infatti che rispetto ai più “anziani” Baby Boomers i Millennials siano più propensi ad accettare contratti brevi, qualifiche inferiori alla propria formazione,  impieghi al nero o stage non retribuiti. E questo nonostante abbiano dei plus importanti: sono infatti la prima generazione realmente bilingue e nativa digitale. Atout significativi che, messi a frutto realmente, sarebbero un potente propellente per il successo e l’affermazione professionale.
Intraprendenza
Davanti a un mercato ostico i Millennials non si sono arresi: quasi 32.000 nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015, infatti, fanno capo a un under 35, con una crescita del 3,6% rispetto al trimestre precedente. Una forte vitalità, dunque, trasversale a tutte le aree del Paese se anche nel Mezzogiorno il 40,6% delle attività nate nel trimestre è riconducibile a un giovane, con un tasso di crescita del 3,5% rispetto al trimestre precedente.
I Millennials sono lavoratori indefessi: più di 3,8 milioni lavorano oltre l’orario formale (il 17,1% in più rispetto ai Baby Boomers). Di questi, 1,1 milioni lo ha fatto senza ricevere il pagamento degli straordinari (il 4% in pi. rispetto alla fascia di 35 -64 anni) e 1,7 milioni con una copertura economica solo saltuaria.
A 1,1 milioni di Millennials capita di lavorare anche di notte, a quasi 3 milioni durante il weekend. Molti lavorano in remoto da casa e questo, anziché attenuare l’impegno, significa, al contrario, dilatare i tempi dedicati alle attività professionali.

L’io e la sharing economy
I Millennials, credono nel proprio Io.
Questo non vuol dire che siano egoisti: per questo è più corretto parlare di soggettivismo etico. L’io è considerato la misura di tutte le cose, quindi, l’obiettivo precipuo è soddisfarlo, in linea con una nuova dimensione più sobria e contenuta. In questo mood si innesca il successo della sharing economy (Uber, Airbnb, Gnammo, iBarter e via dicendo) che vede la dimensione del noi entrare in campo per sostenere e soddisfare i bisogni dell’Io.

Foodies, l’importanza del cibo
Nel sistema valoriale dei Millennials il cibo, e tutto ciò che vi ruota intorno, hanno assunto un ruolo di primo piano, testimoniato dalla fioritura di blog e piattaforme web dedicate al cibo, dalla miriade di start up nel settore della ristorazione e- non ultimo- dal ritorno all’agricoltura.
Ma cosa amano i giovani del cibo? Innanzitutto il legame con il territorio: il 60% degli under 35 infatti ritiene che l’eccellenza del proprio territorio si concretizza nei prodotti alimentari locali a fronte del 47,5% della media nazionale.
Mangiare è un fatto culturale e relazionale, molto più che un vettore funzionale, e attraverso il rapporto con ciò che si mette in tavola e proviene dai propri territori i giovani italiani plasmano il loro sentire identitario.   L’Italian food, inoltre, è un fattore distintivo di portata internazionale che inorgoglisce i Millennials che più degli altri vanno per il mondo.  Il 23,9% definisce il rapporto con il cibo degli italiani divertente, perché mangiare fa parte del nostro modo di stare insieme e divertirci, per il 20,5% è salutare.
Per i giovani il cibo è cultura: il 93% dei Millennials si dichiara coinvolto dal tema, il 53,5% è un appassionato, il 28,3% un intenditore e l’11,1% pensa a sé stesso come a un vero esperto. E in effetti il tempo investito in attività culinarie non è poco: sono 10,9 milioni i giovani che dichiarano di cucinare, 3,4 milioni lo fanno con regolarità e 5 milioni lo fanno spesso.
Ed è attività che appassiona, attira, gratifica, taglia trasversalmente appartenenze di genere, sociali, territoriali. Sono 10 milioni i Millennials italiani che cucinano e a cui piace farlo: 4,2 milioni perché li appassiona, 2,6 milioni perché li rilassa e 2,7 milioni ai fornelli provano un senso di gratificazione.

Quale cibo va per la maggiore?
La cucina italiana rimane quella più praticata nel quotidiano (11,1 milioni di Millennials) seguita dalla cucina tipica dei territori (11 milioni), però anche “l’esotico” va bene: sono 8,7 milioni i Millennials italiani che dichiarano di mangiare piatti tipici di altri paesi europei (paella, crepes, ecc.); 7,7 milioni (1,8 milioni abitualmente) mangiano piatti etnici (guacamole, cous cous) e 10 milioni (di cui 3,3 milioni regolarmente) consumano piatti preparati secondo ricette nuove di cui hanno sentito parlare in tv e/o letto su riviste e/o su ricettari.
Quanto allo stile alimentare professato, i  Millennials sono perfetti interpreti del neopoliteismo sobrio italico: riescono cioè a far convivere senza colpo ferire fast food e slow food.

Amazon: 2015 anno record sul fronte occupazionale con la creazione di 10.000 posti

Amazon ha annunciato oggi di aver creato 10.000 nuovi posti di lavoro in tutta Europa solo nel 2015 e il progetto di creare diverse migliaia di nuovi impieghi nel 2016. Attualmente i dipendenti di Amazon in tutta Europa sono oltre 40.000. I 10.000 nuovi dipendenti che si sono aggiunti nel corso del 2015 rappresentano il numero più alto che Amazon abbia mai realizzato in un solo anno in questo continente, con una crescita delle assunzioni del 50% rispetto al 2014. Nel 2016 l’azienda, tra le varie iniziative, investirà nell’espansione della propria rete europea di Centri di Distribuzione, nell’aumento delle attività di ricerca e sviluppo con base nel Vecchio Continente e nella costruzione di nuove infrastrutture per supportare la crescente attività nel mercato del cloud computing per le aziende.

Amazon, gli uffici di Milano
Amazon, gli uffici di Milano

“Stiamo riscontrando una domanda sempre più forte da parte dei clienti Amazon in Europa e vediamo molte altre opportunità per inventare e investire per il futuro. Nel 2015 abbiamo creato oltre 10.000 nuovi posti di lavoro e per il 2016 ne abbiamo in programma altre migliaia per tutti i livelli di formazione, esperienza e abilità, dagli specializzati in linguistica, in digital media, fino agli operatori dei Centri di Distribuzione e del Servizio Clienti”, afferma Xavier Garambois, Vicepresidente di Amazon EU Retail.

Dal 2010 Amazon ha investito oltre 15 miliardi di euro in infrastrutture e attività in Europa. L’azienda gestisce un business paneuropeo con oltre 80 uffici “corporate”, Centri di Distribuzione, Customer Service per clienti e venditori, centri di ricerca e sviluppo e i data center AWS. Recentemente l’azienda ha annunciato nuovi investimenti a Londra per un nuovo ufficio e un insieme di data center per i clienti di Amazon Web Services. I data center inglesi si aggiungeranno a quelli già esistenti a Francoforte e Dublino.

Amazon ha in programma di aggiungere centinaia di esperti di computer e ingegneri specializzati nello sviluppo di software nei suoi 12 centri di ricerca e sviluppo in Europa. I centri in Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna e Regno Unito stanno ideando nuove soluzioni all’interno dei settori che compongono l’offerta dell’azienda, inclusi il sito retail Amazon e le app per mobile, i media digitali, i dispositivi e i software come la tecnologia di riconoscimento vocale, Prime Air e i servizi cloud.

Cedi amazon Castel San Giovanni
Cedi Amazon Castel San Giovanni

I percorsi professionali in Amazon in Europa offrono opportunità a persone con ogni livello di formazione, esperienza e abilità. Molti ruoli richiedono lauree specialistiche e padronanza di più lingue, mentre altri non necessitano di esperienza, offrendo invece formazione e preparazione sul posto. Amazon aiuta anche i lavoratori a costruire nuove competenze per fare carriera all’interno e all’esterno dell’azienda. Ad oggi, oltre 1.000 dipendenti di Amazon in Europa hanno partecipato a Career Choice, l’innovativo programma di corsi di formazione professionale di Amazon, che anticipa il 95% dell’importo di rette e costi ai lavoratori a tempo indeterminato che intendono intraprendere corsi riconosciuti a livello nazionale, per un massimo di quattro anni. Gli impiegati che partecipano a Career Choice possono scegliere la formazione per una ampia varietà di occupazioni ad alta richiesta ed elevata retribuzione, come meccanico aeronautico, disegnatore progettista Cad-Cam, addetto alle tecnologie meccaniche, tecnico di laboratorio medico, infermiere e molti altri impieghi.

“Siamo orgogliosi sia di offrire ottimi posti di lavoro alle persone che hanno le capacità che stiamo cercando, sia di aiutare le persone a sviluppare e aggiungere nuove competenze attraverso i nostri tirocini e programmi innovativi come Career Choice”, commenta Roy Perticucci, Vicepresidente di Amazon EU Operations. “Nel 2016 aggiungeremo migliaia di nuovi posti di lavoro in tutte le aree comprese nella nostra rete europea di Centri di Distribuzione, un incremento necessario per soddisfare la crescente domanda da parte dei clienti e per innovare in nuove aree”.

La top 10 dei rischi più temuti dalle aziende: in testa ancora la Business Interruption

L’interruzione delle attività (Business interruption, BI), non scende dal podio.

Da quattro anni consecutivi, infatti, è il rischio più temuto dalle aziende, che rappresenta rispetto al decennio scorso, una percentuale maggiore delle perdite complessive, e spesso supera ampiamente le perdite materiali dirette.

Seguono a ruota le evoluzioni del mercato, gli incidenti informatici, le catastrofi naturali, i cambiamenti legislativi, le evoluzioni macroeconomiche, la perdita di brand reputation, incendi ed esplosioni, l’instabilità geopolitica furti, frodi e corruzione. Sono questi i risultati dell’Allianz Risk Barometer 2016, il 5° sondaggio annuale sui rischi aziendali pubblicato da Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS), che ha contattato oltre 800 risk manager ed esperti nel campo assicurativo di più di 40 Paesi.Schermata 2016-01-19 a 11.34.13

Naturalmente in questa top ten c’è chi sale e chi scende: è infatti sempre più evidente come nel 2016, la percezione del rischio da parte delle imprese stia sostanzialmente cambiando. I rischi tradizionali, come catastrofi naturali o incendi, preoccupano un po’ meno (perdono due posizioni rispetto alla scorsa rilevazione, classificandosi al quarto posto), mentre i timori crescono per l’impatto di altri eventi negativi, come la forte concorrenza di mercato e gli incidenti informatici.

Ben lo dimostra, per esempio, il fatto che per la prima volta, fra i primi tre rischi aziendali, rientrano in seconda posizione “l’Evoluzione del mercato” (34%) e in terza gli “Incidenti informatici” (28%). Questi ultimi sono anche indicati come il più alto rischio per le aziende nei prossimi 10 anni.

“Il panorama dei rischi per le aziende sta mutando poiché molti settori industriali stanno vivendo una trasformazione importante” spiega il CEO di AGCS Chris Fischer Hirs. “Le nuove tecnologie, l’aumento della digitalizzazione e ‘l’Internet delle cose’ stanno modificando il comportamento degli imprenditori e influenzando l’operatività industriale e i modelli di business. Tutto questo apre per le imprese moltissime opportunità, ma vi è la necessità di una risposta ad ampio raggio. In quanto assicuratori, dobbiamo collaborare con i nostri clienti per aiutarli ad affrontare queste nuove sfide in modo completo.”

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Un mercato sfidante

L’evoluzione del mercato è particolarmente sentita in settori come l’engineering, i servizi finanziari, la produzione, il marittimo, il farmaceutico e i trasporti, per i quali si colloca fra i tre principali rischi aziendali. Inoltre rappresenta una delle due principali preoccupazioni in Europa, Asia Pacifico e Africa & Medio Oriente.

Molte aziende si trovano ad affrontare un numero crescente di ostacoli che minacciano la loro redditività e talvolta anche i loro modelli di business.

“Le aziende cercano continuamente di rimanere attrattive con il cliente e di emergere in un ambiente competitivo e in rapida evoluzione, creando nuovi prodotti, servizi o soluzioni innovative”, spiega Bettina Stoob, Head of Innovation di AGCS. “I cicli di innovazione stanno diventando sempre più brevi, le barriere per l’accesso al mercato sono sempre più deboli; la digitalizzazione è in rapido aumento e vengono adottate nuove tecnologie disruptive per contrastare l’ingresso nel mercato di start-up sempre più agili”. Nel contempo, le aziende devono anche far fronte a cambi o novità nella legislazione, e devono così aumentare i requisiti di sicurezza o le limitazioni all’import/export.

Attacchi informatici sempre più sofisticati

Gli incidenti informatici sono aumentati di ben 11 punti percentuali rispetto all’analisi precedente, passando per la prima volta dalla quinta alla terza posizione. Cinque anni fa, nel primo report Allianz Risk Barometer, gli incidenti informatici erano considerati come fattore di rischio da appena l’1% degli intervistati. Secondo l’analisi, a seguito di un incidente informatico le principali cause di perdita economica per le aziende riguardano la perdita di reputazione (69%), l’interruzione delle attività (60%) e la richiesta di indennizzo a seguito di violazione dei dati (52%). Per questo le aziende ne hanno veramente paura. “Gli attacchi degli hacker stanno diventando sempre più mirati, durano più a lungo e possono provocare un’invasione continua” spiega Jens Krickhahn, esperto di assicurazioni informatiche per AGCS. Se gli attacchi informatici stanno aumentando per frequenza e gravità, le aziende non devono sottovalutare la pericolosità di un guasto operativo nei settori altamente digitalizzati e connessi. “Un semplice guasto tecnico o un errore da parte di un utente può dar luogo ad un importante blackout del sistema IT, provocando danni alla produzione o alle supply chain” afferma Volker Muench, esperto AGCS di property underwriting. “Una maggiore attenzione e un migliore controllo dei sistemi sono necessari per evitare grandi perdite informatiche per BI”, dichiara Krickhahn.

 

Bio in Gdo, un mercato da 860 milioni (+20%): e le più vendute sono le uova

Quanto vale il biologico nella grande distribuzione? Domanda di non poco conto, dato che bio e premium sono i comparti in crescita, anche nella Mdd. Secondo i dati Nielsen, presentati a Marca da Assobio, il biologico è un mercato che vale 863,8 milioni di euro in termini di vendite con un aumento nell’ultimo anno (novembre 2014 – novembre 2015) pari al 20%.

I prodotti più “gettonati”? Forse un po’ a sorpresa sono le uova (con un fatturato di oltre 61 milioni, +8,4% sull’anno precedente), al secondo posto le composte di frutta (oltre 60 milioni, +8,2%), alternativa “light” a confetture e marmellate. Al terzo posto le gallette di riso (sfiorano i 50 milioni, +21,4%) seguiti dalla frutta fresca (42 milioni, +12,4%). Oltre 37 milioni per i brick di bevande alla soia (+25,2%), 37 milioni per la pasta di semola (+29%), 35 per gli alimenti a base di soia (+37,3%), oltre 30 milioni di ortaggi (+8,3%), 29 milioni di latte fresco (+4,3%).

«In Gdo l’incremento medio in valore per le prime 15 categorie è del 18,6%, con un mimino del +4,3% per il latte e un massimo del +47,7% per l’olio extravergine d’oliva – dice Roberto Zanoni, presidente di AssoBio -. Dati molto positivi, certo, ma c’è ancora molto da fare. Il bio non deve rappresentare la nuova frontiera delle vendite; il bio è un sistema anche di valori, rappresenta un’agricoltura in grado di preservare l’ambiente, la biodiversità, capace di rispondere alle sfide globali e in questo modo deve essere considerato anche dalla Gdo. L’obiettivo è far comprendere agli operatori e ai consumatori il vero valore del bio, al di là del tema volumi e prezzi».

La Gdo è diventata dunque un canale importante. «Il mercato è in crescita e va tutelato – spiega Zanoni -. Riteniamo che tutti gli attori debbano confrontarsi, condividendo informazioni sulle criticità e utilizzando al meglio gli strumenti di cui noi ci siamo giù dotati, come i gruppi di lavoro tecnici sulle diverse produzioni, le piattaforme per la tracciabilità dei cereali e dell’olio sviluppate dalla nostra federazione interprofessionale FederBio per blindare qualità e integrità delle produzioni, linee guida e iniziative».

AssoBio chiede inoltre al ministero azioni volte all’informazione al pubblico che uniscano produttori e grande distribuzione. «In qualche Paese estero è già una realtà di estrema efficacia: una o più giornate nazionali del biologico in cui coinvolgere tutti gli operatori del settore, dagli agricoltori agli ipermercati, raccontando gli aspetti positivi della produzione biologica. Contiamo che il ministro Martina, da cui sono giunte parole di apprezzamento anche per la nostra presenza in Expo (sei impegnativi mesi di padiglione biologico) e Olivero, viceministro con delega all’agricoltura biologica ci diano una mano» conclude Roberto Pinton, segretario di AssoBio.

Cutolo Rionero Fonte Atella fa rivivere il suo gusto grazie a San Benedetto

Cutolo Rionero Fonte Atella, l’Acqua Effervescente Naturale, vero simbolo per la Basilicata e per le regioni limitrofe, torna  a far rivivere il suo gusto grazie all’acquisizione da parte di San Benedetto.
Il Gruppo Veneto, in questo modo, ha infatti colto un’opportunità importante volta a confermare il forte legame e l’impegno nei confronti di un’area strategica del nostro Paese, il Sud Italia. “Questa operazione – ha dichiarato Vincenzo Tundo, Direttore Marketing Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. –  che arriva dopo una già importante presenza in Lucania con lo stabilimento di Viggianello inaugurato lo scorso anno, rappresenta per San Benedetto la ulteriore concretizzazione di una strategia tesa a valorizzare la realtà della rete di acque locali di alta qualità, fortemente radicate nel territorio italiano. Un’occasione, altresì – ha aggiunto Tundo – per dare slancio al segmento pieno di valore delle acque effervescenti naturali che ha, nell’area 4,una quota di mercato di gran lunga superiore alla media nazionale”.
Il Vulture è un territorio splendido e incontaminato, dove l’omonimo monte fa da sfondo a scorci unici e ricchi di vegetazione. Proprio dal cuore di questo territorio, le rocce vulcaniche donano all’acqua minerale Cutolo Rionero Fonte Atella un’effervescenza unica e un prezioso mix di minerali che danno vita al suo gusto piacevole al palato ed alla sua equilibrata composizione, utile al benessere dell’organismo.
La nuova effervescente naturale è disponibile da oggi nei nuovi e pratici formati in PET da 1,5L e 0,5L. Nel 2016 è prevista l’introduzione sul mercato della linea vetro nei formati da 0,75L e da 1L e del pratico formato da 1L in PET.
Lo studio del Packaging ha puntato a valorizzare i tre elementi caratterizzanti della fonte Cutolo, il putto, la fontana e il cartiglio, frutto della tradizione e della riconoscibilità del brand. Per questo motivo è stata effettuata una reinterpretazione in chiave moderna dei valori originari che sono stati la forza ed il successo della marca. Anche il design delle bottiglie è stato sviluppato mettendo a frutto tutto il know how di  San Benedetto nella progettazione e realizzazione dei contenitori in PET, per essere eleganti e allo stesso tempo funzionali.

Lucart Group conferma la sua partnership con CHEP in nome di nuove sinergie

Lucart Group, fra i principali produttori europei di carte monolucide per imballaggi flessibili, carte tissue per uso igienico ed altri prodotti cartacei, ha rinnovato il contratto con CHEP per la distribuzione dei propri prodotti fabbricati nei siti italiani.

L’estensione della collaborazione con CHEP offre a Lucart l’opportunità di realizzare importanti sinergie logistiche e saving in termini di impatto ambientale.

Lucart è sempre stata attenta ad essere eticamente responsabile, promuovendo uno sviluppo equo e sostenibile sia dal punto di vista sociale che ambientale. Proprio in linea con questi valori e con i programmi che Lucart realizza per la riduzione dell’impatto ambientale, rientra la scelta del sistema CHEP. Il modello di pooling CHEP, infatti, permette il riciclo dei materiali e la riduzione delle emissioni di CO2 grazie a ottimizzazioni nei trasporti.

Il legno dei pallet CHEP proviene da foreste controllate: in questo senso, CHEP ha ottenuto le certificazioni rilasciate dalle organizzazioni FSC, Forest Stewardship Council, e PEFC, Programme for the Endorsement of Forest Certification.

Significative sono le riduzioni di impatto ambientale che Lucart realizza grazie al sistema di pooling CHEP rispetto a sistemi alternativi di gestione pallet: con i pallet CHEP si ottiene una diminuzione pari a circa il 50% delle emissioni di CO2, oltre che del 71% in termini di legno utilizzato e del 77% sui rifiuti in discarica.

“L’affidabilità del servizio, il controllo efficiente dei pallet e l’attenzione all’ambiente inclusi nell’offerta CHEP ci hanno convinti a proseguire la collaborazione, anche nell’ottica di lavorare con una logistica sostenibile in linea con i nostri valori” afferma Giovanni Illibato, Supply Chain Director di Lucart Group.

“La rinnovata fiducia di Lucart Group nei nostri confronti conferma la validità del nostro servizio di pallet pooling che assicura alle aziende che lo adottano notevoli miglioramenti nelle azioni di sostenibilità ambientale e nelle gestione della supply chain,” afferma Paola Floris, Country General Manager di CHEP Italia.

ASDA entra nella grande famiglia di EMD e il fatturato sale a 178 mld

Asda è nuovo Socio EMD. Grazie a questa nuova partnership, la catena di supermercati, dal 1999 di proprietà dell’americana Wal-Mart, aumenterà il suo potere di acquisto, generando risparmi significativi nell’approvvigionamento delle merci, che reinvestirà riducendo i prezzi e aumentando ulteriormente la qualità dell’offerta.
Come nuovo partner di EMD, Centrale europea che opera in 15 Paesi, Asda avrà accesso a nuovi e preziosi  di fornitura. Inoltre potrà cogliere sinergie di marketing e nuove opportunità con i brand europei e le private label. I 15 Soci di EMD comprendono circa 500 aziende distributrici di generi alimentari con oltre 150.000 punti di vendita in tutti i tipi di formato, principalmente nel dettaglio alimentare.
L’Amministratore Delegato EMD Philippe Gruyters ha dichiarato: “Con l’acquisizione del nuovo Socio Asda, EMD afferma la sua leadership tra le alleanze di acquisto e marketing che operano in Europa.” Con l’ingresso di Asda, il fatturato totale al consumo del gruppo EMD raggiungerà 178 miliardi di euro.
Per tutti i produttori che operano nel campo dei beni di largo consumo, questa partnership apre nuove opportunità.
Gli attori della partnership: Asda e EMD

Fondata negli anni Sessanta nello Yorkshire, Asda è uno dei retailer leader in Inghilterra, particolarmente competitivo sul fronte dei prezzi e dei servizi alla clientela, molto attivo anche nel commercio online.
Ogni settimana più di 18 milioni di clienti visitano i suoi 616 punti vendita – tra cui 32 Centri Commerciali, 332 Superstore, 34 Asda-Living Store, 201 Supermercati e 15 Stazioni di Servizio Indipendenti e siti Web – e sono serviti da piu’ di 172.000 addetti.
I siti www.asda.com e www.george.com arrivano a consegnare al 99% delle case del Regno Unito e presso i 650 siti “clicca e ritira”.
La sede principale dell’azienda si trova a Leeds, Yorkshire, mentre la divisione abbigliamento George è a Lutterworth, nel Leicestershire.

Presente in 15 Paesi europei, EMD è il gruppo di acquisto più importante per il settore alimentare al dettaglio e per quello dei beni di largo consumo ed è  considerato un partner fondamentale per il forte orientamento al cliente e per la sua  copertura di marketing.
Nella sede EMD a Pfäffikon, Svizzera, l’Amministratore Delegato Philippe Gruyters è responsabile di aggregare e incrementare gli interessi dei Soci – tutte primarie realtà distributive europee – e di coordinarne i benefici comuni.
Con un potenziale fatturato al consumo di 178 miliardi di euro, la Centrale ha ulteriormente consolidato i suoi contratti con i produttori di marca e la ricerca  e lo sviluppo di prodotti private label di successo.

L’elenco dei 15 Soci di EMD:

United Kingdom: ASDA                                        Norway: UNIL/NORGES GRUPPEN
Netherlands: SUPERUNIE                                   Finland: TUKO LOGISTICS
Germany: MARKANT AG                                    Sweden: AXFOOD
France: GROUPE CASINO                                  Denmark: DAGROFA
Switzerland: MARKANT Syntrade                       Czech Republic: MARKANT Cesko
Spain: EUROMADI Iberica                                   Slovakia: MARKANT Slovensko
Portugal: EUROMADI Port
Austria: MARKANT Österreich
Italy: ESD Italia

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